Sezioni unite penali; sentenza 28 novembre 1981; Pres. Mirabelli, Est. Moro, P. M. (concl.conf.); ric. P. g. c. Gregorio. Conferma App. Milano, ord. 22 settembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.121/122-123/124Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174563 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; sentenza 28
novembre 1981; Pres. Mirabelli, Est. Moro, P. M. (conci, conf.); ric. P. g. c. Gregorio. Conferma App. Milano, ord. 22
settembre 1980.
Libertà personale dell'imputato — Custodia preventiva — Ter mini — Pena prevista per il reato ritenuto in sentenza — No zione (Cod. proc. pen., art. 272, 275).
Libertà personale dell'imputato — Custodia preventiva — Ter
mini — Rapina aggravata — Attenuanti prevalenti o equiva lenti alle aggravanti — Prolungamento — Esclusione (Cod.
proc. pen., art. 272; d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, misure ur
genti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza
pubblica, art. 10; 1. 6 febbraio 1980 n. 15, conversione in legge, con modificazioni, del d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, art. unico).
Ai fini della determinazione del termine massimo di custodia pre ventiva, dopo una decisione non irrevocabile di condanna, de
ve aversi riguardo alla pena edittale prevista per il reato rite
nuto in sentenza, tenendo conto di eventuali mutamenti della
qualificazione giuridica del fatto, nonché del risultato del giu dizio di comparazione tra aggravanti e attenuanti. (1)
Il prolungamento di un terzo dei termini massimi della custodia
preventiva, introdotto per il reato di rapina aggravata dall'art.
10 d. I. n. 625/1979, convertito, con modificazioni, nella legge n. 15/1980, non si applica ove, con sentenza dibattimentale, siano state concesse' circostanze attenuanti ritenute equivalenti o prevalenti sulle contestate aggravanti. (2)
(1-2) Con la sentenza qui riportata le sezioni unite penali della Cassazione non hanno risolto il contrasto insorto nell'ambito della stessa corte, giacché sulle questioni affrontate, come emerge anche dalla motivazione, la sua giurisprudenza poteva ritenersi ormai con
solidata, ma hanno ribadito un orientamento che, specialmente per ciò che concerne l'interpretazione dell'art. 10 d. 1. n. 625/1979, non aveva trovato favorevole accoglienza presso molti giudici di merito.
Conformemente, sulla prima massima, v. Cass. 28 gennaio 1980, Savasta, massimata in Riv. pen., 1980, 774 e in Mass. pen., 1981, 840; 13 dicembre 1979, Andretti, Foro it., Rep. 1980, voce Libertà per sonale dell'imputato, n. 62; 2 maggio 1977, Nettis, id., Rep. 1978, voce cit., n. 138; 20 ottobre 1976, Favet, id., Rep. 1977, voce cit., n. 100; 2 febbraio 1976, Costantini, id., Rep. 1976, voce cit., n. 149; 22 ottobre 1974, Shandovic, id., Rep. 1975, voce cit., n. 86; 22
luglio 1974, Serra, ibid., n. 88; 1° ottobre 1973, Avanzini, id., Rep. 1974, voce cit., n. 153; 22 giugno 1974, Porfido, id., 1975, II, 206, con nota di Boschi (talune delle decisioni testé citate sono richiamate anche nella motivazione della sentenza che si riporta con la sola data di deposito delle stesse in cancelleria; poiché nelle sentenze penali assume rilevanza solo la data in cui vengono pronunciate, ed il rela tivo dispositivo è letto in udienza, la stessa è stata da noi aggiunta, unitamente al nome del ricorrente).
In dottrina, v. Bargi, Reato ritenuto in sentenza e computo dei termini massimi di custodia preventiva (nota a Cass. 13 dicembre 1979, Andretti, cit.), in Giur. it., 1981, II, 275; Galli-Siclari-Siena, Le recenti leggi contro la criminalità, a cura di Galli, Milano, 1977, II, 69; Infantini, Ancora sulla scarcerazione dopo condanna a pena detentiva (nota a Cass. 22 giugno 1974, Porfido, cit.), in Riv. it. dir. proc. pen., 1977, 315.
Per fini diversi dal computo dei termini massimi della carcerazione preventiva è stata ritenuta l'irrilevanza del giudizio di bilanciamento tra aggravanti ed attenuanti: v., sempre con riferimento al reato di rapina aggravata, in tema di libertà provvisoria (vietata dagli art. 1 I. 22 maggio 1975 n. 152 e 8, 2° comma, d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito, con modificazioni, nella 1. 6 febbraio 1980 n. 15), Cass. 17 marzo 1980, Manfredi, massimata in Riv. pen., 1980, 882 e in Mass. Cass. pen., 1980, 384; 11 febbraio 1980, Schiacchitano, massi mata in Riv. pen., 1980, 775 e in Mass. Cass. pen., 1980, 328; 26 feb braio 1979, Battaiotto, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 79; 24 gen naio 1979, Riberi, id., 1979, II, 180, con nota di richiami e, in tema di indulto (escluso dall'art. 7, lett. a, d. p. r. 4 agosto 1978 n. 413), Cass. 30 gennaio 1980, Polazzi, id., Rep. 1980, voce Amnistia, indulto e grazia, n. 165; 8 maggio 1979, Carrozzo, ibid., n. 129; 27 aprile 1979, Bertoletti, ibid., n. 162; 19 marzo 1979, Morano, ibid., n. 164; 15 marzo 1979, Acquistapace, ibid., n. 163. Analogo principio è stato affermato in tema di procedibilità d'ufficio, nel senso che la ritenuta prevalenza o equivalenza di una circostanza attenuante su una aggravante, la cui presenza rende procedibile d'ufficio il reato, non fa venir meno detta procedibilità (v., da ultimo, Cass. 3 marzo
1980, Felice, massimata in Riv. pen., 1980, 765 e in Mass. Cass. pen., 1980, 338; 11 ottobre 1979, Rinaldi, massimata in Riv. pen., 1980, 768 e in Mass. Cass. pen., 1980, 273; 5 febbraio 1979, Schwienbacher, Foro it., Rep. 1979, voce Circostanze di reato, n. 95; 11 dicembre 1978, Leone, id., Rep. 1980, voce cit., n. 125; 17 novembre 1978, Verniani, id., Rep. 1979, voce cit., n. 101; 22 maggio 1978, Battista, ibid., n. 114); ovvero in tema di applicabilità della sospensione della patente di guida prevista per il reato di lesioni colpose gravi ed aggravate ai sensi del 2° e 3° comma dell'art. 590 c. p. (Cass. 24 aprile 1977, Gondoni, id., Rep. 1978, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 79; 8 marzo 1977, Marchi, id., Rep. 1977, voce Circolazione stra
dale, n. 177, e in Mass. pen., 1978, 331, con nota di Fiandanese,
Il Foro Italiano — 1982 — Parte II-9.
Considerazioni in fatto. — Il Tribunale di Milano, con sen
tenza del 15 maggio 1980, dichiarava Gregorio Antonio e Re
nati Pietro colpevoli, tra l'altro, del delitto di rapina aggravata, concedendo agli imputati le attenuanti generiche ritenute equi valenti alle aggravanti contestate per il reato di rapina.
Contro la predetta sentenza proponevano appello gli imputati. In pendenza del gravame la Corte d'appello di Milano con
ordinanza del 22 settembre 1980 rilevava che il reato ritenuto in sentenza, a seguito del giudizio di equivalenza delle circo
stanze, era quello di rapina semplice; che l'art. 10 1. 6 febbraio 1980 n. 15 nel prolungare i termini della custodia preventiva per alcuni reati, non aveva inciso sulla norma generale di de terminazione dei termini a seguito di sentenza di condanna an che non definitiva; che conseguentemente il termine massimo di custodia allo stato del giudizio doveva essere ritenuto quel lo di anni uno e mesi sei; che tale termine era decorso il 14 settembre 1980. Disponeva in conseguenza la scarcerazione de
gli imputati per decorrenza del termine massimo di custodia
preventiva.
Ricorreva avverso questa ordinanza il procuratore generale di Milano lamentando la violazione dell'art. 10 1. n. 15/1980 in quanto il termine di anni uno e mesi sei di reclusione, calco lato in base alla pena in astratto prevista per il reato ritenuto in sentenza, doveva subire l'aumento di un terzo previsto dalla
legge sopraindicata.
Il procuratore generale presso questa corte ha chiesto il ri
getto del ricorso.
Su richiesta del presidente della II sezione penale di questa corte il ricorso, ai sensi dell'art. 530 c. p. p., veniva assegnato alle sezioni unite.
Motivi della decisione. — Ritiene il collegio che il ricorso deb
ba essere rigettato. Ritiene innanzitutto il collegio che non sussistono elementi
che impongano un mutamento dell'indirizzo giurisprudenziale di
questa corte secondo cui l'espressione « reato ritenuto in sen
tenza», usata dall'art. 275 c.p. p., si riferisce sia all'ipotesi di
mutamento di rubrica sia all'ipotesi di concessione di attenuanti
che abbiano portato, attraverso il giudizio di comparazione, alla
neutralizzazione delle aggravanti. Questo indiritto giurispruden
ziale, che si è venuto delineando e rafforzando attraverso ben
tre pronunce delle sezioni unite di questa corte (sent. 13 mag
gio-26 ottobre 1972, Vagliati, Foro it., Rep. 1973, voce Libertà
personale dell'imputato, nn. 197, 198; 22 luglio-26 ottobre 1974,
Serru, id., Rep. 1975, voce cit., n. 88; 22 giugno-30 luglio 1974,
Porfido, id., 1975, II, 206), è stato poi costantemente seguito da
tutte le sezioni semplici di questa corte senza alcun contrasto
(v. Sez. II, sent. 28 gennaio - 16 aprile 1980, Savasta; Sez. I, sent. 13 dicembre 1979 - 17 gennaio 1980, Andretti, id., Rep.
1980, voce cit., n. 62; Sez. I, sent. 2 maggio-4 giugno 1977,
Nattis, id., Rep. 1978, voce cit., n. 138; Sez. II, sent. 2 febbraio
8 marzo 1976, Costantini, id., Rep. 1976, voce cit., n. 149; Sez. II, sent. 22 ottobre 1974-27 gennaio 1975, Shandovic, id., Rep. 1975,
voce cit., n. 86 e numerose altre).
Ed invero questo indirizzo giurisprudenziale appare pienamen te fondato e meritevole di conferma per una serie di conside
razioni.
Innanzitutto perché l'art. 275 c. p. p. fa espressamente rife rimento alla pena prevista per il reato ritenuto in sentenza, e non al titolo del reato contestato, e non vi può essere dubbio che la pena non può che essere determinata tenendo concre tamente conto del bilanciamento delle aggravanti e delle atte nuanti effettuato dai giudici di merito attraverso la loro pro nuncia.
Poi perché la durata della carcerazione preventiva è stretta mente legata all'entità della pena conseguente alla specifica gra vità del reato e tale gravità, quando vi sia stata una sentenza di condanna anche se non definitiva, è determinata non in ba se alla astratta tipologia del reato contestato, ma in base alla
concreta ricostruzione della fattispecie in esame, quale emerge non solo dagli elementi principali del reato, ma anche dalle cir
costanze che lo accompagnano e lo qualificano e dalla loro re
ciproca comparazione.
Gli effetti del giudizio di prevalenza e di equivalenza tra le circo stanze e la riforma operata dal d.l. 11 aprile 1974 n. 99; 20 ottobre
1976, Simoncini, Foro it., Rep. 1977, voce Circostanze di reato, n. 14; 5 dicembre 1975, Novellino, ibid., n. 23).
Negli stessi termini, sulla seconda massima, v. Cass. 30 giugno 1981, Rogai, id., 1981, II, 421, con nota di richiami, cui adde Cass. 3 marzo
1981, Morgioni, Riv. pen., 1981, 665; contra, in dottrina, Sbordone, Prolungamento dei termini di custodia preventiva: un'ipotesi contro
versa, in Foro nap., 1981, III, 193 ss.
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123 PARTE SECONDA 124
Non avrebbe infatti senso applicare termini di carcerazione
preventiva particolarmente rigorosi, perché legati ad una ipo tesi più pesantemente sanzionata data la sua gravità, quando — a seguito del giudizio — vi è stato un deciso ridimensio
namento dell'ipotesi contestata che, ai fini dell'applicabilità di una pena, diviene di minore rilevanza e quindi di minore peri colosità sociale.
Deve anche riconoscersi che non si può in alcun modo fare
riferimento alla regola dell'art. 255 c. p. p., sia perché tale re
gola per espresso dettato legislativo è valida ai soli effetti degli art. 253 e 254 c. p. p. e cioè si riferisce a ipotesi diverse da quelle della determinazione dei termini di custodia preventiva e sempre relative alla fase istruttoria; sia perché la disposizione dell'art. 225
non poteva riferirsi in origine all'ipotesi disciplinata dall'art. 275
in quanto la formulazione di questo articolo, poi modificata con
la legge del 1970, non prevedeva alcuna limitazione alla durata
della carcerazione preventiva per la fase di giudizio, per cui
non appare corretto estendere la portata della norma dell'art. 255
ricomprendendovi anche la nuova situazione determinata dalla
novella del 1970 ed ispirata al nuovo principio del favor lìber
tatis. Né può essere trascurato il fatto che le due norme non so
no omogenee per la differente ratio dei due istituti: quello pre visto dall'art. 255 si riferisce ad una fase, come quella istruttoria, che tende a predisporre e raccogliere gli elementi probatori in
funzione della successiva attività di accertamento e di valuta
zione del giudice del dibattimento; l'altro attiene alla concreta
valutazione della effettiva entità del fatto criminoso contestato, tenendo concretamente conto delle aggravanti ma anche delle at
tenuanti ed in particolare della loro reciproca interrelazione.
Infine assai significativo appare il fatto che nella prima for
mulazione della modifica da apportare all'art. 275 c. p. p. si sta
biliva che con la sentenza di condanna l'imputato doveva es
sere scarcerato se erano decorsi i termini di custodia indicati
nel penult, comma dell'art. 272 e questi non potevano essere
che quelli per i quali vi era stata condanna.
La modifica apportata in sede di conversione del decreto —
e il conseguente inserimento della specifica precisazione che i
termini di detenzione preventiva dovevano valutarsi in riferi
mento alle pene previste per il reato ritenuto in sentenza — al
tro non può significare se non che il legislatore ha voluto rap
portare effettivamente la durata della custodia preventiva alla
pena edittale calcolata anche sulla base del bilanciamento del
le circostanze.
Né può ritenersi che questo indirizzo giurisprudenziale — ra
dicato su una esatta lettura delle norme vigenti — debba essere
mutato a seguito della legislazione più severa in materia di cu
stodia preventiva che dal 1974 in poi è stata emanata di fronte
al dilagare della criminalità: la notorietà dell'indirizzo giurispru denziale seguito costantemente dalla Suprema corte nonché dai
giudici di merito avrebbe dovuto portare il legislatore, ove avesse
voluto immutare alla pacifica interpretazione dell'art. 275, a san
cire espressamente che il bilanciamento tra circostanze operato dal giudice in sentenza non doveva avere alcun efletto sui ter
mini di custodia preventiva. Ed in proposito non può non rilevarsi che il legislatore quan
do ha voluto escludere l'effetto del bilanciamento delle circo
stanze per mantenere fermo il titolo più grave di reato lo ha
espressamente detto: basta al riguardo ricordare come nel prov vedimento di applicazione di amnistia e indulto (d. p. r. n. 413/ 1978) si esclude nella generalità dei casi, tranne alcune ecce
zioni, che ai fini del computo della pena per l'applicazione del l'amnistia si tenga conto delle circostanze attenuanti e della loro
equivalenza e prevalenza rispetto alle circostanze aggravanti, art. 3, lett. e).
Ancora più significativo appare l'art. 1 proprio della 1. n. 15 del 1980: con esso il legislatore ha espressamente sancito che « le circostanze attenuanti concorrenti con l'aggravante di cui al 1° comma (reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico) non possono essere ritenute
equivalenti o prevalenti rispetto a questa ed alle circostanze ag gravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie di
versa e ne determina la misura in modo indipendente da quella originaria del reato ».
Appare pertanto evidente che se il legislatore, di fronte ad una giurisprudenza univoca, non ha ritenuto di dover interve nire — come in altri casi è intervenuto — non può essere mu tato l'indirizzo interpretativo consolidato solo perché negli ul timi anni vi è una ondata di delitti che suscita un giustificato allarme sociale: di fronte a questa preoccupante situazione il
legislatore è intervenuto allungando i termini della custodia
preventiva nella fase istruttoria e nelle successive fasi, quando le circostanze attenuanti non sono state riconosciute o non han no avuto
" incidenze sulle aggravanti, ridimensionando la gravità
del fatto. Ma non ha modificato in alcun modo il sistema dell'art.
275 c. p. p., cosi' come esso vive concretamente attraverso la pa cifica interpretazione giurisprudenziale.
Si ritiene — dal procuratore generale ricorrente — che, pur
potendosi confermare il suindicato indirizzo giurisprudenziale, doveva trovare applicazione l'aumento di un terzo previsto dal
l'art. 10 1. n. 15 del 1980.
Ritiene il collegio che tale tesi non possa essere condivisa.
È innanzitutto da rilevare che anche su tale punto si è for
mata una univoca giurisprudenza di questa corte, che ha ripe tutamente affermato il principio che l'art. 10 1. del 1980 non
impone un aumento dei termini di custodia preventiva quando, a seguito del bilanciamento operato nella sentenza di condanna
tra le circostanze, la pena prevista per l'ipotesi delittuosa, cosi'
come si è delineata a seguito dell'accertamento del giudice di
merito, non può essere più nei massimi edittali quella prevista
per il reato originariamente contemplato (v. Sez. II 11 febbraio
1981, ric. Nardozza, id., 1981, II, 201; Sez. II 15 febbraio 1981, ric. P.g. c. Cremona; Sez. II 3 marzo 1981, ric. Morgioni; Sez.
I 13 marzo 1981, ric. Grimaldi; Sez. II 24 aprile 1981, ric. P.g. c. D'Aponte; Sez. II 26 maggio 1981, ric. Bellia; Sez. VI 27
maggio 1981, ric. Casaburi; Sez. VI 26 giugno 1981, ric. Buffon; Sez. VI 30 giugno 1981, ric. Rogai, ibid., 421; Sez. I 14 luglio
1981, ric. P.g. c. Rossato).
Questo costante indirizzo giurisprudenziale merita di essere
confermato. Si è già precedentemente indicato come la regola da applicare per determinare la durata della custodia preventiva
dopo la sentenza di condanna ancora non definitiva sia quella dettata dall'art. 275 c. p. p. e che questa regola lega la indivi
duazione del termine alla pena prevista per il reato ritenuto in
sentenza. Nessuna deroga a questa disciplina è contenuta nel
l'art. 10 1. n. 15/1980: con tale norma ci si limita ad aumentare
di un terzo i termini per una serie di ipotesi delittuose. Ma
se tali ipotesi — a seguito della comparazione tra circostanze
aggravanti e attenuanti compiuta dal giudice di merito — ven
gono ridimensionate, sia pure ai soli effetti della pena, la deter
minazione del termine massimo di custodia preventiva, che alla
pena è rapportato, non può non tener conto della nuova confi
gurazione giuridica che, quoad poenam, il reato è venuto ad
assumere nella sentenza.
Pertanto se la pena edittale massima che può essere irrogata è divenuta, in conseguenza della globale valutazione dell'episo dio criminoso compiuta dal giudice di merito, quella prevista
per il reato di rapina semplice, non vi è motivo di applicare un aumento dei termini di custodia che è esclusivamente pre visto in ordine al reato di rapina aggravata, e cioè ad un reato
che ai fini della pena non sussiste più.
Né sarebbe giustificato il ritenere che il termine base per la
durata della custodia preventiva debba essere, nel caso di equi valenza e prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, quello
corrispondente all'ipotesi della rapina semplice anziché quello della rapina aggravata, ma poi aumentare di un terzo tale ter
mine facendo riemergere quella ipotesi di rapina aggravata che
il giudice ha sostanzialmente ridimensionato.
Questa scissione dell'unico procedimento di individuazione
dei termini massimi di custodia preventiva in due spezzoni, an
corati a principi profondamente contrastanti, non appare cor
retto. Né può trascurarsi, nell'individuare la portata della norma
di cui all'art. 10 1. n. 15, che il legislatore del 1980, quando ha
voluto intervenire sul meccanismo del giudizio di comparazione 10 ha espressamente fatto (art. 1) e che in materia di restrizione
della libertà personale, in cui non può non essere privilegiato 11 favor libertatis, non è dato all'interprete di dilatare la portata di norme che non sanzionino chiaramente criteri di maggior ri
gore in materia di durata della custodia preventiva.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III penale; sentenza 4 mar
zo 1981; Pres. De Martino, Est. Mele, P. M. Amoroso (conci,
diff.); ric. Morelli. Annulla senza rinvio App. L'Aquila 17
novembre 1978.
Riscossione delle imposte e delle entrate patrimoniali ed esatto re — Omesso pagamento di rate — Atti fraudolenti — Reato — Sussistenza — Limiti (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t. u. delle leggi sulle imposte dirette, art. 261).
Il reato previsto dall'art. 261, 4° comma, t. u. n. 645JJ95S può essere commesso soltanto da chi si trovi, al momento del com
pimento degli atti fraudolenti, nella condizione di contribuen
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