sezioni unite penali; sentenza 3 febbraio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Piccininni(concl. conf.); ric. Saviano e altro. Annulla senza rinvio App. Roma 23 settembre 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.693/694-697/698Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183679 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 11 giugno
1990; Pres. Carnevale, Est. Sibilia, P.M. Iannelli (conci,
conf.); ric. Proc. rep. Trib. Crotone c. Russano. Conferma Trib. Catanzaro, ord. 21 febbraio 1990.
CORTE DI CASSAZIONE;
Impugnazioni penali in genere — Presentazione — Telefax —
Inammissibilità (Cod. proc. pen. del 1988, art. 310, 582, 583, 591).
È inammissibile, per violazione delle forme prescritte, l'atto di
appello contro l'ordinanza relativa all'applicazione di misure
cautelari personali che sia stato presentato dal pubblico mini
stero per mezzo di telefax. (1)
Fatto e diritto. — Il 30 dicembre 1989 il procuratore della re
pubblica presso il Tribunale di Crotone chiedeva al giudice per le indagini preliminari dello stesso tribunale l'applicazione nei con
fronti di Russano Francesco (imputato di omicidio volontario in
persona di Lettieri Giuseppe) della misura cautelare della custo
dia in carcere.
Tale richiesta era disattesa dal g.i.p. anzidetto con ordinanza
8 gennaio 1990, che era impugnata con appello al Tribunale di
libertà di Catanzaro dal procuratore della repubblica di Crotone, il quale provvedeva all'invio dell'atto di appello alla cancelleria
dell'adito tribunale a mezzo di telefax.
Con ordinanza 21 febbraio 1990 il Tribunale di Catanzaro di
chiarava inammissibile il gravame, nel rilievo che non risultavano
essere state osservate le disposizioni degli art. 309, 4° comma, 310 e 582 c.p.p. sulle modalità di presentazione dell'impugnazio
(1) Certamente inconsueto il ricorso al telefax per la presentazione del
l'atto di impugnazione. Il p.m. appellante ne giustifica l'uso lamentando la mancanza di personale che non gli permetterebbe di presentare la di
chiarazione personalmente o a mezzo di incaricato, secondo quanto pre visto dall'art. 582 c.p.p. La Suprema corte, però, giudica inammissibile
l'impugnazione per l'impossibilità di identificare con certezza il soggetto da cui essa proviene. La difficoltà di seguire le forme prescritte dall'art. 582 può del resto essere aggirata, secondo i giudici di legittimità, appli cando l'art. 583 c.p.p., che ammette l'uso di telegramma o di raccoman data. Quest'ultima norma viene quindi richiamata sulla base di un'inter
pretazione estensiva, non essendovi alcun riferimento negli art. 309 e 310
c.p.p., che disciplinano l'impugnazione dei provvedimenti relativi a misu
re cautelari personali. Si veda comunque la Relazione al progetto preliminare del c.p.p., in
Le leggi, 1988, 2495, secondo cui «deve ritenersi implicito il rinvio alla
disciplina dell'appello, in quanto non risulti diversamente disposto, per
gli aspetti procedurali» che non siano presi in considerazione dall'art. 310.
La Cassazione ha già avuto modo di affermare l'applicabilità della san
zione dell'inammissibilità ex art. 591 c.p.p in caso di violazione delle
forme prescritte per l'impugnazione di cui all'art. 309 (sent. 28 aprile 1990, Del Giudice, citata da Guariniello, il nuovo codice di procedura
penale: un anno di applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassa
zione, in Foro it., 1990, II, 568). Nel vecchio codice mancava una specifica disciplina delle modalità di
presentazione dell'impugnazione, e si riteneva quindi che l'unico requisi to fosse l'individuazione del soggetto da cui proveniva la dichiarazione, al fine di accertarne la legittimazione (v. Conso-Grevi, Commentario breve al c.p.p., Padova, 1987, sub art. 198). Non era però ammessa l'impugna zione presentata per mezzo di telegramma dettato per telefono (in questo senso Cass. 30 gennaio 1985, Graziano, id., Rep. 1986, voce Impugnazio ni penali, n. 62; 19 dicembre 1978, Antonelli, id., Rep. 1979, voce cit., n. 45; 14 ottobre 1977, Scalia, id., Rep. 1978, voce cit., n. 92).
La giurisprudenza civile si è occupata del telefax sotto il profilo dell'ef
ficacia probatoria da documenti trasmessi con questo mezzo: Cass. 13
febbraio 1989, n. 886, in questo fascicolo, I, 3490 e 13 febbraio 1989, n. 887, Foro it., Rep. 1989, voce Prova documentale, n. 27, e in Giur.
it., 1990, I, 1, 124, affermano che la delega trasmessa mediante servizio
telefax al difensore chiamato a discutere la causa in sostituzione di altro
avvocato costituisce una «riproduzione elettronica» della procura in og
getto, e rientra tra le riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c.
Essa quindi forma piena prova in mancanza di contestazioni.
Sull'efficacia probatoria del telefax, si veda anche V. Franceschelli,
Computer e diritto, Rimini, 1989, 243, che richiama il principio del libero
convincimento del giudice. Più in generale, sui «documenti informatici»
o «documenti elettronici», v. Montesano, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile, in Dir. informazione e informatica, 1987, 23, e Giannantonio, Il valore giuridico del docu
mento elettronico, in Riv. dir. comm., 1986, I, 261. Della conclusione
del contratto mediante telefax si occupa Pasquino, Aspetti problematici della conclusione del contratto mediante telefax, in Dir. informazione e informatica, 1969, 567.
Il Foro Italiano — 1990 — Parte II-19.
ne. Con la stessa ordinanza il proposto appello veniva altresì' rite
nuto infondato anche nel merito.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
p.m. di Crotone, adducendo che le norme sulla presentazione del
l'impugnazione non escludono l'utilizzabilità di uno strumento
tecnico, come il telefax, che garantisce in ogni caso la ricezione
dell'atto di impugnazione. Il ricorso va rigettato, in quanto legittimamente è stata dichia
rata dal giudice di merito l'inammissibilità del gravame proposto a mezzo telefax.
Invero, le norme in materia (art. 582 e 583, in riferimento agli art. 309, 4° comma, e 310 c.p.p.), riguardanti la presentazione o la spedizione dell'impugnazione prevedono forme particolari, atte a garantire non solo la ricezione ma anche e soprattutto l'au
tenticità della provenienza: l'inosservanza di dette forme compor ta l'inammissibilità dell'impugnazione (art. 591 c.p.p.).
Orbene, le stesse norme non prevedono l'utilizzazione di uno
strumento tecnico, come il telefax, che se garantisce, come soste
nuto dal ricorrente, la ricezione dell'atto di impugnazione, non
si appalesa comunque idoneo a garantirne anche la provenienza. Né a giustificare l'impiego di detto mezzo tecnico possono va
lere le ragioni addotte dal ricorrente (carenza di personale), poi ché a tale inconveniente ben si sarebbe potuto ovviare con la spe dizione dell'atto di impugnazione a mezzo di telegramma o di
lettera raccomandata (art. 583 c.p.p.).
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 3 feb braio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Piccinin
ni (conci, conf.); ric. Saviano e altro. Annulla senza rinvio App. Roma 23 settembre 1987.
Sentenza, ordinanza e decreto in materia penale — Disciplina tran
sitoria — Formule di proscioglimento — Giudizio di cassazio
ne (Norme att., coord, e trans, cod. proc. pen. del 1988, art.
254; cod. proc. pen. del 1930, art. 538).
Nell'ipotesi di ricorso per cassazione avverso una sentenza di as
soluzione per insufficienza di prove, la Corte di cassazione de
ve applicare l'art. 254 norme att., coord, e trans, c.p.p. del
1988 e pertanto, ai sensi dell'art. 538, 3° comma, c.p.p. del
1930, deve provvedere alla rettificazione della sentenza sosti
tuendo la formula dubitativa con la formula piena; allorché
il ricorso sia stato presentato solo dall'imputato, la Corte di
cassazione provvede alla rettificazione senza esaminare i motivi
del ricorso. (1)
Svolgimento del processo. — (Omissis). Gli imputati hanno pro
posto ricorso per cassazione deducendo vizi di motivazione della
sentenza impugnata in relazione sia alla condanna per la ricetta
zione, sia all'assoluzione per insufficienza di prove dall'imputa zione di concussione.
Il presidente della sesta sezione penale, alla quale era stato as
segnato il ricorso, lo ha trasmesso al primo presidente prospet tando l'opportunità di un intervento delle sezioni unite sulla que stione: «se l'art. 254 disp. trans, c.p.p. (d.l. 28 luglio 1989 n.
271) sia applicabile anche alle sentenze pronunciate dalla Corte
di cassazione». Il ricorso è stato quindi assegnato alle sezioni unite.
Motivi della decisione. — (Omissis). Con un secondo moti
(1) Analogamente, per l'applicabilità dell'art. 254 norme att., coord,
e trans, c.p.p. del 1988 al giudizio di cassazione, cfr. Cass. 27 ottobre
1989, De Vita, Arch, nuova proc. pen., 1990, 155; 10 novembre 1989, N. G., ibid., 65; e, in dottrina, Ciani, Le disposizioni transitorie del nuo
vo codice di procedura penale, in Documenti giustizia, 1989, fase. 9, 85.
In generale sull'art. 254 norme att., coord, e trans, c.p.p. del 1988, v. Frigo, Lineamenti del regime transitorio, in Commentario del nuovo
codice di procedura penale, a cura di Amodio-Dominioni, I, Milano, 1989,
LVIII; Lemmo, Le norme di coordinamento e transitorie, in Conso-Grevi,
Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, 1990, 564, s.
Sull'art. 538 c.p.p. del 1930, v., per tutti, Gaito, in Commentario bre
ve al codice di procedura penale, a cura di Conso-Grevi, Padova, 1987, sub art. 538.
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PARTE SECONDA
vo gli imputati hanno denunciato vizi di motivazione circa l'asso
luzione per insufficienza di prove dall'imputazione di concussio
ne, ed è in relazione a questo motivo che è stata disposta l'asse
gnazione del ricorso alle sezioni unite.
Nel nuovo sistema processuale penale, com'è noto, è venuta
meno la formula dell'assoluzione per insufficienza di prove: a
norma dell'art. 530, 2° comma, c.p.p. il giudice pronuncia sen
tenza di assoluzione piena sia quando manca, sia quando «è in
sufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che
l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che
il reato è stato commesso da persona imputabile». È da aggiun
gre che per l'art. 254 norme trans, (d. leg. 28 luglio 1989 n. 271) «Le sentenze di proscioglimento possono essere pronunciate solo
con le formule previste dal codice», cioè con formula piena, e
che secondo l'art. 245, 1° comma, stesse norme trans, quella del
l'art. 254 è una delle disposizioni da osservare nei procedimenti che proseguono con l'applicazione del codice di rito abrogato.
In base a questi due articoli si è posta la questione di come
debba provvedere la Corte di cassazione in seguito ad un ricorso
dell'imputato contro una sentenza di assoluzione per insufficien
za di prove pronunciata prima dell'entrata in vigore del nuovo
codice.
Secondo un orientamento minoritario la Corte di cassazione
non può applicare la nuova discipina delle formule assolutorie
ma deve limitarsi a giudicare sul ricorso pronunciandone il riget
to, se infondato, od altrimenti annullando la sentenza impugnata
(vedi sez. VI 29 novembre 1989, ric. De Nicola); secondo l'orien
tamento maggioritario invece la corte è tenuta ad applicare la
nuova disciplina. Nell'ambito di questo secondo orientamento esi
stono però opinioni diverse circa la pronuncia da adottare e l'og
getto del giudizio: per alcune decisioni la corte deve limitarsi ad
operare una rettificazione a norma dell'art. 538, 3° comma, c.p.p. del 1930 (vedi sez. Ili 6 novembre 1989, ric. Faldi); per altre la corte deve annullare la sentenza impugnata senza giudicare sul
la fondatezza del ricorso (vedi sez. VI 26 ottobre 1989, ric. La
Neve); per altre ancora la corte prima di pronunciare l'annulla
mento deve esaminare i motivi per accertare se vi siano o meno
le condizioni per pervenire ad un'assoluzione piena indipendente mente dalla sostituzione della formula imposta in ogni caso dalla
nuova disciplina (vedi sez. V 27 ottobre 1989, De Vita). All'origine del contrasto è la lettera dell'art. 254, perché que
sto articolo, diversamente da altre disposizioni transitorie, non
si limita a stabilire l'applicazione della nuova disciplina nei pro cedimenti che proseguono secondo il vecchio rito ma dice che
«le sentenze di proscioglimento possono essere pronunciate solo
con le formule previste dal codice» e da questa formulazione è
stato dedotto che la disposizione riguarda solo i giudici di merito,
posto che solo questi istituzionalmente pronunciano sentenze di
proscioglimento. Di conseguenza, la Corte di cassazione in segui to ad un ricorso dell'imputato contro una sentenza di assoluzione
per insufficienza di prove dovrebbe decidere emettendo una pro nuncia di rigetto o di annullamento del provvedimento impugna to senza fare applicazione della nuova disciplina.
È da notare che l'art. 13 del progetto preliminare delle norme
transitorie, dal quale ha avuto origine l'art. 254, era cosi formu
lato: «Le sentenze di proscioglimento possono essere pronunciate solo con le formule previste dal codice di procedura penale. Ove
ne ricorrano le condizioni, la Corte di cassazione provvede alla
rettificazione della formula della sentenza». Nel progetto definiti
vo e successivamente nel testo approvato è venuta meno la secon
da parte della disposizione, relativa alla Corte di cassazione, ma
in mancanza di rilievi in proposito e di chiarimenti nelle osserva
zioni del governo è da ritenere che la soppressione sia stata ope rata per una considerazione di superfluità e non per regolare il
giudizio di cassazione diversamente da quanto era stato espressa mente previsto nel progetto preliminare.
In effetti l'applicabilità della nuova disciplina sulle formule di proscioglimento in tutto il corso dei procedimenti che proseguo no in base al vecchio rito, e quindi anche nel giudizio di cassazio ne, si desume dal richiamo operato dall'art. 254 ed è quindi pen sabile che il legislatore abbia considerato inutile ribadirla in que st'ultima disposizione. È certo che al contrario della maggior parte delle disposizioni del codice del 1930, che continuano ad appli carsi nei procedimenti che proseguono con il vecchio rito, la nor
ma sull'assoluzione con formula dubitativa è stata espunta in modo
radicale dal sistema (come risulta anche dall'art. 237 norme coord., che comporta l'eliminazione delle iscrizioni delle assoluzioni per
Il Foro Italiano — 1990.
insufficienza di prove dal casellario giudiziale) ed è insuscettibile di ulteriore applicazione nel corso di qualunque procedimento pe
nale, sicché l'esame da parte della Corte di cassazione di un ri
corso dell'imputato volto a contestare un'assoluzione con formu
la dubitativa risulterebbe privo del necessario riferimento nor
mativo.
Sotto altro aspetto è consistente il rilievo che, se la Corte di
cassazione non facesse applicazione della nuova disciplina nel ca
so in cui il ricorso dell'imputato fosse fondato (ad esempio per un travisamento di fatto), senza possibilità per la corte di perve nire essa stessa alla conclusione di una mancanza di prova e di
provvedere in conseguenza, verrebbe disposto un annullamento
con rinvio assolutamente inutile, dal momento che il giudice di
rinvio anche se dovesse ritenere ancora una volta insufficiente
o contraddittoria la prova non potrebbe fare altro che pronuncia re un'assoluzione con formula piena.
In sintesi, l'unica regola di decisione applicabile dopo l'entrata
in vigore del nuovo codice è quella che impone l'assoluzione con
formula piena «anche quando... è insufficiente o è contradditto
ria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da
persona imputabile». Questa situazione probatoria è parificata alla mancanza di prova: in un caso come nell'altro è prescritta l'assoluzione con formula piena e ad essa non può non provvede re anche la Corte di cassazione quando in base all'accertamento
del giudice di merito si trova in presenza di una prova insuffi ciente o contraddittoria. È da aggiungere che non occorre che
la corte esamini il ricorso dell'imputato, dato che in presenza di una prova insufficiente o contraddittoria essa è tenuta a sosti
tuire la formula dubitativa con quella piena indipendentemente dalla fondatezza dei motivi di impugnazione. In altre parole, l'e
same della motivazione della sentenza impugnata, che viene gene ralmente sollecitato con i motivi di ricorso contro una pronuncia
per insufficienza di prove, risulta irrilevante ai fini della decisio ne della corte perché in ogni caso il giudizio di cassazione si deve
concludere con un'assoluzione piena. A ben vedere, una volta stabilito che la corte deve fare applica
zione della nuova regola di decisione, la situazione processuale
conseguente all'impugnazione di una sentenza di assoluzione per insufficienza di prove appare non diversa da quella in cui la corte
si troverebbe se venisse impugnata una sentenza di assoluzione
con formula piena emessa sotto il vigore del nuovo codice in base
all'accertamento di una prova insufficiente o contraddittoria com
piuto dal giudice di merito ed impugnato per cassazione, ed è
noto che secondo la giurisprudenza consolidata di questa corte
un ricorso del genere non sarebbe ammissibile perché investireb
be la motivazione senza conseguenze sul dispositivo e cioè sulla
statuizione del giudice rispetto alla quale si forma il giudicato
(vedi sez. V 3 giugno 1983, Santisi, Foro it., Rep. 1984, voce
Impugnazioni penali, n. 39; sez. VI 15 giugno 1984, La Mendola,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 35; sez. I 21 marzo 1983, Bortolotti,
ibid., n. 34). Del resto, se si ritenesse ammissibile un ricorso che
senza incidere sulla decisione concernesse solo la motivazione sul
l'insufficienza di prove si riprodurrebbe, sotto un diverso profi
lo, una differenza che il nuovo codice ha inteso negare parifican do alla mancanza l'insufficienza della prova per la comune carat
teristica costituita dalla incapacità che tutte e due le situazioni
probatorie presentano di superare la presunzione di non colpevo lezza (v. la Premessa della Relazione al testo definitivo del codice
di procedura penale, in Le leggi, 1988, 2657). Resta da stabilire quale provvedimento debba essere adottato
dalla Corte di cassazione per sostituire la formula dubitativa, se
cioè la corte debba operare una rettificazione a norma dell'art.
538, 3° comma, c.p.p. del 1930, come hanno ritenuto alcune de
cisioni, ovvero debba pronunciare un annullamento senza rinvio
a norma dell'art. 539, n. 4, oppure n. 9 c.p.p. del 1930, come
hanno ritenuto altre decisioni. Si tratta di una questione essen
zialmente formale perché, com'è stato rilevato in dottrina, la ret
tificazione a norma dell'art. 538, 3° comma, produce effetti non
dissimili da quelli dell'annullamento. Sta però di fatto che la si tuazione in esame rientra letteralmente nella previsione dell'art.
538, 3° comma, ed è quindi questa la disposizione di cui, per provvedere in modo corretto, va fatta applicazione. È vero che
in giurisprudenza e in dottrina c'è stata una tendenza a parificare la formula «disposizioni... più favorevoli» dell'art. 538, 3° com ma, a quella analoga dell'art. 2, 3° comma, c.p., ma la lettera
della legge non autorizza una limitazione della portata normativa
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GIURISPRUDENZA PENALE
dell'art. 538, 3° comma, alle sole norme sostanziali e non occorre
perciò rifarsi a quell'opinione interpretativa che vuole estendere
la portata dell'art. 2, 3° comma, c.p. ad alcune fondamentali
norme processuali (tra le quali a quanto pare dovrebbero rientra
re le regole di giudizio e di decisione) per giungere alla conclusio
ne che in seguito alla soppressione della formula dubitativa ci
si trova, a norma dell'art. 538, 3° comma, in presenza di una
nuova disposizione più favorevole all'imputato, la quale legittima la corte ad una rettificazione della sentenza impugnata. È da ag
giungere che la rettificazione appare corretta anche considerando
che l'annullamento si collega generalmente, anche se non sempre, ad un vizio del provvedimento annullato per la violazione di una
norma che il giudice era tenuto ad osservare, mentre nel caso
in esame l'intervento della corte, sostitutivo della formula assolu
toria, dipende non da una violazione ma da una sopravvenienza normativa.
Per concludere va infine chiarito che la pronuncia di rettifica
zione, come quella di annullamento senza rinvio (alla quale la
prima è assimilata dall'art. 550 c.p.p. del 1930), non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una
somma alla cassa delle ammende.
Non rimane ora che fare applicazione ai ricorsi in esame dei
principi fin qui esposti, in base ai quali, rispetto all'imputazione di concussione, la formula dubitativa adottata dalla sentenza im
pugnata deve essere sostituita con l'assoluzione perché il fatto
non sussiste.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 3 feb braio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Sacchetti, P.M. Picci
ninni (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Caltanissetta c. Can
cilleri. Conferma App. Caltanissetta 30 novembre 1987.
Edilizia e urbanistica — Lottizzazione abusiva — Responsabilità del notaio — Limiti (L. 16 febbraio 1913 n. 89, ordinamento del notariato e degli archivi notarili, art. 27, 28; 1. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urbanistica, art. 28, 41; 1. 6 agosto 1967
n. 765, modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 ago sto 1942 n. 1150, art. 8, 10; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme
per l'edificabilità dei suoli, art. 17).
Il notaio concorre nel reato di lottizzazione abusiva solo quando
partecipa dolosamente al piano di lottizzazione e non se roga
gli atti di acquisto di lotti abusivi o autentica le firme dei con
traenti in calce alle scritture dagli stessi predisposte. (1)
(1) I. - Con la pronuncia in epigrafe, le sezioni unite compongono il contrasto giurisprudenziale, manifestatosi prima dell'entrata in vigore della 1. 47/85, a proposito deU'incriminabilità come concorrente nel reato
di lottizzazione abusiva del notaio, che abbia svolto il proprio ministero
di pubblico ufficiale rogante per contratti di trasferimento di lotti abusi vi. In senso favorevole alla sanzionabilità penale dell'attività di stipula dell'atto pubblico si erano espresse numerose pronunce: cfr. Cass. 15 giu
gno 1983, Luciani, Foro it., Rep. 1984, voce Edilizia e urbanistica, nn.
624-626; 30 aprile 1984, Giammatteo, id., Rep. 1985, voce cit., n. 753; nonché, più recentemente, Cass. 6 aprile 1988, Grasso, Giust. pen., 1989,
II, 213; 25 gennaio 1989, Ruscica, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 624.
In modo antitetico si era invece pronunciata Cass. 6 aprile 1982, Mennu
ni, id., Rep. 1982, voce cit., n. 489. Reiteratamente invece l'attività di
autentica delle firme delle parti di una scrittura privata di compravendita di lotti di terreno, abusivamente frazionati, è stata ritenuta penalmente irrilevante (cosi Cass. 12 gennaio 1982, Violoni, id., 1983, II, 281, com
ampia nota di richiami; 6 aprile 1982, Mennuni, cit.; 20 giugno 1983,
Carraro, id., Rep. 1984, voce Notaio, n. 41; 13 marzo 1985, Sbardella,
id., Rep. 1986, voce Edilizia e urbanistica, n. 650). Tale principio è stato,
peraltro, riaffermato nella sentenza in epigrafe.
II. -1 giudici di merito si sono pronunciati prevalentemente per la re
sponsabilità concorsuale del notaio rogante: cfr., da ultimo, Pret. Castel
lammare del Golfo 14 ottobre 1987, Riv. giur. edilizia, 1988, I, 1057, nonché Pret. Roma 21 giugno 1988, ibid., 261. In precedenza, nello stes
so senso, tra le altre, v. Pret. Roma 9 aprile 1980 e 12 dicembre 1979, Foro it., 1980, II, 544, con nota di richiami; Pret. Prato 28 maggio 1980,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 482; Pret. Latina 23 aprile 1980, id., Rep.
1982, voce cit., 491; Pret. Civita Castellana 9 marzo 1982, ibid., n. 492;
Il Foro Italiano — 1990.
1. - Con sentenza in data 12 dicembre 1986 il Pretore di Gela
dichiarò il notaio Giuseppe Cancilleri colpevole di concorso nel
reato continuato di lottizzazione abusiva per aver rogato atti pub blici ed autenticato scritture private, aventi ad oggetto il trasferi
mento di proprietà di terreni suscettibili di utilizzazione a scopo
edilizio, in mancanza di lottizzazione convenzionata o di altro
strumento attuativo del piano regolatore generale (fatti commessi
in Gela dal 29 luglio 1983 al 12 marzo 1985). 2. - Su appello dell'imputato, la Corte d'appello di Caltanisset
ta con sentenza del 30 novembre 1987 assolse il Cancilleri dal
reato ascrittogli per non aver commesso il fatto, sul rilievo che, risultando dagli atti essere stati gli acquirenti posti a conoscenza
Pret. Roma 13 gennaio 1981, ibid., n. 494; Pret. Roma 10 novembre
1981, ibid., n. 715; Pret. Latina 27 aprile 1981, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 539; Pret. Roma 27 maggio 1983, ibid., n. 541; Pret. Torre An nunziata 11 giugno 1983, id., Rep., 1984, voce cit., n. 627; Pret. Torre Annunziata 24 aprile 1983, ibid., n. 629. Ha ritenuto concorrente nel reato de quo il notaio, che aveva autenticato le firme di sottoscrizione
degli atti di vendita dei singoli lotti di terreno, Pret. Torino 11 maggio 1983, ibid., n. 628. Inoltre, meritano un cenno sia Pret. Favara 17 gen naio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 712, secondo cui sussiste la corre
sponsabiltà penale del notaio, che abbia ricevuto un atto pubblico di do nazione avente ad oggetto una pluralità di lotti abusivi frazionati; sia Pret. Castellammare del Golfo 16 dicembre 1987, Riv. giur. edilizia, 1988,
I, 1068, che ha escluso la responsabilità penale (per il reato di lottizzazio ne abusiva) degli acquirenti, i quali, per le loro modeste condizioni socio
culturali, avevano fatto affidamento sulle assicurazioni, fornite dal no taio rogante.
In senso assolutorio sono state invece molte pronunce dei giudici di secondo grado, tra cui Trib. Roma 4 febbraio 1980, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 526; Trib. Orvieto 4 maggio 1978, id., Rep. 1979, voce Rea to in genere, n. 26; Trib. Prato 22 settembre 1981, id., Rep. 1982, voce
Notaio, n. 31 e Trib. Latina 9 ottobre 1981, ibid., voce Edilizia e urbani
stica, n. 490. Per ulteriori informazioni, v. Bosio-Cicala, Illeciti e sanzioni in mate
ria edilizia ed urbanistica, Milano, 1985, I, 1018 ss.; nonché Poggi, Ras
segna di giurisprudenza sull'urbanistica, Milano, 1987, tomo II, 1899 ss.
III. - Il provvedimento de quo si segnala innanzitutto per la qualifica zione del reato di lottizzazione abusiva come contravvenzione a carattere
necessariamente doloso. In precedenza, era stato invece affermato che, trattandosi di un reato contravvenzionale, è sufficiente ad ipotizzare il
concorso del notaio anche la mancanza di quella normale diligenza che
gli avrebbe reso possibile rendersi conto, sulla base di elementi inequivo ci, che questi costituivano momenti di un'operazione lottizzatoria (cosi, Cass. 15 giugno 1983, Luciani, cit.). Peraltro, in sintonia con la sentenza
in rassegna è stato recentemente sostenuto che nel caso di frazionamento e divisione di un fondo comune «l'intendimento di edificare deve essere dimostrato in modo certo» (Cass. 30 settembre 1989, Petrina, Riv. pen., 1990, 591).
In dottrina, pur affermandosi la natura colposa del reato de quo, è
stato puntualizzato che alcuni degli elementi, che entrano a comporlo,
«esigono per la loro stessa natura il concorso di un elemento volontario
ed intenzionale del soggetto agente «essendo necessario che i soggetti agenti manifestino l'intenzione di procedere alla sistemazione a scopi abitativi
o commerciali delle aree lottizzate» (cosi, Cicala, Le trasformazioni ur
banistiche ed edilizie, Padova, 1983, 110; nello stesso senso, ora, anche
Marini, Note sulla «lottizzazione abusiva», in Riv. trim. dir. pen. econo
mia, 1990, 56 ss., spec. 75-77). Le sentenze di merito che hanno affronta
to ex professo il problema in questione si sono espresse in modo differen
ziato: la natura colposa del reato de quo è stata sostenuta da Pret. Orvie
to 27 febbraio 1976, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 596. Al contrario,
poiché la legge esigerebbe che l'autore agisca per un fine particolare —
quello edificatorio — la contravvenzione de qua è stata qualificata come
dolosa e, anzi, a dolo specifico (Trib. Prato 22 settembre 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 476). Infine — quasi come tesi intermedia tra le due
appena esposte — è stato dedotto che «ai sensi degli art. 40 e 41 c.p. concorre a cagionare il reato permanente di lottizzazione abusiva — e
quindi ne risponde a titolo doloso o colposo — il notaio rogante gli atti
di vendita dei lotti, quando i documenti e le circostanze a sua disposizio ne sono tali da rendere obiettivamente manifesta la finalità lottizzatoria
delle vendite» (Pret. Latina 23 aprile 1980, cit.; 27 aprile 1981, id., Rep.
1983, voce cit., n. 539, annotata da Manera, in Giur. merito, 1983, 1033).
IV. - La qualificazione come dolosa della contravvenzione de qua co
stituisce per la Suprema corte la premessa per delimitare (restrittivamen
te) la responsabilità concorsuale del notaio rogante, ritenuta ammissibile
solo nell'ipotesi di una sua deliberata partecipazione al piano lottizzato
rio. Nello stesso senso tra i giudici di merito, si era già pronunciato Trib.
Orvieto 4 maggio 1978, cit. e in dottrina, Cicala, op. cit., 115; Di Troc
cm, Lottizzazione abusiva e responsabilità del notaio, in Giur.it., 1981,
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