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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 24 marzo 1990; Pres....

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sezioni unite penali; sentenza 24 marzo 1990; Pres. Brancaccio, Est. Della Penna, P.M. Piccininni (concl. conf.); ric. P.m. c. Borzaghini. Annulla Trib. Trento 24 ottobre 1989 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp. 413/414-417/418 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183643 . Accessed: 25/06/2014 10:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.163 on Wed, 25 Jun 2014 10:36:36 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 24 marzo 1990; Pres. Brancaccio, Est. Della Penna, P.M. Piccininni(concl. conf.); ric. P.m. c. Borzaghini. Annulla Trib. Trento 24 ottobre 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.413/414-417/418Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183643 .

Accessed: 25/06/2014 10:36

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GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 24 mar zo 1990; Pres. Brancaccio, Est. Della Penna, P.M. Picci

ninni (conci, conf.); ric. P.m. c. Borzaghini. Annulla Trib.

Trento 24 ottobre 1989.

CORTE DI CASSAZIONE;

Pena (applicazione su richiesta) — Diminuzione — Misura con

sentita di un terzo (Cod. proc. pen. del 1988, art. 444).

La locuzione «pena diminuita fino a un terzo», contenuta nel

l'art. 444 c.p.p. del 1988, va interpretata nel senso che il «ter

zo» si riferisce alla massima quantità di pena di cui può essere

ridotta quella concordata dalle parti senza alcun riferimento al risultato finale dell'operazione (di riduzione), per cui le parti possono concordare una riduzione di pena nel limite massimo

non di due terzi, ma di un terzo. (1)

(1) Con la sentenza in epigrafe le sezioni unite prendono opportuna mente posizione su di una controversa questione interpretativa, di note vole rilevanza pratica, provocata dall'ambigua formulazione testuale del la nuova disciplina del «patteggiamento».

Che tale ambiguità avrebbe finito con lo scaricare sulla giurisprudenza la scelta della soluzione più corretta, era stato in verità preconizzato già in sede di primi commenti (cfr., ad es., Dubolino, Pubblico ministero e riti alternativi, in Quaderni Cons. sup. magistratura, 1989, fase. 27, 400; Ferrajoli, Patteggiamenti e crisi della giurisdizione, in Questione giustizia, 1989, 375). A riprova della fondatezza di una simile profezia, la prima prassi applicativa ha visto i giudici di merito discordi proprio sul punto fondamentale relativo alla determinazione dell'ammontare del la pena riducibile in base all'accordo delle parti. Delle due soluzioni in

terpretative astrattamente proponibili, la più estensiva, che perviene alla conclusione di ritenere l'espressione «fino a un terzo» riferita all'entità della pena risultante dalla diminuzione, è stata accolta da Trib. Genova 16 novembre 1989 e 15 novembre 1989, Foro it., 1990, II, 35, con nota di richiami; v. ancora Trib. Alba 14 dicembre 1989, Arch, nuova proc. pen., 1990, 173; Trib. Matera 6 novembre 1989, Giur. it., 1990, II, 62, con note rispettive di Grassano e Sechi.

Per la soluzione più restrittiva, sfociante nella tesi che «fino a un ter zo» concerne la misura massima della pena sottraibile e non l'ammontare della pena residua, v. invece Trib. Bari 27 ottobre 1989, ibid., 60; Trib.

Genova, ord. 3 novembre 1989, Foro it., 1990, II, 35; Pret. Lendinara 14 novembre 1989, Arch, nuova proc. pen., 1990, 183.

Quest'ultima soluzione è quella avallata dalle sezioni unite, le quali, nella parte iniziale della motivazione, pur prendono atto che la «questio ne non trova nella lettera della legge affidabile chiave di lettura prestan dosi la stessa a discordanti interpretazioni». Appunto per superare l'equi vocità del mero dato testuale, la Cassazione riunita riconnette la soluzio ne dello specifico problema ermeneutico innanzitutto alle finalità ed alle caratteristiche del nuovo patteggiamento, e in secondo luogo — sulla ba

se di un'assimilazione analogica della diminuzione di pena in oggetto alle

circostanze attenuanti — ai principi fissati dagli art. 63 e 65 c.p. (cfr.

gli svolgimenti contenuti in motivazione). Per un iter argomentativo fon

damentalmente analogo, v., in dottrina, Lattanzi, L'applicazione della

pena su richiesta delle parti, in AA.VV., Contributi allo studio del nuovo codice di procedura penale a cura di Canzio e altri, Milano, 1989, 114

ss.; per la stessa conclusione, cfr. altresì Dubolino, cit.; Riccio, Procedi menti speciali, in Conso-Grbvi, Profili del nuovo codice di procedura

penale, Padova, 1990, 306; Grassano, Primi interventi giurisprudenziali in ordine all'applicazione della pena su richiesta delle parti, in Giur. it.,

1990, II, 61. Per la tesi contraria, v., in dottrina, Ferrajoli, cit.; Cordero, Codice

di procedura penale commentato, Torino, 1990, 502; Sechi, Determina

zione dell'attenuante per il patteggiamento, in Giur. it., 1990, II, 62.

Circa la natura della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., v. Cass. 19 febbraio 1990, Migliardi, Foro it., 1990, II, 362, con nota

di richiami, che ne ha (ri-)escluso il carattere di sentenza di condanna. Da ultimo, Corte cost. 2 luglio 1990, n. 313, che sarà riportata in un

prossimo fascicolo, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 444, 2° com

ma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che, ai fini e nei limiti di

cui all'art. 27, 3° comma, Cost., il giudice possa valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavo

revole valutazione. Sia il nuovo patteggiamento, sia il nuovo istituto processuale del giudi

zio abbreviato, hanno suscitato in una parte della dottrina riserve dal

punto di vista della loro effettiva compatibilità con la duplice funzione

di prevenzione generale e speciale teoricamente assegnabile alle sanzioni

punitive: cfr. Padovani, Il nuovo codice di procedura penale e la riforma del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, 920 s.; Fiandaca, Dalla riforma del processo alla riforma del codice penale, in corso di

stampa in Questione giustizia. Per una critica più radicale, che sottolinea il contrasto tra i nuovi riti

alternativi ed alcuni principi fondamentali del garantismo penale classico, v. Ferrajoli, cit.; Id., Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari, 1989, 777 ss.

Il Foro Italiano — 1990 — Parte II-ll.

Fatto e diritto. — 1. - Vettori Vittorio, in stato di detenzione, Tria Giuseppe e Borzaghini Enrica, entrambi a piede libero, veni vano tratti a giudizio avanti al Tribunale di Trento per risponde re ciascuno del delitto di cui all'art. 71 1. 22 dicembre 1975 n.

685 per aver il primo venduto ed il secondo acquistato dal pre detto e rivenduto in esecuzione di un medesimo disegno crimino

so quantità non modiche di eroina e per aver la terza illecitamen

te detenuto, siccome accertato in Lavis il 17 giugno 1989, quindi ci grammi di eroina in concorso con il Tria.

All'udienza del 24 ottobre 1989, in cui il tribunale dichiarava la contumacia del Tria, il Vettori e la Borzaghini avanzavano

entrambi ex art. 444 c.p.p. richiesta di applicazione della pena di un anno, quattro mesi di reclusione e lire 1.350.000 di multa da sospendersi condizionalmente ed in via subordinata di ammis

sione a giudizio abbreviato. Il p.m. si opponeva all'accoglimento della richiesta formulata

ai sensi dell'art. 444 c.p.p. dagli imputati rilevando che alla stre

gua dell'anzidetta norma non era «concedibile la riduzione dei

due terzi» sollecitata dai predetti, mentre «nel merito» riteneva

la congruità della pena indicata dalla Borzaghini e «troppo mite

quella indicata dal Vettori».

Decidendo con ordinanza in pari data in ordine alle suindicate

richieste il tribunale, preso atto del parere contrario espresso dal

p.m., riservava pronuncia all'esito del dibattimento sulla richie sta della Borzaghini; disattendeva quella avanzata ex art. 444 c.p.p. dal Vettori, condividendo le ragioni del dissenso espresso dal p.m.

e, con riferimento alla richiesta di giudizio abbreviato formulata

in subordine dal predetto, disponeva la sospensione del procedi mento a suo carico e la separazione degli atti relativi assegnando al p.m. il termine di cinque giorni per il parere.

Con sentenza dello stesso 24 ottobre 1989 il tribunale dichiara

va il Tria, rimasto contumace, colpevole del reato ascrittogli e

10 condannava alla pena di anni 2, mesi 10 di reclusione e lire

4.500.000 di multa con la confisca dei reperti mentre, in accogli mento della richiesta della Borzaghini, «condannava» l'imputata alla pena di un anno, quattro mesi di reclusione e lire 1.350.000

di multa con il beneficio della sospensione condizionale della re

lativa esecuzione.

Limitatamente alla «condanna» della Borzaghini interponeva ricorso per cassazione ex art. 569 c.p.p. il p.m. chiedendo che

la corte riconosciuta l'errata applicazione all'art. 444 c.p.p. da

parte del tribunale annullasse l'impugnata sentenza nella parte relativa alla condanna dell'imputata suddetta con rinvio degli atti

al giudice competente. Pervenuti gli atti a questa Suprema corte, il presidente della

VI sezione penale segnalava con nota del 13 dicembre 1989 l'op

portunità che la questione venisse decisa dalle sezioni unite penali stante la particolare delicatezza della stessa ed il fatto che dai

giudici di merito essa era già stata risolta in maniera contrastan

te. Con provvedimento in pari data il primo presidente assegnava 11 ricorso per la relativa trattazione a queste sezioni unite penali «ritenuta la speciale importanza della questione che ne costituiva

oggetto». 2. - Il tribunale nel decidere in ordine alla richiesta formulata

in via principale dall'imputata implicante l'interpretazione della

«locuzione fino a un terzo» contenuta nell'art. 444 c.p.p. onde

stabilire «se la misura faccia riferimento all'ammontare della di

minuzione o al risultato della stessa e, quindi, alla pena alla qua le in concreto è possibile pervenire» ha condiviso la tesi più favo

revole al reo patrocinata dalla difesa per cui la diminuzione di

pena poteva estendersi fino ai due terzi del minimo edittale indi

cando, infatti, la misura precisata nella norma la pena alla quale restava ridotta per effetto della diminuzione apportata quella da

infliggere, rappresentata, appunto, dal terzo del minimo stesso.

Deponevano in favore di tale interpretazione, secondo il tri

bunale: — la lettera della legge, per cui l'anzidetta locuzione «pena...

diminuita fino ad un terzo» faceva chiaramente intendere che la

misura percentuale era riferita non all'operazione di riduzione ma al risultato cui era consentito pervenire all'esito dell'operazione

stessa; — il confronto della norma in oggetto con la disciplina previ

sta negli art. 64 e 65 c.p. in cui la locuzione «in misura non

eccedente il terzo» è usata per precisare che il limite attiene all'o

perazione di diminuzione mentre quella «fino ad un terzo» è usa

ta in contrapposizione alla prima seppur nell'ipotesi di aumento

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PARTE SECONDA

di pena per esprimere il risultato dell'operazione più che le moda

lità della stessa; — i lavori preparatori che nel loro svolgersi avevano portato

ad ampliare grandemente l'utilizzabilità dell'istituto dell'applica zione concordata della pena. In quanto il testo definitivo della

norma, che in origine limitava ad un terzo della pena edittale

la misura della diminuzione, risultava modificato con l'aumento

della soglia massima da imo a due anni e con la possibilità di

tener conto di ogni attenuante concedibile in concreto, invece,

che del minimo edittale. E, proprio «in tale sede, e quindi nel

l'ottica della rilevante espansione dell'applicabilità dell'istituto»

che era introdotta la modifica in oggetto, anche se della stessa

non v'era menzione nei lavori preparatori, all'evidente scopo di

rendere più agevole il ricorso al patteggiamento. Ha contestato il p.m. ricorrente tutte le argomentazioni formu

late dal tribunale a fondamento della decisione adottata, assu

mendo che in sede di applicazione della pena su richiesta delle

parti la pena da irrogare non poteva essere diminuita in misura

superiore ad un terzo della stessa già in concreto determinata.

Come, nonostante l'obiettiva ambivalenza della lettera della nor

ma in oggetto che si prestava, infatti, per la sua ambigua formu

lazione ad indicare sia la massima estensione della diminuzione

sia l'entità della pena residua dopo la riduzione apportata e che, di per sé, rendeva vano il confronto con le espressioni usate in

altri testi legislativi per esprimere gli stessi concetti, era reso ma

nifesto dai lavori parlamentari e, in genere, preparatori che ave

vano portato all'attuale formulazione della norma in questione. Per cui ben poteva ritenersi che «la volontà del parlamento» era

stata «quella di introdurre una nuova attenuante dall'estensione

massima di un terzo».

3. - L'istituto dell'«applicazione della pena su richiesta delle parti» realizza, come testualmente precisato nella relazione al pro

getto preliminare del codice di procedura penale, che sembra op

portuno richiamare per il più esatto inquadramento del thema

d'indagine, uno dei «due nuovi schemi processuali» nei quali è

stato attuato in termini inediti il principio del «premio incentivo» per atteggiamenti di «meritorietà processuali dell'imputato». In

quanto, pur rifacendosi da vicino alle forme del c.d. «patteggia mento» introdotto nel sistema del rito penale con la 1. 24 novem

bre 1981 n. 689 (art. 77-85), differisce ontologicamente da detto

istituto di cui non riproduce, infatti, il carattere di «beneficio» riconosciuto a quest'ultimo (cfr. Corte cost. 16 luglio 1987, n.

267, Foro it., 1987, I, 2600). Tanto che, a differenza dell'altro, il patteggiamento previsto dall'art. 444 c.p.p. è sottratto alla va

lutazione discrezionale del giudice, è reiteratamente lucratole, non

soffre esclusione ratione personae, non è incompatibile con il «be

neficio» della sospensione condizionale della pena alla cui con

cessione può, anzi, essere subordinata la stessa richiesta mentre

neppure consente discriminazioni di natura oggettiva in relazione

a specifici reati o categorie di reato purché punibili con pena de tentiva temporanea, ammettendo come unico limite alla sua ope ratività il contenimento della pena «pattuita» e, comunque, indi

cata nella richiesta in una misura predeterminata per legge. Al

riguardo va utilmente ricordato, proprio in considerazione dei ri

ferimenti contenuti in sentenza e nell'interposto ricorso, che il

«patteggiamento» comparso per la prima volta nella legge di de

lega del codice di procedura penale nella direttiva 35, terza parte, del testo licenziato nel marzo 1982 dal comitato ristretto della

commissione giustizia della camera dei deputati ha subito, nel

lungo e travagliato iter parlamentare della suddetta legge, un pro

gressivo ampliamento dell'ambito di operatività tanto che la for

mula iniziale che lo limitava alle pene detentive non superiori a tre mesi («possono chiedere... l'applicazione... di una pena de

tentiva in misura pari a quella minima edittale del reato per cui

si procede diminuita di un terzo e, comunque, non superiore a

tre mesi di reclusione o di arresto») è stata progressivamente mo

dificata portando il limite, prima, ad un anno nella direttiva 44 approvata dalla camera («possono chiedere... l'applicazione della

pena detentiva minima prevista per il reato tenuto conto delle

circostanze, diminuita di non oltre un terzo e, comunque, non

superiore a un anno di reclusione o di arresto solo o congiunto con pena pecuniaria») e, infine, a due anni in quello della com missione giustizia del senato, poi divenuto legge e trasfuso nel

l'art. 444 del vigente codice di rito penale («possono chiedere... l'applicazione della pena detentiva irrogabile per il reato quando

essa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo

Il Foro Italiano — 1990.

non superi due anni di reclusione o di arresto soli o congiunti a pena pecuniaria»).

4. - Tanto premesso, ritiene il collegio che la questione posta dal ricorso del p.m. di Trento non trova nella lettera della legge affidabile chiave di lettura prestandosi la stessa, per come è for

mulata, a discordanti interpretazioni. In quanto l'espressione nor

mativa «diminuita fino a un terzo» può ritenersi riferita, dato che ogni pena ha un suo minimo ed un massimo edittale, al risul

tato ultimo dell'operazione, secondo quanto affermato dal tribu

nale nell'impugnata sentenza (pena diminuita «fino» al terzo del

minimo edittale) ovvero correlata all'entità massima della ridu

zione (pena diminuita al più di un terzo) in forza dell'interpreta zione sostenuta dal ricorrente, riscontrata dal dato formale del

nessun esplicito riferimento nella disposizione in oggetto alla pe na edittale. Equivocità che, peraltro, ben s'intende superata ove

si consideri la suindicata formula nell'intero contesto della dispo sizione o meglio dell'istituto giuridico in cui trovasi inserita, che è incentrato, appunto, sull'accordo delle parti proprio in ordine

alla quantificazione della pena da proporre al giudice e che nei

limiti fissati dalla legge può costituire oggetto di «patteggiamen to». Per cui la locuzione prepositiva «fino a» nella stessa conte

nuta per essere correttamente intesa va letta con riferimento alla

tipicità della procedura di cui è espressione caratterizzata dalla

partecipazione, in veste di necessario interlocutore dell'imputato, del p.m. Il quale può, appunto «offrire — come esattamente rile

vato in dottrina — meno del massimo consentito dalla legge» dalla quale è, infatti, previsto uno «sconto variabile» rispetto a

quello «fisso» accordato nel rito gemello del giudizio abbreviato

sicché la stessa, concernendo le sole modalità del patteggiamento, «è unicamente espressione di uno spazio di contrattazione lascia

to alle parti». Cosi chiarito il senso e la portata della locuzione prepositiva

«fino a», risulta, allora, evidente che il «terzo» indicato nell'art.

444 c.p.p. concerne soltanto la massima quantità di pena di cui

può essere ridotta quella concordata dalle parti senza alcun riferi

mento al risultato finale dell'operazione. Come, peraltro, già av

vertito in dottrina, per cui «niente lascia supporre che rispetto allo sconto fisso di un terzo della pena quantificata nel giudizio abbreviato dal giudice con riguardo a tutte le circostanze l'incen

tivo venga raddoppiato in un rito gemello quale il patteggiamen

to, ma come lascia ritenere anche l'impiego, dopo la locuzione

propositiva «fino a», dell'articolo indeterminativo «un» in luogo di quello determinativo «il» che il legislatore avrebbe presumibil mente usato per indicare il limite ultimo della riduzione apporta rle sul minimo della pena edittale, analogamente a quanto di

sposto nell'art. 221 1. fall, a proposito delle pene previste nel

capo I «ridotte fino al terzo» in caso di applicazione del procedi mento sommario al fallimento.

Ma, soprattutto, come deve ritenersi in coerenza alla natura

giuridica ed alla disciplina della diminuzione in oggetto, che sep pur non rientra tra le attenuanti in senso tecnico perché non cor

relabile ad alcun degli elementi tipici considerati dall'art. 70 c.p.

proprio perché prescinde dal reato e dalla personalità dell'impu tato incentrandosi esclusivamente sulla «meritorietà processuale» dello stesso si qualifica come una causa di riduzione della pena

regolata, alla pari delle attenuanti, dall'art. 63 c.p. Eppertanto, da una norma relativa a tutte le cause che, costituenti o meno

circostanze di reato, influiscono comunque sulla quantificazione della pena. Per cui la locuzione normativa adottata dall'art. 444

c.p.p. nel senso sopraindicato riscontra la sua disciplina nei prin cipi fissati dal citato art. 63 c.p. e dall'art. 65 c.p. che dello stes so costituisce il completamento normativo precisandone l'ambito

di operatività. Sicché la diminuzione va operata, secondo il com binato disposto degli art. 63 e 65 c.p. sulla quantità della pena che il giudice applicherebbe al colpevole «qualora non concorres

se la circostanza che la fa... diminuire» ed «in misura non ecce

dente un terzo». Donde l'assoluta conformità ai principi regola tori fissati in materia dal diritto sostanziale dell'interpretazione che pone il limite massimo della riduzione da apportare sulla pe na concretamente determinata in forza delle circostanze eventual

mente ricorrenti e del giudizio di comparazione in misura comun

que non superiore ad un terzo della pena stessa.

5. - Né va trascurato il rilievo desumibile dall'interpretazione sistematica della norma che il legislatore del vigente codice di rito penale allorquando ha inteso fare riferimento alla pena edit

tale minima non ha lasciato all'interprete il compito di stabilirlo

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GIURISPRUDENZA PENALE

avendovi provveduto direttamente, tanto che nel procedimento

per decreto ha testualmente disposto nel 2° comma dell'art. 453

che «il p.m. può chiedere l'applicazione di una pena diminuita

sino alla metà rispetto al minimo edittale». Vale, inoltre, rilevare

che se la diminuzione prevista dall'art. 444 potesse raggiungere i due terzi della pena «il patteggiamento darebbe luogo — come

giustamente rilevato in dottrina — ad un trattamento più vantag

gioso di quello previsto per il decreto penale che può avere ad

oggetto una pena diminuita fino alla metà senza gli altri effetti

vantaggiosi riconosciuti alla sentenza di patteggiamento». Il che

implicherebbe un rapporto irrazionale tra i due procedimenti, ta

le da incentivare «l'opposizione al decreto fatta al solo scopo di patteggiare una definizione più vantaggiosa, cosa che il legis latore sicuramente ha voluto evitare perché, come si legge nella

relazione al progetto preliminare, la diminuzione fino alla metà

è stata prevista 'per rendere particolarmente appetibile l'acquie scenza alla definizione anticipata del procedimento penale' consi

derandola evidentemente il massimo incentivo prevedibile senza

snaturare la pena, tenuto anche conto che esso è destinato ad

operare rispetto ad illeciti da sanzionare con la sola pena pecu niaria e, dunque, di regola non particolarmente gravi, diversa

mente da quelli che possono formare oggetto di patteggiamento». Ma un'ulteriore riflessione porta a ritenere l'infondatezza del

l'interpretazione seguita dal tribunale che si pone, infatti, in con

trasto sul piano logico con il sistema che tende ad incoraggiare,

premiandoli con congrua riduzione di pena, quei comportamenti del responsabile che, seppur non necessariamente ispirati da au

tentico ravvedimento, realizzano, comunque, l'eliminazione o,

quanto meno, la mitigazione delle conseguenze dannose del reato

o che riconosce la minore capacità offensiva dell'agente in consi

derazione della sua condotta di vita o delle sue condizioni perso

nali, come la minore età o la più limitata intensità del dolo per l'accertata diminuzione delle capacità intellettive o volitive dello

stesso ovvero la sua marginale partecipazione al fatto-reato ri

spetto ai correi. Per cui tali comportamenti e dette situazioni,

che innegabilmente attingono in una più ampia visione della vi

cenda criminosa la sfera della persona offesa o evidenziano le

possibilità di recupero e di reinserimento sociale del responsabile,

risulterebbero pesantemente penalizzati a favore di scelte mera

mente utilitaristiche premiate, infatti, con una riduzione di pena

addirittura doppia (2/3) rispetto a quella loro riservata dalla leg

ge (in misura non eccedente 1/3). Con scarsa aderenza alla stessa

logica del sistema penale al quale non può essere estraneo il pre

cetto costituzionale che esalta la funzione emendativa della pena,

certamente non correlata a meccanismi di sfoltimento del carico

dei processi negli uffici giudiziari e di accelerazione del corso del la giustizia.

6. - Soccorrono nell'interpretazione della contestata formula

dell'art. 444 c.p.p., in maniera tanto più incisiva per quanto è

ambigua la lettera della legge, i lavori preparatori richiamati in

ricorso che attestano le reali intenzioni del legislatore nel momen

to della formulazione ultima della direttiva 45, poi recepita nella

legge di delega e nel codice di rito penale. Laddove la commissio ne giustizia del senato nel modificare la direttiva 44 nel testo tras

messo dalla camera dei deputati ebbe a motivare le proprie scelte,

che prevedevano tra l'altro l'innalzamento del tetto massimo pre

visto per il patteggiamento a due anni di reclusione o di arresto,

affermando che «nella soluzione ora proposta... il riferimento

non va, dunque, fatto alla pena edittale ma a quella irrogabile

in concreto», sicché l'esclusione di qualsiasi riferimento ai fini

della riduzione della pena consentita al minimo di quella edittal

mente prevista, lungi dal poter essere intesa come un'involontaria

omissione del legislatore delegante, corrisponde ad un consapevo

le e determinato orientamento dallo stesso seguito e manifestato.

Di cui v'è riscontro ulteriore sia nella relazione della commissio

ne giustizia della camera dei deputati, che operava in sede di se

conda lettura della legge di delega dopo le modifiche introdotte

dal senato nella quale a proposito dei mezzi di incentivazione

previsti per indurre l'imputato a domandare la pena o a concor

darla con il pubblico ministero si precisava che «a questo scopo

la delega assicura al condannato la riduzione di un terzo della

pena», sia in quella della IV commissione permanente della ca

mera dei deputati, risalente al gennaio 1987 ove, a pag. 107, si

legge che «nella direttiva 45 l'accordo è stato incentivato attra

verso la diminuzione di un terzo della pena» ed a pag. Ill, a

Il Foro Italiano — 1990.

proposito del giudizio per decreto, che «la diminuzione della pe na sino alla metà trova la sua ragione nella constatazione che

per gli altri procedimenti semplificati (giudizio abbreviato di cui alla direttiva 53 ed applicazione della pena su richiesta delle parti di cui alla direttiva 45) l'incentivo premiale prevede una diminu

zione di pena sino ad un terzo». Donde il costante, esplicito e

concorde riferimento da parte di entrambi i rami del parlamento ad uno «scalo», seppur variabile di pena secondo la logica dell'i stituto, da apportare nella misura massima di un terzo della pena

già in concreto determinata sulla pena stessa senza alcun riferi

mento a parametri di altro tipo o a diversi criteri di diminuzione.

Mentre a nulla rileva, neppure ai fini dell'interpretazione storico

evolutiva della locuzione normativa in oggetto, l'assunto del tri

bunale per cui la maggior misura della riduzione della pena de

tentiva fino al residuo terzo del minimo edittale dovrebbe ritener

si comunque introdotta nel rinnovato sistema del rito penale in

quadrandosi nel processo di profonda trasformazione subito

dall'istituto del patteggiamento nel corso del surrichiamato iter

della legge di delega e, quindi, in linea con le direttrici della rifor ma realizzata con la stessa e con gli scopi prefissati, trattandosi

di affermazione priva di fondamento proprio perché smentita in

sede di lavori parlamentari e preparatori in cui sono state indivi

duate nella sostanza e definite negli effetti le innovazioni intro

dotte in materia che di per sé hanno incisivamente realizzato l'al

largamento degli spazi operativi dell'istituto. Cosi adeguatamente

appagando le aspettative insorte nel parlamento «sulla base della

consapevolezza degli innegabili vantaggi per la deflazione e la

celerità della giustizia derivanti dal potenziamento, in generale dei meccanismi processuali differenziati e, in particolare, di que sta nuova specie di patteggiamento» (cfr. pag. 106 rei.).

Sicché, ogni diversa previsione circa una maggiore dilatazione quantitativa della riduzione di pena prevista dall'art. 444 c.p.p.

corrisponde, al massimo, ad una mera aspirazione de iure con

dendo dell'interprete e non alla realtà normativa.

Né potrebbe ragionevolmente affermarsi che con l'interpreta zione patrocinata dal p.m., di cui è stata riscontrata la fondatez

za, il patteggiamento verrebbe sul piano pratico sostanzialmente

ad allinearsi al giudizio abbreviato con conseguente caduta di ogni incentivazione per l'imputato non più interessato a ricorrervi in

relazione anche alla «variabilità» dello «sconto di pena» previsto

per l'uno rispetto alla riduzione fissa stabilita per l'altro, proprio

per l'ampio spazio riservato dalla legge all'iniziativa ed al potere dispositivo dell'imputato nella quantificazione della pena riscon

trabile nel patteggiamento che riguarda, infatti, il merito e si ri

flette sul rito a differenza del giudizio abbreviato che, concernen

do solo il rito, esclude ogni possibilità d'intervento dell'imputato in ordine alla determinazione della pena riservata al potere di

screzionale del giudice, tenuto solo ad applicare la riduzione fissa

stabilita ex lege dopo aver liberamente quantificato la pena stessa

nell'applicazione dei criteri di cui agli art. 133 e 69 c.p. E ciò a prescindere dall'ampia gamma degli altri, vantaggiosi

incentivi premiali esclusivamente previsti per il patteggiamento negli art. 444, 445 e 689, 2° comma, lett. e, c.p.p. in cui il legislatore

delegato ha tradotto le «ulteriori misure» rimessegli da quello

delegante per disciplinare gli «altri effetti della pronuncia» che di per sé non possono che concorrere ad orientare l'imputato nel

la scelta del rito alternativo contribuendo, cosi, a realizzare con

il patteggiamento uno di quegli agili meccanismi si sfoltimento,

ma certamente il più efficace e di più larga diffusione, predispo sti ai fini della riforma del sistema di rito penale.

7. - Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono ritiene

il collegio di dover annullare per violazione di legge l'impugnata

sentenza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Rovereto.

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