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sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Marvulli, P.M. Lombardi(concl. conf.); ric. Agnese ed altri. Annulla senza rinvio App. Genova 17 giugno 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.375/376-381/382Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186380 .
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PARTE SECONDA
il limite di velocità, senza essere stata fermata) e quelle nelle
quali la stessa autorità di polizia ha già tutti gli elementi per
procedere autonomamente ai necessari accertamenti.
Rientrano tra queste ultime le situazioni in cui il conducente
sia stato compiutamente identificato (tramite documento anche
diverso dalla patente di guida) ed i dati relativi all'autovettura
siano stati esaurientemente rilevati già all'atto della redazione
dei verbali di contravvenzione ex art. 77 cod. strada. In questi
casi, l'esibizione successiva del documento risponde solo ad esi
genze di comodità degli uffici operanti, giacché quell'atto evita
loro l'altrimenti necessario e possibile controllo presso i compe
tenti uffici pubblici. Orbene, non sussistono motivi, a giudizio di questo ufficio, per ritenere che queste esigenze di comodità
e speditezza del lavoro possano essere tutelate con sanzione pe
nale, non potendo essere ricondotte a quelle «ragioni di giusti zia» che, sole, giustificano l'incriminazione penale.
L'interpretazione proposta appare rispondente, oltre che al
l'osservanza del generale principio di tassatività delle fattispecie
incriminatrici, anche ad una corretta valutazione degli interessi
confliggenti, la libertà del cittadino e le esigenze di economia
del lavoro degli uffici pubblici. Deve quindi, conclusivamente,
affermarsi il principio secondo il quale nei casi in cui il docu
mento (patente di guida o carta di circolazione dell'autovettura) sia nella disponibilità giuridica dell'interessato, compiutamente
identificato, ma costui ne sia materialmente privo all'atto del
controllo nel corso di un servizio di polizia stradale, e tale si
tuazione sia autonomamente accertabile dalla polizia, l'inosser
vanza dell'ordine perentorio di esibizione dei documenti entro
il termine assegnato non costituisce reato. Consegue da quanto
argomentato che l'imputato va assolto dalla contravvenzione
ascrittagli perché il fatto contestatogli sussiste, ma non costitui
sce reato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 27 no
vembre 1990; Pres. Glinni, Est. Morgigni; ric. Innocenti.
Conferma Trib. Salerno, ord. 26 luglio 1990.
Cassazione penale — Procedimento — Nuovi documenti —
Esclusione (Cod. proc. pen., art. 610).
A norma dell'art. 610 c.p.p. del 1988, formulato in modo di
verso ed innovativo rispetto all'art. 533 c.p.p. del 1930, non
è più consentita la presentazione in Cassazione di nuovi do
cumenti che la parte non ha presentato tempestivamente nel
corso dei giudizi di merito. (1)
II 26 luglio 1990 il Tribunale della libertà di Salerno confer
mava il decreto di sequestro preventivo disposto il 29 giugno 1990 dal g.i.p. presso la Pretura circondariale di Salerno.
Ricorre Innocenti Antonio, titolare delle «Fonderie di Saler
no s.p.a.», deducendo; 1) assenza dei presupposti di cui all'art.
321 c.p.p., mancando l'astratta configurabilità del reato di in
quinamento atmosferico, poiché il d.p.c.m. del 24 luglio 1989
(in G.U. n. 171) escluderebbe fino al 31 dicembre 1994/1997 la rilevanza penale delle immissioni di fumi e/o gas; 2) carenza
di motivazione e carente interpretazione dei dati tecnici riscon
trati con le analisi. Unitamente al ricorso sono stati esibiti talu
ni documenti. Insiste infine nell'esistenza dei presupposti della
(1) Non risultano precedenti specifici. In generale, sul giudizio di cassazione nel nuovo codice di procedura
penale, v. Galati, in SrRACUSANO-DALiA-GALATi-TsANCfflNA, Manuale di diritto processuale penale, Milano, 1991, II, 449 s.; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, Milano, 1989, 319 s. ; Spangher, Le impugnazioni nel nuovo codice di procedura penale, in II giusto processo, 1990, 158 s.; Id., in Conso-Grevi, Profili del nuovo codice
di procedura penale, Padova, 1990, 443 s.
Il Foro Italiano — 1991.
procedura di autorizzazione ed afferma di avere indirizzato «for
male istanza alla regione Campania, che all'uopo si produce». Va innanzi tutto rilevato che il provvedimento comunque non
può essere annullato, poiché è stato emesso con riferimento an
che al reato di cui all'art. 659 c.p.. Per quest'ultima imputazio
ne il ricorrente ha criticato le valutazioni tecniche compiute dal
giudice del merito. Ha cosi formulato censure che non sono
proponibili in questa sede.
Lo stesso ha tuttavia interesse a sentir decidere il ricorso an
che in ordine alla seconda contestazione a lui mossa.
Va al riguardo rilevato che il ricorso si fonda su un motivo
assorbente: essendo stata presentata domanda di autorizzazio
ne, sono entrati in vigore i termini di adeguamento delle emis
sioni previsti dall'art. 27 d.p.c.m. 21 luglio 1989. Il giudice del
riesame ha escluso però la sussistenza del presupposto della pro
cedura di autorizzazione. Il ricorrente ha dedotto difetto di mo
tivazione sul punto ed ha esibito documenti.
Reputa il collegio che col nuovo codice di procedura penale il legislatore ha voluto disegnare in maniera più netta e puntua le i limiti del giudizio di cassazione, finalità questa che si inseri
sce nel più vasto progetto di delineare con la maggior precisione
possibile la sfera di competenza di giudice per evitare — nei
limiti del possibile — inutili sovrapposizioni. Coerentemente con
questo impostazione è stato riformulato l'art. 533 del codice
del 1930, che prevede l'avviso ai difensori e la possibilità per
questi ultimi di esaminare, nei quindici giorni successivi, atti
o docunenti, estrarne copia e presentare nuovi documenti. È
stato previsto nel codice del 1988 all'art. 610 un avviso unico
da dare almeno trenta giorni prima dell'udienza.
Non è più prevista la possibilità di presentare nuovi docu
menti. L'eliminazione non è certo frutto di negligenza, ma ha
un significato univoco: la Cassazione è giudice di legittimità e non del fatto. Essa — quanto meno — non può quindi pren dere in esame documenti, che la parte avrebbe potuto esibire
tempestivamente nelle sedi competenti. Si noti che l'art. 619,
nel prevedere l'applicabilità di disposizioni più favorevoli al
l'imputato, ha eliminato la formula introdotta nell'art. 538 del
1930 con la modifica del 1974 e cioè «ove non sia necessario
assumere nuove prove, diverse dall'esibizione di documenti» ed
ha riprodotto l'originaria dizione «qualora non siano necessari
nuovi accertamenti di fatto». Anche qui è stata eliminata la
menzione dei nuovi documenti. La corte quindi può valutare
le prove o gli elementi di prova attraverso la mediazione com
piuta dal giudice di merito e cioè esaminando la motivazione
della decisione per valutarne l'eventuale illogicità o carenza.
Nella specie, il tribunale della libertà non ha preso in consi
derazione la domanda di autorizzazione, perché non esibita. La
motivazione sul punto dunque è corretta ed è proprio il ricor
rente a darne la dimostrazione attraverso la richiesta di apprez zamento — da parte del giudice di legittimità — di documenti, evidentemente non depositati tempestivamente.
Segue la condanna alle spese.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 23
novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Marvulli, P.M.
Lombardi (conci, conf.); ric. Agnese ed altri. Annulla senza
rinvio App. Genova 17 giugno 1988.
Rinvio penale (giudizio di) — Prescrizione del reato — Limiti
(Cod. proc. pen. del 1930, art. 152, 545). Rinvio penale (giudizio di) — Assoluzione per insufficienza di
prove — Disciplina transitoria — Limiti (Cod. proc. pen. del
1930, art. 479, 545; norme att., coord, e trans, cod. proc.
pen. del 1988, art. 245, 254).
Nel giudizio di rinvio non può essere dichiarato prescritto un
reato quando la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza
di annullamento parziale pronunciata dalla Cassazione, nel
caso in cui questa sentenza abbia ad oggetto statuizioni diver
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GIURISPRUDENZA PENALE
se ed autonome rispetto al riconoscimento dell'esistenza del
fatto-reato e della responsabilità dell'imputato. (1) Nel giudizio di rinvio non può provvedersi alla sostituzione,
a norma degli art. 245, 1° comma, e 254 norme att., coord,
e trans, c.p.p. del 1988, della formula assolutoria per insuffi cienza di prove adottata con riferimento ad un reato, quando la relativa decisione abbia acquistato autorità di cosa giudica ta non avendo tale capo formato oggetto dell'annullamento
da parte della Corte di cassazione. (2)
(1-2) La decisione, con la quale la Corte di cassazione, a sezioni uni
te, ha risolto in senso negativo il contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibilità, nel giudizio di rinvio (o nel successivo giudizio per cas
sazione), di dichiarare, a norma dell'art. 152 c.p.p. del 1930, estinto un reato per sopravvenuta prescrizione, quando l'annullamento parzia le ha per oggetto statuizioni che non riguardano, neppure per connes
sione, la sussistenza del fatto o la responsabilità dell'imputato, si segna la, oltre che per l'approfondito esame della complessa problematica, in quanto il suo insegnamento rimane valido anche nel nuovo codice, atteso che il vigente art. 624 c.p.p. riproduce pressoché letteralmente le disposizioni dettate, in tema di annullamento parziale, dall'art. 545
c.p.p. del 1930. Tra l'altro, la corte si è avvalsa proprio dell'argomento della riprodu
zione quasi integrale di quest'ultima norma nel nuovo codice, per re
spingere la tesi (v., ad es., Fassone, La declaratoria immediata delle cause di non punibilità, Milano, 1972, 121), secondo la quale il legisla tore del 1930 avrebbe utilizzato, per delineare l'ambito di operatività del giudicato parziale, un termine («parti») impreciso e tecnicamente non appropriato. Ad avviso della Cassazione riunita, infatti, non vi
sarebbe stata occasione migliore della riformulazione della norma per sostituire quel termine, qualora con esso si fosse inteso limitare il carat
tere e gli effetti del giudicato alle sole decisioni che esauriscono il giudi zio in relazione ad uno o più capi di imputazione. E, se questa esigenza — conclude — non è stata avvertita dal legislatore del 1988 «pur cosi doverosamente cauto nel riproporre il contenuto della preesistente nor mativa e pur cosi sensibile nel recepire i suggerimenti interpretativi of
ferti dall'elaborazione dottrinale e dalla interpretazione giurispruden ziale», ciò confermerebbe la volontà di conservare quel termine in quanto
comprensivo di tutte le possibili decisioni che concernono uno o più
aspetti confluenti verso una stessa imputazione. L'assunto della corte, in realtà, trova ulteriore conferma anche in
una delle differenze che la formulazione dell'art. 624, 2° comma, c.p.p. del 1988 presenta rispetto all'art. 545, 2° comma, c.p.p. del 1930, e
precisamente laddove la locuzione «parti della sentenza» che «rimango no in vigore» è stata sostituita con quella «parti della sentenza» che
«diventano irrevocabili». Peraltro, la stessa relazione al progetto preli minare del nuovo codice (in Le leggi, 1988, 2606) giustifica la previsio ne contenuta nel 3° comma dello stesso art. 624, secondo la quale la
Corte di cassazione, investita della relativa domanda, deve decidere «senza
l'osservanza delle formalità previste dall'art. 127», proprio in conside
razione della natura meramente ricognitiva del provvedimento che di
chiari quali «parti» della sentenza annullata siano «irrevocabili».
Va, tuttavia, segnalato che la dottrina che si è sinora occupata della
presente questione alla luce del nuovo codice, si è espressa per la più
ampia applicabilità dell'art. 129 (corrispondente all'art. 152 c.p.p. del
1930) nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento parziale: v. Cor
derò, Codice di procedura penale commentato, Torino, 1989, sub art.
624, 707, § 1, e sub art. 627, 709, §§ 3 e 5-7; Galati, in Siracusano
Dalla-Galati-Tranchina-Zappalà, Manuale di procedura penale, Mi
lano, 1991, II, 481 s.; nonché, sia pure in termini problematici, Span
gher, in Corso-Grevi, Profili del nuovo codice di procedura penate, Padova, 1990, 461 s.
Questa era, del resto, l'opinione senza dubbio maggioritaria, se non
addirittura consolidata, prima dell'intervento delle sezioni unite: v., ol
tre le decisioni citate nel contesto della motivazione della sentenza in
epigrafe, Cass. 29 marzo 1988, Cucci, Foro it., Rep. 1989, voce Rinvio
penale, n. 7; 31 maggio 1983, Catania, id., Rep. 1984, voce cit., n.
7; 17 febbraio 1982, Gucciardo, id., Rep. 1983, voce Sentenza penale, n. 191; 7 maggio 1980, Tomaselli, id., Rep. 1982, voce'cit., n. 231; 12 febbraio 1980, Serafini, id., Rep. 1980, voce Cassazione penale, n.
86; 18 giugno 1979, Galli, ibid., voce Cosa giudicata penale, n. 1; 18
gennaio 1979, De Felice, id., Rep. 1979, voce Sentenza penale, n. 33; 16 ottobre 1978, Cangiulli, ibid., voce Prescrizione penale, n. 11; 9
ottobre 1978, Spiga, ibid., voce Cassazione penale, n. 63; 10 gennaio
1978, Pavone, id., Rep. 1978, voce Rinvio penale, n. 7; 22 marzo 1971,
Magrini, id., Rep. 1972, voce cit., n. 7; 17 dicembre 1968, Morana,
id.. Rep. 1969, voce Cosa giudicata penale, n. 11; 26 gennaio 1966,
Franco, id., Rep. 1967, voce Rinvio penale, nn. 11, 12; 6; luglio 1965,
Sabbadini, id., Rep. 1965, voce Sentenza penale, n. 239; 8 maggio 1964,
Piglia, ibid., n. 215; e, in dottrina, fra i tanti, Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, III, Delle impugnazioni, Milano, 1952, 561; Bel
lavista, La Cassazione penale, in Studi sul processo penale, Milano,
Il Foro Italiano — 1991.
Motivi della decisione. — (Omissis). Numerosi imputati ri correnti, ritenuti colpevoli del delitto previsto dall'art. 416 c.p., hanno censurato l'impugnata sentenza per la mancata applica zione della prescrizione per quest'ultimo reato. Essi hanno rile
vato che la sentenza di annullamento parziale pronunciata dalla
Corte di cassazione aveva avuto ad oggetto, con riferimento
alla condanna per quel reato, il giudizio di pericolosità sociale
e, per alcuni, anche il diniego delle attenuanti generiche: per
tanto, il procedimento, in relazione a quella imputazione, non
si era concluso, e, quindi, il giudice di rinvio, in applicazione di quanto disposto dal 1° comma dell'art. 152 c.p.p. (del 1930), avrebbe dovuto dichiarare la causa estintiva del reato, soprav venuta alla sentenza di annullamento.
La questione prospettata dai ricorrenti ed in ordine alla quale un persistente contrasto giurisprudenziale ha giustificato l'asse
gnazione del procedimento alle sezioni unite, si inserisce, com'è
evidente, nell'ampia e complessa problematica relativa all'effi
cacia da riconoscere alle sentenze di annullamento parziale della
Cassazione ed ai conseguenti limiti del giudizio di rinvio.
La non univocità degli orientamenti che sono stati espressi sulla possibilità di applicare le cause di non punibilità previste dall'art. 152 c.p.p. (del 1930) nel giudizio di rinvio e nelle fasi
ad esso successive, allorquando la sentenza di annullamento par ziale ha ad oggetto statuizioni diverse dall'accertamento del fatto
reato e della responsabilità dell'imputato, è conseguente alla dif
ficoltà che da taluni è stata avvertita nel riconoscere autorità
di cosa giudicata a tutte quelle sentenze che non esauriscono
il giudizio in relazione all'esercizio dell'azione penale per un
determinato reato. Sulla scia di tale riduttiva concezione del
giudicato penale si è finito per affermare che la norma contenu
ta nel 1° comma dell'art. 545 c.p.p. (del 1930) porrebbe al giu dice di rinvio una mera «preclusione processuale» al riesame
di quelle parti della sentenza non colpite dall'annullamento, né
ad esse inscindibilmente connesse (cfr. in tal senso, Cass., sez.
I, 22 novembre 1971, Porrovecchio, Foro it., Rep. 1973, voce
Rinvio penale, n. 10; sez. V 10 gennaio 1984, Mattoni, id., Rep.
1985, voce cit., n. 4; sez. I 27 gennaio 1987, Freda, id., Rep.
1988, voce cit., nn. 4, 5; sez. V 4 febbraio 1988, Zonca, id.,
Rep. 1989, voce cit., n. 9). In contrapposizione a tale orientamento, si è anche effermato
che la sentenza della Corte di cassazione che definisce il giudi zio in relazione ad alcune autonome statuizioni, quale che sia
l'ampiezza del loro contenuto, determina il passaggio in giudi cato della relativa decisione, e ciò anche quando questa non
esaurisce il giudizio in relazione ad un reato (cfr. sez. I 26 mag
gio 1986, Macaluso, id., Rep. 1987, voce cit., n. 6; sez. V 14
giugno 1985, Romanet, id., Rep. 1986, voce Legge penale, n.
1966, III, 122; Cordero, Guida alla procedura penale, Torino, 1986, 412 s.; Id., Procedura penale, 9a ed., Milano, 1987, 803 s., 1051 s.; Costa, Sui limiti e sui poteri del giudice di rinvio penale, in Riv. it.
dir. pen., 1934, 691 s.; Fassone, op. cit., 116 s.; G. Leone, Trattato
di dir. proc. pen., Napoli, 1961, I, 200 in nota, e III, 243; Manzini, Trattato di dir. proc. pen. it., 6a ed., Torino, 1972, IV, 838; Petrella, Le impugnazioni nel processo penale, II, I singoli mezzi di impugnazio ne, Milano, 1965, 560 s.
Per l'interpretazione minoritaria, ora avallata dalla sentenza de qua, v., invece, oltre le decisioni citate nel contesto della motivazione, Cass.
27 ottobre 1967, Conti, Foro it., Rep. 1968, voce Rinvio penale, n.
8; 28 gennaio 1966, Giuffrida, id., Rep. 1966, voce Sentenza penale, n. 284; 21 settembre 1964, Castellano, id., Rep. 1965, voce cit., nn.
236, 237; e, in dottrina, Conso, Questioni nuove di procedura penale, Milano, 1959, 165 s., nota 101; Lozzi, «Favor rei» e processo penale, Milano, 1968, 81 s.; nonché, in termini particolarmente approfonditi, Siracusano, Rapporti tra questione di fatto e questione di diritto, con
particolare riguardo all'applicabilità dell'art. 152 c.p.p. nel giudizio di
rinvio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1962, 895 s.; Id., Giudizio di rinvio
limitato all'accertamento di una circostanza e possibilità d'applicazione dell'art. 152 c.p.p., ibid., 1240 s.
Per una rassegna articolata delle posizioni della giurisprudenza e del
la dottrina in argomento, cfr., altresì, Fassone, op. cit., 116, note 61
e 62; Moscarini, in Commentario breve al cod. proc. pen. a cura di
Conso e Grevi, Padova, 1987, sub art. 152, III, 5; Spanoher, id., sub art. 545, V, 2.
Il principio di diritto transitorio, affermato nella seconda massima,
infine, è una conseguenza dell'adottata interpretazione dell'art. 545 c.p.p. del 1930. Peraltro, l'assoluzione per insufficienza di prove atterrà co
munque ad un «capo autonomo» della sentenza annullata, e non già ad una «parte» o «punto» della stessa. [E. D'Angelo]
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PARTE SECONDA
8; sez. IV 17 gennaio 1985, Zuccato, ibid., voce Rinvio penale, n. 8).
Nell'ambito di cosi contrastanti orientamenti, da un lato si
è affermata la necesità di individuare i «capi autonomi» di una
sentenza, intendendo con ciò riferirsi alle decisioni che conclu
dono l'esercizio dell'azione penale in relazione ad un reato e,
dall'altro, tale ricerca è stata giudicata superflua in relazione
alla individuazione degli effetti processuali conseguenti ad una
sentenza di annullamento parziale.
Orbene, ritiene innanzi tutto la corte che una corretta solu
zione del problema non possa prescindere da una preliminare osservazione e cioè che allorquando la legge disciplina lo svilup
po del rapporto processuale e riconosce autorità di «cosa giudi
cata» ad una parte della sentenza, non intende certamente rife
rirsi né al giudicato in senso sostanziale, né all'intrinseca ido
neità della decisione ad essere posta in esecuzione, bensì' soltanto
all'esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione. Da tale incontestabile premessa discende che non è l'ampiez
za del contenuto di una sentenza a conferire a questa il caratte
re della definitività, ma è soltano l'esaurimento del giudizio l'e
vento capace di attribuire al decisum il carattere e gli effetti
del giudicato. Anche il processo penale è sensibile allo sviluppo dinamico
del rapporto processuale: il giudicato, infatti, può avere una
formazione non simultanea, ma progressiva e ciò può accadere
sia quando nel processo confluiscono più azioni penali, suscetti
bili di autonoma decisione, sia quando il procedimento riguar da un solo reato attribuito ad un solo soggetto, perché anche
in quest'ultimo caso la sentenza definitiva può essere la risul
tante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo pro
gressivo dei mezzi di impugnazione. Un giudizio, infatti, si esau
risce con la stessa simmetrica progressività con la quale si ridu
ce il suo oggetto, e sia quando la pronuncia di annullamento
ha ad oggetto uno o più capi d'imputazione, che quando la
stessa decisione interviene in relazione ad uno o più «punti» concernenti una singola accusa, perché sia nell'uno che nell'al
tro caso la irrevocabilità della decisione rappresenta l'effetto
conseguente all'esaurimento del giudizio. La stessa formulazione dell'art. 545 c.p.p. consente di rico
noscere «autorità di cosa giudicata» non solo alla sentenza del
la Corte di cassazione che esaurisce il giudizio in relazione ad
un capo d'imputazione, ma anche a quella che, lungi dal perve nire a tale risultato, annulla una o più delle disposizioni concer
nenti una stessa imputazione contestata ad un soggetto e corre
lativamente cosi riduca l'oggetto del giudizio devoluto al giudi ce di rinvio.
Non è infatti privo di significato il fatto che il legislatore del 1930 abbia utilizzato il termine «parti» della sentenza per
individuare, ad un tempo, sia le disposizioni che costituiscono
l'oggetto dell'annullamento che quelle, non comprese nelle pri
me, né aventi con esse connessione essenziale, che rimangono in vigore, acquistando «autorità di cosa giudicata».
Se con quel termine il legislatore avesse inteso riferirsi soltan
to ai «capi autonomi» della sentenza, la norma si segnalerebbe
per la sua assoluta superfluità, non essendo certo contestabile
l'autonomia delle azioni penali confluenti nel processo comula
tivo, sia in relazione al loro esercizio che alla loro consunzione.
Il contenuto poi di quella norma, cosi riduttivamente indivi
duato, certamente non si armonizzerebbe con l'art. 544 e con
il quale si attribuisce al giudice di rinvio il potere di decidere
solo sui «punti» che hanno formato oggetto della sentenza di
annullamento: ciò significa che una statuizione definitiva da parte della Corte di cassazione può avere ad oggetto disposizioni ri
guardanti uno stesso capo d'imputazione e perciò anche una
siffatta decisione, al pari di quella che conclude il giudizio in
relazione ad una o più accuse, è partecipe, ed in ugual misura,
degli effetti riconducibili al giudicato. Ed è conseguente alla definitività della decisione della Corte
di cassazione, sia pure limitata nel suo contenuto dall'oggetto
dell'annullamento, il fatto che il successivo art. 546, al pari di
quanto disposto dall'art. 628 del nuovo codice di procedura pe
nale, consente l'impugnabilità della sentenza del giudice di rin
vio soltanto in relazione ai «punti» non decisi dalla Cassazione.
Tale conclusione si armonizza con la natura ed i limiti del
giudizio di rinvio. Questo, infatti, se è conseguente ad una sen
tenza di annullamento parziale, non consiste nella pura e sem
II Foro Italiano — 1991.
plice prosecuzione del giudizio a conclusione del quale venne
emessa la sentenza annullata, ma rappresenta una fase a sé stante,
caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza
della Corte di cassazione che lo ha disposto: il suo oggetto non
può essere diverso o più ampio rispetto a quello devolutogli
o di quello che è attratto per effetto della connessione essenzia
le con la parte annullata; esso, inoltre, non può svilupparsi al
di fuori del paradigma che il giudice di legittimità ha tracciato
attraverso l'enunciazione dei principi di diritto applicabili all'i
potesi esaminata. E tale intreccio di limiti sono tutti riconduci
bili alla rilevanza ed all'efficacia della sentenza pronunciata dalla
Corte di cassazione.
Pertanto, gli effetti preclusivi che impediscono al giudice di
rinvio di estendere la sua indagine oltre i limiti oggettivi del
giudizio a lui affidato non sono in alcun modo assimilabili a
quelli che conseguono alla delimitazione del contenuto dei mo
tivi di impugnazione: essi, infatti, sono diretta ed ineludibile
conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia della Corte di
cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annulla
te ed a queste non necessariamente connesse.
L'opposta tesi non solo non si armonizza con il contenuto
delle norme su indicate, ma, nel confondere gli effetti preclusivi
del giudicato con quelli, di ben diversa rilevanza, conseguenti al riconoscimento dell'efficacia devolutiva dei mezzi d'impugna
zione, finisce per privare della sua intrinseca rilevanza proces
suale la sentenza con la quale la Cassazione esaurisce il giudizio
in relazione ad alcune statuizioni.
Non può neppure essere condiviso quanto è stato affermato
da una parte della dottrina, e cioè che il legislatore del 1930
avrebbe utilizzato, per delineare l'ambito di operatività del giu
dicato in relazione alla sentenza di annullamento parziale, un
termine impreciso e tecnicamente non appropriato. È innanzi tutto agevole osservare come l'uso ripetuto di quel
lo stesso termine («parti») nella stessa norma (1° e 2° comma
dell'art. 545 c.p.p.) mal si concilia con il rilievo prospettato.
Inoltre, attribuendo al legislatore un'imprecisione terminologi
ca, si finisce per riconoscere come il contenuto della norma,
cosi come questa è formulata, autorizza a ritenere che autorità
di «cosa giudicata» può essere riconosciuta anche in relazione
a tutte le decisioni che concernono uno o più aspetti confluenti
verso una stessa imputazione.
Infine, è doveroso ricordare che la stessa norma, è stata lette
ralmente recepita nel codice del 1988 (art. 624). Ed è allora
agevole osservare che se il suo contenuto doveva essere ridutti
vamente limitato alle sole decisioni che esaurivano il giudizio in relazione ad uno o più capi d'imputazione, non v'era occa
sione migliore della riformulazione della norma per sostituire
quel termine che aveva dato adito ad una diversa interpretazio ne. E se tale esigenza non è stata avvertita dal nuovo legislato
re, pur cosi doverosamente cauto nel riproporre il contenuto
della preesistente normativa e pur cosi sensibile nel recepire i
suggerimenti interpretativi offerti dall'elaborazione dottrinale e
dall'interpretazione giurisprudenziale, ciò significa che si è vo
luto conservare quel termine, proprio perché comprensivo di
tutte le possibili componenti di un provvedimento decisorio. Del
resto, nella relazione al progetto preliminare del nuovo codice
e nella relativa direttiva, si è dato atto della natura ricognitiva del provvedimento con il quale la Cassazione dichiara quali di
sposizioni della sentenza annullata restano definitive e si ribadi
sce che in relazione a tali «punti» il giudizio è «irrevocabile»:
quindi, si riconosce, ancor più esplicitamente, come gli effetti
preclusivi che impediscono al giudice di rinvio di prendere in
esame le disposizioni non annullate sono diretta ed immediata
conseguenza del giudicato. Né può essere confusa l'eseguibilità di una sentenza penale
di condanna con l'autorità di cosa giudicata attribuibile a una
o più statuizioni in essa contenute: una cosa è la possibilità dell'attuazione delle definitive decisioni contenute in una sen
tenza, ed altra cosa, ben diversa, è la irrevocabilità della pro nuncia in relazione allo sviluppo del rapporto processuale. Nel
primo caso la definitività del provvedimento, in tutte le sue pos sibili componenti, va posta in relazione alla formazione di un
vero e proprio titolo esecutivo, e quindi alla materiale e giuridi ca possibilità dell'esecuzione della sentenza nei confronti di un
determinato soggetto; nel secondo caso, invece, la definitivi
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GIURISPRUDENZA PENALE
tà della pronuncia è conseguente all'esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato.
Le su esposte considerazioni consentono di affermare che non
può essere dichiarato prescritto un reato quando la causa estin
tiva sia sopravvenuta, com'è avvenuto nel caso in esame, alla
sentenza di annullamento parziale pronunciata dalla Corte di
cassazione, quando questa ha ad oggetto statuizioni diverse ed
autonome rispetto al riconoscimento dell'esistenza del fatto-reato
e della responsabilità dell'accusato.
È pur vero, infatti, che l'art. 152 c.p.p., per il suo contenuto
e per le finalità cui è diretto, altro non è che la rappresentazio ne normativa di un principio di carattere generale nel quale con
vivono e si armonizzano due anime, il favor libertatis, nella
sua più lata accezione, ed il rispetto dell'«economia processua
le»; ed è altrettanto incontestabile che quella norma, obbligan do il giudice alla sua applicazione, in qualsiasi stato e grado del procedimento, è insensibile alla preclusione processuale con
seguente al riconoscimento dell'efficacia devolutiva dei mezzi
d'impugnazione, ma rappresenta, rispetto a questa, una vera
e propria deroga. Tutto ciò però non autorizza a ritenere che, ai fini dell'applicazione dell'art. 152 c.p.p., il giudice possa pre scindere da un presupposto al quale è strettamente subordinato
il suo potere decisorio, e cioè la pendenza di un procedimento avente ad oggetto l'accertamento del fatto contestato e della
responsabilità del suo autore. Né può quella norma, nel pur doveroso rispetto della rilevanza dei principi ai quali è ispirata,
superare la barriera del giudicato ed essere applicata quando il giudizio sull'attribuibilità di un reato ad un soggetto si sia
ormai irrevocabilmente concluso.
Neppure sussiste, contrariamente a quanto dedotto da alcuni
imputati ricorrenti, un rapporto di connessione essenziale tra
le parti annullate della sentenza e quelle sottratte a tale pronun cia: il rapporto di connessione essenziale, richiesto quale condi
zione imprescindibile per attrarre alla cognizione del giudice di
rinvio le disposizioni della sentenza non comprese tra quelle an
nullate, va inteso come necessaria interdipendenza logica e giu ridica tra le diverse statuizioni, di guisa che l'annullamento di
una di esse rende inevitabile il riesame di quelle parti che, per ché non suscettibili di autonoma decisione, impongono un rin
novato giudizio. Ma siffatto rapporto non esiste in relazione all'accertamento
dell'esistenza di un reato e della responsabilità dell'autore quando sia rimessa in discussione soltanto la concedibilità di attenuanti
generiche o il giudizio sulla pericolosità sociale degli autori di
quel reato. Né lo stesso rapporto può rivivere, come invece è
stato sostenuto dalle difese di alcuni ricorrenti, attraverso l'e
saltazione di una connessione meramente probatoria, evocata
attraverso il giudizio negativo espresso dall'impugnata sentenza
sulla sufficienza della prova in relazione ai furti attribuiti agli stessi imputati ricorrenti. Innanzi tutto va osservato che non
è certamente un rapporto più o meno intenso di connessione
probatoria sufficiente a disperdere l'autonomia che caratteriz
za, nell'astratta e nella concreta configurabilità, il delitto di as
sociazione per delinquere rispetto ai singoli reati compresi nel
programma del sodalizio criminoso. D'altronde, la ricerca della
prova, in relazione al reato associativo, può legittimamente av
valersi del determinante contributo offerto dalla dimostrazione
della realizzazione del programma predisposto, ma non è certa
mente riduttivamente esauribile in questa. In ogni caso, poi, il rapporto di «necessaria connessione»,
richiesto dall'art. 545 c.p.c., non può essere dilatato al punto
da comprendere in esso l'ipotesi prevista dall'art. 45, n. 2, dello
stesso codice, giacché quest'ultima forma di connessione, ido
nea a giustificare la riunione dei procedimenti ed alcune dero
ghe alla competenza del giudice; nulla ha a che vedere con quel la imprescindibile interdipendenza che deve sussistere in relazio
ne all'oggetto delle diverse decisioni, perché è soltanto questo
rapporto capace di attrarre alla cognizione del giudice di rinvio
statuizioni che, altrimenti, sarebbero precluse dal giudicato.
Pertanto, anche sotto tale profilo, non può essere accolta la
richiesta diretta ad ottenere la declaratoria di prescrizione per il reato previsto dall'art. 416, 2° comma, c.p. Per le considera
zioni su esposte non può nemmeno provvedersi alla sostituzione
della formula assolutoria per insufficienza di prove, adottata,
Il Foro Italiano — 1991.
per alcuni imputati ricorrenti, con riferimento a quel reato, aven
do la relativa decisione acquisito autorità di cosa giudicata in
seguito alla sentenza con la quale la Corte di cassazione aveva
respinto i ricorsi degli imputati ed aventi ad oggetto quella spe cifica pronuncia. Non possono neppure essere accolti i motivi
dedotti dagli imputati Arnaldi Gianfranco, Gandolfi Riccardo, Passaro Attilio e Guglielmo Antonio e con i quali è stata de
nunciata la violazione degli art. 489, 213 e 544 c.p.p. Risulta dagli atti che le amministrazioni comunali che si era
no costituite parti civili nel procedimento non avevano limitato
la domanda risarcitoria ai soli danni conseguenti alla consuma
zione dei furti subiti dal casinò di Sanremo; né quelle costitu
zioni erano state ritenute ammissibili soltanto in relazione al
reato di furto contestato agli imputati ricorrenti.
D'altronde, in questa sede, non è più consentito contestare
la legitimatio ad causam delle parti civili in relazione all'impu tazione di associazione per delinquere: nella sentenza d'appello,
pronunciata dalla corte di Genova il 20 febbraio 1986, gli impu
tati, riconosciuti colpevoli del delitto previsto dall'art. 416 c.p., erano stati tutti condannati al risarcimento dei danni ed al pa
gamento delle spese processuali in favore delle costituite parti civili e tale capo della sentenza non ha formato oggetto della
pronuncia di annullamento da parte della Corte di cassazione.
Ne consegue che è preclusa dal giudicato la verifica dell'esisten
za e della legittimità del titolo che ha dato origine all'accogli mento della domanda risarcitoria in relazione alla condanna per
quel delitto.
Quanto poi al problema relativo alla legittimità della condan
na degli stessi imputati al pagamento delle spese relative al giu dizio di rinvio in favore delle stesse parti civili, va osservato
che allorquando vi sia stata, com'è avvenuto nel caso in esame, una dichiarazione d'impugnazione generica, che investe tutti i
capi della sentenza, la parte civile ha interesse ad intervenire
nel giudizio per contrastare tutte le possibili istanze dirette a
rimettere in discussione la proponibilità della domanda risarci
toria, ovvero il titolo che la giustifica, o il contenuto del suo
diritto.
Ne consegue che quando, a conclusione del giudizio d'impu
gnazione, resta ferma la condanna anche per uno solo dei capi
d'imputazione che legittimava l'esercizio dell'azione civile, l'im
putato dev'essere condannato al pagamento delle spese proces suali in favore della parte civile intervenuta nel giudizio, e ciò
anche se in relazione alle altre statuizioni della sentenza l'impu
gnazione dell'imputato sia stata accolta.
Il parziale accoglimento dell'impugnazione giustifica, ai sensi
del 1° comma dell'art. 213 c.p.p. il fatto che un imputato sia
esonerato dall'obbligo di rifondere le spese anticipate dallo Sta
to, ma non è certamente sufficiente per escludere, nel contem
po, l'obbligo del pagamento delle spese in favore della parte
civile, trattandosi di obbligazioni fondate su diversi presuppo sti: la soccombenza della parte civile nel giudizio d'impugnazio ne — la sola idonea ad escludere l'obbligo dell'imputato al rim
borso delle spese — si ha quando la domanda proposta dal
danneggiato dal reato e diretta ad ottenere il riconoscimento
del diritto alla restituzione ovvero al risarcimento del danno,
sia, per effetto dell'accoglimento dell'impugnazione dell'impu
tato, disattesa, ma non già quando il giudice della impugnazio ne ne confermi l'accoglimento, sia pure limitatamente ad uno
dei reati contestati. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 1° giu
gno 1990; Pres. Carnevale, Est. Buogo, P.M. Pagliarulo
(conci, conf.); imp. Vianello. Conflitto di competenza.
Competenza e giurisdizione penale — Conflitto tra p.m. e g.i.p. — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art. 22, 28).
Indagini preliminari — Riapertura — Provvedimento di diniego — Impugnazione — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art.
127, 409, 414, 568, 606).
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