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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres....

Date post: 27-Jan-2017
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sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Trojano, P.M. (concl. conf.); ric. Santucci. Annulla Trib. Roma 22 marzo 1990 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp. 73/74-77/78 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186318 . Accessed: 28/06/2014 12:02 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.156 on Sat, 28 Jun 2014 12:02:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Trojano, P.M. (concl.conf.); ric. Santucci. Annulla Trib. Roma 22 marzo 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.73/74-77/78Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186318 .

Accessed: 28/06/2014 12:02

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GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 23

novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Troiano, P.M. (conci,

conf.); ric. Santucci. Annulla Trib. Roma 22 marzo 1990.

CORTE DI CASSAZIONE;

Misure cautelari personali — Provvedimenti in tema di revoca, sostituzione e durata — Ordinanze adottate nel corso del giu dizio — Impugnazione — Appello — Ammissibilità (Cod.

proc. pen., art. 309, 310).

Avverso le ordinanze in materia di revoca, sostituzione e durata

delle misure cautelari personali è sempre ammesso appello al

tribunale della libertà, anche se adottate nel corso del giudi

zio, dopo la chiusura delle indagini preliminari ed il rinvio a giudizio. (1)

(1) Le sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno tempesti vamente (e, è auspicabile, in via definitiva) risolto un contrasto giuri

sprudenziale manifestatosi subito dopo l'entrata in vigore del nuovo

codice di procedura penale, il quale, tuttavia, almeno in questa occasio

ne, merita di essere assolto con formula piena (e non solo perché quella dubitativa non è più consentita). Invero, a fronte della chiarissima for

mulazione letterale dell'art. 310, 1° comma, c.p.p. del 1988 — secondo

il quale «fuori dei casi previsti dall'art. 309, 1° comma» (cioè del riesa

me avverso i provvedimenti con i quali viene disposta una misura coer

citiva) «il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore possono pro

porre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari perso nali» — da un punto di vista strettamente ermeneutico non si vede, se non con la difficoltà di recidere «vecchi» cordoni ombelicali (v. art.

272 bis c.p.p. del 1930), come possa aver trovato spazio un'interpreta zione volta ad escludere la possibilità di un rimedio di merito avverso

i provvedimenti de liberiate adottati dopo la chiusura delle indagini preliminari. A ciò aggiungasi, oltre gli argomenti desumibili dai lavori

preparatori, che, come è stato posto in rilievo dalle sezioni unite, lo

stesso legislatore, all'art. 304, 1° e 3° comma, ha espressamente qualifi cato appellabili talune ordinanze in materia di misure coercitive emesse

nella fase del giudizio. Diverso problema, ma non è questa breve nota la sede per affrontar

lo, è quello relativo alla funzionalità del sistema di impugnazioni predi sposto (vedasi, sul punto, le considerazioni di Amato, in Commentario

del nuovo codice di procedura penale a cura di Amodio e Dominioni, voi. Ili, parte II, sub art. 309, 192; Chiavario, La riforma del proces so penale', Torino, 1990, 179 e Dubouno-Baglione-Bertolini, Il nuo

vo codice di procedura penale illustrato articolo per articolo, 1989, 569). Nel senso della sentenza in epigrafe, v. Cass. 30 maggio 1990, Mac

capan e 23 febbraio 1990, Piras, Foro it., 1991, II, 3, nonché le altre

decisioni, inedite, richiamate in motivazione e Trib. Roma 27 novembre

1989, id., 1990, II, 455, con nota di De Chiara. Contra, per l'afferma

zione «che il ricorso al tribunale della libertà ex art. 309 e 310 c.p.p. è limitato ai soli procedimenti emessi nel corso del procedimento (inda

gini preliminari) sino all'udienza preliminare, secondo il tradizionale

sistema adottato dal legislatore con la legge istitutiva del tribunale del

riesame», v. Cass. 7 agosto 1990, Sgarro, Giust. pen., 1990, II, 601; conf. Cass. 31 luglio 1990, Di Pietro, Cass. pen., 1990, II, 156 (fase, n. 11); 15 marzo 1990, Palma, Foro it., 1991, II, 4 e le altre, inedite, citate in motivazione, nonché Trib. Roma 15 dicembre 1989, e 21 no vembre 1989, id., 1990, II, 455, con nota di De Chiara, cit.

Le sezioni unite non prendono espressamente posizione sul problema del mezzo di impugnazione esperibile avverso il provvedimento de liber

tate contenuto in una sentenza di condanna; sembra, tuttavia, di capire che anche in tal caso siano ammissibili il riesame, o, se trattasi di prov vedimento diverso da quelli con i quali una misura coercitiva è dispo sta, appello. Nel senso, peraltro, che in tal caso il mezzo esperibile è quello previsto dalla legge contro la sentenza, v. Cass. 24 marzo 1990, Nika Gakuba, id., 1991, II, 24.

Per una rassegna della giurisprudenza della Cassazione sul sistema

delle impugnazioni in materia di misure cautelari personali, si veda an

che Guakiniello, Il nuovo codice di procedura penale: un anno di ap

plicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione, id., 1990, II, 570.

L'orientamento che ritiene ammissibile un reclamo di merito avverso

le ordinanze in materia di misure coercitive, anche se emesse dopo la

chiusura delle indagini preliminari, è condiviso dalla dottrina: v. Ama

to, op. loc. cit. e sub art. 310, 206; Balzarotti, I limiti oggettivi delle

impugnazioni «de libertate»: un contrasto giurisprudenziale da risolve

re, in Cass. pen., 1990, II, fase. n. 10; Cordero, Codice di procedura

penale commentato, Torino, 1989, 354 e (meno chiaramente) 656; Sa

raceni, L'impugnazione dei provvedimenti sulla libertà personale emessi

in dibattimento, in Cass. pen., 1989, II, 43 e, sia pure implicitamente

o, comunque, senza affrontare il problema in modo approfondito, Chia

vario, op. cit., 181; Conti-Macchia, Il nuovo processo penale, Roma,

1989, 53; Cristiani, Manuale del nuovo processo penale, Torino, 1989,

Il Foro Italiano — 1991 — Parte 77-4.

Con sentenza 28 febbraio 1990 il Tribunale di Roma dichiarò Santucci Maria Isidora, giudicata in stato di detenzione, respon sabile dei delitti di rapina aggravata e di lesioni volontarie ag

gravate e, pertanto, la condannò alla pena di anni due, mesi

dieci di reclusione ed alla multa di lire 800.000. Lo stesso tribunale, con successiva ordinanza in data 22 mar

zo 1990, respinse l'istanza diretta alla revoca della misura coer

citiva della custodia cautelare in carcere e, subordinatamente, alla sua sostituzione con gli arresti domiciliari.

L'imputata propose appello al tribunale del capoluogo di pro vincia di cui agli art. 309, 7° comma, e 310, 2° comma, c.p.p.

Il tribunale, con ordinanza 7 aprile 1990, dichiarò la propria

incompetenza a decidere il gravame, rilevando che contro l'or

dinanza impugnata, pronunziata dopo la chiusura delle indagini

preliminari, poteva essere proposto soltanto il ricorso per cassa

zione a norma degli art. Ill Cost, e 568, 2° comma, c.p.c.

e, pertanto, dispose la trasmissione degli atti a questa corte.

Il procedimento venne assegnato alla seconda sezione penale, ma il presidente di questa, rilevando la necessità di dirimere

il contrasto insorto fra le decisioni delle singole sezioni in ordi

ne alla proponibilità dell'appello contro i provvedimenti sulla

libertà emessi dopo la chiusura delle indagini preliminari, tras

mise il fascicolo al primo presidente per l'eventuale assegnazio ne alle sezioni unite.

Con provvedimento in data 5 novembre 1990, il primo presi dente ha assegnato il procedimento alle sezioni unite penali.

L'ordinanza, con la quale il Tribunale di Roma ha declinato

la propria competenza, si iscrive in un contrasto verificatosi nella

giurisprudenza di questa corte in ordine all'individuazione del

rimedio esperibile avverso i provvedimenti sulla libertà adottati

dopo la chiusura delle indagini preliminari. Invero, mentre al

cune decisioni hanno affermato che contro questi provvedimen ti sia ammissibile il riesame o l'appello previsti dagli art. 309

e 310 c.p.p. (cfr. Cass., sez. Ili, 12 ottobre 1990, Binotto; sez.

II 30 maggio 1990, Maccapan, Foro it., 1991, II, 33; 23 feb

braio 1990, Piras, ibid.; sez. Ili 16 maggio 1990, De Leonar dis), altre pronunzie hanno, invece, ritenuto che contro i detti

provvedimenti sia esperibile soltanto il ricorso per cassazione

(cfr. Cass., sez. VI, 9 novembre 1990, in proc. n. 19571/90; sez. I 15 marzo 1990, Palma, ibid.), ovvero il ricorso per cassa

zione in alternativa, quando trattasi di ordinanze pronunziate

negli atti preliminari o nel dibattimento, con l'impugnazione unitamente alla sentenza (cfr. Cass., sez. fer., 7 agosto 1990,

Sgarro; 31 luglio 1990, Di Pietra; 13 agosto 1990, Selvaggio).

Infine, per quanto attiene ai provvedimenti contestuali alla sen

tenza di condanna, è stato affermato che l'unico rimedio espe ribile è il mezzo di gravame previsto contro la stessa sentenza

(cfr. Cass., sez. VI, 24 marzo 1990, Nika Gakuba, ibid., 24).

L'indagine rivolta a dirimere detto contrasto deve prendere le mosse dalle direttive nn. 59 e 64, contenute nella delega al

governo per l'emanazione del nuovo codice di rito, approvata con la 1. 16 febbraio 1987 n. 81.

In particolare, la direttiva n. 59, dopo aver attribuito al giu dice il potere di disporre, su richiesta del p.m. e con provvedi mento motivato, misure di coercizione personale in presenza di

gravi indizi di colpevolezza ed uniformandosi ai criteri di ade

guatezza e di proporzionalità, nonché il potere di revoca e sosti

tuzione, enunzia il principio della riesaminabilità nel merito dei

provvedimenti impositivi di tali misure dinanzi al tribunale con

la garanzia del contraddittorio. La direttiva n. 64, a sua volta, riconosce espressamente ai giudici dell'udienza preliminare e del

dibattimento, il potere di applicare misure di coercizione perso nale nei casi, alle condizioni e con i limiti previsti dal n. 59.

Come risulta dal testo delle due direttive, le indicazioni in

esse contenute posseggono un'indubbia portata generale per quan to attiene sia alla disciplina delle suindicate misure, che alla

loro riesaminibilità nel merito da parte del tribunale. Sotto il

primo profilo la direttiva n. 59 esprime indicazioni uniformi riferibili a tutte le fasi del procedimento, per quanto riguarda i presupposti richiesti per l'adozione, la revoca o la modifica

delle misure in esame, nonché per quanto concerne la compe

253; Grevi, in AA.VV., Profili del nuovo codice di procedura penale a cura di Conso e Grevi, Padova, 1990, 226; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, Milano, 1989, 292; Zappalà, in AA.W., Manuale di dir. proc. pen., Milano, 1990, I, 503 e 508. [G. Ciani]

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PARTE SECONDA

tenza, conferita, con ampia dizione, al giudice procedente. Inol

tre, quest'ampia attribuzione di competenza è ribadita dalla di rettiva n. 64, la quale innova, sul punto, il precedente sistema

processuale, nella cui vigenza, la cattura dell'imputato, dopo il rinvio a giudizio, subiva precise ed incisive limitazioni.

Del pari generica è la previsione di un controllo sul merito

dei provvedimenti in esame da parte del tribunale. Difatti, non

soltanto l'ultima parte della direttiva n. 59 non introduce, al

riguardo alcun limite, ma la sua portata generale emerge in mo

do inconfutabile dallo stesso collegamento di essa con le prece denti enunciazioni.

Non è, invero, condivisibile l'interpretazione restrittiva che

alcune delle citate sentenze danno alla direttiva n. 59, circoscri

vendone la valenza alla sola fase delle indagini preliminari. Si è, a tal riguardo, affermato che il legislatore delegante non po teva non avere tenuto presente il sistema del codice abrogato che delimitava la competenza del tribunale alla sola fase istrut

toria e le ragioni che avevano motivato tale scelta, individuabili

nell'esigenza di sottoporre alla verifica, da parte di un organo

collegiale e con le garanzie del contraddittorio, i provvedimenti sulla libertà pronunziati da organi monocratici.

Se ne è, quindi, dedotto che il legislatore, avendo sostituito

all'istruzione la fase delle indagini preliminari, doveva aver ne

cessariamente inteso limitare l'intervento del tribunale a questa ultima fase, nella quale, come in precedenza, i cennati provve dimenti sono emessi de plano da un giudice monocratico ed

escluderla, invece, nelle fasi successive, durante le quali gli stes si provvedimenti vengono adottati con la garanzia della colle

gialità. Senonché questi rilievi non sembrano decisivi. Innanzi tutto

essi collidono con l'ampia e generica formulazione delle diretti

ve in esame. Inoltre, non sempre l'adozione delle misure caute

lari, dopo le indagini preliminari, avviene con la garanzia della

collegialità (esclusa nel procedimento pretorio) o con quella del

contraddittorio (sicuramente mancante per i provvedimenti de

libertate successivi alla pronunzia della sentenza). Infine, non

si è considerato che sia la stessa ampiezza del potere di disporre misure cautelari attribuito al giudice del dibattimento, sia l'i dentità degli effetti derivanti da tali misure in qualunque fase

esse vengano adottate, depongono, anche sotto il profilo del

principio dell'eguaglianza, in favore del riconoscimento al tri

bunale di una competenza generale a rivalutare nel merito, in

sede di riesame o di appello, tutti i provvedimenti sulla libertà, ancorché emessi dopo la chiusura delle indagini preliminari.

Tale essendo la volontà del legislatore delegante, la limitazio ne di tale competenza alla sola fase delle indagini preliminari

implicherebbe l'illegittimità costituzionale delle norme del codi

ce di rito, sotto il profilo dell'inosservanza delle direttive im

partite con la legge delega.

È, peraltro, convincimento del collegio che la disciplina delle misure cautelari, trasfusa nel codice, si è fedelmente adeguata alle suindicate direttive, sia pure con alcune imperfezioni di tec nica legislativa, forse inevitabili data la novità e la complessità della materia.

Tale convincimento si fonda innanzi tutto sui lavori prepara tori ed in particolare sulla relazione al progetto definitivo che, con una frase sintetica e tuttavia chiarissima, afferma che la

competenza del tribunale prevista dagli art. 309 e 310 c.p.p. sussiste «senza distinguere a seconda del giudice che abbia emesso

l'ordinanza» impugnata. E non è inutile rilevare come con tale

precisazione si sia inteso dissipare, in via preventiva, i dubbi già insorti in ordine a detta competenza dopo la modifica del l'art. 263 bis c.p.p. del 1930, introdotta dall'art. 19 1. 28 luglio 1984 n. 398, con l'espungere l'espresso riferimento ai provvedi menti «emessi nel corso dell'istruzione o dal g.i. con l'ordinan za di rinvio a giudizio».

Inoltre, in tal senso depone anche l'elemento sistematico. Di

vero, nel mentre nel codice abrogato la disciplina delle misure cautelari e dei relativi gravami era contenuta nel libro secondo

«Dell'istruzione», nelle sezioni I-IV del capo II del titolo I, per contro, nel nuovo codice, la stessa disciplina è dettata nel libro IV della parte I e, cioè, in una sede distinta ed anteriore a quel la delle indagini preliminari, regolate nel libro V della parte II. Siffatta diversità della sedes materiae — evidenziata dal fat to che, invece, l'arresto ed il fermo dell'indagato sono regolati nell'ambito delle suddette indagini — già, di per sé, dimostra che nel sistema vigente, la disciplina delle misure cautelari e

Il Foro Italiano — 1991.

dei relativi rimedi non è applicabile alla sola fase delle indagini preliminari, ma si estende all'intero procedimento, considerato

sia nella fase pregiurisdizionale che in quella giurisdizionale.

Giova, altresì', rilevare che gli art. 309, 5° comma, e 310, 2° comma, nella parte in cui dispongono che l'autorità giudi ziaria procedente trasmette al tribunale gli atti su cui si fonda

l'ordinanza impugnata, debbono essere interpretati alla stregua dell'art. 279 il quale attribuisce la competenza, in tema all'ap

plicazione, revoca e modifica delle misure cautelari, al «giudice che procede» nelle varie fasi. Quest'ultimo, inoltre, ai sensi di

detta norma e dell'art. 91 disp. att., deve essere individuato, durante gli atti preliminari ed il dibattimento, nel pretore, nel

tribunale, nella corte d'appello e nella corte di assise di primo e secondo grado, nonché, dopo la pronunzia della sentenza e

prima della trasmissione degli atti ex art. 590 c.p.c., nel giudice che ha pronunziato la sentenza impugnata e, infine, durante

la pendenza del ricorso per cassazione, nel giudice che ha emes

so il provvedimento impugnato. Dal collegamento delle norme sopra indicate emerge che l'au

torità giudiziaria procedente, il cui provvedimento sia stato in

vestito dal riesame o dall'appello che deve trasmettere gli atti

anzidetti, non è soltanto il giudice delle indagini preliminari ma

anche, dopo la chiusura di queste, il giudice, qualunque esso

sia, competente per il giudizio. Si è sostenuto, in contrario, che la limitazione del riesame

e dell'appello ai soli provvedimenti sulla libertà emessi nella fa

se delle indagini preliminari troverebbe una conferma nel rilievo

che il 3° comma dell'art. 309, richiamato nel 2° comma del

l'art. 310, indica, per il termine per proporre tali rimedi, una

decorrenza diversa da quella risultante per l'impugnazione av

verso le ordinanze dibattimentali e le sentenze, dal disposto com

binato degli art. 585 e 544 c.p.p. Un ulteriore riscontro è stato,

inoltre, desunto dal 5° comma del cit. art. 309, il quale indivi

dua gli atti da trasmettere al tribunale in quelli indicati nel pre cedente art. 291. Si assume, a tale riguardo, che quet'ultima norma mirando, durante le indagini preliminari, ad evitare al

p.m. un anticipato svelamento delle prove (la c.d. discovery: Relazione al testo definitivo, in Le leggi, 1988, 2697), appare giustificabile soltanto se riferita alla fase delle indagini e non

anche al dibattimento nel quale è assicurata la pubblicità del

l'intero complesso probatorio. Deve, peraltro, osservarsi che que sti dati normativi, attenendo ad aspetti secondari degli istituti in esame, non giustificano, di per sé, la criticata opinione. La disciplina della decorrenza dei termini e della trasmissione degli atti nella sola ottica delle indagini preliminari, se valutata alla

stregua dei precedenti rilievi e di quelli che seguono, si rivela come il risultato di una tecnica normativa imperfetta e, pertan to, non vale, da sola, a circoscrivere alle sole indagini prelimi nari i rimedi del riesame e dell'appello. Questi, pertanto, posso no essere esperiti anche nelle fasi successive alla chiusura di tali

indagini sia pure con gli adattamenti imposti dalla specifica di

sciplina di dette fasi.

Non appare, inoltre, decisivo il rilievo che tale conclusione si tradurrebbe nel conferimento ad un giudice sottordinato della

cognizione dei gravami proposti contro provvedimenti de libe rate adottati anche da un giudice superiore.

È sufficiente obiettare al riguardo che gli art. 304 e 318 c.p.p. prevedono espressamente il rimedio dell'appello ex art. 310, sia avverso le ordinanze di sospensione dei termini di custodia cau

telare pronunziate nella fase del giudizio, sia contro le ordinan ze di sequestro conservativo, le quali, a norma dell'art. 316,

possono essere emesse soltanto in ogni fase e grado del proces so di merito.

Le due norme anzidette posseggono, in ordine al problema in esame, una duplice valenza. Innanzi tutto dimostrano che non sussiste alcuna incompatibilità fra il sistema processuale vi

gente ed una rivalutazione nel merito di provvedimenti, in tema di misure cautelari, da parte di un organo collegiale all'uopo precostituito, ancorché sottordinato al giudice che quei provve dimenti abbia adottato. Infine, la stessa previsione del rimedio

dell'appello in ordine ad una misura reale, disposta da qualsiasi

giudice durante il procedimento di merito, persuade a fortiori, che il legislatore non ha potuto denegare lo stesso rimedio nei

confronti delle più gravi misure cautelari incidenti sulla libertà

ed adottate nella medesima fase.

A conforto della tesi limitativa della competenza del tribuna

le alla fase delle indagini preliminari, si pone, inoltre, l'ac

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GIURISPRUDENZA PENALE

cento sull'art. 568, 2° comma, c.p.p., per il quale sono sempre

soggetti al ricorso per cassazione, quando non siano altrimenti

impugnabili, i provvedimenti che incidono sulla libertà persona le. Si è cosi osservato che, siccome questa norma presuppone la sussistenza di provvedimenti de libertate non impugnabili nel

merito, l'estensione del riesame e dell'appello anche alle ordi

nanze adottate nella fase del giudizio, la renderebbe inutiliter

data.

Ma cosi opinando si trascura, innanzi tutto, di considerare

che la norma in esame possiede, comunque, una concreta sfera

di operatività riguardo alle ordinanze dispositive di una misura coercitiva adottate dal tribunale della libertà a seguito di appel lo del p.m., le quali, ex art. 309, 1° comma, c.p.p., non sono

soggette a riesame. Ma quel che più importa è che il citato art.

568, 2° comma, non è stato formulato in riferimento ad una

specifica tipologia di provvedimenti non soggetti a gravami nel

merito, bensì' allo scopo di completare la disciplina delle impu gnazioni de libertate, adeguandola al precetto posto dall'art.

Ill Cost, che essa ribadisce. Trattasi, cioè, di una norma di

principio e di chiusura, che, in quanto tale, trova la sua ratio

proprio in quella finalità di adeguamento ai principi costituzio nali a prescindere da un suo concreto ambito applicativo e, inol

tre, mira non già a limitare, ma a potenziare i rimedi concessi

in tema di libertà personale. Ne consegue, pertanto, che questa

disposizione non può essere utilmente richiamata quale dato nor

mativo favorevole ad una soluzione riduttiva del diritto delle

parti ad una duplice pronunzia di merito.

Un ultimo argomento a conforto del criticato orientamento

è stato desunto dall'art. 586, 3° comma, c.p.p., il quale stabili

sce che contro ordinanze in tema di libertà personale, pronun ziate negli atti preliminari e nel dibattimento, è ammessa l'im

pugnazione immediata, indipendentemente da quella contro la

sentenza. Si sostiene, cioè, che da questa norma e dal suo colle

gamento con gli art. 568, 2° comma, 569 e 311, cpv., sarebbe

consentito argomentare che avverso quelle ordinanze è ammes

so — in alternativa all'impugnazione congiunta al gravame av

verso la sentenza — soltanto il ricorso per cassazione, il quale, come emergerebbe dalle due norme da ultimo citate, è l'unico

mezzo d'impugnazione «immediato» proponibile contro i prov

vedimenti del giudice. Neanche questi argomenti possono essere condivisi. Invero,

che l'impugnazione immediata ed indipendente, prevista dall'art.

586, 2° comma, contro le suddette ordinanze debba essere indi

viduata proprio nel riesame e nell'appello, deriva dal duplice rilievo che codesti rimedi sono quelli previsti in modo specifico contro i provvedimenti sulla libertà e che l'art. 568, 2° comma, in quanto norma di chiusura, è applicabile solo in assenza di

un qualsiasi altro gravame.

Infine, la locuzione «impugnazione immediata» contenuta nel

2° comma del cit. art. 586, prevedendo il diritto della parte di impugnare subito le ordinanze sulla libertà, ancor prima del

la sentenza, ha un senso divesso da quello proprio delle espres sioni «ricorso immediato per cassazione» o di ricorso «diretta

mente proponibile» di cui agli art. 311 e 569 c.p.p., le quali,

invece, si riferiscono al diritto di ricorrere per saltum, evitando

il gravame di merito.

Tale diversità di significato preclude la possibilità di ricostruire la portata del cit. 2° comma dell'art. 586 attraverso un collega mento con le due norme sopra indicate.

Deve, quindi, concludersi che i rimedi del riesame e dell'ap

pello dinanzi al tribunbale del capoluogo di provincia sono espe ribili contro tutti i provvedimenti comunque adottati da qual

siasi giudice sia nelle indagini preliminari che nelle fasi successive. Diverso problema è quello attinente all'oggetto del sindacato

di merito deferito a questo organo in correlazione al momento

in cui si colloca l'intervento del tribunale. Può, invero, porsi astrattamente il quesito se, in ordine ai provvedimenti della li

bertà adottati negli atti preliminari, nel dibattimento, nella sen tenza o successivamente a quest'ultima, sia consentito al tribu

nale di verificare, nel merito, oltre alla sussistenza delle esigen

ze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. ed all'adeguatezza ed alla

proporzionalità delle misure ex art. 275, anche la sussistenza

e la persistenza dei gravi indizi di responsabilità. Divero una

parte della dottrina favorevole alla competenza generalizzata del

tribunale ha risolto tale problema in senso negativo, valorizzan

do la giurisprudenza di questa corte formatasi, nella vigenza

del codice abrogato, con riguardo al mandato di cattura conte

II Foro Italiano — 1991.

stuale all'ordinanza di rinvio a giudizio od alla impugnazione del provvedimento di diniego della scarcerazione per mancanza

di indizi, una volta che fosse intervenuta la chiusura dell'istrut

toria (cfr. Cass., sez. I, 29 novembre 1988, n. 5766, Renna;

sez. II 28 giugno 1984, Saladino, id., Rep. 1985, voce Istruzio ne penale, n. 59).

Ma questo quesito esula dall'economia della decisione deman

data a questa corte, poiché, nella specie, la Santucci si è limita

ta a contestare, con censure di puro merito, soltanto la sua pe

ricolosità, nonché l'eccessività della custodia cautelare in carce

re rispetto alla gravità del fatto ed alla sua situazione familiare.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione feriale penale; sentenza 11

settembre 1990; Pres. Consoli, Est. Marrone, P.M. (conci,

diff.); ric. Cangemi ed altro. Dichiara inammissibile ricorso avverso G.i.p. Palermo, ord. 25 giugno 1990.

Udienza preliminare — Sentenza di non luogo a procedere —

Revoca — Ordinanza — Ricorso per cassazione — Inammis

sibilità (Cod. proc. pen., art. 436, 437). Istruzione penale — Sentenza di proscioglimento — Revoca —

Regime transitorio — Competenza (Cod. proc. pen., art. 434,

435, 436; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art.

241, 242, 243).

L'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari dispo ne, ai sensi degli art. 434 ss. c.p.p., la revoca di una sentenza

di non luogo a procedere per sopravvenienza o scoperta di

nuove fonti di prova non è, per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all'art. 568 del medesimo codi ce, ricorribile per cassazione da parte dell'indagato, non avendo

essa natura sostanziale di sentenza e non concernendo la li

bertà personale del soggetto. (1) Per il disposto degli art. 241, 242 e 243 norme att., coord, e

trans, c.p.p. la competenza a provvedere sulla richiesta di re

voca di sentenze istruttorie di proscioglimento divenute irre

vocabili anteriormente all'entrata in vigore del nuovo codice

di rito spetta al giudice delle indagini preliminari secondo le norme di cui agli art. 434 ss. del nuovo codice e non al giudi ce istruttore secondo le norme di cui agli art. 402 ss. c.p.p. del 1930. (2)

(1-2) Non si rinvengono precedenti editi in termini.

In dottrina, quanto al problema sotteso alla prima massima, vedi, dubitativamente, Tamburino, La chiusura delle indagini preliminari, in

Quaderni Cons. sup. magistratura, 1990, fase, 32, 152 ss., il quale trae

argomenti a favore della rie orribilità dell'ordinanza di revoca dal rinvio

che l'art. 435, 3° comma, effettua al procedimento di cui all'art. 127

(che al 7° comma prevede, in via generale, la ricorribilità per cassazione

delle ordinanze emesse all'esito di procedimento camerale), non senza,

tuttavia, immediatamente rilevare che l'art. 437 prevede unicamente la

ricorribilità, da parte del solo p.m., delle ordinanze che dichiarano inam

missibile o rigettano la richiesta di revoca.

Quanto all'affermazione di cui alla seconda massima, in senso con

forme, vedi Tamburino, op. cit., 157 ss.; Lemmo, Itroduzione alle nor

me di coordinamento e transitorie, in Conso-Grevi-Neppi Modona, Il

nuovo codice di procedura penale - Dalle leggi delega ai decreti delega

ti, Padova, 1989, VI, 26; Ruggieri, Norme di coordinamento e transi

torie, sub art. 232, in Amodio-Dominioni, Commentario del nuovo co

dice di procedura penale, appendice, Milano, 1990, 198 ss., il quale

rileva, peraltro, come nessuna disposizione delle norme transitorie si

occupi esplicitamente delle sentenze istruttorie divenute irrevocabili an

teriormente all'entrata in vigore del nuovo codice in quanto «provvedi menti che hanno esaurito il procedimento in ordine ad una determinata

regiudicanda» (concernendo l'art. 241 le sentenze non divenute irrevo

cabili prima del 24 ottobre 1989 e l'art. 243, 1° comma, la revoca delle

sentenze emesse dopo tale data, a norma dell'art. 242, nei procedimenti in fase istruttoria destinati a proseguire secondo le norme del codice

abrogato) e come la soluzione del problema passi, invece, attraverso

la previsione di cui all'art. 232 norme di coordinamento, che equipara le sentenze istruttorie di non doversi procedere emesse sotto il vigore del codice abrogato alle sentenze di non luogo a procedere previste dal

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