sezioni unite penali; sentenza 23 novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Trojano, P.M. (concl.conf.); ric. Santucci. Annulla Trib. Roma 22 marzo 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.73/74-77/78Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186318 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 23
novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Troiano, P.M. (conci,
conf.); ric. Santucci. Annulla Trib. Roma 22 marzo 1990.
CORTE DI CASSAZIONE;
Misure cautelari personali — Provvedimenti in tema di revoca, sostituzione e durata — Ordinanze adottate nel corso del giu dizio — Impugnazione — Appello — Ammissibilità (Cod.
proc. pen., art. 309, 310).
Avverso le ordinanze in materia di revoca, sostituzione e durata
delle misure cautelari personali è sempre ammesso appello al
tribunale della libertà, anche se adottate nel corso del giudi
zio, dopo la chiusura delle indagini preliminari ed il rinvio a giudizio. (1)
(1) Le sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno tempesti vamente (e, è auspicabile, in via definitiva) risolto un contrasto giuri
sprudenziale manifestatosi subito dopo l'entrata in vigore del nuovo
codice di procedura penale, il quale, tuttavia, almeno in questa occasio
ne, merita di essere assolto con formula piena (e non solo perché quella dubitativa non è più consentita). Invero, a fronte della chiarissima for
mulazione letterale dell'art. 310, 1° comma, c.p.p. del 1988 — secondo
il quale «fuori dei casi previsti dall'art. 309, 1° comma» (cioè del riesa
me avverso i provvedimenti con i quali viene disposta una misura coer
citiva) «il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore possono pro
porre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari perso nali» — da un punto di vista strettamente ermeneutico non si vede, se non con la difficoltà di recidere «vecchi» cordoni ombelicali (v. art.
272 bis c.p.p. del 1930), come possa aver trovato spazio un'interpreta zione volta ad escludere la possibilità di un rimedio di merito avverso
i provvedimenti de liberiate adottati dopo la chiusura delle indagini preliminari. A ciò aggiungasi, oltre gli argomenti desumibili dai lavori
preparatori, che, come è stato posto in rilievo dalle sezioni unite, lo
stesso legislatore, all'art. 304, 1° e 3° comma, ha espressamente qualifi cato appellabili talune ordinanze in materia di misure coercitive emesse
nella fase del giudizio. Diverso problema, ma non è questa breve nota la sede per affrontar
lo, è quello relativo alla funzionalità del sistema di impugnazioni predi sposto (vedasi, sul punto, le considerazioni di Amato, in Commentario
del nuovo codice di procedura penale a cura di Amodio e Dominioni, voi. Ili, parte II, sub art. 309, 192; Chiavario, La riforma del proces so penale', Torino, 1990, 179 e Dubouno-Baglione-Bertolini, Il nuo
vo codice di procedura penale illustrato articolo per articolo, 1989, 569). Nel senso della sentenza in epigrafe, v. Cass. 30 maggio 1990, Mac
capan e 23 febbraio 1990, Piras, Foro it., 1991, II, 3, nonché le altre
decisioni, inedite, richiamate in motivazione e Trib. Roma 27 novembre
1989, id., 1990, II, 455, con nota di De Chiara. Contra, per l'afferma
zione «che il ricorso al tribunale della libertà ex art. 309 e 310 c.p.p. è limitato ai soli procedimenti emessi nel corso del procedimento (inda
gini preliminari) sino all'udienza preliminare, secondo il tradizionale
sistema adottato dal legislatore con la legge istitutiva del tribunale del
riesame», v. Cass. 7 agosto 1990, Sgarro, Giust. pen., 1990, II, 601; conf. Cass. 31 luglio 1990, Di Pietro, Cass. pen., 1990, II, 156 (fase, n. 11); 15 marzo 1990, Palma, Foro it., 1991, II, 4 e le altre, inedite, citate in motivazione, nonché Trib. Roma 15 dicembre 1989, e 21 no vembre 1989, id., 1990, II, 455, con nota di De Chiara, cit.
Le sezioni unite non prendono espressamente posizione sul problema del mezzo di impugnazione esperibile avverso il provvedimento de liber
tate contenuto in una sentenza di condanna; sembra, tuttavia, di capire che anche in tal caso siano ammissibili il riesame, o, se trattasi di prov vedimento diverso da quelli con i quali una misura coercitiva è dispo sta, appello. Nel senso, peraltro, che in tal caso il mezzo esperibile è quello previsto dalla legge contro la sentenza, v. Cass. 24 marzo 1990, Nika Gakuba, id., 1991, II, 24.
Per una rassegna della giurisprudenza della Cassazione sul sistema
delle impugnazioni in materia di misure cautelari personali, si veda an
che Guakiniello, Il nuovo codice di procedura penale: un anno di ap
plicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione, id., 1990, II, 570.
L'orientamento che ritiene ammissibile un reclamo di merito avverso
le ordinanze in materia di misure coercitive, anche se emesse dopo la
chiusura delle indagini preliminari, è condiviso dalla dottrina: v. Ama
to, op. loc. cit. e sub art. 310, 206; Balzarotti, I limiti oggettivi delle
impugnazioni «de libertate»: un contrasto giurisprudenziale da risolve
re, in Cass. pen., 1990, II, fase. n. 10; Cordero, Codice di procedura
penale commentato, Torino, 1989, 354 e (meno chiaramente) 656; Sa
raceni, L'impugnazione dei provvedimenti sulla libertà personale emessi
in dibattimento, in Cass. pen., 1989, II, 43 e, sia pure implicitamente
o, comunque, senza affrontare il problema in modo approfondito, Chia
vario, op. cit., 181; Conti-Macchia, Il nuovo processo penale, Roma,
1989, 53; Cristiani, Manuale del nuovo processo penale, Torino, 1989,
Il Foro Italiano — 1991 — Parte 77-4.
Con sentenza 28 febbraio 1990 il Tribunale di Roma dichiarò Santucci Maria Isidora, giudicata in stato di detenzione, respon sabile dei delitti di rapina aggravata e di lesioni volontarie ag
gravate e, pertanto, la condannò alla pena di anni due, mesi
dieci di reclusione ed alla multa di lire 800.000. Lo stesso tribunale, con successiva ordinanza in data 22 mar
zo 1990, respinse l'istanza diretta alla revoca della misura coer
citiva della custodia cautelare in carcere e, subordinatamente, alla sua sostituzione con gli arresti domiciliari.
L'imputata propose appello al tribunale del capoluogo di pro vincia di cui agli art. 309, 7° comma, e 310, 2° comma, c.p.p.
Il tribunale, con ordinanza 7 aprile 1990, dichiarò la propria
incompetenza a decidere il gravame, rilevando che contro l'or
dinanza impugnata, pronunziata dopo la chiusura delle indagini
preliminari, poteva essere proposto soltanto il ricorso per cassa
zione a norma degli art. Ill Cost, e 568, 2° comma, c.p.c.
e, pertanto, dispose la trasmissione degli atti a questa corte.
Il procedimento venne assegnato alla seconda sezione penale, ma il presidente di questa, rilevando la necessità di dirimere
il contrasto insorto fra le decisioni delle singole sezioni in ordi
ne alla proponibilità dell'appello contro i provvedimenti sulla
libertà emessi dopo la chiusura delle indagini preliminari, tras
mise il fascicolo al primo presidente per l'eventuale assegnazio ne alle sezioni unite.
Con provvedimento in data 5 novembre 1990, il primo presi dente ha assegnato il procedimento alle sezioni unite penali.
L'ordinanza, con la quale il Tribunale di Roma ha declinato
la propria competenza, si iscrive in un contrasto verificatosi nella
giurisprudenza di questa corte in ordine all'individuazione del
rimedio esperibile avverso i provvedimenti sulla libertà adottati
dopo la chiusura delle indagini preliminari. Invero, mentre al
cune decisioni hanno affermato che contro questi provvedimen ti sia ammissibile il riesame o l'appello previsti dagli art. 309
e 310 c.p.p. (cfr. Cass., sez. Ili, 12 ottobre 1990, Binotto; sez.
II 30 maggio 1990, Maccapan, Foro it., 1991, II, 33; 23 feb
braio 1990, Piras, ibid.; sez. Ili 16 maggio 1990, De Leonar dis), altre pronunzie hanno, invece, ritenuto che contro i detti
provvedimenti sia esperibile soltanto il ricorso per cassazione
(cfr. Cass., sez. VI, 9 novembre 1990, in proc. n. 19571/90; sez. I 15 marzo 1990, Palma, ibid.), ovvero il ricorso per cassa
zione in alternativa, quando trattasi di ordinanze pronunziate
negli atti preliminari o nel dibattimento, con l'impugnazione unitamente alla sentenza (cfr. Cass., sez. fer., 7 agosto 1990,
Sgarro; 31 luglio 1990, Di Pietra; 13 agosto 1990, Selvaggio).
Infine, per quanto attiene ai provvedimenti contestuali alla sen
tenza di condanna, è stato affermato che l'unico rimedio espe ribile è il mezzo di gravame previsto contro la stessa sentenza
(cfr. Cass., sez. VI, 24 marzo 1990, Nika Gakuba, ibid., 24).
L'indagine rivolta a dirimere detto contrasto deve prendere le mosse dalle direttive nn. 59 e 64, contenute nella delega al
governo per l'emanazione del nuovo codice di rito, approvata con la 1. 16 febbraio 1987 n. 81.
In particolare, la direttiva n. 59, dopo aver attribuito al giu dice il potere di disporre, su richiesta del p.m. e con provvedi mento motivato, misure di coercizione personale in presenza di
gravi indizi di colpevolezza ed uniformandosi ai criteri di ade
guatezza e di proporzionalità, nonché il potere di revoca e sosti
tuzione, enunzia il principio della riesaminabilità nel merito dei
provvedimenti impositivi di tali misure dinanzi al tribunale con
la garanzia del contraddittorio. La direttiva n. 64, a sua volta, riconosce espressamente ai giudici dell'udienza preliminare e del
dibattimento, il potere di applicare misure di coercizione perso nale nei casi, alle condizioni e con i limiti previsti dal n. 59.
Come risulta dal testo delle due direttive, le indicazioni in
esse contenute posseggono un'indubbia portata generale per quan to attiene sia alla disciplina delle suindicate misure, che alla
loro riesaminibilità nel merito da parte del tribunale. Sotto il
primo profilo la direttiva n. 59 esprime indicazioni uniformi riferibili a tutte le fasi del procedimento, per quanto riguarda i presupposti richiesti per l'adozione, la revoca o la modifica
delle misure in esame, nonché per quanto concerne la compe
253; Grevi, in AA.VV., Profili del nuovo codice di procedura penale a cura di Conso e Grevi, Padova, 1990, 226; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, Milano, 1989, 292; Zappalà, in AA.W., Manuale di dir. proc. pen., Milano, 1990, I, 503 e 508. [G. Ciani]
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PARTE SECONDA
tenza, conferita, con ampia dizione, al giudice procedente. Inol
tre, quest'ampia attribuzione di competenza è ribadita dalla di rettiva n. 64, la quale innova, sul punto, il precedente sistema
processuale, nella cui vigenza, la cattura dell'imputato, dopo il rinvio a giudizio, subiva precise ed incisive limitazioni.
Del pari generica è la previsione di un controllo sul merito
dei provvedimenti in esame da parte del tribunale. Difatti, non
soltanto l'ultima parte della direttiva n. 59 non introduce, al
riguardo alcun limite, ma la sua portata generale emerge in mo
do inconfutabile dallo stesso collegamento di essa con le prece denti enunciazioni.
Non è, invero, condivisibile l'interpretazione restrittiva che
alcune delle citate sentenze danno alla direttiva n. 59, circoscri
vendone la valenza alla sola fase delle indagini preliminari. Si è, a tal riguardo, affermato che il legislatore delegante non po teva non avere tenuto presente il sistema del codice abrogato che delimitava la competenza del tribunale alla sola fase istrut
toria e le ragioni che avevano motivato tale scelta, individuabili
nell'esigenza di sottoporre alla verifica, da parte di un organo
collegiale e con le garanzie del contraddittorio, i provvedimenti sulla libertà pronunziati da organi monocratici.
Se ne è, quindi, dedotto che il legislatore, avendo sostituito
all'istruzione la fase delle indagini preliminari, doveva aver ne
cessariamente inteso limitare l'intervento del tribunale a questa ultima fase, nella quale, come in precedenza, i cennati provve dimenti sono emessi de plano da un giudice monocratico ed
escluderla, invece, nelle fasi successive, durante le quali gli stes si provvedimenti vengono adottati con la garanzia della colle
gialità. Senonché questi rilievi non sembrano decisivi. Innanzi tutto
essi collidono con l'ampia e generica formulazione delle diretti
ve in esame. Inoltre, non sempre l'adozione delle misure caute
lari, dopo le indagini preliminari, avviene con la garanzia della
collegialità (esclusa nel procedimento pretorio) o con quella del
contraddittorio (sicuramente mancante per i provvedimenti de
libertate successivi alla pronunzia della sentenza). Infine, non
si è considerato che sia la stessa ampiezza del potere di disporre misure cautelari attribuito al giudice del dibattimento, sia l'i dentità degli effetti derivanti da tali misure in qualunque fase
esse vengano adottate, depongono, anche sotto il profilo del
principio dell'eguaglianza, in favore del riconoscimento al tri
bunale di una competenza generale a rivalutare nel merito, in
sede di riesame o di appello, tutti i provvedimenti sulla libertà, ancorché emessi dopo la chiusura delle indagini preliminari.
Tale essendo la volontà del legislatore delegante, la limitazio ne di tale competenza alla sola fase delle indagini preliminari
implicherebbe l'illegittimità costituzionale delle norme del codi
ce di rito, sotto il profilo dell'inosservanza delle direttive im
partite con la legge delega.
È, peraltro, convincimento del collegio che la disciplina delle misure cautelari, trasfusa nel codice, si è fedelmente adeguata alle suindicate direttive, sia pure con alcune imperfezioni di tec nica legislativa, forse inevitabili data la novità e la complessità della materia.
Tale convincimento si fonda innanzi tutto sui lavori prepara tori ed in particolare sulla relazione al progetto definitivo che, con una frase sintetica e tuttavia chiarissima, afferma che la
competenza del tribunale prevista dagli art. 309 e 310 c.p.p. sussiste «senza distinguere a seconda del giudice che abbia emesso
l'ordinanza» impugnata. E non è inutile rilevare come con tale
precisazione si sia inteso dissipare, in via preventiva, i dubbi già insorti in ordine a detta competenza dopo la modifica del l'art. 263 bis c.p.p. del 1930, introdotta dall'art. 19 1. 28 luglio 1984 n. 398, con l'espungere l'espresso riferimento ai provvedi menti «emessi nel corso dell'istruzione o dal g.i. con l'ordinan za di rinvio a giudizio».
Inoltre, in tal senso depone anche l'elemento sistematico. Di
vero, nel mentre nel codice abrogato la disciplina delle misure cautelari e dei relativi gravami era contenuta nel libro secondo
«Dell'istruzione», nelle sezioni I-IV del capo II del titolo I, per contro, nel nuovo codice, la stessa disciplina è dettata nel libro IV della parte I e, cioè, in una sede distinta ed anteriore a quel la delle indagini preliminari, regolate nel libro V della parte II. Siffatta diversità della sedes materiae — evidenziata dal fat to che, invece, l'arresto ed il fermo dell'indagato sono regolati nell'ambito delle suddette indagini — già, di per sé, dimostra che nel sistema vigente, la disciplina delle misure cautelari e
Il Foro Italiano — 1991.
dei relativi rimedi non è applicabile alla sola fase delle indagini preliminari, ma si estende all'intero procedimento, considerato
sia nella fase pregiurisdizionale che in quella giurisdizionale.
Giova, altresì', rilevare che gli art. 309, 5° comma, e 310, 2° comma, nella parte in cui dispongono che l'autorità giudi ziaria procedente trasmette al tribunale gli atti su cui si fonda
l'ordinanza impugnata, debbono essere interpretati alla stregua dell'art. 279 il quale attribuisce la competenza, in tema all'ap
plicazione, revoca e modifica delle misure cautelari, al «giudice che procede» nelle varie fasi. Quest'ultimo, inoltre, ai sensi di
detta norma e dell'art. 91 disp. att., deve essere individuato, durante gli atti preliminari ed il dibattimento, nel pretore, nel
tribunale, nella corte d'appello e nella corte di assise di primo e secondo grado, nonché, dopo la pronunzia della sentenza e
prima della trasmissione degli atti ex art. 590 c.p.c., nel giudice che ha pronunziato la sentenza impugnata e, infine, durante
la pendenza del ricorso per cassazione, nel giudice che ha emes
so il provvedimento impugnato. Dal collegamento delle norme sopra indicate emerge che l'au
torità giudiziaria procedente, il cui provvedimento sia stato in
vestito dal riesame o dall'appello che deve trasmettere gli atti
anzidetti, non è soltanto il giudice delle indagini preliminari ma
anche, dopo la chiusura di queste, il giudice, qualunque esso
sia, competente per il giudizio. Si è sostenuto, in contrario, che la limitazione del riesame
e dell'appello ai soli provvedimenti sulla libertà emessi nella fa
se delle indagini preliminari troverebbe una conferma nel rilievo
che il 3° comma dell'art. 309, richiamato nel 2° comma del
l'art. 310, indica, per il termine per proporre tali rimedi, una
decorrenza diversa da quella risultante per l'impugnazione av
verso le ordinanze dibattimentali e le sentenze, dal disposto com
binato degli art. 585 e 544 c.p.p. Un ulteriore riscontro è stato,
inoltre, desunto dal 5° comma del cit. art. 309, il quale indivi
dua gli atti da trasmettere al tribunale in quelli indicati nel pre cedente art. 291. Si assume, a tale riguardo, che quet'ultima norma mirando, durante le indagini preliminari, ad evitare al
p.m. un anticipato svelamento delle prove (la c.d. discovery: Relazione al testo definitivo, in Le leggi, 1988, 2697), appare giustificabile soltanto se riferita alla fase delle indagini e non
anche al dibattimento nel quale è assicurata la pubblicità del
l'intero complesso probatorio. Deve, peraltro, osservarsi che que sti dati normativi, attenendo ad aspetti secondari degli istituti in esame, non giustificano, di per sé, la criticata opinione. La disciplina della decorrenza dei termini e della trasmissione degli atti nella sola ottica delle indagini preliminari, se valutata alla
stregua dei precedenti rilievi e di quelli che seguono, si rivela come il risultato di una tecnica normativa imperfetta e, pertan to, non vale, da sola, a circoscrivere alle sole indagini prelimi nari i rimedi del riesame e dell'appello. Questi, pertanto, posso no essere esperiti anche nelle fasi successive alla chiusura di tali
indagini sia pure con gli adattamenti imposti dalla specifica di
sciplina di dette fasi.
Non appare, inoltre, decisivo il rilievo che tale conclusione si tradurrebbe nel conferimento ad un giudice sottordinato della
cognizione dei gravami proposti contro provvedimenti de libe rate adottati anche da un giudice superiore.
È sufficiente obiettare al riguardo che gli art. 304 e 318 c.p.p. prevedono espressamente il rimedio dell'appello ex art. 310, sia avverso le ordinanze di sospensione dei termini di custodia cau
telare pronunziate nella fase del giudizio, sia contro le ordinan ze di sequestro conservativo, le quali, a norma dell'art. 316,
possono essere emesse soltanto in ogni fase e grado del proces so di merito.
Le due norme anzidette posseggono, in ordine al problema in esame, una duplice valenza. Innanzi tutto dimostrano che non sussiste alcuna incompatibilità fra il sistema processuale vi
gente ed una rivalutazione nel merito di provvedimenti, in tema di misure cautelari, da parte di un organo collegiale all'uopo precostituito, ancorché sottordinato al giudice che quei provve dimenti abbia adottato. Infine, la stessa previsione del rimedio
dell'appello in ordine ad una misura reale, disposta da qualsiasi
giudice durante il procedimento di merito, persuade a fortiori, che il legislatore non ha potuto denegare lo stesso rimedio nei
confronti delle più gravi misure cautelari incidenti sulla libertà
ed adottate nella medesima fase.
A conforto della tesi limitativa della competenza del tribuna
le alla fase delle indagini preliminari, si pone, inoltre, l'ac
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GIURISPRUDENZA PENALE
cento sull'art. 568, 2° comma, c.p.p., per il quale sono sempre
soggetti al ricorso per cassazione, quando non siano altrimenti
impugnabili, i provvedimenti che incidono sulla libertà persona le. Si è cosi osservato che, siccome questa norma presuppone la sussistenza di provvedimenti de libertate non impugnabili nel
merito, l'estensione del riesame e dell'appello anche alle ordi
nanze adottate nella fase del giudizio, la renderebbe inutiliter
data.
Ma cosi opinando si trascura, innanzi tutto, di considerare
che la norma in esame possiede, comunque, una concreta sfera
di operatività riguardo alle ordinanze dispositive di una misura coercitiva adottate dal tribunale della libertà a seguito di appel lo del p.m., le quali, ex art. 309, 1° comma, c.p.p., non sono
soggette a riesame. Ma quel che più importa è che il citato art.
568, 2° comma, non è stato formulato in riferimento ad una
specifica tipologia di provvedimenti non soggetti a gravami nel
merito, bensì' allo scopo di completare la disciplina delle impu gnazioni de libertate, adeguandola al precetto posto dall'art.
Ill Cost, che essa ribadisce. Trattasi, cioè, di una norma di
principio e di chiusura, che, in quanto tale, trova la sua ratio
proprio in quella finalità di adeguamento ai principi costituzio nali a prescindere da un suo concreto ambito applicativo e, inol
tre, mira non già a limitare, ma a potenziare i rimedi concessi
in tema di libertà personale. Ne consegue, pertanto, che questa
disposizione non può essere utilmente richiamata quale dato nor
mativo favorevole ad una soluzione riduttiva del diritto delle
parti ad una duplice pronunzia di merito.
Un ultimo argomento a conforto del criticato orientamento
è stato desunto dall'art. 586, 3° comma, c.p.p., il quale stabili
sce che contro ordinanze in tema di libertà personale, pronun ziate negli atti preliminari e nel dibattimento, è ammessa l'im
pugnazione immediata, indipendentemente da quella contro la
sentenza. Si sostiene, cioè, che da questa norma e dal suo colle
gamento con gli art. 568, 2° comma, 569 e 311, cpv., sarebbe
consentito argomentare che avverso quelle ordinanze è ammes
so — in alternativa all'impugnazione congiunta al gravame av
verso la sentenza — soltanto il ricorso per cassazione, il quale, come emergerebbe dalle due norme da ultimo citate, è l'unico
mezzo d'impugnazione «immediato» proponibile contro i prov
vedimenti del giudice. Neanche questi argomenti possono essere condivisi. Invero,
che l'impugnazione immediata ed indipendente, prevista dall'art.
586, 2° comma, contro le suddette ordinanze debba essere indi
viduata proprio nel riesame e nell'appello, deriva dal duplice rilievo che codesti rimedi sono quelli previsti in modo specifico contro i provvedimenti sulla libertà e che l'art. 568, 2° comma, in quanto norma di chiusura, è applicabile solo in assenza di
un qualsiasi altro gravame.
Infine, la locuzione «impugnazione immediata» contenuta nel
2° comma del cit. art. 586, prevedendo il diritto della parte di impugnare subito le ordinanze sulla libertà, ancor prima del
la sentenza, ha un senso divesso da quello proprio delle espres sioni «ricorso immediato per cassazione» o di ricorso «diretta
mente proponibile» di cui agli art. 311 e 569 c.p.p., le quali,
invece, si riferiscono al diritto di ricorrere per saltum, evitando
il gravame di merito.
Tale diversità di significato preclude la possibilità di ricostruire la portata del cit. 2° comma dell'art. 586 attraverso un collega mento con le due norme sopra indicate.
Deve, quindi, concludersi che i rimedi del riesame e dell'ap
pello dinanzi al tribunbale del capoluogo di provincia sono espe ribili contro tutti i provvedimenti comunque adottati da qual
siasi giudice sia nelle indagini preliminari che nelle fasi successive. Diverso problema è quello attinente all'oggetto del sindacato
di merito deferito a questo organo in correlazione al momento
in cui si colloca l'intervento del tribunale. Può, invero, porsi astrattamente il quesito se, in ordine ai provvedimenti della li
bertà adottati negli atti preliminari, nel dibattimento, nella sen tenza o successivamente a quest'ultima, sia consentito al tribu
nale di verificare, nel merito, oltre alla sussistenza delle esigen
ze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. ed all'adeguatezza ed alla
proporzionalità delle misure ex art. 275, anche la sussistenza
e la persistenza dei gravi indizi di responsabilità. Divero una
parte della dottrina favorevole alla competenza generalizzata del
tribunale ha risolto tale problema in senso negativo, valorizzan
do la giurisprudenza di questa corte formatasi, nella vigenza
del codice abrogato, con riguardo al mandato di cattura conte
II Foro Italiano — 1991.
stuale all'ordinanza di rinvio a giudizio od alla impugnazione del provvedimento di diniego della scarcerazione per mancanza
di indizi, una volta che fosse intervenuta la chiusura dell'istrut
toria (cfr. Cass., sez. I, 29 novembre 1988, n. 5766, Renna;
sez. II 28 giugno 1984, Saladino, id., Rep. 1985, voce Istruzio ne penale, n. 59).
Ma questo quesito esula dall'economia della decisione deman
data a questa corte, poiché, nella specie, la Santucci si è limita
ta a contestare, con censure di puro merito, soltanto la sua pe
ricolosità, nonché l'eccessività della custodia cautelare in carce
re rispetto alla gravità del fatto ed alla sua situazione familiare.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione feriale penale; sentenza 11
settembre 1990; Pres. Consoli, Est. Marrone, P.M. (conci,
diff.); ric. Cangemi ed altro. Dichiara inammissibile ricorso avverso G.i.p. Palermo, ord. 25 giugno 1990.
Udienza preliminare — Sentenza di non luogo a procedere —
Revoca — Ordinanza — Ricorso per cassazione — Inammis
sibilità (Cod. proc. pen., art. 436, 437). Istruzione penale — Sentenza di proscioglimento — Revoca —
Regime transitorio — Competenza (Cod. proc. pen., art. 434,
435, 436; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art.
241, 242, 243).
L'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari dispo ne, ai sensi degli art. 434 ss. c.p.p., la revoca di una sentenza
di non luogo a procedere per sopravvenienza o scoperta di
nuove fonti di prova non è, per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all'art. 568 del medesimo codi ce, ricorribile per cassazione da parte dell'indagato, non avendo
essa natura sostanziale di sentenza e non concernendo la li
bertà personale del soggetto. (1) Per il disposto degli art. 241, 242 e 243 norme att., coord, e
trans, c.p.p. la competenza a provvedere sulla richiesta di re
voca di sentenze istruttorie di proscioglimento divenute irre
vocabili anteriormente all'entrata in vigore del nuovo codice
di rito spetta al giudice delle indagini preliminari secondo le norme di cui agli art. 434 ss. del nuovo codice e non al giudi ce istruttore secondo le norme di cui agli art. 402 ss. c.p.p. del 1930. (2)
(1-2) Non si rinvengono precedenti editi in termini.
In dottrina, quanto al problema sotteso alla prima massima, vedi, dubitativamente, Tamburino, La chiusura delle indagini preliminari, in
Quaderni Cons. sup. magistratura, 1990, fase, 32, 152 ss., il quale trae
argomenti a favore della rie orribilità dell'ordinanza di revoca dal rinvio
che l'art. 435, 3° comma, effettua al procedimento di cui all'art. 127
(che al 7° comma prevede, in via generale, la ricorribilità per cassazione
delle ordinanze emesse all'esito di procedimento camerale), non senza,
tuttavia, immediatamente rilevare che l'art. 437 prevede unicamente la
ricorribilità, da parte del solo p.m., delle ordinanze che dichiarano inam
missibile o rigettano la richiesta di revoca.
Quanto all'affermazione di cui alla seconda massima, in senso con
forme, vedi Tamburino, op. cit., 157 ss.; Lemmo, Itroduzione alle nor
me di coordinamento e transitorie, in Conso-Grevi-Neppi Modona, Il
nuovo codice di procedura penale - Dalle leggi delega ai decreti delega
ti, Padova, 1989, VI, 26; Ruggieri, Norme di coordinamento e transi
torie, sub art. 232, in Amodio-Dominioni, Commentario del nuovo co
dice di procedura penale, appendice, Milano, 1990, 198 ss., il quale
rileva, peraltro, come nessuna disposizione delle norme transitorie si
occupi esplicitamente delle sentenze istruttorie divenute irrevocabili an
teriormente all'entrata in vigore del nuovo codice in quanto «provvedi menti che hanno esaurito il procedimento in ordine ad una determinata
regiudicanda» (concernendo l'art. 241 le sentenze non divenute irrevo
cabili prima del 24 ottobre 1989 e l'art. 243, 1° comma, la revoca delle
sentenze emesse dopo tale data, a norma dell'art. 242, nei procedimenti in fase istruttoria destinati a proseguire secondo le norme del codice
abrogato) e come la soluzione del problema passi, invece, attraverso
la previsione di cui all'art. 232 norme di coordinamento, che equipara le sentenze istruttorie di non doversi procedere emesse sotto il vigore del codice abrogato alle sentenze di non luogo a procedere previste dal
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