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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 3 febbraio 1990; Pres....

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sezioni unite penali; sentenza 3 febbraio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Piccininni (concl. conf.); ric. Saviano e altro. Annulla senza rinvio App. Roma 23 settembre 1987 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp. 693/694-697/698 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183679 . Accessed: 25/06/2014 05:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 05:12:16 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 3 febbraio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Piccininni(concl. conf.); ric. Saviano e altro. Annulla senza rinvio App. Roma 23 settembre 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.693/694-697/698Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183679 .

Accessed: 25/06/2014 05:12

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GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 11 giugno

1990; Pres. Carnevale, Est. Sibilia, P.M. Iannelli (conci,

conf.); ric. Proc. rep. Trib. Crotone c. Russano. Conferma Trib. Catanzaro, ord. 21 febbraio 1990.

CORTE DI CASSAZIONE;

Impugnazioni penali in genere — Presentazione — Telefax —

Inammissibilità (Cod. proc. pen. del 1988, art. 310, 582, 583, 591).

È inammissibile, per violazione delle forme prescritte, l'atto di

appello contro l'ordinanza relativa all'applicazione di misure

cautelari personali che sia stato presentato dal pubblico mini

stero per mezzo di telefax. (1)

Fatto e diritto. — Il 30 dicembre 1989 il procuratore della re

pubblica presso il Tribunale di Crotone chiedeva al giudice per le indagini preliminari dello stesso tribunale l'applicazione nei con

fronti di Russano Francesco (imputato di omicidio volontario in

persona di Lettieri Giuseppe) della misura cautelare della custo

dia in carcere.

Tale richiesta era disattesa dal g.i.p. anzidetto con ordinanza

8 gennaio 1990, che era impugnata con appello al Tribunale di

libertà di Catanzaro dal procuratore della repubblica di Crotone, il quale provvedeva all'invio dell'atto di appello alla cancelleria

dell'adito tribunale a mezzo di telefax.

Con ordinanza 21 febbraio 1990 il Tribunale di Catanzaro di

chiarava inammissibile il gravame, nel rilievo che non risultavano

essere state osservate le disposizioni degli art. 309, 4° comma, 310 e 582 c.p.p. sulle modalità di presentazione dell'impugnazio

(1) Certamente inconsueto il ricorso al telefax per la presentazione del

l'atto di impugnazione. Il p.m. appellante ne giustifica l'uso lamentando la mancanza di personale che non gli permetterebbe di presentare la di

chiarazione personalmente o a mezzo di incaricato, secondo quanto pre visto dall'art. 582 c.p.p. La Suprema corte, però, giudica inammissibile

l'impugnazione per l'impossibilità di identificare con certezza il soggetto da cui essa proviene. La difficoltà di seguire le forme prescritte dall'art. 582 può del resto essere aggirata, secondo i giudici di legittimità, appli cando l'art. 583 c.p.p., che ammette l'uso di telegramma o di raccoman data. Quest'ultima norma viene quindi richiamata sulla base di un'inter

pretazione estensiva, non essendovi alcun riferimento negli art. 309 e 310

c.p.p., che disciplinano l'impugnazione dei provvedimenti relativi a misu

re cautelari personali. Si veda comunque la Relazione al progetto preliminare del c.p.p., in

Le leggi, 1988, 2495, secondo cui «deve ritenersi implicito il rinvio alla

disciplina dell'appello, in quanto non risulti diversamente disposto, per

gli aspetti procedurali» che non siano presi in considerazione dall'art. 310.

La Cassazione ha già avuto modo di affermare l'applicabilità della san

zione dell'inammissibilità ex art. 591 c.p.p in caso di violazione delle

forme prescritte per l'impugnazione di cui all'art. 309 (sent. 28 aprile 1990, Del Giudice, citata da Guariniello, il nuovo codice di procedura

penale: un anno di applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassa

zione, in Foro it., 1990, II, 568). Nel vecchio codice mancava una specifica disciplina delle modalità di

presentazione dell'impugnazione, e si riteneva quindi che l'unico requisi to fosse l'individuazione del soggetto da cui proveniva la dichiarazione, al fine di accertarne la legittimazione (v. Conso-Grevi, Commentario breve al c.p.p., Padova, 1987, sub art. 198). Non era però ammessa l'impugna zione presentata per mezzo di telegramma dettato per telefono (in questo senso Cass. 30 gennaio 1985, Graziano, id., Rep. 1986, voce Impugnazio ni penali, n. 62; 19 dicembre 1978, Antonelli, id., Rep. 1979, voce cit., n. 45; 14 ottobre 1977, Scalia, id., Rep. 1978, voce cit., n. 92).

La giurisprudenza civile si è occupata del telefax sotto il profilo dell'ef

ficacia probatoria da documenti trasmessi con questo mezzo: Cass. 13

febbraio 1989, n. 886, in questo fascicolo, I, 3490 e 13 febbraio 1989, n. 887, Foro it., Rep. 1989, voce Prova documentale, n. 27, e in Giur.

it., 1990, I, 1, 124, affermano che la delega trasmessa mediante servizio

telefax al difensore chiamato a discutere la causa in sostituzione di altro

avvocato costituisce una «riproduzione elettronica» della procura in og

getto, e rientra tra le riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c.

Essa quindi forma piena prova in mancanza di contestazioni.

Sull'efficacia probatoria del telefax, si veda anche V. Franceschelli,

Computer e diritto, Rimini, 1989, 243, che richiama il principio del libero

convincimento del giudice. Più in generale, sui «documenti informatici»

o «documenti elettronici», v. Montesano, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile, in Dir. informazione e informatica, 1987, 23, e Giannantonio, Il valore giuridico del docu

mento elettronico, in Riv. dir. comm., 1986, I, 261. Della conclusione

del contratto mediante telefax si occupa Pasquino, Aspetti problematici della conclusione del contratto mediante telefax, in Dir. informazione e informatica, 1969, 567.

Il Foro Italiano — 1990 — Parte II-19.

ne. Con la stessa ordinanza il proposto appello veniva altresì' rite

nuto infondato anche nel merito.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il

p.m. di Crotone, adducendo che le norme sulla presentazione del

l'impugnazione non escludono l'utilizzabilità di uno strumento

tecnico, come il telefax, che garantisce in ogni caso la ricezione

dell'atto di impugnazione. Il ricorso va rigettato, in quanto legittimamente è stata dichia

rata dal giudice di merito l'inammissibilità del gravame proposto a mezzo telefax.

Invero, le norme in materia (art. 582 e 583, in riferimento agli art. 309, 4° comma, e 310 c.p.p.), riguardanti la presentazione o la spedizione dell'impugnazione prevedono forme particolari, atte a garantire non solo la ricezione ma anche e soprattutto l'au

tenticità della provenienza: l'inosservanza di dette forme compor ta l'inammissibilità dell'impugnazione (art. 591 c.p.p.).

Orbene, le stesse norme non prevedono l'utilizzazione di uno

strumento tecnico, come il telefax, che se garantisce, come soste

nuto dal ricorrente, la ricezione dell'atto di impugnazione, non

si appalesa comunque idoneo a garantirne anche la provenienza. Né a giustificare l'impiego di detto mezzo tecnico possono va

lere le ragioni addotte dal ricorrente (carenza di personale), poi ché a tale inconveniente ben si sarebbe potuto ovviare con la spe dizione dell'atto di impugnazione a mezzo di telegramma o di

lettera raccomandata (art. 583 c.p.p.).

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 3 feb braio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Piccinin

ni (conci, conf.); ric. Saviano e altro. Annulla senza rinvio App. Roma 23 settembre 1987.

Sentenza, ordinanza e decreto in materia penale — Disciplina tran

sitoria — Formule di proscioglimento — Giudizio di cassazio

ne (Norme att., coord, e trans, cod. proc. pen. del 1988, art.

254; cod. proc. pen. del 1930, art. 538).

Nell'ipotesi di ricorso per cassazione avverso una sentenza di as

soluzione per insufficienza di prove, la Corte di cassazione de

ve applicare l'art. 254 norme att., coord, e trans, c.p.p. del

1988 e pertanto, ai sensi dell'art. 538, 3° comma, c.p.p. del

1930, deve provvedere alla rettificazione della sentenza sosti

tuendo la formula dubitativa con la formula piena; allorché

il ricorso sia stato presentato solo dall'imputato, la Corte di

cassazione provvede alla rettificazione senza esaminare i motivi

del ricorso. (1)

Svolgimento del processo. — (Omissis). Gli imputati hanno pro

posto ricorso per cassazione deducendo vizi di motivazione della

sentenza impugnata in relazione sia alla condanna per la ricetta

zione, sia all'assoluzione per insufficienza di prove dall'imputa zione di concussione.

Il presidente della sesta sezione penale, alla quale era stato as

segnato il ricorso, lo ha trasmesso al primo presidente prospet tando l'opportunità di un intervento delle sezioni unite sulla que stione: «se l'art. 254 disp. trans, c.p.p. (d.l. 28 luglio 1989 n.

271) sia applicabile anche alle sentenze pronunciate dalla Corte

di cassazione». Il ricorso è stato quindi assegnato alle sezioni unite.

Motivi della decisione. — (Omissis). Con un secondo moti

(1) Analogamente, per l'applicabilità dell'art. 254 norme att., coord,

e trans, c.p.p. del 1988 al giudizio di cassazione, cfr. Cass. 27 ottobre

1989, De Vita, Arch, nuova proc. pen., 1990, 155; 10 novembre 1989, N. G., ibid., 65; e, in dottrina, Ciani, Le disposizioni transitorie del nuo

vo codice di procedura penale, in Documenti giustizia, 1989, fase. 9, 85.

In generale sull'art. 254 norme att., coord, e trans, c.p.p. del 1988, v. Frigo, Lineamenti del regime transitorio, in Commentario del nuovo

codice di procedura penale, a cura di Amodio-Dominioni, I, Milano, 1989,

LVIII; Lemmo, Le norme di coordinamento e transitorie, in Conso-Grevi,

Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, 1990, 564, s.

Sull'art. 538 c.p.p. del 1930, v., per tutti, Gaito, in Commentario bre

ve al codice di procedura penale, a cura di Conso-Grevi, Padova, 1987, sub art. 538.

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PARTE SECONDA

vo gli imputati hanno denunciato vizi di motivazione circa l'asso

luzione per insufficienza di prove dall'imputazione di concussio

ne, ed è in relazione a questo motivo che è stata disposta l'asse

gnazione del ricorso alle sezioni unite.

Nel nuovo sistema processuale penale, com'è noto, è venuta

meno la formula dell'assoluzione per insufficienza di prove: a

norma dell'art. 530, 2° comma, c.p.p. il giudice pronuncia sen

tenza di assoluzione piena sia quando manca, sia quando «è in

sufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che

l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che

il reato è stato commesso da persona imputabile». È da aggiun

gre che per l'art. 254 norme trans, (d. leg. 28 luglio 1989 n. 271) «Le sentenze di proscioglimento possono essere pronunciate solo

con le formule previste dal codice», cioè con formula piena, e

che secondo l'art. 245, 1° comma, stesse norme trans, quella del

l'art. 254 è una delle disposizioni da osservare nei procedimenti che proseguono con l'applicazione del codice di rito abrogato.

In base a questi due articoli si è posta la questione di come

debba provvedere la Corte di cassazione in seguito ad un ricorso

dell'imputato contro una sentenza di assoluzione per insufficien

za di prove pronunciata prima dell'entrata in vigore del nuovo

codice.

Secondo un orientamento minoritario la Corte di cassazione

non può applicare la nuova discipina delle formule assolutorie

ma deve limitarsi a giudicare sul ricorso pronunciandone il riget

to, se infondato, od altrimenti annullando la sentenza impugnata

(vedi sez. VI 29 novembre 1989, ric. De Nicola); secondo l'orien

tamento maggioritario invece la corte è tenuta ad applicare la

nuova disciplina. Nell'ambito di questo secondo orientamento esi

stono però opinioni diverse circa la pronuncia da adottare e l'og

getto del giudizio: per alcune decisioni la corte deve limitarsi ad

operare una rettificazione a norma dell'art. 538, 3° comma, c.p.p. del 1930 (vedi sez. Ili 6 novembre 1989, ric. Faldi); per altre la corte deve annullare la sentenza impugnata senza giudicare sul

la fondatezza del ricorso (vedi sez. VI 26 ottobre 1989, ric. La

Neve); per altre ancora la corte prima di pronunciare l'annulla

mento deve esaminare i motivi per accertare se vi siano o meno

le condizioni per pervenire ad un'assoluzione piena indipendente mente dalla sostituzione della formula imposta in ogni caso dalla

nuova disciplina (vedi sez. V 27 ottobre 1989, De Vita). All'origine del contrasto è la lettera dell'art. 254, perché que

sto articolo, diversamente da altre disposizioni transitorie, non

si limita a stabilire l'applicazione della nuova disciplina nei pro cedimenti che proseguono secondo il vecchio rito ma dice che

«le sentenze di proscioglimento possono essere pronunciate solo

con le formule previste dal codice» e da questa formulazione è

stato dedotto che la disposizione riguarda solo i giudici di merito,

posto che solo questi istituzionalmente pronunciano sentenze di

proscioglimento. Di conseguenza, la Corte di cassazione in segui to ad un ricorso dell'imputato contro una sentenza di assoluzione

per insufficienza di prove dovrebbe decidere emettendo una pro nuncia di rigetto o di annullamento del provvedimento impugna to senza fare applicazione della nuova disciplina.

È da notare che l'art. 13 del progetto preliminare delle norme

transitorie, dal quale ha avuto origine l'art. 254, era cosi formu

lato: «Le sentenze di proscioglimento possono essere pronunciate solo con le formule previste dal codice di procedura penale. Ove

ne ricorrano le condizioni, la Corte di cassazione provvede alla

rettificazione della formula della sentenza». Nel progetto definiti

vo e successivamente nel testo approvato è venuta meno la secon

da parte della disposizione, relativa alla Corte di cassazione, ma

in mancanza di rilievi in proposito e di chiarimenti nelle osserva

zioni del governo è da ritenere che la soppressione sia stata ope rata per una considerazione di superfluità e non per regolare il

giudizio di cassazione diversamente da quanto era stato espressa mente previsto nel progetto preliminare.

In effetti l'applicabilità della nuova disciplina sulle formule di proscioglimento in tutto il corso dei procedimenti che proseguo no in base al vecchio rito, e quindi anche nel giudizio di cassazio ne, si desume dal richiamo operato dall'art. 254 ed è quindi pen sabile che il legislatore abbia considerato inutile ribadirla in que st'ultima disposizione. È certo che al contrario della maggior parte delle disposizioni del codice del 1930, che continuano ad appli carsi nei procedimenti che proseguono con il vecchio rito, la nor

ma sull'assoluzione con formula dubitativa è stata espunta in modo

radicale dal sistema (come risulta anche dall'art. 237 norme coord., che comporta l'eliminazione delle iscrizioni delle assoluzioni per

Il Foro Italiano — 1990.

insufficienza di prove dal casellario giudiziale) ed è insuscettibile di ulteriore applicazione nel corso di qualunque procedimento pe

nale, sicché l'esame da parte della Corte di cassazione di un ri

corso dell'imputato volto a contestare un'assoluzione con formu

la dubitativa risulterebbe privo del necessario riferimento nor

mativo.

Sotto altro aspetto è consistente il rilievo che, se la Corte di

cassazione non facesse applicazione della nuova disciplina nel ca

so in cui il ricorso dell'imputato fosse fondato (ad esempio per un travisamento di fatto), senza possibilità per la corte di perve nire essa stessa alla conclusione di una mancanza di prova e di

provvedere in conseguenza, verrebbe disposto un annullamento

con rinvio assolutamente inutile, dal momento che il giudice di

rinvio anche se dovesse ritenere ancora una volta insufficiente

o contraddittoria la prova non potrebbe fare altro che pronuncia re un'assoluzione con formula piena.

In sintesi, l'unica regola di decisione applicabile dopo l'entrata

in vigore del nuovo codice è quella che impone l'assoluzione con

formula piena «anche quando... è insufficiente o è contradditto

ria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da

persona imputabile». Questa situazione probatoria è parificata alla mancanza di prova: in un caso come nell'altro è prescritta l'assoluzione con formula piena e ad essa non può non provvede re anche la Corte di cassazione quando in base all'accertamento

del giudice di merito si trova in presenza di una prova insuffi ciente o contraddittoria. È da aggiungere che non occorre che

la corte esamini il ricorso dell'imputato, dato che in presenza di una prova insufficiente o contraddittoria essa è tenuta a sosti

tuire la formula dubitativa con quella piena indipendentemente dalla fondatezza dei motivi di impugnazione. In altre parole, l'e

same della motivazione della sentenza impugnata, che viene gene ralmente sollecitato con i motivi di ricorso contro una pronuncia

per insufficienza di prove, risulta irrilevante ai fini della decisio ne della corte perché in ogni caso il giudizio di cassazione si deve

concludere con un'assoluzione piena. A ben vedere, una volta stabilito che la corte deve fare applica

zione della nuova regola di decisione, la situazione processuale

conseguente all'impugnazione di una sentenza di assoluzione per insufficienza di prove appare non diversa da quella in cui la corte

si troverebbe se venisse impugnata una sentenza di assoluzione

con formula piena emessa sotto il vigore del nuovo codice in base

all'accertamento di una prova insufficiente o contraddittoria com

piuto dal giudice di merito ed impugnato per cassazione, ed è

noto che secondo la giurisprudenza consolidata di questa corte

un ricorso del genere non sarebbe ammissibile perché investireb

be la motivazione senza conseguenze sul dispositivo e cioè sulla

statuizione del giudice rispetto alla quale si forma il giudicato

(vedi sez. V 3 giugno 1983, Santisi, Foro it., Rep. 1984, voce

Impugnazioni penali, n. 39; sez. VI 15 giugno 1984, La Mendola,

id., Rep. 1985, voce cit., n. 35; sez. I 21 marzo 1983, Bortolotti,

ibid., n. 34). Del resto, se si ritenesse ammissibile un ricorso che

senza incidere sulla decisione concernesse solo la motivazione sul

l'insufficienza di prove si riprodurrebbe, sotto un diverso profi

lo, una differenza che il nuovo codice ha inteso negare parifican do alla mancanza l'insufficienza della prova per la comune carat

teristica costituita dalla incapacità che tutte e due le situazioni

probatorie presentano di superare la presunzione di non colpevo lezza (v. la Premessa della Relazione al testo definitivo del codice

di procedura penale, in Le leggi, 1988, 2657). Resta da stabilire quale provvedimento debba essere adottato

dalla Corte di cassazione per sostituire la formula dubitativa, se

cioè la corte debba operare una rettificazione a norma dell'art.

538, 3° comma, c.p.p. del 1930, come hanno ritenuto alcune de

cisioni, ovvero debba pronunciare un annullamento senza rinvio

a norma dell'art. 539, n. 4, oppure n. 9 c.p.p. del 1930, come

hanno ritenuto altre decisioni. Si tratta di una questione essen

zialmente formale perché, com'è stato rilevato in dottrina, la ret

tificazione a norma dell'art. 538, 3° comma, produce effetti non

dissimili da quelli dell'annullamento. Sta però di fatto che la si tuazione in esame rientra letteralmente nella previsione dell'art.

538, 3° comma, ed è quindi questa la disposizione di cui, per provvedere in modo corretto, va fatta applicazione. È vero che

in giurisprudenza e in dottrina c'è stata una tendenza a parificare la formula «disposizioni... più favorevoli» dell'art. 538, 3° com ma, a quella analoga dell'art. 2, 3° comma, c.p., ma la lettera

della legge non autorizza una limitazione della portata normativa

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GIURISPRUDENZA PENALE

dell'art. 538, 3° comma, alle sole norme sostanziali e non occorre

perciò rifarsi a quell'opinione interpretativa che vuole estendere

la portata dell'art. 2, 3° comma, c.p. ad alcune fondamentali

norme processuali (tra le quali a quanto pare dovrebbero rientra

re le regole di giudizio e di decisione) per giungere alla conclusio

ne che in seguito alla soppressione della formula dubitativa ci

si trova, a norma dell'art. 538, 3° comma, in presenza di una

nuova disposizione più favorevole all'imputato, la quale legittima la corte ad una rettificazione della sentenza impugnata. È da ag

giungere che la rettificazione appare corretta anche considerando

che l'annullamento si collega generalmente, anche se non sempre, ad un vizio del provvedimento annullato per la violazione di una

norma che il giudice era tenuto ad osservare, mentre nel caso

in esame l'intervento della corte, sostitutivo della formula assolu

toria, dipende non da una violazione ma da una sopravvenienza normativa.

Per concludere va infine chiarito che la pronuncia di rettifica

zione, come quella di annullamento senza rinvio (alla quale la

prima è assimilata dall'art. 550 c.p.p. del 1930), non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una

somma alla cassa delle ammende.

Non rimane ora che fare applicazione ai ricorsi in esame dei

principi fin qui esposti, in base ai quali, rispetto all'imputazione di concussione, la formula dubitativa adottata dalla sentenza im

pugnata deve essere sostituita con l'assoluzione perché il fatto

non sussiste.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 3 feb braio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Sacchetti, P.M. Picci

ninni (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Caltanissetta c. Can

cilleri. Conferma App. Caltanissetta 30 novembre 1987.

Edilizia e urbanistica — Lottizzazione abusiva — Responsabilità del notaio — Limiti (L. 16 febbraio 1913 n. 89, ordinamento del notariato e degli archivi notarili, art. 27, 28; 1. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urbanistica, art. 28, 41; 1. 6 agosto 1967

n. 765, modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 ago sto 1942 n. 1150, art. 8, 10; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme

per l'edificabilità dei suoli, art. 17).

Il notaio concorre nel reato di lottizzazione abusiva solo quando

partecipa dolosamente al piano di lottizzazione e non se roga

gli atti di acquisto di lotti abusivi o autentica le firme dei con

traenti in calce alle scritture dagli stessi predisposte. (1)

(1) I. - Con la pronuncia in epigrafe, le sezioni unite compongono il contrasto giurisprudenziale, manifestatosi prima dell'entrata in vigore della 1. 47/85, a proposito deU'incriminabilità come concorrente nel reato

di lottizzazione abusiva del notaio, che abbia svolto il proprio ministero

di pubblico ufficiale rogante per contratti di trasferimento di lotti abusi vi. In senso favorevole alla sanzionabilità penale dell'attività di stipula dell'atto pubblico si erano espresse numerose pronunce: cfr. Cass. 15 giu

gno 1983, Luciani, Foro it., Rep. 1984, voce Edilizia e urbanistica, nn.

624-626; 30 aprile 1984, Giammatteo, id., Rep. 1985, voce cit., n. 753; nonché, più recentemente, Cass. 6 aprile 1988, Grasso, Giust. pen., 1989,

II, 213; 25 gennaio 1989, Ruscica, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 624.

In modo antitetico si era invece pronunciata Cass. 6 aprile 1982, Mennu

ni, id., Rep. 1982, voce cit., n. 489. Reiteratamente invece l'attività di

autentica delle firme delle parti di una scrittura privata di compravendita di lotti di terreno, abusivamente frazionati, è stata ritenuta penalmente irrilevante (cosi Cass. 12 gennaio 1982, Violoni, id., 1983, II, 281, com

ampia nota di richiami; 6 aprile 1982, Mennuni, cit.; 20 giugno 1983,

Carraro, id., Rep. 1984, voce Notaio, n. 41; 13 marzo 1985, Sbardella,

id., Rep. 1986, voce Edilizia e urbanistica, n. 650). Tale principio è stato,

peraltro, riaffermato nella sentenza in epigrafe.

II. -1 giudici di merito si sono pronunciati prevalentemente per la re

sponsabilità concorsuale del notaio rogante: cfr., da ultimo, Pret. Castel

lammare del Golfo 14 ottobre 1987, Riv. giur. edilizia, 1988, I, 1057, nonché Pret. Roma 21 giugno 1988, ibid., 261. In precedenza, nello stes

so senso, tra le altre, v. Pret. Roma 9 aprile 1980 e 12 dicembre 1979, Foro it., 1980, II, 544, con nota di richiami; Pret. Prato 28 maggio 1980,

id., Rep. 1981, voce cit., n. 482; Pret. Latina 23 aprile 1980, id., Rep.

1982, voce cit., 491; Pret. Civita Castellana 9 marzo 1982, ibid., n. 492;

Il Foro Italiano — 1990.

1. - Con sentenza in data 12 dicembre 1986 il Pretore di Gela

dichiarò il notaio Giuseppe Cancilleri colpevole di concorso nel

reato continuato di lottizzazione abusiva per aver rogato atti pub blici ed autenticato scritture private, aventi ad oggetto il trasferi

mento di proprietà di terreni suscettibili di utilizzazione a scopo

edilizio, in mancanza di lottizzazione convenzionata o di altro

strumento attuativo del piano regolatore generale (fatti commessi

in Gela dal 29 luglio 1983 al 12 marzo 1985). 2. - Su appello dell'imputato, la Corte d'appello di Caltanisset

ta con sentenza del 30 novembre 1987 assolse il Cancilleri dal

reato ascrittogli per non aver commesso il fatto, sul rilievo che, risultando dagli atti essere stati gli acquirenti posti a conoscenza

Pret. Roma 13 gennaio 1981, ibid., n. 494; Pret. Roma 10 novembre

1981, ibid., n. 715; Pret. Latina 27 aprile 1981, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 539; Pret. Roma 27 maggio 1983, ibid., n. 541; Pret. Torre An nunziata 11 giugno 1983, id., Rep., 1984, voce cit., n. 627; Pret. Torre Annunziata 24 aprile 1983, ibid., n. 629. Ha ritenuto concorrente nel reato de quo il notaio, che aveva autenticato le firme di sottoscrizione

degli atti di vendita dei singoli lotti di terreno, Pret. Torino 11 maggio 1983, ibid., n. 628. Inoltre, meritano un cenno sia Pret. Favara 17 gen naio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 712, secondo cui sussiste la corre

sponsabiltà penale del notaio, che abbia ricevuto un atto pubblico di do nazione avente ad oggetto una pluralità di lotti abusivi frazionati; sia Pret. Castellammare del Golfo 16 dicembre 1987, Riv. giur. edilizia, 1988,

I, 1068, che ha escluso la responsabilità penale (per il reato di lottizzazio ne abusiva) degli acquirenti, i quali, per le loro modeste condizioni socio

culturali, avevano fatto affidamento sulle assicurazioni, fornite dal no taio rogante.

In senso assolutorio sono state invece molte pronunce dei giudici di secondo grado, tra cui Trib. Roma 4 febbraio 1980, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 526; Trib. Orvieto 4 maggio 1978, id., Rep. 1979, voce Rea to in genere, n. 26; Trib. Prato 22 settembre 1981, id., Rep. 1982, voce

Notaio, n. 31 e Trib. Latina 9 ottobre 1981, ibid., voce Edilizia e urbani

stica, n. 490. Per ulteriori informazioni, v. Bosio-Cicala, Illeciti e sanzioni in mate

ria edilizia ed urbanistica, Milano, 1985, I, 1018 ss.; nonché Poggi, Ras

segna di giurisprudenza sull'urbanistica, Milano, 1987, tomo II, 1899 ss.

III. - Il provvedimento de quo si segnala innanzitutto per la qualifica zione del reato di lottizzazione abusiva come contravvenzione a carattere

necessariamente doloso. In precedenza, era stato invece affermato che, trattandosi di un reato contravvenzionale, è sufficiente ad ipotizzare il

concorso del notaio anche la mancanza di quella normale diligenza che

gli avrebbe reso possibile rendersi conto, sulla base di elementi inequivo ci, che questi costituivano momenti di un'operazione lottizzatoria (cosi, Cass. 15 giugno 1983, Luciani, cit.). Peraltro, in sintonia con la sentenza

in rassegna è stato recentemente sostenuto che nel caso di frazionamento e divisione di un fondo comune «l'intendimento di edificare deve essere dimostrato in modo certo» (Cass. 30 settembre 1989, Petrina, Riv. pen., 1990, 591).

In dottrina, pur affermandosi la natura colposa del reato de quo, è

stato puntualizzato che alcuni degli elementi, che entrano a comporlo,

«esigono per la loro stessa natura il concorso di un elemento volontario

ed intenzionale del soggetto agente «essendo necessario che i soggetti agenti manifestino l'intenzione di procedere alla sistemazione a scopi abitativi

o commerciali delle aree lottizzate» (cosi, Cicala, Le trasformazioni ur

banistiche ed edilizie, Padova, 1983, 110; nello stesso senso, ora, anche

Marini, Note sulla «lottizzazione abusiva», in Riv. trim. dir. pen. econo

mia, 1990, 56 ss., spec. 75-77). Le sentenze di merito che hanno affronta

to ex professo il problema in questione si sono espresse in modo differen

ziato: la natura colposa del reato de quo è stata sostenuta da Pret. Orvie

to 27 febbraio 1976, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 596. Al contrario,

poiché la legge esigerebbe che l'autore agisca per un fine particolare —

quello edificatorio — la contravvenzione de qua è stata qualificata come

dolosa e, anzi, a dolo specifico (Trib. Prato 22 settembre 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 476). Infine — quasi come tesi intermedia tra le due

appena esposte — è stato dedotto che «ai sensi degli art. 40 e 41 c.p. concorre a cagionare il reato permanente di lottizzazione abusiva — e

quindi ne risponde a titolo doloso o colposo — il notaio rogante gli atti

di vendita dei lotti, quando i documenti e le circostanze a sua disposizio ne sono tali da rendere obiettivamente manifesta la finalità lottizzatoria

delle vendite» (Pret. Latina 23 aprile 1980, cit.; 27 aprile 1981, id., Rep.

1983, voce cit., n. 539, annotata da Manera, in Giur. merito, 1983, 1033).

IV. - La qualificazione come dolosa della contravvenzione de qua co

stituisce per la Suprema corte la premessa per delimitare (restrittivamen

te) la responsabilità concorsuale del notaio rogante, ritenuta ammissibile

solo nell'ipotesi di una sua deliberata partecipazione al piano lottizzato

rio. Nello stesso senso tra i giudici di merito, si era già pronunciato Trib.

Orvieto 4 maggio 1978, cit. e in dottrina, Cicala, op. cit., 115; Di Troc

cm, Lottizzazione abusiva e responsabilità del notaio, in Giur.it., 1981,

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