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sezioni unite penali; sentenza 24 marzo 1990; Pres. Brancaccio, Est. Della Penna, P.M. Piccininni(concl. conf.); ric. P.m. c. Borzaghini. Annulla Trib. Trento 24 ottobre 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.413/414-417/418Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183643 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 24 mar zo 1990; Pres. Brancaccio, Est. Della Penna, P.M. Picci
ninni (conci, conf.); ric. P.m. c. Borzaghini. Annulla Trib.
Trento 24 ottobre 1989.
CORTE DI CASSAZIONE;
Pena (applicazione su richiesta) — Diminuzione — Misura con
sentita di un terzo (Cod. proc. pen. del 1988, art. 444).
La locuzione «pena diminuita fino a un terzo», contenuta nel
l'art. 444 c.p.p. del 1988, va interpretata nel senso che il «ter
zo» si riferisce alla massima quantità di pena di cui può essere
ridotta quella concordata dalle parti senza alcun riferimento al risultato finale dell'operazione (di riduzione), per cui le parti possono concordare una riduzione di pena nel limite massimo
non di due terzi, ma di un terzo. (1)
(1) Con la sentenza in epigrafe le sezioni unite prendono opportuna mente posizione su di una controversa questione interpretativa, di note vole rilevanza pratica, provocata dall'ambigua formulazione testuale del la nuova disciplina del «patteggiamento».
Che tale ambiguità avrebbe finito con lo scaricare sulla giurisprudenza la scelta della soluzione più corretta, era stato in verità preconizzato già in sede di primi commenti (cfr., ad es., Dubolino, Pubblico ministero e riti alternativi, in Quaderni Cons. sup. magistratura, 1989, fase. 27, 400; Ferrajoli, Patteggiamenti e crisi della giurisdizione, in Questione giustizia, 1989, 375). A riprova della fondatezza di una simile profezia, la prima prassi applicativa ha visto i giudici di merito discordi proprio sul punto fondamentale relativo alla determinazione dell'ammontare del la pena riducibile in base all'accordo delle parti. Delle due soluzioni in
terpretative astrattamente proponibili, la più estensiva, che perviene alla conclusione di ritenere l'espressione «fino a un terzo» riferita all'entità della pena risultante dalla diminuzione, è stata accolta da Trib. Genova 16 novembre 1989 e 15 novembre 1989, Foro it., 1990, II, 35, con nota di richiami; v. ancora Trib. Alba 14 dicembre 1989, Arch, nuova proc. pen., 1990, 173; Trib. Matera 6 novembre 1989, Giur. it., 1990, II, 62, con note rispettive di Grassano e Sechi.
Per la soluzione più restrittiva, sfociante nella tesi che «fino a un ter zo» concerne la misura massima della pena sottraibile e non l'ammontare della pena residua, v. invece Trib. Bari 27 ottobre 1989, ibid., 60; Trib.
Genova, ord. 3 novembre 1989, Foro it., 1990, II, 35; Pret. Lendinara 14 novembre 1989, Arch, nuova proc. pen., 1990, 183.
Quest'ultima soluzione è quella avallata dalle sezioni unite, le quali, nella parte iniziale della motivazione, pur prendono atto che la «questio ne non trova nella lettera della legge affidabile chiave di lettura prestan dosi la stessa a discordanti interpretazioni». Appunto per superare l'equi vocità del mero dato testuale, la Cassazione riunita riconnette la soluzio ne dello specifico problema ermeneutico innanzitutto alle finalità ed alle caratteristiche del nuovo patteggiamento, e in secondo luogo — sulla ba
se di un'assimilazione analogica della diminuzione di pena in oggetto alle
circostanze attenuanti — ai principi fissati dagli art. 63 e 65 c.p. (cfr.
gli svolgimenti contenuti in motivazione). Per un iter argomentativo fon
damentalmente analogo, v., in dottrina, Lattanzi, L'applicazione della
pena su richiesta delle parti, in AA.VV., Contributi allo studio del nuovo codice di procedura penale a cura di Canzio e altri, Milano, 1989, 114
ss.; per la stessa conclusione, cfr. altresì Dubolino, cit.; Riccio, Procedi menti speciali, in Conso-Grbvi, Profili del nuovo codice di procedura
penale, Padova, 1990, 306; Grassano, Primi interventi giurisprudenziali in ordine all'applicazione della pena su richiesta delle parti, in Giur. it.,
1990, II, 61. Per la tesi contraria, v., in dottrina, Ferrajoli, cit.; Cordero, Codice
di procedura penale commentato, Torino, 1990, 502; Sechi, Determina
zione dell'attenuante per il patteggiamento, in Giur. it., 1990, II, 62.
Circa la natura della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., v. Cass. 19 febbraio 1990, Migliardi, Foro it., 1990, II, 362, con nota
di richiami, che ne ha (ri-)escluso il carattere di sentenza di condanna. Da ultimo, Corte cost. 2 luglio 1990, n. 313, che sarà riportata in un
prossimo fascicolo, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 444, 2° com
ma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che, ai fini e nei limiti di
cui all'art. 27, 3° comma, Cost., il giudice possa valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavo
revole valutazione. Sia il nuovo patteggiamento, sia il nuovo istituto processuale del giudi
zio abbreviato, hanno suscitato in una parte della dottrina riserve dal
punto di vista della loro effettiva compatibilità con la duplice funzione
di prevenzione generale e speciale teoricamente assegnabile alle sanzioni
punitive: cfr. Padovani, Il nuovo codice di procedura penale e la riforma del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, 920 s.; Fiandaca, Dalla riforma del processo alla riforma del codice penale, in corso di
stampa in Questione giustizia. Per una critica più radicale, che sottolinea il contrasto tra i nuovi riti
alternativi ed alcuni principi fondamentali del garantismo penale classico, v. Ferrajoli, cit.; Id., Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari, 1989, 777 ss.
Il Foro Italiano — 1990 — Parte II-ll.
Fatto e diritto. — 1. - Vettori Vittorio, in stato di detenzione, Tria Giuseppe e Borzaghini Enrica, entrambi a piede libero, veni vano tratti a giudizio avanti al Tribunale di Trento per risponde re ciascuno del delitto di cui all'art. 71 1. 22 dicembre 1975 n.
685 per aver il primo venduto ed il secondo acquistato dal pre detto e rivenduto in esecuzione di un medesimo disegno crimino
so quantità non modiche di eroina e per aver la terza illecitamen
te detenuto, siccome accertato in Lavis il 17 giugno 1989, quindi ci grammi di eroina in concorso con il Tria.
All'udienza del 24 ottobre 1989, in cui il tribunale dichiarava la contumacia del Tria, il Vettori e la Borzaghini avanzavano
entrambi ex art. 444 c.p.p. richiesta di applicazione della pena di un anno, quattro mesi di reclusione e lire 1.350.000 di multa da sospendersi condizionalmente ed in via subordinata di ammis
sione a giudizio abbreviato. Il p.m. si opponeva all'accoglimento della richiesta formulata
ai sensi dell'art. 444 c.p.p. dagli imputati rilevando che alla stre
gua dell'anzidetta norma non era «concedibile la riduzione dei
due terzi» sollecitata dai predetti, mentre «nel merito» riteneva
la congruità della pena indicata dalla Borzaghini e «troppo mite
quella indicata dal Vettori».
Decidendo con ordinanza in pari data in ordine alle suindicate
richieste il tribunale, preso atto del parere contrario espresso dal
p.m., riservava pronuncia all'esito del dibattimento sulla richie sta della Borzaghini; disattendeva quella avanzata ex art. 444 c.p.p. dal Vettori, condividendo le ragioni del dissenso espresso dal p.m.
e, con riferimento alla richiesta di giudizio abbreviato formulata
in subordine dal predetto, disponeva la sospensione del procedi mento a suo carico e la separazione degli atti relativi assegnando al p.m. il termine di cinque giorni per il parere.
Con sentenza dello stesso 24 ottobre 1989 il tribunale dichiara
va il Tria, rimasto contumace, colpevole del reato ascrittogli e
10 condannava alla pena di anni 2, mesi 10 di reclusione e lire
4.500.000 di multa con la confisca dei reperti mentre, in accogli mento della richiesta della Borzaghini, «condannava» l'imputata alla pena di un anno, quattro mesi di reclusione e lire 1.350.000
di multa con il beneficio della sospensione condizionale della re
lativa esecuzione.
Limitatamente alla «condanna» della Borzaghini interponeva ricorso per cassazione ex art. 569 c.p.p. il p.m. chiedendo che
la corte riconosciuta l'errata applicazione all'art. 444 c.p.p. da
parte del tribunale annullasse l'impugnata sentenza nella parte relativa alla condanna dell'imputata suddetta con rinvio degli atti
al giudice competente. Pervenuti gli atti a questa Suprema corte, il presidente della
VI sezione penale segnalava con nota del 13 dicembre 1989 l'op
portunità che la questione venisse decisa dalle sezioni unite penali stante la particolare delicatezza della stessa ed il fatto che dai
giudici di merito essa era già stata risolta in maniera contrastan
te. Con provvedimento in pari data il primo presidente assegnava 11 ricorso per la relativa trattazione a queste sezioni unite penali «ritenuta la speciale importanza della questione che ne costituiva
oggetto». 2. - Il tribunale nel decidere in ordine alla richiesta formulata
in via principale dall'imputata implicante l'interpretazione della
«locuzione fino a un terzo» contenuta nell'art. 444 c.p.p. onde
stabilire «se la misura faccia riferimento all'ammontare della di
minuzione o al risultato della stessa e, quindi, alla pena alla qua le in concreto è possibile pervenire» ha condiviso la tesi più favo
revole al reo patrocinata dalla difesa per cui la diminuzione di
pena poteva estendersi fino ai due terzi del minimo edittale indi
cando, infatti, la misura precisata nella norma la pena alla quale restava ridotta per effetto della diminuzione apportata quella da
infliggere, rappresentata, appunto, dal terzo del minimo stesso.
Deponevano in favore di tale interpretazione, secondo il tri
bunale: — la lettera della legge, per cui l'anzidetta locuzione «pena...
diminuita fino ad un terzo» faceva chiaramente intendere che la
misura percentuale era riferita non all'operazione di riduzione ma al risultato cui era consentito pervenire all'esito dell'operazione
stessa; — il confronto della norma in oggetto con la disciplina previ
sta negli art. 64 e 65 c.p. in cui la locuzione «in misura non
eccedente il terzo» è usata per precisare che il limite attiene all'o
perazione di diminuzione mentre quella «fino ad un terzo» è usa
ta in contrapposizione alla prima seppur nell'ipotesi di aumento
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PARTE SECONDA
di pena per esprimere il risultato dell'operazione più che le moda
lità della stessa; — i lavori preparatori che nel loro svolgersi avevano portato
ad ampliare grandemente l'utilizzabilità dell'istituto dell'applica zione concordata della pena. In quanto il testo definitivo della
norma, che in origine limitava ad un terzo della pena edittale
la misura della diminuzione, risultava modificato con l'aumento
della soglia massima da imo a due anni e con la possibilità di
tener conto di ogni attenuante concedibile in concreto, invece,
che del minimo edittale. E, proprio «in tale sede, e quindi nel
l'ottica della rilevante espansione dell'applicabilità dell'istituto»
che era introdotta la modifica in oggetto, anche se della stessa
non v'era menzione nei lavori preparatori, all'evidente scopo di
rendere più agevole il ricorso al patteggiamento. Ha contestato il p.m. ricorrente tutte le argomentazioni formu
late dal tribunale a fondamento della decisione adottata, assu
mendo che in sede di applicazione della pena su richiesta delle
parti la pena da irrogare non poteva essere diminuita in misura
superiore ad un terzo della stessa già in concreto determinata.
Come, nonostante l'obiettiva ambivalenza della lettera della nor
ma in oggetto che si prestava, infatti, per la sua ambigua formu
lazione ad indicare sia la massima estensione della diminuzione
sia l'entità della pena residua dopo la riduzione apportata e che, di per sé, rendeva vano il confronto con le espressioni usate in
altri testi legislativi per esprimere gli stessi concetti, era reso ma
nifesto dai lavori parlamentari e, in genere, preparatori che ave
vano portato all'attuale formulazione della norma in questione. Per cui ben poteva ritenersi che «la volontà del parlamento» era
stata «quella di introdurre una nuova attenuante dall'estensione
massima di un terzo».
3. - L'istituto dell'«applicazione della pena su richiesta delle parti» realizza, come testualmente precisato nella relazione al pro
getto preliminare del codice di procedura penale, che sembra op
portuno richiamare per il più esatto inquadramento del thema
d'indagine, uno dei «due nuovi schemi processuali» nei quali è
stato attuato in termini inediti il principio del «premio incentivo» per atteggiamenti di «meritorietà processuali dell'imputato». In
quanto, pur rifacendosi da vicino alle forme del c.d. «patteggia mento» introdotto nel sistema del rito penale con la 1. 24 novem
bre 1981 n. 689 (art. 77-85), differisce ontologicamente da detto
istituto di cui non riproduce, infatti, il carattere di «beneficio» riconosciuto a quest'ultimo (cfr. Corte cost. 16 luglio 1987, n.
267, Foro it., 1987, I, 2600). Tanto che, a differenza dell'altro, il patteggiamento previsto dall'art. 444 c.p.p. è sottratto alla va
lutazione discrezionale del giudice, è reiteratamente lucratole, non
soffre esclusione ratione personae, non è incompatibile con il «be
neficio» della sospensione condizionale della pena alla cui con
cessione può, anzi, essere subordinata la stessa richiesta mentre
neppure consente discriminazioni di natura oggettiva in relazione
a specifici reati o categorie di reato purché punibili con pena de tentiva temporanea, ammettendo come unico limite alla sua ope ratività il contenimento della pena «pattuita» e, comunque, indi
cata nella richiesta in una misura predeterminata per legge. Al
riguardo va utilmente ricordato, proprio in considerazione dei ri
ferimenti contenuti in sentenza e nell'interposto ricorso, che il
«patteggiamento» comparso per la prima volta nella legge di de
lega del codice di procedura penale nella direttiva 35, terza parte, del testo licenziato nel marzo 1982 dal comitato ristretto della
commissione giustizia della camera dei deputati ha subito, nel
lungo e travagliato iter parlamentare della suddetta legge, un pro
gressivo ampliamento dell'ambito di operatività tanto che la for
mula iniziale che lo limitava alle pene detentive non superiori a tre mesi («possono chiedere... l'applicazione... di una pena de
tentiva in misura pari a quella minima edittale del reato per cui
si procede diminuita di un terzo e, comunque, non superiore a
tre mesi di reclusione o di arresto») è stata progressivamente mo
dificata portando il limite, prima, ad un anno nella direttiva 44 approvata dalla camera («possono chiedere... l'applicazione della
pena detentiva minima prevista per il reato tenuto conto delle
circostanze, diminuita di non oltre un terzo e, comunque, non
superiore a un anno di reclusione o di arresto solo o congiunto con pena pecuniaria») e, infine, a due anni in quello della com missione giustizia del senato, poi divenuto legge e trasfuso nel
l'art. 444 del vigente codice di rito penale («possono chiedere... l'applicazione della pena detentiva irrogabile per il reato quando
essa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo
Il Foro Italiano — 1990.
non superi due anni di reclusione o di arresto soli o congiunti a pena pecuniaria»).
4. - Tanto premesso, ritiene il collegio che la questione posta dal ricorso del p.m. di Trento non trova nella lettera della legge affidabile chiave di lettura prestandosi la stessa, per come è for
mulata, a discordanti interpretazioni. In quanto l'espressione nor
mativa «diminuita fino a un terzo» può ritenersi riferita, dato che ogni pena ha un suo minimo ed un massimo edittale, al risul
tato ultimo dell'operazione, secondo quanto affermato dal tribu
nale nell'impugnata sentenza (pena diminuita «fino» al terzo del
minimo edittale) ovvero correlata all'entità massima della ridu
zione (pena diminuita al più di un terzo) in forza dell'interpreta zione sostenuta dal ricorrente, riscontrata dal dato formale del
nessun esplicito riferimento nella disposizione in oggetto alla pe na edittale. Equivocità che, peraltro, ben s'intende superata ove
si consideri la suindicata formula nell'intero contesto della dispo sizione o meglio dell'istituto giuridico in cui trovasi inserita, che è incentrato, appunto, sull'accordo delle parti proprio in ordine
alla quantificazione della pena da proporre al giudice e che nei
limiti fissati dalla legge può costituire oggetto di «patteggiamen to». Per cui la locuzione prepositiva «fino a» nella stessa conte
nuta per essere correttamente intesa va letta con riferimento alla
tipicità della procedura di cui è espressione caratterizzata dalla
partecipazione, in veste di necessario interlocutore dell'imputato, del p.m. Il quale può, appunto «offrire — come esattamente rile
vato in dottrina — meno del massimo consentito dalla legge» dalla quale è, infatti, previsto uno «sconto variabile» rispetto a
quello «fisso» accordato nel rito gemello del giudizio abbreviato
sicché la stessa, concernendo le sole modalità del patteggiamento, «è unicamente espressione di uno spazio di contrattazione lascia
to alle parti». Cosi chiarito il senso e la portata della locuzione prepositiva
«fino a», risulta, allora, evidente che il «terzo» indicato nell'art.
444 c.p.p. concerne soltanto la massima quantità di pena di cui
può essere ridotta quella concordata dalle parti senza alcun riferi
mento al risultato finale dell'operazione. Come, peraltro, già av
vertito in dottrina, per cui «niente lascia supporre che rispetto allo sconto fisso di un terzo della pena quantificata nel giudizio abbreviato dal giudice con riguardo a tutte le circostanze l'incen
tivo venga raddoppiato in un rito gemello quale il patteggiamen
to, ma come lascia ritenere anche l'impiego, dopo la locuzione
propositiva «fino a», dell'articolo indeterminativo «un» in luogo di quello determinativo «il» che il legislatore avrebbe presumibil mente usato per indicare il limite ultimo della riduzione apporta rle sul minimo della pena edittale, analogamente a quanto di
sposto nell'art. 221 1. fall, a proposito delle pene previste nel
capo I «ridotte fino al terzo» in caso di applicazione del procedi mento sommario al fallimento.
Ma, soprattutto, come deve ritenersi in coerenza alla natura
giuridica ed alla disciplina della diminuzione in oggetto, che sep pur non rientra tra le attenuanti in senso tecnico perché non cor
relabile ad alcun degli elementi tipici considerati dall'art. 70 c.p.
proprio perché prescinde dal reato e dalla personalità dell'impu tato incentrandosi esclusivamente sulla «meritorietà processuale» dello stesso si qualifica come una causa di riduzione della pena
regolata, alla pari delle attenuanti, dall'art. 63 c.p. Eppertanto, da una norma relativa a tutte le cause che, costituenti o meno
circostanze di reato, influiscono comunque sulla quantificazione della pena. Per cui la locuzione normativa adottata dall'art. 444
c.p.p. nel senso sopraindicato riscontra la sua disciplina nei prin cipi fissati dal citato art. 63 c.p. e dall'art. 65 c.p. che dello stes so costituisce il completamento normativo precisandone l'ambito
di operatività. Sicché la diminuzione va operata, secondo il com binato disposto degli art. 63 e 65 c.p. sulla quantità della pena che il giudice applicherebbe al colpevole «qualora non concorres
se la circostanza che la fa... diminuire» ed «in misura non ecce
dente un terzo». Donde l'assoluta conformità ai principi regola tori fissati in materia dal diritto sostanziale dell'interpretazione che pone il limite massimo della riduzione da apportare sulla pe na concretamente determinata in forza delle circostanze eventual
mente ricorrenti e del giudizio di comparazione in misura comun
que non superiore ad un terzo della pena stessa.
5. - Né va trascurato il rilievo desumibile dall'interpretazione sistematica della norma che il legislatore del vigente codice di rito penale allorquando ha inteso fare riferimento alla pena edit
tale minima non ha lasciato all'interprete il compito di stabilirlo
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GIURISPRUDENZA PENALE
avendovi provveduto direttamente, tanto che nel procedimento
per decreto ha testualmente disposto nel 2° comma dell'art. 453
che «il p.m. può chiedere l'applicazione di una pena diminuita
sino alla metà rispetto al minimo edittale». Vale, inoltre, rilevare
che se la diminuzione prevista dall'art. 444 potesse raggiungere i due terzi della pena «il patteggiamento darebbe luogo — come
giustamente rilevato in dottrina — ad un trattamento più vantag
gioso di quello previsto per il decreto penale che può avere ad
oggetto una pena diminuita fino alla metà senza gli altri effetti
vantaggiosi riconosciuti alla sentenza di patteggiamento». Il che
implicherebbe un rapporto irrazionale tra i due procedimenti, ta
le da incentivare «l'opposizione al decreto fatta al solo scopo di patteggiare una definizione più vantaggiosa, cosa che il legis latore sicuramente ha voluto evitare perché, come si legge nella
relazione al progetto preliminare, la diminuzione fino alla metà
è stata prevista 'per rendere particolarmente appetibile l'acquie scenza alla definizione anticipata del procedimento penale' consi
derandola evidentemente il massimo incentivo prevedibile senza
snaturare la pena, tenuto anche conto che esso è destinato ad
operare rispetto ad illeciti da sanzionare con la sola pena pecu niaria e, dunque, di regola non particolarmente gravi, diversa
mente da quelli che possono formare oggetto di patteggiamento». Ma un'ulteriore riflessione porta a ritenere l'infondatezza del
l'interpretazione seguita dal tribunale che si pone, infatti, in con
trasto sul piano logico con il sistema che tende ad incoraggiare,
premiandoli con congrua riduzione di pena, quei comportamenti del responsabile che, seppur non necessariamente ispirati da au
tentico ravvedimento, realizzano, comunque, l'eliminazione o,
quanto meno, la mitigazione delle conseguenze dannose del reato
o che riconosce la minore capacità offensiva dell'agente in consi
derazione della sua condotta di vita o delle sue condizioni perso
nali, come la minore età o la più limitata intensità del dolo per l'accertata diminuzione delle capacità intellettive o volitive dello
stesso ovvero la sua marginale partecipazione al fatto-reato ri
spetto ai correi. Per cui tali comportamenti e dette situazioni,
che innegabilmente attingono in una più ampia visione della vi
cenda criminosa la sfera della persona offesa o evidenziano le
possibilità di recupero e di reinserimento sociale del responsabile,
risulterebbero pesantemente penalizzati a favore di scelte mera
mente utilitaristiche premiate, infatti, con una riduzione di pena
addirittura doppia (2/3) rispetto a quella loro riservata dalla leg
ge (in misura non eccedente 1/3). Con scarsa aderenza alla stessa
logica del sistema penale al quale non può essere estraneo il pre
cetto costituzionale che esalta la funzione emendativa della pena,
certamente non correlata a meccanismi di sfoltimento del carico
dei processi negli uffici giudiziari e di accelerazione del corso del la giustizia.
6. - Soccorrono nell'interpretazione della contestata formula
dell'art. 444 c.p.p., in maniera tanto più incisiva per quanto è
ambigua la lettera della legge, i lavori preparatori richiamati in
ricorso che attestano le reali intenzioni del legislatore nel momen
to della formulazione ultima della direttiva 45, poi recepita nella
legge di delega e nel codice di rito penale. Laddove la commissio ne giustizia del senato nel modificare la direttiva 44 nel testo tras
messo dalla camera dei deputati ebbe a motivare le proprie scelte,
che prevedevano tra l'altro l'innalzamento del tetto massimo pre
visto per il patteggiamento a due anni di reclusione o di arresto,
affermando che «nella soluzione ora proposta... il riferimento
non va, dunque, fatto alla pena edittale ma a quella irrogabile
in concreto», sicché l'esclusione di qualsiasi riferimento ai fini
della riduzione della pena consentita al minimo di quella edittal
mente prevista, lungi dal poter essere intesa come un'involontaria
omissione del legislatore delegante, corrisponde ad un consapevo
le e determinato orientamento dallo stesso seguito e manifestato.
Di cui v'è riscontro ulteriore sia nella relazione della commissio
ne giustizia della camera dei deputati, che operava in sede di se
conda lettura della legge di delega dopo le modifiche introdotte
dal senato nella quale a proposito dei mezzi di incentivazione
previsti per indurre l'imputato a domandare la pena o a concor
darla con il pubblico ministero si precisava che «a questo scopo
la delega assicura al condannato la riduzione di un terzo della
pena», sia in quella della IV commissione permanente della ca
mera dei deputati, risalente al gennaio 1987 ove, a pag. 107, si
legge che «nella direttiva 45 l'accordo è stato incentivato attra
verso la diminuzione di un terzo della pena» ed a pag. Ill, a
Il Foro Italiano — 1990.
proposito del giudizio per decreto, che «la diminuzione della pe na sino alla metà trova la sua ragione nella constatazione che
per gli altri procedimenti semplificati (giudizio abbreviato di cui alla direttiva 53 ed applicazione della pena su richiesta delle parti di cui alla direttiva 45) l'incentivo premiale prevede una diminu
zione di pena sino ad un terzo». Donde il costante, esplicito e
concorde riferimento da parte di entrambi i rami del parlamento ad uno «scalo», seppur variabile di pena secondo la logica dell'i stituto, da apportare nella misura massima di un terzo della pena
già in concreto determinata sulla pena stessa senza alcun riferi
mento a parametri di altro tipo o a diversi criteri di diminuzione.
Mentre a nulla rileva, neppure ai fini dell'interpretazione storico
evolutiva della locuzione normativa in oggetto, l'assunto del tri
bunale per cui la maggior misura della riduzione della pena de
tentiva fino al residuo terzo del minimo edittale dovrebbe ritener
si comunque introdotta nel rinnovato sistema del rito penale in
quadrandosi nel processo di profonda trasformazione subito
dall'istituto del patteggiamento nel corso del surrichiamato iter
della legge di delega e, quindi, in linea con le direttrici della rifor ma realizzata con la stessa e con gli scopi prefissati, trattandosi
di affermazione priva di fondamento proprio perché smentita in
sede di lavori parlamentari e preparatori in cui sono state indivi
duate nella sostanza e definite negli effetti le innovazioni intro
dotte in materia che di per sé hanno incisivamente realizzato l'al
largamento degli spazi operativi dell'istituto. Cosi adeguatamente
appagando le aspettative insorte nel parlamento «sulla base della
consapevolezza degli innegabili vantaggi per la deflazione e la
celerità della giustizia derivanti dal potenziamento, in generale dei meccanismi processuali differenziati e, in particolare, di que sta nuova specie di patteggiamento» (cfr. pag. 106 rei.).
Sicché, ogni diversa previsione circa una maggiore dilatazione quantitativa della riduzione di pena prevista dall'art. 444 c.p.p.
corrisponde, al massimo, ad una mera aspirazione de iure con
dendo dell'interprete e non alla realtà normativa.
Né potrebbe ragionevolmente affermarsi che con l'interpreta zione patrocinata dal p.m., di cui è stata riscontrata la fondatez
za, il patteggiamento verrebbe sul piano pratico sostanzialmente
ad allinearsi al giudizio abbreviato con conseguente caduta di ogni incentivazione per l'imputato non più interessato a ricorrervi in
relazione anche alla «variabilità» dello «sconto di pena» previsto
per l'uno rispetto alla riduzione fissa stabilita per l'altro, proprio
per l'ampio spazio riservato dalla legge all'iniziativa ed al potere dispositivo dell'imputato nella quantificazione della pena riscon
trabile nel patteggiamento che riguarda, infatti, il merito e si ri
flette sul rito a differenza del giudizio abbreviato che, concernen
do solo il rito, esclude ogni possibilità d'intervento dell'imputato in ordine alla determinazione della pena riservata al potere di
screzionale del giudice, tenuto solo ad applicare la riduzione fissa
stabilita ex lege dopo aver liberamente quantificato la pena stessa
nell'applicazione dei criteri di cui agli art. 133 e 69 c.p. E ciò a prescindere dall'ampia gamma degli altri, vantaggiosi
incentivi premiali esclusivamente previsti per il patteggiamento negli art. 444, 445 e 689, 2° comma, lett. e, c.p.p. in cui il legislatore
delegato ha tradotto le «ulteriori misure» rimessegli da quello
delegante per disciplinare gli «altri effetti della pronuncia» che di per sé non possono che concorrere ad orientare l'imputato nel
la scelta del rito alternativo contribuendo, cosi, a realizzare con
il patteggiamento uno di quegli agili meccanismi si sfoltimento,
ma certamente il più efficace e di più larga diffusione, predispo sti ai fini della riforma del sistema di rito penale.
7. - Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono ritiene
il collegio di dover annullare per violazione di legge l'impugnata
sentenza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Rovereto.
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