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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres....

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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Marvulli, P.M. Lombardi (concl. conf.); ric. Agnese ed altri. Annulla

sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Marvulli, P.M. Lombardi(concl. conf.); ric. Agnese ed altri. Annulla senza rinvio App. Genova 17 giugno 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.375/376-381/382Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186380 .

Accessed: 28/06/2014 17:39

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PARTE SECONDA

il limite di velocità, senza essere stata fermata) e quelle nelle

quali la stessa autorità di polizia ha già tutti gli elementi per

procedere autonomamente ai necessari accertamenti.

Rientrano tra queste ultime le situazioni in cui il conducente

sia stato compiutamente identificato (tramite documento anche

diverso dalla patente di guida) ed i dati relativi all'autovettura

siano stati esaurientemente rilevati già all'atto della redazione

dei verbali di contravvenzione ex art. 77 cod. strada. In questi

casi, l'esibizione successiva del documento risponde solo ad esi

genze di comodità degli uffici operanti, giacché quell'atto evita

loro l'altrimenti necessario e possibile controllo presso i compe

tenti uffici pubblici. Orbene, non sussistono motivi, a giudizio di questo ufficio, per ritenere che queste esigenze di comodità

e speditezza del lavoro possano essere tutelate con sanzione pe

nale, non potendo essere ricondotte a quelle «ragioni di giusti zia» che, sole, giustificano l'incriminazione penale.

L'interpretazione proposta appare rispondente, oltre che al

l'osservanza del generale principio di tassatività delle fattispecie

incriminatrici, anche ad una corretta valutazione degli interessi

confliggenti, la libertà del cittadino e le esigenze di economia

del lavoro degli uffici pubblici. Deve quindi, conclusivamente,

affermarsi il principio secondo il quale nei casi in cui il docu

mento (patente di guida o carta di circolazione dell'autovettura) sia nella disponibilità giuridica dell'interessato, compiutamente

identificato, ma costui ne sia materialmente privo all'atto del

controllo nel corso di un servizio di polizia stradale, e tale si

tuazione sia autonomamente accertabile dalla polizia, l'inosser

vanza dell'ordine perentorio di esibizione dei documenti entro

il termine assegnato non costituisce reato. Consegue da quanto

argomentato che l'imputato va assolto dalla contravvenzione

ascrittagli perché il fatto contestatogli sussiste, ma non costitui

sce reato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 27 no

vembre 1990; Pres. Glinni, Est. Morgigni; ric. Innocenti.

Conferma Trib. Salerno, ord. 26 luglio 1990.

Cassazione penale — Procedimento — Nuovi documenti —

Esclusione (Cod. proc. pen., art. 610).

A norma dell'art. 610 c.p.p. del 1988, formulato in modo di

verso ed innovativo rispetto all'art. 533 c.p.p. del 1930, non

è più consentita la presentazione in Cassazione di nuovi do

cumenti che la parte non ha presentato tempestivamente nel

corso dei giudizi di merito. (1)

II 26 luglio 1990 il Tribunale della libertà di Salerno confer

mava il decreto di sequestro preventivo disposto il 29 giugno 1990 dal g.i.p. presso la Pretura circondariale di Salerno.

Ricorre Innocenti Antonio, titolare delle «Fonderie di Saler

no s.p.a.», deducendo; 1) assenza dei presupposti di cui all'art.

321 c.p.p., mancando l'astratta configurabilità del reato di in

quinamento atmosferico, poiché il d.p.c.m. del 24 luglio 1989

(in G.U. n. 171) escluderebbe fino al 31 dicembre 1994/1997 la rilevanza penale delle immissioni di fumi e/o gas; 2) carenza

di motivazione e carente interpretazione dei dati tecnici riscon

trati con le analisi. Unitamente al ricorso sono stati esibiti talu

ni documenti. Insiste infine nell'esistenza dei presupposti della

(1) Non risultano precedenti specifici. In generale, sul giudizio di cassazione nel nuovo codice di procedura

penale, v. Galati, in SrRACUSANO-DALiA-GALATi-TsANCfflNA, Manuale di diritto processuale penale, Milano, 1991, II, 449 s.; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, Milano, 1989, 319 s. ; Spangher, Le impugnazioni nel nuovo codice di procedura penale, in II giusto processo, 1990, 158 s.; Id., in Conso-Grevi, Profili del nuovo codice

di procedura penale, Padova, 1990, 443 s.

Il Foro Italiano — 1991.

procedura di autorizzazione ed afferma di avere indirizzato «for

male istanza alla regione Campania, che all'uopo si produce». Va innanzi tutto rilevato che il provvedimento comunque non

può essere annullato, poiché è stato emesso con riferimento an

che al reato di cui all'art. 659 c.p.. Per quest'ultima imputazio

ne il ricorrente ha criticato le valutazioni tecniche compiute dal

giudice del merito. Ha cosi formulato censure che non sono

proponibili in questa sede.

Lo stesso ha tuttavia interesse a sentir decidere il ricorso an

che in ordine alla seconda contestazione a lui mossa.

Va al riguardo rilevato che il ricorso si fonda su un motivo

assorbente: essendo stata presentata domanda di autorizzazio

ne, sono entrati in vigore i termini di adeguamento delle emis

sioni previsti dall'art. 27 d.p.c.m. 21 luglio 1989. Il giudice del

riesame ha escluso però la sussistenza del presupposto della pro

cedura di autorizzazione. Il ricorrente ha dedotto difetto di mo

tivazione sul punto ed ha esibito documenti.

Reputa il collegio che col nuovo codice di procedura penale il legislatore ha voluto disegnare in maniera più netta e puntua le i limiti del giudizio di cassazione, finalità questa che si inseri

sce nel più vasto progetto di delineare con la maggior precisione

possibile la sfera di competenza di giudice per evitare — nei

limiti del possibile — inutili sovrapposizioni. Coerentemente con

questo impostazione è stato riformulato l'art. 533 del codice

del 1930, che prevede l'avviso ai difensori e la possibilità per

questi ultimi di esaminare, nei quindici giorni successivi, atti

o docunenti, estrarne copia e presentare nuovi documenti. È

stato previsto nel codice del 1988 all'art. 610 un avviso unico

da dare almeno trenta giorni prima dell'udienza.

Non è più prevista la possibilità di presentare nuovi docu

menti. L'eliminazione non è certo frutto di negligenza, ma ha

un significato univoco: la Cassazione è giudice di legittimità e non del fatto. Essa — quanto meno — non può quindi pren dere in esame documenti, che la parte avrebbe potuto esibire

tempestivamente nelle sedi competenti. Si noti che l'art. 619,

nel prevedere l'applicabilità di disposizioni più favorevoli al

l'imputato, ha eliminato la formula introdotta nell'art. 538 del

1930 con la modifica del 1974 e cioè «ove non sia necessario

assumere nuove prove, diverse dall'esibizione di documenti» ed

ha riprodotto l'originaria dizione «qualora non siano necessari

nuovi accertamenti di fatto». Anche qui è stata eliminata la

menzione dei nuovi documenti. La corte quindi può valutare

le prove o gli elementi di prova attraverso la mediazione com

piuta dal giudice di merito e cioè esaminando la motivazione

della decisione per valutarne l'eventuale illogicità o carenza.

Nella specie, il tribunale della libertà non ha preso in consi

derazione la domanda di autorizzazione, perché non esibita. La

motivazione sul punto dunque è corretta ed è proprio il ricor

rente a darne la dimostrazione attraverso la richiesta di apprez zamento — da parte del giudice di legittimità — di documenti, evidentemente non depositati tempestivamente.

Segue la condanna alle spese.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 23

novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Marvulli, P.M.

Lombardi (conci, conf.); ric. Agnese ed altri. Annulla senza

rinvio App. Genova 17 giugno 1988.

Rinvio penale (giudizio di) — Prescrizione del reato — Limiti

(Cod. proc. pen. del 1930, art. 152, 545). Rinvio penale (giudizio di) — Assoluzione per insufficienza di

prove — Disciplina transitoria — Limiti (Cod. proc. pen. del

1930, art. 479, 545; norme att., coord, e trans, cod. proc.

pen. del 1988, art. 245, 254).

Nel giudizio di rinvio non può essere dichiarato prescritto un

reato quando la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza

di annullamento parziale pronunciata dalla Cassazione, nel

caso in cui questa sentenza abbia ad oggetto statuizioni diver

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GIURISPRUDENZA PENALE

se ed autonome rispetto al riconoscimento dell'esistenza del

fatto-reato e della responsabilità dell'imputato. (1) Nel giudizio di rinvio non può provvedersi alla sostituzione,

a norma degli art. 245, 1° comma, e 254 norme att., coord,

e trans, c.p.p. del 1988, della formula assolutoria per insuffi cienza di prove adottata con riferimento ad un reato, quando la relativa decisione abbia acquistato autorità di cosa giudica ta non avendo tale capo formato oggetto dell'annullamento

da parte della Corte di cassazione. (2)

(1-2) La decisione, con la quale la Corte di cassazione, a sezioni uni

te, ha risolto in senso negativo il contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibilità, nel giudizio di rinvio (o nel successivo giudizio per cas

sazione), di dichiarare, a norma dell'art. 152 c.p.p. del 1930, estinto un reato per sopravvenuta prescrizione, quando l'annullamento parzia le ha per oggetto statuizioni che non riguardano, neppure per connes

sione, la sussistenza del fatto o la responsabilità dell'imputato, si segna la, oltre che per l'approfondito esame della complessa problematica, in quanto il suo insegnamento rimane valido anche nel nuovo codice, atteso che il vigente art. 624 c.p.p. riproduce pressoché letteralmente le disposizioni dettate, in tema di annullamento parziale, dall'art. 545

c.p.p. del 1930. Tra l'altro, la corte si è avvalsa proprio dell'argomento della riprodu

zione quasi integrale di quest'ultima norma nel nuovo codice, per re

spingere la tesi (v., ad es., Fassone, La declaratoria immediata delle cause di non punibilità, Milano, 1972, 121), secondo la quale il legisla tore del 1930 avrebbe utilizzato, per delineare l'ambito di operatività del giudicato parziale, un termine («parti») impreciso e tecnicamente non appropriato. Ad avviso della Cassazione riunita, infatti, non vi

sarebbe stata occasione migliore della riformulazione della norma per sostituire quel termine, qualora con esso si fosse inteso limitare il carat

tere e gli effetti del giudicato alle sole decisioni che esauriscono il giudi zio in relazione ad uno o più capi di imputazione. E, se questa esigenza — conclude — non è stata avvertita dal legislatore del 1988 «pur cosi doverosamente cauto nel riproporre il contenuto della preesistente nor mativa e pur cosi sensibile nel recepire i suggerimenti interpretativi of

ferti dall'elaborazione dottrinale e dalla interpretazione giurispruden ziale», ciò confermerebbe la volontà di conservare quel termine in quanto

comprensivo di tutte le possibili decisioni che concernono uno o più

aspetti confluenti verso una stessa imputazione. L'assunto della corte, in realtà, trova ulteriore conferma anche in

una delle differenze che la formulazione dell'art. 624, 2° comma, c.p.p. del 1988 presenta rispetto all'art. 545, 2° comma, c.p.p. del 1930, e

precisamente laddove la locuzione «parti della sentenza» che «rimango no in vigore» è stata sostituita con quella «parti della sentenza» che

«diventano irrevocabili». Peraltro, la stessa relazione al progetto preli minare del nuovo codice (in Le leggi, 1988, 2606) giustifica la previsio ne contenuta nel 3° comma dello stesso art. 624, secondo la quale la

Corte di cassazione, investita della relativa domanda, deve decidere «senza

l'osservanza delle formalità previste dall'art. 127», proprio in conside

razione della natura meramente ricognitiva del provvedimento che di

chiari quali «parti» della sentenza annullata siano «irrevocabili».

Va, tuttavia, segnalato che la dottrina che si è sinora occupata della

presente questione alla luce del nuovo codice, si è espressa per la più

ampia applicabilità dell'art. 129 (corrispondente all'art. 152 c.p.p. del

1930) nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento parziale: v. Cor

derò, Codice di procedura penale commentato, Torino, 1989, sub art.

624, 707, § 1, e sub art. 627, 709, §§ 3 e 5-7; Galati, in Siracusano

Dalla-Galati-Tranchina-Zappalà, Manuale di procedura penale, Mi

lano, 1991, II, 481 s.; nonché, sia pure in termini problematici, Span

gher, in Corso-Grevi, Profili del nuovo codice di procedura penate, Padova, 1990, 461 s.

Questa era, del resto, l'opinione senza dubbio maggioritaria, se non

addirittura consolidata, prima dell'intervento delle sezioni unite: v., ol

tre le decisioni citate nel contesto della motivazione della sentenza in

epigrafe, Cass. 29 marzo 1988, Cucci, Foro it., Rep. 1989, voce Rinvio

penale, n. 7; 31 maggio 1983, Catania, id., Rep. 1984, voce cit., n.

7; 17 febbraio 1982, Gucciardo, id., Rep. 1983, voce Sentenza penale, n. 191; 7 maggio 1980, Tomaselli, id., Rep. 1982, voce'cit., n. 231; 12 febbraio 1980, Serafini, id., Rep. 1980, voce Cassazione penale, n.

86; 18 giugno 1979, Galli, ibid., voce Cosa giudicata penale, n. 1; 18

gennaio 1979, De Felice, id., Rep. 1979, voce Sentenza penale, n. 33; 16 ottobre 1978, Cangiulli, ibid., voce Prescrizione penale, n. 11; 9

ottobre 1978, Spiga, ibid., voce Cassazione penale, n. 63; 10 gennaio

1978, Pavone, id., Rep. 1978, voce Rinvio penale, n. 7; 22 marzo 1971,

Magrini, id., Rep. 1972, voce cit., n. 7; 17 dicembre 1968, Morana,

id.. Rep. 1969, voce Cosa giudicata penale, n. 11; 26 gennaio 1966,

Franco, id., Rep. 1967, voce Rinvio penale, nn. 11, 12; 6; luglio 1965,

Sabbadini, id., Rep. 1965, voce Sentenza penale, n. 239; 8 maggio 1964,

Piglia, ibid., n. 215; e, in dottrina, fra i tanti, Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, III, Delle impugnazioni, Milano, 1952, 561; Bel

lavista, La Cassazione penale, in Studi sul processo penale, Milano,

Il Foro Italiano — 1991.

Motivi della decisione. — (Omissis). Numerosi imputati ri correnti, ritenuti colpevoli del delitto previsto dall'art. 416 c.p., hanno censurato l'impugnata sentenza per la mancata applica zione della prescrizione per quest'ultimo reato. Essi hanno rile

vato che la sentenza di annullamento parziale pronunciata dalla

Corte di cassazione aveva avuto ad oggetto, con riferimento

alla condanna per quel reato, il giudizio di pericolosità sociale

e, per alcuni, anche il diniego delle attenuanti generiche: per

tanto, il procedimento, in relazione a quella imputazione, non

si era concluso, e, quindi, il giudice di rinvio, in applicazione di quanto disposto dal 1° comma dell'art. 152 c.p.p. (del 1930), avrebbe dovuto dichiarare la causa estintiva del reato, soprav venuta alla sentenza di annullamento.

La questione prospettata dai ricorrenti ed in ordine alla quale un persistente contrasto giurisprudenziale ha giustificato l'asse

gnazione del procedimento alle sezioni unite, si inserisce, com'è

evidente, nell'ampia e complessa problematica relativa all'effi

cacia da riconoscere alle sentenze di annullamento parziale della

Cassazione ed ai conseguenti limiti del giudizio di rinvio.

La non univocità degli orientamenti che sono stati espressi sulla possibilità di applicare le cause di non punibilità previste dall'art. 152 c.p.p. (del 1930) nel giudizio di rinvio e nelle fasi

ad esso successive, allorquando la sentenza di annullamento par ziale ha ad oggetto statuizioni diverse dall'accertamento del fatto

reato e della responsabilità dell'imputato, è conseguente alla dif

ficoltà che da taluni è stata avvertita nel riconoscere autorità

di cosa giudicata a tutte quelle sentenze che non esauriscono

il giudizio in relazione all'esercizio dell'azione penale per un

determinato reato. Sulla scia di tale riduttiva concezione del

giudicato penale si è finito per affermare che la norma contenu

ta nel 1° comma dell'art. 545 c.p.p. (del 1930) porrebbe al giu dice di rinvio una mera «preclusione processuale» al riesame

di quelle parti della sentenza non colpite dall'annullamento, né

ad esse inscindibilmente connesse (cfr. in tal senso, Cass., sez.

I, 22 novembre 1971, Porrovecchio, Foro it., Rep. 1973, voce

Rinvio penale, n. 10; sez. V 10 gennaio 1984, Mattoni, id., Rep.

1985, voce cit., n. 4; sez. I 27 gennaio 1987, Freda, id., Rep.

1988, voce cit., nn. 4, 5; sez. V 4 febbraio 1988, Zonca, id.,

Rep. 1989, voce cit., n. 9). In contrapposizione a tale orientamento, si è anche effermato

che la sentenza della Corte di cassazione che definisce il giudi zio in relazione ad alcune autonome statuizioni, quale che sia

l'ampiezza del loro contenuto, determina il passaggio in giudi cato della relativa decisione, e ciò anche quando questa non

esaurisce il giudizio in relazione ad un reato (cfr. sez. I 26 mag

gio 1986, Macaluso, id., Rep. 1987, voce cit., n. 6; sez. V 14

giugno 1985, Romanet, id., Rep. 1986, voce Legge penale, n.

1966, III, 122; Cordero, Guida alla procedura penale, Torino, 1986, 412 s.; Id., Procedura penale, 9a ed., Milano, 1987, 803 s., 1051 s.; Costa, Sui limiti e sui poteri del giudice di rinvio penale, in Riv. it.

dir. pen., 1934, 691 s.; Fassone, op. cit., 116 s.; G. Leone, Trattato

di dir. proc. pen., Napoli, 1961, I, 200 in nota, e III, 243; Manzini, Trattato di dir. proc. pen. it., 6a ed., Torino, 1972, IV, 838; Petrella, Le impugnazioni nel processo penale, II, I singoli mezzi di impugnazio ne, Milano, 1965, 560 s.

Per l'interpretazione minoritaria, ora avallata dalla sentenza de qua, v., invece, oltre le decisioni citate nel contesto della motivazione, Cass.

27 ottobre 1967, Conti, Foro it., Rep. 1968, voce Rinvio penale, n.

8; 28 gennaio 1966, Giuffrida, id., Rep. 1966, voce Sentenza penale, n. 284; 21 settembre 1964, Castellano, id., Rep. 1965, voce cit., nn.

236, 237; e, in dottrina, Conso, Questioni nuove di procedura penale, Milano, 1959, 165 s., nota 101; Lozzi, «Favor rei» e processo penale, Milano, 1968, 81 s.; nonché, in termini particolarmente approfonditi, Siracusano, Rapporti tra questione di fatto e questione di diritto, con

particolare riguardo all'applicabilità dell'art. 152 c.p.p. nel giudizio di

rinvio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1962, 895 s.; Id., Giudizio di rinvio

limitato all'accertamento di una circostanza e possibilità d'applicazione dell'art. 152 c.p.p., ibid., 1240 s.

Per una rassegna articolata delle posizioni della giurisprudenza e del

la dottrina in argomento, cfr., altresì, Fassone, op. cit., 116, note 61

e 62; Moscarini, in Commentario breve al cod. proc. pen. a cura di

Conso e Grevi, Padova, 1987, sub art. 152, III, 5; Spanoher, id., sub art. 545, V, 2.

Il principio di diritto transitorio, affermato nella seconda massima,

infine, è una conseguenza dell'adottata interpretazione dell'art. 545 c.p.p. del 1930. Peraltro, l'assoluzione per insufficienza di prove atterrà co

munque ad un «capo autonomo» della sentenza annullata, e non già ad una «parte» o «punto» della stessa. [E. D'Angelo]

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PARTE SECONDA

8; sez. IV 17 gennaio 1985, Zuccato, ibid., voce Rinvio penale, n. 8).

Nell'ambito di cosi contrastanti orientamenti, da un lato si

è affermata la necesità di individuare i «capi autonomi» di una

sentenza, intendendo con ciò riferirsi alle decisioni che conclu

dono l'esercizio dell'azione penale in relazione ad un reato e,

dall'altro, tale ricerca è stata giudicata superflua in relazione

alla individuazione degli effetti processuali conseguenti ad una

sentenza di annullamento parziale.

Orbene, ritiene innanzi tutto la corte che una corretta solu

zione del problema non possa prescindere da una preliminare osservazione e cioè che allorquando la legge disciplina lo svilup

po del rapporto processuale e riconosce autorità di «cosa giudi

cata» ad una parte della sentenza, non intende certamente rife

rirsi né al giudicato in senso sostanziale, né all'intrinseca ido

neità della decisione ad essere posta in esecuzione, bensì' soltanto

all'esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione. Da tale incontestabile premessa discende che non è l'ampiez

za del contenuto di una sentenza a conferire a questa il caratte

re della definitività, ma è soltano l'esaurimento del giudizio l'e

vento capace di attribuire al decisum il carattere e gli effetti

del giudicato. Anche il processo penale è sensibile allo sviluppo dinamico

del rapporto processuale: il giudicato, infatti, può avere una

formazione non simultanea, ma progressiva e ciò può accadere

sia quando nel processo confluiscono più azioni penali, suscetti

bili di autonoma decisione, sia quando il procedimento riguar da un solo reato attribuito ad un solo soggetto, perché anche

in quest'ultimo caso la sentenza definitiva può essere la risul

tante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo pro

gressivo dei mezzi di impugnazione. Un giudizio, infatti, si esau

risce con la stessa simmetrica progressività con la quale si ridu

ce il suo oggetto, e sia quando la pronuncia di annullamento

ha ad oggetto uno o più capi d'imputazione, che quando la

stessa decisione interviene in relazione ad uno o più «punti» concernenti una singola accusa, perché sia nell'uno che nell'al

tro caso la irrevocabilità della decisione rappresenta l'effetto

conseguente all'esaurimento del giudizio. La stessa formulazione dell'art. 545 c.p.p. consente di rico

noscere «autorità di cosa giudicata» non solo alla sentenza del

la Corte di cassazione che esaurisce il giudizio in relazione ad

un capo d'imputazione, ma anche a quella che, lungi dal perve nire a tale risultato, annulla una o più delle disposizioni concer

nenti una stessa imputazione contestata ad un soggetto e corre

lativamente cosi riduca l'oggetto del giudizio devoluto al giudi ce di rinvio.

Non è infatti privo di significato il fatto che il legislatore del 1930 abbia utilizzato il termine «parti» della sentenza per

individuare, ad un tempo, sia le disposizioni che costituiscono

l'oggetto dell'annullamento che quelle, non comprese nelle pri

me, né aventi con esse connessione essenziale, che rimangono in vigore, acquistando «autorità di cosa giudicata».

Se con quel termine il legislatore avesse inteso riferirsi soltan

to ai «capi autonomi» della sentenza, la norma si segnalerebbe

per la sua assoluta superfluità, non essendo certo contestabile

l'autonomia delle azioni penali confluenti nel processo comula

tivo, sia in relazione al loro esercizio che alla loro consunzione.

Il contenuto poi di quella norma, cosi riduttivamente indivi

duato, certamente non si armonizzerebbe con l'art. 544 e con

il quale si attribuisce al giudice di rinvio il potere di decidere

solo sui «punti» che hanno formato oggetto della sentenza di

annullamento: ciò significa che una statuizione definitiva da parte della Corte di cassazione può avere ad oggetto disposizioni ri

guardanti uno stesso capo d'imputazione e perciò anche una

siffatta decisione, al pari di quella che conclude il giudizio in

relazione ad una o più accuse, è partecipe, ed in ugual misura,

degli effetti riconducibili al giudicato. Ed è conseguente alla definitività della decisione della Corte

di cassazione, sia pure limitata nel suo contenuto dall'oggetto

dell'annullamento, il fatto che il successivo art. 546, al pari di

quanto disposto dall'art. 628 del nuovo codice di procedura pe

nale, consente l'impugnabilità della sentenza del giudice di rin

vio soltanto in relazione ai «punti» non decisi dalla Cassazione.

Tale conclusione si armonizza con la natura ed i limiti del

giudizio di rinvio. Questo, infatti, se è conseguente ad una sen

tenza di annullamento parziale, non consiste nella pura e sem

II Foro Italiano — 1991.

plice prosecuzione del giudizio a conclusione del quale venne

emessa la sentenza annullata, ma rappresenta una fase a sé stante,

caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza

della Corte di cassazione che lo ha disposto: il suo oggetto non

può essere diverso o più ampio rispetto a quello devolutogli

o di quello che è attratto per effetto della connessione essenzia

le con la parte annullata; esso, inoltre, non può svilupparsi al

di fuori del paradigma che il giudice di legittimità ha tracciato

attraverso l'enunciazione dei principi di diritto applicabili all'i

potesi esaminata. E tale intreccio di limiti sono tutti riconduci

bili alla rilevanza ed all'efficacia della sentenza pronunciata dalla

Corte di cassazione.

Pertanto, gli effetti preclusivi che impediscono al giudice di

rinvio di estendere la sua indagine oltre i limiti oggettivi del

giudizio a lui affidato non sono in alcun modo assimilabili a

quelli che conseguono alla delimitazione del contenuto dei mo

tivi di impugnazione: essi, infatti, sono diretta ed ineludibile

conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia della Corte di

cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annulla

te ed a queste non necessariamente connesse.

L'opposta tesi non solo non si armonizza con il contenuto

delle norme su indicate, ma, nel confondere gli effetti preclusivi

del giudicato con quelli, di ben diversa rilevanza, conseguenti al riconoscimento dell'efficacia devolutiva dei mezzi d'impugna

zione, finisce per privare della sua intrinseca rilevanza proces

suale la sentenza con la quale la Cassazione esaurisce il giudizio

in relazione ad alcune statuizioni.

Non può neppure essere condiviso quanto è stato affermato

da una parte della dottrina, e cioè che il legislatore del 1930

avrebbe utilizzato, per delineare l'ambito di operatività del giu

dicato in relazione alla sentenza di annullamento parziale, un

termine impreciso e tecnicamente non appropriato. È innanzi tutto agevole osservare come l'uso ripetuto di quel

lo stesso termine («parti») nella stessa norma (1° e 2° comma

dell'art. 545 c.p.p.) mal si concilia con il rilievo prospettato.

Inoltre, attribuendo al legislatore un'imprecisione terminologi

ca, si finisce per riconoscere come il contenuto della norma,

cosi come questa è formulata, autorizza a ritenere che autorità

di «cosa giudicata» può essere riconosciuta anche in relazione

a tutte le decisioni che concernono uno o più aspetti confluenti

verso una stessa imputazione.

Infine, è doveroso ricordare che la stessa norma, è stata lette

ralmente recepita nel codice del 1988 (art. 624). Ed è allora

agevole osservare che se il suo contenuto doveva essere ridutti

vamente limitato alle sole decisioni che esaurivano il giudizio in relazione ad uno o più capi d'imputazione, non v'era occa

sione migliore della riformulazione della norma per sostituire

quel termine che aveva dato adito ad una diversa interpretazio ne. E se tale esigenza non è stata avvertita dal nuovo legislato

re, pur cosi doverosamente cauto nel riproporre il contenuto

della preesistente normativa e pur cosi sensibile nel recepire i

suggerimenti interpretativi offerti dall'elaborazione dottrinale e

dall'interpretazione giurisprudenziale, ciò significa che si è vo

luto conservare quel termine, proprio perché comprensivo di

tutte le possibili componenti di un provvedimento decisorio. Del

resto, nella relazione al progetto preliminare del nuovo codice

e nella relativa direttiva, si è dato atto della natura ricognitiva del provvedimento con il quale la Cassazione dichiara quali di

sposizioni della sentenza annullata restano definitive e si ribadi

sce che in relazione a tali «punti» il giudizio è «irrevocabile»:

quindi, si riconosce, ancor più esplicitamente, come gli effetti

preclusivi che impediscono al giudice di rinvio di prendere in

esame le disposizioni non annullate sono diretta ed immediata

conseguenza del giudicato. Né può essere confusa l'eseguibilità di una sentenza penale

di condanna con l'autorità di cosa giudicata attribuibile a una

o più statuizioni in essa contenute: una cosa è la possibilità dell'attuazione delle definitive decisioni contenute in una sen

tenza, ed altra cosa, ben diversa, è la irrevocabilità della pro nuncia in relazione allo sviluppo del rapporto processuale. Nel

primo caso la definitività del provvedimento, in tutte le sue pos sibili componenti, va posta in relazione alla formazione di un

vero e proprio titolo esecutivo, e quindi alla materiale e giuridi ca possibilità dell'esecuzione della sentenza nei confronti di un

determinato soggetto; nel secondo caso, invece, la definitivi

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Page 5: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Marvulli, P.M. Lombardi (concl. conf.); ric. Agnese ed altri. Annulla

GIURISPRUDENZA PENALE

tà della pronuncia è conseguente all'esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato.

Le su esposte considerazioni consentono di affermare che non

può essere dichiarato prescritto un reato quando la causa estin

tiva sia sopravvenuta, com'è avvenuto nel caso in esame, alla

sentenza di annullamento parziale pronunciata dalla Corte di

cassazione, quando questa ha ad oggetto statuizioni diverse ed

autonome rispetto al riconoscimento dell'esistenza del fatto-reato

e della responsabilità dell'accusato.

È pur vero, infatti, che l'art. 152 c.p.p., per il suo contenuto

e per le finalità cui è diretto, altro non è che la rappresentazio ne normativa di un principio di carattere generale nel quale con

vivono e si armonizzano due anime, il favor libertatis, nella

sua più lata accezione, ed il rispetto dell'«economia processua

le»; ed è altrettanto incontestabile che quella norma, obbligan do il giudice alla sua applicazione, in qualsiasi stato e grado del procedimento, è insensibile alla preclusione processuale con

seguente al riconoscimento dell'efficacia devolutiva dei mezzi

d'impugnazione, ma rappresenta, rispetto a questa, una vera

e propria deroga. Tutto ciò però non autorizza a ritenere che, ai fini dell'applicazione dell'art. 152 c.p.p., il giudice possa pre scindere da un presupposto al quale è strettamente subordinato

il suo potere decisorio, e cioè la pendenza di un procedimento avente ad oggetto l'accertamento del fatto contestato e della

responsabilità del suo autore. Né può quella norma, nel pur doveroso rispetto della rilevanza dei principi ai quali è ispirata,

superare la barriera del giudicato ed essere applicata quando il giudizio sull'attribuibilità di un reato ad un soggetto si sia

ormai irrevocabilmente concluso.

Neppure sussiste, contrariamente a quanto dedotto da alcuni

imputati ricorrenti, un rapporto di connessione essenziale tra

le parti annullate della sentenza e quelle sottratte a tale pronun cia: il rapporto di connessione essenziale, richiesto quale condi

zione imprescindibile per attrarre alla cognizione del giudice di

rinvio le disposizioni della sentenza non comprese tra quelle an

nullate, va inteso come necessaria interdipendenza logica e giu ridica tra le diverse statuizioni, di guisa che l'annullamento di

una di esse rende inevitabile il riesame di quelle parti che, per ché non suscettibili di autonoma decisione, impongono un rin

novato giudizio. Ma siffatto rapporto non esiste in relazione all'accertamento

dell'esistenza di un reato e della responsabilità dell'autore quando sia rimessa in discussione soltanto la concedibilità di attenuanti

generiche o il giudizio sulla pericolosità sociale degli autori di

quel reato. Né lo stesso rapporto può rivivere, come invece è

stato sostenuto dalle difese di alcuni ricorrenti, attraverso l'e

saltazione di una connessione meramente probatoria, evocata

attraverso il giudizio negativo espresso dall'impugnata sentenza

sulla sufficienza della prova in relazione ai furti attribuiti agli stessi imputati ricorrenti. Innanzi tutto va osservato che non

è certamente un rapporto più o meno intenso di connessione

probatoria sufficiente a disperdere l'autonomia che caratteriz

za, nell'astratta e nella concreta configurabilità, il delitto di as

sociazione per delinquere rispetto ai singoli reati compresi nel

programma del sodalizio criminoso. D'altronde, la ricerca della

prova, in relazione al reato associativo, può legittimamente av

valersi del determinante contributo offerto dalla dimostrazione

della realizzazione del programma predisposto, ma non è certa

mente riduttivamente esauribile in questa. In ogni caso, poi, il rapporto di «necessaria connessione»,

richiesto dall'art. 545 c.p.c., non può essere dilatato al punto

da comprendere in esso l'ipotesi prevista dall'art. 45, n. 2, dello

stesso codice, giacché quest'ultima forma di connessione, ido

nea a giustificare la riunione dei procedimenti ed alcune dero

ghe alla competenza del giudice; nulla ha a che vedere con quel la imprescindibile interdipendenza che deve sussistere in relazio

ne all'oggetto delle diverse decisioni, perché è soltanto questo

rapporto capace di attrarre alla cognizione del giudice di rinvio

statuizioni che, altrimenti, sarebbero precluse dal giudicato.

Pertanto, anche sotto tale profilo, non può essere accolta la

richiesta diretta ad ottenere la declaratoria di prescrizione per il reato previsto dall'art. 416, 2° comma, c.p. Per le considera

zioni su esposte non può nemmeno provvedersi alla sostituzione

della formula assolutoria per insufficienza di prove, adottata,

Il Foro Italiano — 1991.

per alcuni imputati ricorrenti, con riferimento a quel reato, aven

do la relativa decisione acquisito autorità di cosa giudicata in

seguito alla sentenza con la quale la Corte di cassazione aveva

respinto i ricorsi degli imputati ed aventi ad oggetto quella spe cifica pronuncia. Non possono neppure essere accolti i motivi

dedotti dagli imputati Arnaldi Gianfranco, Gandolfi Riccardo, Passaro Attilio e Guglielmo Antonio e con i quali è stata de

nunciata la violazione degli art. 489, 213 e 544 c.p.p. Risulta dagli atti che le amministrazioni comunali che si era

no costituite parti civili nel procedimento non avevano limitato

la domanda risarcitoria ai soli danni conseguenti alla consuma

zione dei furti subiti dal casinò di Sanremo; né quelle costitu

zioni erano state ritenute ammissibili soltanto in relazione al

reato di furto contestato agli imputati ricorrenti.

D'altronde, in questa sede, non è più consentito contestare

la legitimatio ad causam delle parti civili in relazione all'impu tazione di associazione per delinquere: nella sentenza d'appello,

pronunciata dalla corte di Genova il 20 febbraio 1986, gli impu

tati, riconosciuti colpevoli del delitto previsto dall'art. 416 c.p., erano stati tutti condannati al risarcimento dei danni ed al pa

gamento delle spese processuali in favore delle costituite parti civili e tale capo della sentenza non ha formato oggetto della

pronuncia di annullamento da parte della Corte di cassazione.

Ne consegue che è preclusa dal giudicato la verifica dell'esisten

za e della legittimità del titolo che ha dato origine all'accogli mento della domanda risarcitoria in relazione alla condanna per

quel delitto.

Quanto poi al problema relativo alla legittimità della condan

na degli stessi imputati al pagamento delle spese relative al giu dizio di rinvio in favore delle stesse parti civili, va osservato

che allorquando vi sia stata, com'è avvenuto nel caso in esame, una dichiarazione d'impugnazione generica, che investe tutti i

capi della sentenza, la parte civile ha interesse ad intervenire

nel giudizio per contrastare tutte le possibili istanze dirette a

rimettere in discussione la proponibilità della domanda risarci

toria, ovvero il titolo che la giustifica, o il contenuto del suo

diritto.

Ne consegue che quando, a conclusione del giudizio d'impu

gnazione, resta ferma la condanna anche per uno solo dei capi

d'imputazione che legittimava l'esercizio dell'azione civile, l'im

putato dev'essere condannato al pagamento delle spese proces suali in favore della parte civile intervenuta nel giudizio, e ciò

anche se in relazione alle altre statuizioni della sentenza l'impu

gnazione dell'imputato sia stata accolta.

Il parziale accoglimento dell'impugnazione giustifica, ai sensi

del 1° comma dell'art. 213 c.p.p. il fatto che un imputato sia

esonerato dall'obbligo di rifondere le spese anticipate dallo Sta

to, ma non è certamente sufficiente per escludere, nel contem

po, l'obbligo del pagamento delle spese in favore della parte

civile, trattandosi di obbligazioni fondate su diversi presuppo sti: la soccombenza della parte civile nel giudizio d'impugnazio ne — la sola idonea ad escludere l'obbligo dell'imputato al rim

borso delle spese — si ha quando la domanda proposta dal

danneggiato dal reato e diretta ad ottenere il riconoscimento

del diritto alla restituzione ovvero al risarcimento del danno,

sia, per effetto dell'accoglimento dell'impugnazione dell'impu

tato, disattesa, ma non già quando il giudice della impugnazio ne ne confermi l'accoglimento, sia pure limitatamente ad uno

dei reati contestati. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 1° giu

gno 1990; Pres. Carnevale, Est. Buogo, P.M. Pagliarulo

(conci, conf.); imp. Vianello. Conflitto di competenza.

Competenza e giurisdizione penale — Conflitto tra p.m. e g.i.p. — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art. 22, 28).

Indagini preliminari — Riapertura — Provvedimento di diniego — Impugnazione — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art.

127, 409, 414, 568, 606).

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