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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 28 giugno 1988; Pres. Zucconi...

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sezioni unite penali; sentenza 28 giugno 1988; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Aliano, P. M. Piccininni (concl. diff.); ric. Rosso. Annulla senza rinvio Trib. Torino 19 aprile 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp. 615/616-619/620 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23182789 . Accessed: 28/06/2014 08:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.97.126 on Sat, 28 Jun 2014 08:30:40 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 28 giugno 1988; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Aliano, P. M.Piccininni (concl. diff.); ric. Rosso. Annulla senza rinvio Trib. Torino 19 aprile 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.615/616-619/620Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182789 .

Accessed: 28/06/2014 08:30

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PARTE SECONDA

zione ad associazione di tipo mafioso armata (art. 416 bis, 1°

e 4° comma, c.p.). L'ordinanza di rinvio a giudizio venne depositata il 23 ottobre

1987. Con istanza del 20 ottobre 1988, prima della costituzione della

corte di assise, Vincenzo Macrì, detenuto, chiese alla sezione istrut

toria di Reggio Calabria di essere scarcerato, per decorrenza dei

termini di custodia cautelare, alla scadenza dell'anno dal rinvio

a giudizio, ossia per il 23 ottobre 1988, non essendo intervenuta

sentenza di condanna in primo grado (il dibattimento era fissato

per il 23 novembre 1988). La sezione istruttoria, con ordinanza del 27 ottobre 1988, ri

gettò l'istanza.

Ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione l'imputa

to, che denuncia violazione dell'art. 272, 3° comma, n. 5, c.p.p., deducendo che, pur essendo imputato del delitto previsto dal

l'art. 416 bis c.p., l'ipotesi a lui ascritta prevede una pena nel

massimo inferiore a quindici anni di reclusione e precisamente di dieci anni, con conseguente inapplicabilità del termine di un anno e sei mesi.

Il ricorso è infondato.

Il termine di un anno e sei mesi dal deposito dell'ordinanza

di rinvio a giudizio è previsto, dal n. 5 del 3° comma dell'art. 272 c.p.p., in tre ipotesi: a) quando la legge prevede la pena della

reclusione non inferiore nel massimo a venti anni o la pena del

l'ergastolo; b) quando si tratta dei delitti di cui agli art. 416 bis

c.p. e 75 1. 22 dicembre 1975 n. 685; c) quando si tratta di delitti

commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordina

mento costituzionale puniti con pena non inferiore nel massimo

a quindici anni di reclusione. Le tre ipotesi sono autonome e disgiuntamente considerate, co

me è reso palese, per la prima e la seconda, dall'uso della con

giunzione «ovvero» e, per la seconda e la terza, dall'uso della

congiunzione «nonché» con valore aggiuntivo nel senso di «e inol

tre». Quindi la condizione della pena non inferiore nel massimo

a quindici anni di reclusione si riferiva soltanto all'ultima ipotesi e non si estende alla seconda, altrimenti non sarebbe stata usata

la congiunzione «nonché», che distacca nettamente la terza ipote si dalla precedente, bensì' la semplice congiunzione «e».

Ciò posto, palesemente al momento in cui venne pronunciata l'ordinanza impugnata (27 ottobre 1988) non era decorso il ter

mine di un anno e sei mesi dal deposito dell'ordinanza di rinvio

a giudizio (23 ottobre 1987), termine che è stato correttamente

applicato dal giudice di merito.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 28 giu gno 1988; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Aliano, P. M. Piccininni (conci, diff.); ric. Rosso. Annulla senza rinvio Trib. Torino 19 aprile 1985.

Amnistia, indulto e grazia — Amnistia — Cause ostative — Abi tualità nel reato — Operatività (Cod. pen., art. 103, 109, 151, 183; cod. proc. pen. del 1930, art. 152; d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865, concessione di amnistia e di indulto, art. 4).

La declaratoria di delinquenza abituale ritenuta dal giudice, ai sensi dell'art. 103 c.p., ha natura costitutiva e non dichiarati

va, dipendendo unicamente ed immediatamente dalla qualifica zione discrezionalmente espressa dal giudice; pertanto, la di

chiarazione di abitualità non ancora irrevocabile alla data di entrata in vigore del provvedimento di clemenza, dotata di effi cacia ex nunc, non osta all'applicazione dell'amnistia. (1)

(1) La decisione delle sezioni unite su riprodotta si segnala giacché, contrariamente alla prevalente giurisprudenza, afferma la natura costitu tiva della declaratoria di delinquenza abituale ritenuta dal giudice ex art. 103 c.p.; pertanto, si ammette che, quale qualificazione giuridica origina ta esclusivamente dalla decisione discrezionale del giudice, la dichiarazio

Il Foro Italiano — 1989.

Fatto. — Con sentenza del 7 febbraio 1984 il Pretore di Torino

condannava Rosso Francesco per il reato di emissione di assegni a vuoto — maggiore gravità del caso — (art. 116, 1° comma,

n. 2, e 2° comma, r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736), con la recidiva

qualificata, a mesi uno di reclusione e lire 700.000 di multa, rite

nendolo delinquente abituale, ai sensi dell'art. 103 c.p., ed asse

gnandolo, a pena espiata, ad una colonia agricola per la durata

minima di anni due.

Si gravava l'imputato, ma il Tribunale di Torino, con sentenza

del 19 aprile 1985, confermava la decisione del pretore. Ha pro

posto ricorso per cassazione il Rosso, denunciando:

1 °) il difetto di motivazione della sentenza circa il diniego della rinnovazione del dibattimento, volta ad accertare, ai fini della

concessione delle attenuanti generiche, da ritenersi quanto meno

equivalenti all'aggravante (ed alla recidiva), che aveva pagato, sia pure tardivamente, l'assegno bancario;

2°) il vizio di motivazione circa il rigetto dell'istanza di riunio ne, ai fini della continuazione nel reato, del presente ad altro

procedimento;

3°), la violazione dell'art. 103 c.p., nonché il difetto di motiva

zione della sentenza circa la declaratoria di abitualità nel reato,

pronunciata dai giudici di merito in base ai soli suoi precedenti

penali e nell'erroneo convincimento che, in difficoltà economi

che, usasse avvalersi dell'emissione di assegni privi di fondi di

copertura, per procurarsi finanziamenti.

La decisione del ricorso, assegnato alla sezione V penale è stata

rimessa alle sezioni unite con decreto del primo presidente in data

30 ottobre 1987, in relazione al contrasto giurisprudenziale sul

l'applicabilità dell'intervenuta amnistia al delinquente abituale, come tale ritenuto dal giudice con la stessa sentenza impugnata.

Diritto. — Il Rosso è stato dichiarato invero delinquente abi

ne di abitualità contenuta nella sentenza non ancora passata in giudicato e dotata di efficacia ex nunc, non precluda l'applicazione dell'amnistia

(in questo senso, nell'ambito della giurisprudenza finora minoritaria, v. Cass. 24 novembre 1987, Cottura, Foro it., Rep. 1988, voce Amnistia, n. 27; 15 luglio 1987, Poma, ibid., n. 28; 16 gennaio 1980, Iallarida, id., Rep. 1981, voce cit., n. 86; come lontano precedente, cfr. Cass. 16 novembre 1959, Pizzano, id., Rep. 1960, voce Delinquente abituale, n. 9).

In senso contrario la giurisprudenza dominante, secondo la quale la declaratoria di delinquenza abituale, non avendo carattere costitutivo bensì'

dichiarativo, opera con efficacia ex tunc-, ne consegue che la dichiarazio ne di abitualità, riferentesi a reati commessi precedentemente all'emana zione del decreto di clemenza, è ritenuta ostativa all'applicazione dell'am nistia anche nell'ipotesi in cui la sentenza che la dichiara sia divenuta irrevocabile successivamente all'entrata in vigore del decreto medesimo

(cosi, Cass. 8 aprile 1986, Pesce, id., Rep. 1987, voce Amnistia, n. 32; 18 dicembre 1985, D'Amico, ibid., n. 33; 7 maggio 1985, Simoncini, id., Rep. 1986, voce cit., n. 32; 11 ottóbre 1984, Santagostino, id., Rep. 1985, voce cit., n. 113; 21 novembre 1983, Oniscodi, id., Rep. 1984, voce cit., n. 31; 9 maggio 1983, Calzolari, ibid., n. 146; 26 novembre 1982, Maz

zucchelli, ibid., n. 30; 4 novembre 1981, Bianco, id., Rep. 1982, voce

cit., n. 131; 7 maggio 1974, Kofler, id., Rep. 1975, voce Esecuzione pe nale, n. 24).

Analogamente alla giurisprudenza risulta divisa anche la dottrina: per la natura dichiarativa propendono Virgilio, in Bricola-Zagrebelsky, Giu

risprudenza sistematica di diritto penale, Torino, 1984, II, 897; Frosali, Sistema del diritto penale italiano, Torino, 1958, II, 365; a favore della natura costitutiva, cfr. Pannain, Circa la contestazione delle circostanze le quali costituiscono il fondamento delle dichiarazioni di abitualità, pro fessionalità nel reato, tendenza a delinquere, in Riv. pen., 1937, 562; Frisoli, Annotazioni sulla recente amnistia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 19.

È comunque da precisare che, rispetto alla diversa questione della na tura dell'abitualità presunta dalla legge ex art. 102 c.p., le sezioni unite ne avevano già affermato il carattere dichiarativo con sentenza 10 ottobre

1987, Leonardi, Cass. pen., 1988, 239 e, per altra parte, Foro it., 1988, II, 288.

Beninteso, la distinzione tra abitualità presunta e abitualità ritenuta dal giudice è ormai priva di rilevanza, stante l'avvenuta abrogazione delle presunzioni legali di pericolosità ex art. 31 1. 663/86: in proposito, e per le connesse implicazioni di varia natura sul terreno giuridico penale, cfr. Marini, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, 875; R. L. Russo, Il necessario accertamento della pericolosità sociale, in AA. VV., Le nuo ve norme sull'ordinamento penitenziario, a cura di G. Flora, Milano, 1987, 55.

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GIURISPRUDENZA PENALE

tuale ex art. 103 c.p. con la stessa sentenza impugnata, che lo ha condannato per emissione di assegni a vuoto. Il reato, com messo il 20 febbraio 1983, è compreso fra quelli per i quali è stata concessa amnistia con d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865, ma

l'art. 4, lett. a), di tale decreto, seguendo la generale previsione di cui all'ultimo comma dell'art. 151 c.p. esclude dal beneficio

i delinquenti abituali. Per cui, operando l'amnistia, quale causa estintiva del reato, ai sensi del 1° comma dell'art. 183 c.p., nel

momento in cui interviene e con riferimento alla situazione giuri dica soggettiva nella quale è l'imputato in quel momento, la solu

zione della questione è nello stabilire se l'abitualità nel reato rite

nuta dal giudice sia di natura costitutiva (Cass., sez. V, 16 gen naio 1980, Iallarida, Foro it., Rep. 1981, voce Amnistia, n. 86; cfr. altresì' Cass., sez. II, 16 novembre 1959, Pizzano, id., Rep.

1960, voce Delinquente abituale, n. 9) oppure meramente dichia

rativa, secondo l'indirizzo giurisprudenziale assolutamente preva lente (da ultimo, Cass., sez. VI, 7 maggio 1985, Simoncini, id.,

Rep. 1986, voce Amnistia, n. 32). Giacché nella prima ipotesi la declaratoria, avendo efficacia ex nunc, non ostacolerebbe mai

l'applicazione dell'amnistia, in quanto non ancora pronunciata, con provvedimento irrevocabile, alla data di operatività del de

creto di clemenza (16 dicembre 1986). Mentre nella seconda, ope rando con effetto ex tunc, dalla data cioè in cui, antecedentemen

te all'entrata in vigore del decreto di clemenza, il Rosso commise

l'ultimo dei reati considerati ai fini dell'abitualità (20 febbraio 1983), la precluderebbe, sempre che diventi irrevocabile la sen

tenza con la quale fu pronunciata. Va infatti precisato, essendo anche questa materia di contrasto

giurisprudenziale, che, per essere ostativa all'applicazione dell'a

mnistia, la dichiarazione di abitualità nel reato (presunta o rite

nuta dal giudice), sia essa di natura dichiarativa o costitutiva —

come si vedrà —, deve derivare da provvedimento irrevocabile:

da sentenza del giudice di cognizione o da decreto del magistrato di sorveglianza successivamente alla condanna ed anche dopo l'e

secuzione della pena, secondo la dizione dell'art. 109, 2° comma,

c.p. Trattasi invero di accertamento di carattere squisitamente giu risdizionale concernente la condizione di criminosità del soggetto ed il suo status penale, cui sono connessi molteplici effetti sostan

ziali, oltre che processuali penali, quali appunto l'inapplicabilità dell'amnistia e dell'indulto, l'applicazione della pena accessoria

dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, l'inapplicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 3, c.p., la non concedibilità

della sospensione condizionale della pena e del perdono giudizia

le, l'inestinguibilità delle pene della reclusione e della multa, il

raddoppiamento del termine di estinzione delle pene dell'arresto

e dell'ammenda, il raddoppiamento del termine per la concessio

ne della riabilitazione, infine, la non concedibilità delle autoriz

zazioni di polizia. La conseguenza più importante è tuttavia l'a

dozione nei confronti dei delinquenti abituali delle misure di sicu

rezza, che hanno peraltro anch'esse natura giurisdizionale e penale, secondo la dottrina più recente. Nel sistema giuridico penale la

dichiarazione di abitualità nel reato e di delinquenza qualificata in genere è finalizzata anzi, essenzialmente, all'applicazione delle

misure di sicurezza.

Di identico carattere giurisdizionale è, all'evidenza, il decreto, motivato ed impugnabile (art. 639 ss. c.p.p. vigente, art. 670 e

671 prog. prel. nuovo c.p.p.), con il quale il magistrato di sorve

glianza può pronunciare, anche dopo l'esecuzione della pena —

come s'è cennato —, la dichiarazione di abitualità (o di profes

sionalità) nel reato. A norma dell'art. 69, 4° comma, 1. 26 luglio 1975 n. 354 (ordinamento penitenziario), siccome sostituito dal

l'art. 21 1. 10 ottobre 1986 n. 663, egli provvede inoltre con de

creto motivato, in occasione dell'applicazione, dell'esecuzione, della

trasformazione e della revoca, anche anticipata, delle misure di

sicurezza, all'eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza

abituale (professionale o per tendenza), sia ex art. 103 che —

si noti — ex art. 102 c.p. La vecchia normativa ammetteva invece all'art. 109, 4° com

ma, c.p. soltanto l'estinzione della dichiarazione di abitualità (pro

fessionalità e tendenza a delinquere) per effetto della riabilitazio

ne, pur prevedendo all'art. 207 la revoca delle misure di sicurezza

ed all'art. 208 il riesame della pericolosità. L'art. 69, 4° comma,

1. cit. fa riferimento proprio a tale ultima disposizione e, quindi, alla nozione di pericolosità sociale di cui all'art. 203 c.p., richie dendo per la revoca una prognosi di segno opposto a quella ne

II Foro Italiano — 1989.

cessaria alla dichiarazione di abitualità (e di delinquenza qualifi cata in genere), da formularsi sempre alla stregua delle circostan

ze indicate nell'art. 133 c.p.: il convincimento del magistrato che il condannato, per la condotta da lui serbata e per le sue mutate

condizioni soggettive, non ricadrà nel reato, né è più, quindi, socialmente pericoloso. La revoca della declaratoria rileva ai fini

dell'amnistia (oltre che dell'indulto), non precludendone l'appli

cazione, come ricordato, del resto, dall'art. 4, 1° comma, lett.

a), d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865. Va però subito chiarito che essa, fondandosi su circostanze sopravvenute, idonee a far ritene

re solo cessata la pericolosità sociale del soggetto, ha efficacia

ex nunc, dal momento cioè in cui interviene. Donde l'intangibili tà della pregressa situazione giuridica e dei provvedimenti even

tualmente adottati nel corso di essa.

Rimane da determinare la natura della dichiarazione di abitua

lità ritenuta dal giudice, che è senz'altro diversa da quella della

dichiarazione di abitualità presunta dalla legge. Di recente queste sezioni unite hanno statuito, sia pure ai fini

dell'applicabilità dell'indulto, che, attesa la formulazione del te

sto dell'art. 102 c.p., la declaratoria di abitualità nel delitto pre sunta dalla legge non ha natura, né efficacia costitutiva di uno

status bensì semplicemente ricognitiva a seguito dell'avvenuto ac

certamento delle condiciones iuris in base alle quali deve ritenersi

già sussistente quello status sin dal momento in cui dette condi

zioni sono maturate, cosi da farne retroagire gli effetti a quello stesso momento (sent. 10 ottobre 1987, Leonardi, id., 1988, II, 288 e Cass, pen., 1988, 239). In effetti, il giudice «dichiara» la delinquenza abituale in presenza di elementi necessari e sufficien

ti tassativamente stabiliti dal legislatore, senza esprimere una pro

pria valutazione giuridica, ma limitandosi a verificare la ricorren

za di tali condizioni. La valutazione, quella essenziale e decisiva

concernente l'abitualità, l'ha compiuta già il legislatore, che, in

base a dati della comune esperienza corrispondenti ad indicazioni

socio-criminologiche e con una tecnica normativa di tipizzazione di «fattispecie di pericolosità» ritenuta costituzionalmente legitti ma (Corte cost. n. 140/82, Foro it., 1982, I, 2107; cfr. altresì'

sent. n. 143/76, id., 1976, I, 2776), ha considerato «dedito al

reato» e, per ciò, socialmente pericoloso chi, dopo essere stato

condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi della stessa indole, com

messi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un'altra

condanna per un delitto non colposo della stessa indole, e com

messo entro dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti. Mentre il giudice interviene solo per dare certezza alla situazione

giuridica, senza che dall'accertamento consegua un effetto giuri dico nuovo ed immediato. La situazione giuridica da lui accertata

finisce per convergere dunque, nell'essenziale, con quella preesi stente nella norma, che contiene già la qualificazione soggettiva

predetta: il giudice la riconosce soltanto, accertandone i presup

posti, senza crearla, né attribuirla. V'è, insomma, nella declara

toria di abitualità presunta — mutuando ancora il concetto dalla

processualistica civile — un'attuazione e non anche una produ zione di uno stato giuridico. Di conseguenza, la declaratoria ex

art. 102 c.p., per la sua natura meramente dichiarativa, ha effet

to non già dal momento della sua pronuncia, bensì da quello in cui, con la commissione dell'ultimo dei reati considerati ai fini dell'abitualità, si sono verificate le condizioni dalle quali deriva

immediatamente, ope legis, lo stato di criminosità del soggetto. Con riferimento all'amnistia, perché l'abitualità presunta ne pre cluda l'applicazione, è necessario, pertanto, che l'ultimo dei reati

considerati ai predetti fini sia stato commesso anteriormente al

l'entrata in vigore del decreto di clemenza. È necessario altresì'

che l'abitualità risulti dichiarata irrevocabilmente (con sentenza

del giudice di cognizione o con decreto del magistrato di sorve

glianza), anche se dopo l'entrata in vigore del decreto di clemen

za, e che la declaratoria non sia stata, d'altro canto, revocata,

prima di tale data, ex art. 69, 4° comma, 1. n. 354 del 1975 cit.

Non è neppure da escludersi la possibilità, peraltro già considera

ta dalla giurisprudenza di questa corte (sez. VI 7 maggio 1974,

Kofler, id., Rep. 1975, voce Esecuzione penale, n. 24), che il

giudizio sull'applicabilità dell'amnistia sia sospeso in attesa del l'accertamento, pregiudiziale, dell'abitualità nel reato.

Diversa natura ed efficacia ha la declaratoria di abitualità rite

nuta dal giudice, nei delitti e nelle contravvenzioni, e di delin

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PARTE SECONDA

quenza professionale o per tendenza. Nell'ipotesi di cui all'art.

103 c.p. il giudice, nel presupposto della duplice condanna per delitti non colposi e dell'ulteriore condanna per delitto non col

poso, perviene alla «pronuncia» della dichiarazione di abitualità

nel delitto ove si convinca, in base alla specie ed alla gravità dei

reati, al tempo entro il quale sono stati commessi, alla condotta, al genere di vita del colpevole ed alle altre circostanze indicate

nel capoverso dell'art. 133 c.p., che il soggetto è persona dedita

appunto al delitto. In presenza, questa volta, di elementi non

sufficientemente idonei — o ritenuti idonei solo in termini astrat

ti o probabilistici — a dimostrare l'abitualità nel reato, il legisla tore ne ha demandato il concreto e conclusivo accertamento al

giudice, conferendogli ampia discrezionalità ed indicandogli, esem

plificativamente e non tassativamente, i predetti parametri di va

lutazione della pericolosità sociale. L'accertamento ha carattere

costitutivo, dipendendo unicamente ed immediatamente dalla «qua lificazione» discrezionalmente espressa dal giudice, per gli effetti

giuridici materiali ad essa collegati, la modificazione dello stato

penale del soggetto. Cosi come dipende esclusivamente dal decre

to del magistrato di sorveglianza ex art. 69, 4° comma, ord. pe nit. l'estinzione di tale stato.

La declaratoria ha, per ciò, effetto dal momento della sua pro nuncia. La quale, in tanto osta all'applicazione dell'amnistia, in

quanto sia irrevocabile alla data di entrata in vigore del decreto

di clemenza. Va rilevato infine — per esaurire la tematica sopra delineata — che non è nemmeno ostativa la declaratoria che, pro nunciata con provvedimento divenuto definitivo, sia stata (suc

cessivamente) revocata dal magistrato di sorveglianza, sempre pri ma della predetta data.

La declaratoria non irrevocabile emessa nei confronti del Ros

so con l'impugnata sentenza non precluse dunque l'applicazione dell'amnistia di cui al d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865. Sussistono

le condizioni oggettive e non ricorre altra causa di esclusione sog

gettiva. La sentenza va, conseguentemente, annullata senza rinvio, per

ché il reato ascritto all'imputato è estinto appunto per amnistia, non potendo farsi luogo pregiudizialmente — alla stregua della

decisione impugnata e per l'ammissione di responsabilità fatta

dallo stesso Rosso — al proscioglimento del merito, ai sensi del

l'art. 152 cpv. c.p.p. L'annullamento investe, ovviamente, la stessa declaratoria di

abitualità nel reato, oggetto del terzo motivo del ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 16 mar zo 1988; Pres. Gambino, Rei. Mele, P.M. (conci, diff.); ric. Ghilardini. Correzione di errori materiali.

Sentenza, ordinanza e decreto in materia penale — Correzione di errori materiali — Ambito di applicazione — Fattispecie (Cod.

proc. pen. del 1930, art. 149).

Il procedimento di correzione degli errori materiali di cui all'art. 149 c.p.p. del 1930 deve essere inteso, oltre il tenore letterale

della relativa disposizione, quale rimedio ad errori produttivi di una manifesta ingiustizia diversamente non evitabile; a tale

procedura si può, pertanto, ricorrere anche per correggere l'in

dicazione del tempus commissi delicti, sulla base di oggettive risultanze del processo e, conseguentemente, dichiarare estinto il reato per prescrizione. (1)

(1) La decisione si inserisce nel solco della giurisprudenza della Corte di cassazione volta ad ampliare l'ambito di applicabilità del procedimento di correzione degli errori materiali di cui all'art. 149 c.p.p. del 1930.

Analogamente, nel senso che può essere corretta nella sentenza la data del commesso reato secondo le forme e i modi di cui all'art. 149 c.p.p. del 1930, v. Cass. 13 ottobre 1961, Casoni, Foro it., Rep. 1962, voce Sentenza penale, n. 254; 5 luglio 1984, Bedoni, id., Rep. 1985, voce Istru zione penale, n. 30.

Il Foro Italiano — 1989.

Per un compiuto esame della fattispecie, appare opportuno ri

costruire le vicende processuali che hanno portato alla sentenza

della quale si chiede la correzione.

Ghilardini Paolo fu condannato dal Tribunale di Busto Arsizio

con sentenza del 18 giugno 1985 alla pena di anni tre e mesi

otto di reclusione per violenza carnale in danno della bambina

Carabelli Luisella. Pur non essendo indicata nella contestazione

la data di commissione del fatto, ma quella della denuncia, essa

era ugualmente ricavabile dalla descrizione dell'addebito come com

messo in danno di una bambina di nove anni: essendo la Cara

belli nata nell'ottobre del 1964, risultava convalidata cosi l'affer

mazione della stessa parte lesa, secondo la quale il fatto si era

verificato nell'estate del 1973.

Nella predetta sentenza, il tribunale, dichiarando prescritti altri

reati concorrenti, ebbe a negare la prescrizione per il reato di

violenza carnale perché evidentemente soggetto a prescrizione ul

tra decennale. Del tutto incidentalmente però, con riferimento

specifico agli altri reati dichiarati estinti, si affermava che i fatti

dovevano ritenersi commessi comunque entro il 1974, con la con

seguente prescrizione allo scadere dell'anno 1984.

Il Ghilardini proponeva impugnazione avverso tale sentenza,

chiedendo, tra l'altro, la concessione delle attenuanti generiche e la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 29 novembre

1985, in accoglimento di tale motivo, concedeva le attenuanti ge neriche e riduceva la pena ad anni due e mesi sei di reclusione.

Nel successivo ricorso per cassazione l'imputato deduceva che,

per effetto della concessione delle attenuanti generiche, doveva

essere applicata la prescrizione decennale e quindi dichiararsi estinto

anche il reato di violenza carnale. Ma questa corte, con sentenza

del 21 ottobre 1986, respingeva il ricorso, pur condividendo la

tesi difensiva in astratto, perché riteneva che, per effetto degli atti interruttivi intervenuti successivamente, la prescrizione non

si era ancora realizzata.

Con istanza depositata il 5 maggio 1987, il Ghilardini chiede che, ai sensi dell'art. 149 c.p.p., la sentenza venga corretta essen

do frutto di erronea valutazione di un dato essenziale, costituito

dal promovimento dell'azione penale solo a seguito della scoper ta delle fotografie che ritraevano gli amplessi con la Carabelli,

scoperta denunciata con rapporto dell'8 marzo 1984 e cioè dopo dieci anni dalla commissione del fatto. Rileva inoltre che non

può tenersi conto degli atti interruttivi, in quanto essi sono idonei

ad allungare i termini prescrizionali solo quando la prescrizione ordinaria è in corso, non quando questa si sia già compiuta.

Il procuratore generale rileva che, pur essendo esatta giuridica mente la tesi difensiva, essa non riguarderebbe la fattispecie in

questione perché il tribunale nella sua sentenza aveva, come si

è accennato, collocato la commisisone del fatto entro il 1974, con la conseguenza di spostare in tal modo la prescrizione ordi

naria alla fine del 1984 e quindi di ritenere validi ed operativi gli atti di interruzione successivi al promovimento nei termini del l'azione penale.

L'istanza è fondata e va accolta.

Il primo problema che la corte deve risolvere e sul quale il

procuratore generale non solleva alcuna questione è quello del

l'ammissibilità della procedura di correzione di errore materiale

nell'ipotesi in argomento. Nella specie, si tende ad ottenere un

provvedimento che, rivedendo il contenuto della precedente deci

sione, pervenga a risultati ben diversi: si chiede infatti che, rileva

ta l'erroneità nella precisazione di un elemento non secondario

della decisione (quello relativo alla data di commissione del fatto) se ne tragga la conseguenza dell'improcedibilità per prescrizione.

Si tratta certamente di una singolare applicazione dell'istituto

della correzione dell'errore materiale, previsto dalla legge proces suale per rettificare omissioni od errori che non producano nulli

tà o la cui correzione non comporti una modificazione essenziale

dell'atto, come testualmente recita l'art. 149 c.p.p. L'ipotesi clas

sica è certamente quella dell'errore di pura forma, rilevabile dal

contesto stesso del provvedimento o comunque dal confronto con

altro atto col quale quello da correggere sia in insanabile contra sto letterale o ideologico. Il limite in ogni caso sarebbe costituito

dall'impossibilità della modificazione essenziale dell'atto, inten dendosi per tale non solo la sostituzione di un atto ad un altro, ma anche l'alterazione sostanziale del contenuto in modo che l'atto

finisca con il dichiarare una volontà del tutto diversa da quella

espressa prima della correzione.

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