sezioni unite penali; sentenza 28 giugno 1988; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Aliano, P. M.Piccininni (concl. diff.); ric. Rosso. Annulla senza rinvio Trib. Torino 19 aprile 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.615/616-619/620Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182789 .
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PARTE SECONDA
zione ad associazione di tipo mafioso armata (art. 416 bis, 1°
e 4° comma, c.p.). L'ordinanza di rinvio a giudizio venne depositata il 23 ottobre
1987. Con istanza del 20 ottobre 1988, prima della costituzione della
corte di assise, Vincenzo Macrì, detenuto, chiese alla sezione istrut
toria di Reggio Calabria di essere scarcerato, per decorrenza dei
termini di custodia cautelare, alla scadenza dell'anno dal rinvio
a giudizio, ossia per il 23 ottobre 1988, non essendo intervenuta
sentenza di condanna in primo grado (il dibattimento era fissato
per il 23 novembre 1988). La sezione istruttoria, con ordinanza del 27 ottobre 1988, ri
gettò l'istanza.
Ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione l'imputa
to, che denuncia violazione dell'art. 272, 3° comma, n. 5, c.p.p., deducendo che, pur essendo imputato del delitto previsto dal
l'art. 416 bis c.p., l'ipotesi a lui ascritta prevede una pena nel
massimo inferiore a quindici anni di reclusione e precisamente di dieci anni, con conseguente inapplicabilità del termine di un anno e sei mesi.
Il ricorso è infondato.
Il termine di un anno e sei mesi dal deposito dell'ordinanza
di rinvio a giudizio è previsto, dal n. 5 del 3° comma dell'art. 272 c.p.p., in tre ipotesi: a) quando la legge prevede la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a venti anni o la pena del
l'ergastolo; b) quando si tratta dei delitti di cui agli art. 416 bis
c.p. e 75 1. 22 dicembre 1975 n. 685; c) quando si tratta di delitti
commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordina
mento costituzionale puniti con pena non inferiore nel massimo
a quindici anni di reclusione. Le tre ipotesi sono autonome e disgiuntamente considerate, co
me è reso palese, per la prima e la seconda, dall'uso della con
giunzione «ovvero» e, per la seconda e la terza, dall'uso della
congiunzione «nonché» con valore aggiuntivo nel senso di «e inol
tre». Quindi la condizione della pena non inferiore nel massimo
a quindici anni di reclusione si riferiva soltanto all'ultima ipotesi e non si estende alla seconda, altrimenti non sarebbe stata usata
la congiunzione «nonché», che distacca nettamente la terza ipote si dalla precedente, bensì' la semplice congiunzione «e».
Ciò posto, palesemente al momento in cui venne pronunciata l'ordinanza impugnata (27 ottobre 1988) non era decorso il ter
mine di un anno e sei mesi dal deposito dell'ordinanza di rinvio
a giudizio (23 ottobre 1987), termine che è stato correttamente
applicato dal giudice di merito.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 28 giu gno 1988; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Aliano, P. M. Piccininni (conci, diff.); ric. Rosso. Annulla senza rinvio Trib. Torino 19 aprile 1985.
Amnistia, indulto e grazia — Amnistia — Cause ostative — Abi tualità nel reato — Operatività (Cod. pen., art. 103, 109, 151, 183; cod. proc. pen. del 1930, art. 152; d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865, concessione di amnistia e di indulto, art. 4).
La declaratoria di delinquenza abituale ritenuta dal giudice, ai sensi dell'art. 103 c.p., ha natura costitutiva e non dichiarati
va, dipendendo unicamente ed immediatamente dalla qualifica zione discrezionalmente espressa dal giudice; pertanto, la di
chiarazione di abitualità non ancora irrevocabile alla data di entrata in vigore del provvedimento di clemenza, dotata di effi cacia ex nunc, non osta all'applicazione dell'amnistia. (1)
(1) La decisione delle sezioni unite su riprodotta si segnala giacché, contrariamente alla prevalente giurisprudenza, afferma la natura costitu tiva della declaratoria di delinquenza abituale ritenuta dal giudice ex art. 103 c.p.; pertanto, si ammette che, quale qualificazione giuridica origina ta esclusivamente dalla decisione discrezionale del giudice, la dichiarazio
Il Foro Italiano — 1989.
Fatto. — Con sentenza del 7 febbraio 1984 il Pretore di Torino
condannava Rosso Francesco per il reato di emissione di assegni a vuoto — maggiore gravità del caso — (art. 116, 1° comma,
n. 2, e 2° comma, r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736), con la recidiva
qualificata, a mesi uno di reclusione e lire 700.000 di multa, rite
nendolo delinquente abituale, ai sensi dell'art. 103 c.p., ed asse
gnandolo, a pena espiata, ad una colonia agricola per la durata
minima di anni due.
Si gravava l'imputato, ma il Tribunale di Torino, con sentenza
del 19 aprile 1985, confermava la decisione del pretore. Ha pro
posto ricorso per cassazione il Rosso, denunciando:
1 °) il difetto di motivazione della sentenza circa il diniego della rinnovazione del dibattimento, volta ad accertare, ai fini della
concessione delle attenuanti generiche, da ritenersi quanto meno
equivalenti all'aggravante (ed alla recidiva), che aveva pagato, sia pure tardivamente, l'assegno bancario;
2°) il vizio di motivazione circa il rigetto dell'istanza di riunio ne, ai fini della continuazione nel reato, del presente ad altro
procedimento;
3°), la violazione dell'art. 103 c.p., nonché il difetto di motiva
zione della sentenza circa la declaratoria di abitualità nel reato,
pronunciata dai giudici di merito in base ai soli suoi precedenti
penali e nell'erroneo convincimento che, in difficoltà economi
che, usasse avvalersi dell'emissione di assegni privi di fondi di
copertura, per procurarsi finanziamenti.
La decisione del ricorso, assegnato alla sezione V penale è stata
rimessa alle sezioni unite con decreto del primo presidente in data
30 ottobre 1987, in relazione al contrasto giurisprudenziale sul
l'applicabilità dell'intervenuta amnistia al delinquente abituale, come tale ritenuto dal giudice con la stessa sentenza impugnata.
Diritto. — Il Rosso è stato dichiarato invero delinquente abi
ne di abitualità contenuta nella sentenza non ancora passata in giudicato e dotata di efficacia ex nunc, non precluda l'applicazione dell'amnistia
(in questo senso, nell'ambito della giurisprudenza finora minoritaria, v. Cass. 24 novembre 1987, Cottura, Foro it., Rep. 1988, voce Amnistia, n. 27; 15 luglio 1987, Poma, ibid., n. 28; 16 gennaio 1980, Iallarida, id., Rep. 1981, voce cit., n. 86; come lontano precedente, cfr. Cass. 16 novembre 1959, Pizzano, id., Rep. 1960, voce Delinquente abituale, n. 9).
In senso contrario la giurisprudenza dominante, secondo la quale la declaratoria di delinquenza abituale, non avendo carattere costitutivo bensì'
dichiarativo, opera con efficacia ex tunc-, ne consegue che la dichiarazio ne di abitualità, riferentesi a reati commessi precedentemente all'emana zione del decreto di clemenza, è ritenuta ostativa all'applicazione dell'am nistia anche nell'ipotesi in cui la sentenza che la dichiara sia divenuta irrevocabile successivamente all'entrata in vigore del decreto medesimo
(cosi, Cass. 8 aprile 1986, Pesce, id., Rep. 1987, voce Amnistia, n. 32; 18 dicembre 1985, D'Amico, ibid., n. 33; 7 maggio 1985, Simoncini, id., Rep. 1986, voce cit., n. 32; 11 ottóbre 1984, Santagostino, id., Rep. 1985, voce cit., n. 113; 21 novembre 1983, Oniscodi, id., Rep. 1984, voce cit., n. 31; 9 maggio 1983, Calzolari, ibid., n. 146; 26 novembre 1982, Maz
zucchelli, ibid., n. 30; 4 novembre 1981, Bianco, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 131; 7 maggio 1974, Kofler, id., Rep. 1975, voce Esecuzione pe nale, n. 24).
Analogamente alla giurisprudenza risulta divisa anche la dottrina: per la natura dichiarativa propendono Virgilio, in Bricola-Zagrebelsky, Giu
risprudenza sistematica di diritto penale, Torino, 1984, II, 897; Frosali, Sistema del diritto penale italiano, Torino, 1958, II, 365; a favore della natura costitutiva, cfr. Pannain, Circa la contestazione delle circostanze le quali costituiscono il fondamento delle dichiarazioni di abitualità, pro fessionalità nel reato, tendenza a delinquere, in Riv. pen., 1937, 562; Frisoli, Annotazioni sulla recente amnistia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 19.
È comunque da precisare che, rispetto alla diversa questione della na tura dell'abitualità presunta dalla legge ex art. 102 c.p., le sezioni unite ne avevano già affermato il carattere dichiarativo con sentenza 10 ottobre
1987, Leonardi, Cass. pen., 1988, 239 e, per altra parte, Foro it., 1988, II, 288.
Beninteso, la distinzione tra abitualità presunta e abitualità ritenuta dal giudice è ormai priva di rilevanza, stante l'avvenuta abrogazione delle presunzioni legali di pericolosità ex art. 31 1. 663/86: in proposito, e per le connesse implicazioni di varia natura sul terreno giuridico penale, cfr. Marini, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, 875; R. L. Russo, Il necessario accertamento della pericolosità sociale, in AA. VV., Le nuo ve norme sull'ordinamento penitenziario, a cura di G. Flora, Milano, 1987, 55.
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GIURISPRUDENZA PENALE
tuale ex art. 103 c.p. con la stessa sentenza impugnata, che lo ha condannato per emissione di assegni a vuoto. Il reato, com messo il 20 febbraio 1983, è compreso fra quelli per i quali è stata concessa amnistia con d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865, ma
l'art. 4, lett. a), di tale decreto, seguendo la generale previsione di cui all'ultimo comma dell'art. 151 c.p. esclude dal beneficio
i delinquenti abituali. Per cui, operando l'amnistia, quale causa estintiva del reato, ai sensi del 1° comma dell'art. 183 c.p., nel
momento in cui interviene e con riferimento alla situazione giuri dica soggettiva nella quale è l'imputato in quel momento, la solu
zione della questione è nello stabilire se l'abitualità nel reato rite
nuta dal giudice sia di natura costitutiva (Cass., sez. V, 16 gen naio 1980, Iallarida, Foro it., Rep. 1981, voce Amnistia, n. 86; cfr. altresì' Cass., sez. II, 16 novembre 1959, Pizzano, id., Rep.
1960, voce Delinquente abituale, n. 9) oppure meramente dichia
rativa, secondo l'indirizzo giurisprudenziale assolutamente preva lente (da ultimo, Cass., sez. VI, 7 maggio 1985, Simoncini, id.,
Rep. 1986, voce Amnistia, n. 32). Giacché nella prima ipotesi la declaratoria, avendo efficacia ex nunc, non ostacolerebbe mai
l'applicazione dell'amnistia, in quanto non ancora pronunciata, con provvedimento irrevocabile, alla data di operatività del de
creto di clemenza (16 dicembre 1986). Mentre nella seconda, ope rando con effetto ex tunc, dalla data cioè in cui, antecedentemen
te all'entrata in vigore del decreto di clemenza, il Rosso commise
l'ultimo dei reati considerati ai fini dell'abitualità (20 febbraio 1983), la precluderebbe, sempre che diventi irrevocabile la sen
tenza con la quale fu pronunciata. Va infatti precisato, essendo anche questa materia di contrasto
giurisprudenziale, che, per essere ostativa all'applicazione dell'a
mnistia, la dichiarazione di abitualità nel reato (presunta o rite
nuta dal giudice), sia essa di natura dichiarativa o costitutiva —
come si vedrà —, deve derivare da provvedimento irrevocabile:
da sentenza del giudice di cognizione o da decreto del magistrato di sorveglianza successivamente alla condanna ed anche dopo l'e
secuzione della pena, secondo la dizione dell'art. 109, 2° comma,
c.p. Trattasi invero di accertamento di carattere squisitamente giu risdizionale concernente la condizione di criminosità del soggetto ed il suo status penale, cui sono connessi molteplici effetti sostan
ziali, oltre che processuali penali, quali appunto l'inapplicabilità dell'amnistia e dell'indulto, l'applicazione della pena accessoria
dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, l'inapplicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 3, c.p., la non concedibilità
della sospensione condizionale della pena e del perdono giudizia
le, l'inestinguibilità delle pene della reclusione e della multa, il
raddoppiamento del termine di estinzione delle pene dell'arresto
e dell'ammenda, il raddoppiamento del termine per la concessio
ne della riabilitazione, infine, la non concedibilità delle autoriz
zazioni di polizia. La conseguenza più importante è tuttavia l'a
dozione nei confronti dei delinquenti abituali delle misure di sicu
rezza, che hanno peraltro anch'esse natura giurisdizionale e penale, secondo la dottrina più recente. Nel sistema giuridico penale la
dichiarazione di abitualità nel reato e di delinquenza qualificata in genere è finalizzata anzi, essenzialmente, all'applicazione delle
misure di sicurezza.
Di identico carattere giurisdizionale è, all'evidenza, il decreto, motivato ed impugnabile (art. 639 ss. c.p.p. vigente, art. 670 e
671 prog. prel. nuovo c.p.p.), con il quale il magistrato di sorve
glianza può pronunciare, anche dopo l'esecuzione della pena —
come s'è cennato —, la dichiarazione di abitualità (o di profes
sionalità) nel reato. A norma dell'art. 69, 4° comma, 1. 26 luglio 1975 n. 354 (ordinamento penitenziario), siccome sostituito dal
l'art. 21 1. 10 ottobre 1986 n. 663, egli provvede inoltre con de
creto motivato, in occasione dell'applicazione, dell'esecuzione, della
trasformazione e della revoca, anche anticipata, delle misure di
sicurezza, all'eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza
abituale (professionale o per tendenza), sia ex art. 103 che —
si noti — ex art. 102 c.p. La vecchia normativa ammetteva invece all'art. 109, 4° com
ma, c.p. soltanto l'estinzione della dichiarazione di abitualità (pro
fessionalità e tendenza a delinquere) per effetto della riabilitazio
ne, pur prevedendo all'art. 207 la revoca delle misure di sicurezza
ed all'art. 208 il riesame della pericolosità. L'art. 69, 4° comma,
1. cit. fa riferimento proprio a tale ultima disposizione e, quindi, alla nozione di pericolosità sociale di cui all'art. 203 c.p., richie dendo per la revoca una prognosi di segno opposto a quella ne
II Foro Italiano — 1989.
cessaria alla dichiarazione di abitualità (e di delinquenza qualifi cata in genere), da formularsi sempre alla stregua delle circostan
ze indicate nell'art. 133 c.p.: il convincimento del magistrato che il condannato, per la condotta da lui serbata e per le sue mutate
condizioni soggettive, non ricadrà nel reato, né è più, quindi, socialmente pericoloso. La revoca della declaratoria rileva ai fini
dell'amnistia (oltre che dell'indulto), non precludendone l'appli
cazione, come ricordato, del resto, dall'art. 4, 1° comma, lett.
a), d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865. Va però subito chiarito che essa, fondandosi su circostanze sopravvenute, idonee a far ritene
re solo cessata la pericolosità sociale del soggetto, ha efficacia
ex nunc, dal momento cioè in cui interviene. Donde l'intangibili tà della pregressa situazione giuridica e dei provvedimenti even
tualmente adottati nel corso di essa.
Rimane da determinare la natura della dichiarazione di abitua
lità ritenuta dal giudice, che è senz'altro diversa da quella della
dichiarazione di abitualità presunta dalla legge. Di recente queste sezioni unite hanno statuito, sia pure ai fini
dell'applicabilità dell'indulto, che, attesa la formulazione del te
sto dell'art. 102 c.p., la declaratoria di abitualità nel delitto pre sunta dalla legge non ha natura, né efficacia costitutiva di uno
status bensì semplicemente ricognitiva a seguito dell'avvenuto ac
certamento delle condiciones iuris in base alle quali deve ritenersi
già sussistente quello status sin dal momento in cui dette condi
zioni sono maturate, cosi da farne retroagire gli effetti a quello stesso momento (sent. 10 ottobre 1987, Leonardi, id., 1988, II, 288 e Cass, pen., 1988, 239). In effetti, il giudice «dichiara» la delinquenza abituale in presenza di elementi necessari e sufficien
ti tassativamente stabiliti dal legislatore, senza esprimere una pro
pria valutazione giuridica, ma limitandosi a verificare la ricorren
za di tali condizioni. La valutazione, quella essenziale e decisiva
concernente l'abitualità, l'ha compiuta già il legislatore, che, in
base a dati della comune esperienza corrispondenti ad indicazioni
socio-criminologiche e con una tecnica normativa di tipizzazione di «fattispecie di pericolosità» ritenuta costituzionalmente legitti ma (Corte cost. n. 140/82, Foro it., 1982, I, 2107; cfr. altresì'
sent. n. 143/76, id., 1976, I, 2776), ha considerato «dedito al
reato» e, per ciò, socialmente pericoloso chi, dopo essere stato
condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi della stessa indole, com
messi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un'altra
condanna per un delitto non colposo della stessa indole, e com
messo entro dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti. Mentre il giudice interviene solo per dare certezza alla situazione
giuridica, senza che dall'accertamento consegua un effetto giuri dico nuovo ed immediato. La situazione giuridica da lui accertata
finisce per convergere dunque, nell'essenziale, con quella preesi stente nella norma, che contiene già la qualificazione soggettiva
predetta: il giudice la riconosce soltanto, accertandone i presup
posti, senza crearla, né attribuirla. V'è, insomma, nella declara
toria di abitualità presunta — mutuando ancora il concetto dalla
processualistica civile — un'attuazione e non anche una produ zione di uno stato giuridico. Di conseguenza, la declaratoria ex
art. 102 c.p., per la sua natura meramente dichiarativa, ha effet
to non già dal momento della sua pronuncia, bensì da quello in cui, con la commissione dell'ultimo dei reati considerati ai fini dell'abitualità, si sono verificate le condizioni dalle quali deriva
immediatamente, ope legis, lo stato di criminosità del soggetto. Con riferimento all'amnistia, perché l'abitualità presunta ne pre cluda l'applicazione, è necessario, pertanto, che l'ultimo dei reati
considerati ai predetti fini sia stato commesso anteriormente al
l'entrata in vigore del decreto di clemenza. È necessario altresì'
che l'abitualità risulti dichiarata irrevocabilmente (con sentenza
del giudice di cognizione o con decreto del magistrato di sorve
glianza), anche se dopo l'entrata in vigore del decreto di clemen
za, e che la declaratoria non sia stata, d'altro canto, revocata,
prima di tale data, ex art. 69, 4° comma, 1. n. 354 del 1975 cit.
Non è neppure da escludersi la possibilità, peraltro già considera
ta dalla giurisprudenza di questa corte (sez. VI 7 maggio 1974,
Kofler, id., Rep. 1975, voce Esecuzione penale, n. 24), che il
giudizio sull'applicabilità dell'amnistia sia sospeso in attesa del l'accertamento, pregiudiziale, dell'abitualità nel reato.
Diversa natura ed efficacia ha la declaratoria di abitualità rite
nuta dal giudice, nei delitti e nelle contravvenzioni, e di delin
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PARTE SECONDA
quenza professionale o per tendenza. Nell'ipotesi di cui all'art.
103 c.p. il giudice, nel presupposto della duplice condanna per delitti non colposi e dell'ulteriore condanna per delitto non col
poso, perviene alla «pronuncia» della dichiarazione di abitualità
nel delitto ove si convinca, in base alla specie ed alla gravità dei
reati, al tempo entro il quale sono stati commessi, alla condotta, al genere di vita del colpevole ed alle altre circostanze indicate
nel capoverso dell'art. 133 c.p., che il soggetto è persona dedita
appunto al delitto. In presenza, questa volta, di elementi non
sufficientemente idonei — o ritenuti idonei solo in termini astrat
ti o probabilistici — a dimostrare l'abitualità nel reato, il legisla tore ne ha demandato il concreto e conclusivo accertamento al
giudice, conferendogli ampia discrezionalità ed indicandogli, esem
plificativamente e non tassativamente, i predetti parametri di va
lutazione della pericolosità sociale. L'accertamento ha carattere
costitutivo, dipendendo unicamente ed immediatamente dalla «qua lificazione» discrezionalmente espressa dal giudice, per gli effetti
giuridici materiali ad essa collegati, la modificazione dello stato
penale del soggetto. Cosi come dipende esclusivamente dal decre
to del magistrato di sorveglianza ex art. 69, 4° comma, ord. pe nit. l'estinzione di tale stato.
La declaratoria ha, per ciò, effetto dal momento della sua pro nuncia. La quale, in tanto osta all'applicazione dell'amnistia, in
quanto sia irrevocabile alla data di entrata in vigore del decreto
di clemenza. Va rilevato infine — per esaurire la tematica sopra delineata — che non è nemmeno ostativa la declaratoria che, pro nunciata con provvedimento divenuto definitivo, sia stata (suc
cessivamente) revocata dal magistrato di sorveglianza, sempre pri ma della predetta data.
La declaratoria non irrevocabile emessa nei confronti del Ros
so con l'impugnata sentenza non precluse dunque l'applicazione dell'amnistia di cui al d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865. Sussistono
le condizioni oggettive e non ricorre altra causa di esclusione sog
gettiva. La sentenza va, conseguentemente, annullata senza rinvio, per
ché il reato ascritto all'imputato è estinto appunto per amnistia, non potendo farsi luogo pregiudizialmente — alla stregua della
decisione impugnata e per l'ammissione di responsabilità fatta
dallo stesso Rosso — al proscioglimento del merito, ai sensi del
l'art. 152 cpv. c.p.p. L'annullamento investe, ovviamente, la stessa declaratoria di
abitualità nel reato, oggetto del terzo motivo del ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 16 mar zo 1988; Pres. Gambino, Rei. Mele, P.M. (conci, diff.); ric. Ghilardini. Correzione di errori materiali.
Sentenza, ordinanza e decreto in materia penale — Correzione di errori materiali — Ambito di applicazione — Fattispecie (Cod.
proc. pen. del 1930, art. 149).
Il procedimento di correzione degli errori materiali di cui all'art. 149 c.p.p. del 1930 deve essere inteso, oltre il tenore letterale
della relativa disposizione, quale rimedio ad errori produttivi di una manifesta ingiustizia diversamente non evitabile; a tale
procedura si può, pertanto, ricorrere anche per correggere l'in
dicazione del tempus commissi delicti, sulla base di oggettive risultanze del processo e, conseguentemente, dichiarare estinto il reato per prescrizione. (1)
(1) La decisione si inserisce nel solco della giurisprudenza della Corte di cassazione volta ad ampliare l'ambito di applicabilità del procedimento di correzione degli errori materiali di cui all'art. 149 c.p.p. del 1930.
Analogamente, nel senso che può essere corretta nella sentenza la data del commesso reato secondo le forme e i modi di cui all'art. 149 c.p.p. del 1930, v. Cass. 13 ottobre 1961, Casoni, Foro it., Rep. 1962, voce Sentenza penale, n. 254; 5 luglio 1984, Bedoni, id., Rep. 1985, voce Istru zione penale, n. 30.
Il Foro Italiano — 1989.
Per un compiuto esame della fattispecie, appare opportuno ri
costruire le vicende processuali che hanno portato alla sentenza
della quale si chiede la correzione.
Ghilardini Paolo fu condannato dal Tribunale di Busto Arsizio
con sentenza del 18 giugno 1985 alla pena di anni tre e mesi
otto di reclusione per violenza carnale in danno della bambina
Carabelli Luisella. Pur non essendo indicata nella contestazione
la data di commissione del fatto, ma quella della denuncia, essa
era ugualmente ricavabile dalla descrizione dell'addebito come com
messo in danno di una bambina di nove anni: essendo la Cara
belli nata nell'ottobre del 1964, risultava convalidata cosi l'affer
mazione della stessa parte lesa, secondo la quale il fatto si era
verificato nell'estate del 1973.
Nella predetta sentenza, il tribunale, dichiarando prescritti altri
reati concorrenti, ebbe a negare la prescrizione per il reato di
violenza carnale perché evidentemente soggetto a prescrizione ul
tra decennale. Del tutto incidentalmente però, con riferimento
specifico agli altri reati dichiarati estinti, si affermava che i fatti
dovevano ritenersi commessi comunque entro il 1974, con la con
seguente prescrizione allo scadere dell'anno 1984.
Il Ghilardini proponeva impugnazione avverso tale sentenza,
chiedendo, tra l'altro, la concessione delle attenuanti generiche e la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 29 novembre
1985, in accoglimento di tale motivo, concedeva le attenuanti ge neriche e riduceva la pena ad anni due e mesi sei di reclusione.
Nel successivo ricorso per cassazione l'imputato deduceva che,
per effetto della concessione delle attenuanti generiche, doveva
essere applicata la prescrizione decennale e quindi dichiararsi estinto
anche il reato di violenza carnale. Ma questa corte, con sentenza
del 21 ottobre 1986, respingeva il ricorso, pur condividendo la
tesi difensiva in astratto, perché riteneva che, per effetto degli atti interruttivi intervenuti successivamente, la prescrizione non
si era ancora realizzata.
Con istanza depositata il 5 maggio 1987, il Ghilardini chiede che, ai sensi dell'art. 149 c.p.p., la sentenza venga corretta essen
do frutto di erronea valutazione di un dato essenziale, costituito
dal promovimento dell'azione penale solo a seguito della scoper ta delle fotografie che ritraevano gli amplessi con la Carabelli,
scoperta denunciata con rapporto dell'8 marzo 1984 e cioè dopo dieci anni dalla commissione del fatto. Rileva inoltre che non
può tenersi conto degli atti interruttivi, in quanto essi sono idonei
ad allungare i termini prescrizionali solo quando la prescrizione ordinaria è in corso, non quando questa si sia già compiuta.
Il procuratore generale rileva che, pur essendo esatta giuridica mente la tesi difensiva, essa non riguarderebbe la fattispecie in
questione perché il tribunale nella sua sentenza aveva, come si
è accennato, collocato la commisisone del fatto entro il 1974, con la conseguenza di spostare in tal modo la prescrizione ordi
naria alla fine del 1984 e quindi di ritenere validi ed operativi gli atti di interruzione successivi al promovimento nei termini del l'azione penale.
L'istanza è fondata e va accolta.
Il primo problema che la corte deve risolvere e sul quale il
procuratore generale non solleva alcuna questione è quello del
l'ammissibilità della procedura di correzione di errore materiale
nell'ipotesi in argomento. Nella specie, si tende ad ottenere un
provvedimento che, rivedendo il contenuto della precedente deci
sione, pervenga a risultati ben diversi: si chiede infatti che, rileva
ta l'erroneità nella precisazione di un elemento non secondario
della decisione (quello relativo alla data di commissione del fatto) se ne tragga la conseguenza dell'improcedibilità per prescrizione.
Si tratta certamente di una singolare applicazione dell'istituto
della correzione dell'errore materiale, previsto dalla legge proces suale per rettificare omissioni od errori che non producano nulli
tà o la cui correzione non comporti una modificazione essenziale
dell'atto, come testualmente recita l'art. 149 c.p.p. L'ipotesi clas
sica è certamente quella dell'errore di pura forma, rilevabile dal
contesto stesso del provvedimento o comunque dal confronto con
altro atto col quale quello da correggere sia in insanabile contra sto letterale o ideologico. Il limite in ogni caso sarebbe costituito
dall'impossibilità della modificazione essenziale dell'atto, inten dendosi per tale non solo la sostituzione di un atto ad un altro, ma anche l'alterazione sostanziale del contenuto in modo che l'atto
finisca con il dichiarare una volontà del tutto diversa da quella
espressa prima della correzione.
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