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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 6 marzo 1992; Pres....

Date post: 27-Jan-2017
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sezioni unite penali; sentenza 6 marzo 1992; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Lombardi (concl. conf.); ric. Proc. gen. App. Bologna e Merletti. Conferma Assise app. Bologna 24 giugno 1991 Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 485/486-489/490 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185985 . Accessed: 28/06/2014 13:32 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.171 on Sat, 28 Jun 2014 13:32:50 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 6 marzo 1992; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Lombardi(concl. conf.); ric. Proc. gen. App. Bologna e Merletti. Conferma Assise app. Bologna 24 giugno1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.485/486-489/490Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185985 .

Accessed: 28/06/2014 13:32

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GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 6 mar

zo 1992; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Lombardi

(conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Bologna e Merletti. Con

ferma Assise app. Bologna 24 giugno 1991.

Giudizio abbreviato — Reati punibili con l'ergastolo — Dichia

razione di incostituzionalità — Effetti (Cod. proc. pen., art.

442).

A seguito della sentenza n. 176 del 1991 della Corte costituzio

nale, che ha dichiarato illegittimo l'art. 442, 2° comma, c.p.p., non è ammesso il giudizio abbreviato quando all'imputato è addebitato un reato punibile con l'ergastolo, rispetto al quale il giudice per le indagini preliminari risulta privo della com petenza a definire il processo. (1)

La sentenza n. 176 del 1991 della Corte costituzionale non può determinare effetti svantaggiosi per gli imputati di reati puni bili con l'ergastolo che hanno richiesto il giudizio abbreviato prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 442, 2° comma, c.p.p.; per essi rimane, dunque, fermo il trat

tamento penale di favore di cui hanno goduto in collegamen to con il procedimento penale adottato. (2)

Motivi della decisione. — Con la sentenza n. 176 del 1991

{Foro it., 1991, I, 2318) la Corte costituzionale ha dichiarato

l'illegittimità costituzionale dell'art. 442, 2° comma, ultimo pe riodo («Alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclu

sione di anni trenta»), c.p.p., affermando nella motivazione che

«una volta riconosciuta la connessione tra giudizio abbreviato

e diminuzione della pena e, quindi, l'impraticabilità del primo in mancanza della possibilità di operare della seconda, il venir

meno di quest'ultima, per effetto della dichiarazione di illegitti mità costituzionale, rende di per sé inapplicabile il giudizio ab

breviato, quale disciplinato dagli articoli da 438 a 443 c.p.p., ai processi concernenti delitti punibili con l'ergastolo».

Il procuratore generale requirente e la difesa hanno sostenuto

che l'incidenza normativa della pronuncia di illegittimità costi tuzionale deve desumersi unicamente dal dispositivo e che quin di in seguito alla sentenza n. 176 del 1991 resta preclusa la pos sibilità di sostituire la pena dell'ergastolo con quella della reclu

sione di trenta anni ma non anche quella di svolgere il giudizio abbreviato per i delitti che secondo l'imputazione enunciata dal

pubblico ministero con la richiesta di rinvio a giudizio risultano

punibili con l'egastolo. E stato detto che bisogna distinguere i presupposti del procedimento speciale dalla regola di giudizio e che la diminuzione della pena, come la sostituzione dell'erga stolo con la reclusione di trenta anni, costituisce una regola di

giudizio, mentre il presupposto è costituito dalla definibilità al lo stato degli atti, con la conseguenza che se esiste il presuppo sto può svolgersi il giudizio abbreviato anche se riguarda un

delitto punibile con l'ergastolo e che in questo caso, al termine

del giudizio, il giudice se, per la diversa qualificazione del fatto, l'esclusione di aggravanti o la comparazione con attenuanti, ri

tiene di dover applicare la pena della reclusione opera la ridu

zione di un terzo, mentre se ritiene di dover applicare l'ergasto lo non può sostituirlo con trenta anni di reclusione. Si è aggiun to che la ricostruzione è conforme alla direttiva n. 53 della legge

delega, dato che la formula «previsione che nel caso di condan

na le pene previste per il reato ritenuto in sentenza siano diminuite

(1-2) I due problemi interpretativi affrontati e risolti dalla pronuncia in rassegna — pressoché identica, in parte motiva, a Cass., sez. un., 6 marzo 1992, Proc. gen. e Piccillo, inedita — si erano, già all'indoma

ni della pubblicazione della sentenza 23 aprile 1991, n. 176 della Corte

costituzionale (Foro it., 1991, I, 2318, con nota di Tranchina), posti all'attenzione della dottrina e della giurisprudenza. Per una sintesi del

dibattito e per ulteriori richiami, cfr. Di Chiara, Il nuovo codice di

procedura penale alla vigilia del primo triennio: gli itinerari della giuris

prudenza costituzionale, id., 1992, I, 1639 (§ 2.12), cui adde Torre

bruno, Una esclusione da cancellare con legge, in Guida normativa

de II Sole - 24 Ore, 1992, fase. 72, 25 s.

Il Foro Italiano — 1992.

di un terzo» vuole significare che l'entità della pena deve venire

in considerazione dopo il giudizio e non prima. È chiaro che questa ricostruzione dell'istituto comporterebbe

nel caso oggetto del ricorso la legittimità del giudizio abbrevia

to e della diminuzione di pena, dato che il giudice per le indagi ni preliminari non ha applicato la pena dell'ergastolo, ma si tratta di una ricostruzione non consentita dalla sentenza della

Corte costituzionale.

Com'è noto, dopo iniziali incertezze questa corte, con giuris

prudenza ormai consolidata anche per l'intervento delle sezioni

unite civili, è giunta alla conclusione che l'effettiva portata nor

mativa delle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale non è necessariamente definita dal solo dispositivo perché il ti

po di provvedimento previsto dal legislatore per le pronunce della Corte costituzionale fa ritenere che pure per esse valgano i criteri ermeneutici generalmente adottati per le sentenze e che

quindi il dispositivo debba essere interpretato facendo riferimento

alla corrispondente motivazione (v. sez. un. 24 ottobre 1984, n. 5401, id., 1985, I, 47; 16 gennaio 1985, n. 94, id., Rep. 1985, voce Corte costituzionale, n. 51; più di recente, sez. lav.

19 aprile 1989, n. 1850, id., 1989, I, 3050). Posto tale principio non può affermarsi che in seguito alla

dichiarazione di illegittimità contenuta nella sentenza n. 176 del

1991 può procedersi con il giudizio abbreviato anche per i reati

punibili con l'ergastolo, rimanendo solo preclusa la possibilità di sostituire l'ergastolo con la reclusone di trenta anni. È tutta

la motivazione della sentenza, e non solo le parole inizialmente

riportate, che esprime la correlazione tra la pena applicabile e l'ammissibilità del procedimento speciale, escludendo che la

pena possa rilevare solo al momento del giudizio. In altre paro le la Corte costituzionale ha fatto rientrare tra i presupposti del giudizio abbreviato anche l'applicabilità, in base all'imputa

zione, di una pena diversa dall'ergastolo, nel senso che il proce dimento speciale risulta ammissibile solo quando è applicabile una pena pecuniaria o una pena detentiva temporanea.

È da notare al riguardo che la questione di legittimità costitu

zionale era stata sollevata dal giudice per le indagini preliminari

prima di procedere al giudizio abbreviato, proprio perché inten

deva farne escludere la legittimità, sia per la ragione poi giudi cata fondata dalla Corte costituzionale, sia per altre ragioni, e che l'avvocatura dello Stato per quanto concerneva il denun

ciato eccesso di delega rispetto all'ergastolo aveva eccepito l'i

nammissibilità della questione «in base all'assunto che il giudice a quo l'ha sollevata in un momento in cui l'applicazione della

norma denunciata si presentava come una mera eventualità, non

essendo ancora stati accertati gli elementi idonei a verificare

se, in concreto, fosse applicabile la pena dell'ergastolo». E da

parte della Corte costituzionale questa eccezione è stata ritenuta

priva di fondamento per la considerazione che «l'ordinanza di

rimessione, pur ponendo l'accento sul profilo della pena, mette

in discussione la stessa possibilità, alla luce della delega, di sot

toporre a giudizio abbreviato i processi relativi a delitti punibili con la pena dell'ergastolo».

Dopo avere individuato la caratteristica del giudizio abbre viato nella riduzione della pena la Corte costituzionale ha ag

giunto che «con il mettere in discussione la possibilità di opera re tale riduzione per una certa categoria di delitti viene necessa

riamente messa in discussione anche la possibilità di avvalersi

di quel procedimento speciale». Coerentemente poi, con la successiva ordinanza n. 48 del 7

febbraio 1992, la Corte costituzionale, investita di un'ulteriore

questione di legittimità costituzionale sul giudizio abbreviato sol

levata da un giudice per le indagini preliminari, ne ha dichiara to la manifesta inammissibilità rilevando che era stato contesta

to all'imputato un delitto per il quale era prevista la pena del

l'ergastolo e che di conseguenza, per effetto della sentenza

176/91, il giudizio abbreviato risultava inapplicabile. Deve quindi concludersi che per effetto della pronuncia di

illegittimità costituzionale dell'art. 442, 2° comma, c.p.p. non

è ammesso il giudizio abbreviato quando all'imputato è addebi

tato un reato punibile con l'ergastolo, rispetto al quale il giudi

ce per le indagini preliminari risulta privo della competenza di

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PARTE SECONDA

definire il processo. Certo può accadere che il giudice del dibat

timento poi qualifichi diversamente il fatto (ad esempio ritenen

do che si tratti di omicidio preterintenzionale anziché di omici

dio volontario) od escluda le circostanze che secondo l'imputa

zione avrebbero comportato l'applicabilità dell'ergastolo ed

occorre stabilire se in un caso del genere l'imputato che si è

visto ingiustificatamene privare del giudizio abbreviato può co

munque ottenere dal giudice del dibattimento la diminuzione

di un terzo, come quando il giudizio abbreviato viene impedito dal dissenso ingiustificato del pubblico ministero (Corte cost.

15 febbraio 1991, n. 81, id., 1991, I, 2322), o da un'errata deci

sione di rigetto del giudice per le indagini preliminari (Corte cost. 31 gennaio 1992, n. 23, id., 1992, I, 1057), ma questo caso esula dal tema della presente decisione, dato l'avvenuto

svolgimento ad opera del giudice per le indagini preliminari di

un giudizio abbreviato che secondo la sentenza 176/91 non era

consentito.

Occorre dunque stabilire quali effetti abbia determinato la

dichiarazione di illegittimità costituzionale nel caso in esame,

cioè se abbia comportato l'invalidità del giudizio abbreviato che

si era già svolto e della correlativa diminuzione di pena applica ta agli imputati.

Sugli effetti delle pronunce di incostituzionalità di norme pro cessuali nella giurisprudenza della Corte di cassazione, e soprat tutto in quella delle sezioni penali, si sono manifestati orienta

menti contrastanti e sono dovute intervenire le sezioni unite,

le quali con la sentenza 7 luglio 1984, Galante (id., Rep. 1985,

voce Acque pubbliche, n. 147) hanno riconosciuto che «la di

chiarazione di illegittimità costituzionale, avendo per presuppo sto l'esistenza di un vizio che inficia ab origine la norma in

contrasto con il precetto costituzionale, ha efficacia invalidante

e non abrogativa, producendo conseguenze simili a quelle del

l'annullamento». Da questa efficacia le sezioni unite hanno ar

gomentato «l'obbligo del giudice di non applicare la norma di

chiarata incostituzionale, e ciò non soltanto nel procedimento in cui è stata sollevata la questione di illegittimità costituziona

le, ma — stante l'efficacia erga omnes della sentenza di accogli mento della Corte costituzionale — anche in ogni altro giudizio in cui la norma stessa debba o possa essere assunta a canone

di valutazione di qualsivoglia fatto o rapporto, anche se venuto

in essere anteriormente alla pubblicazione sulla G.U. della sud

detta sentenza, purché ancora in via di svolgimento o comun

que non produttivo di effetti giuridici definitivi». Anche dopo l'intervento delle sezioni unite, soprattutto in se

guito alla pronuncia di incostituzionalità dell'art. 9 r.d.l. 20 lu

glio 1934 n. 1404 (Corte cost. 15 luglio 1983, n. 222, id., 1983,

I, 2062), i contrasti si sono reiterati (v., ad esempio, sez. II

25 giugno 1984, Tropea, id., Rep. 1985, voce Tribunale per i minorenni, n. 22; sez. Ili 14 marzo 1984, Bragagnolo, ibid.,

voce Corte costituzionale, n. 61; sez. Il 29 settembre 1983, Ros

setti, ibid., voce Tribunale per i minorenni, n. 29), perché alcu

ne decisioni hanno continuato a ritenere che le dichiarazioni

di incostituzionalità non possono rendere invalidi gli atti pro cessuali precedentemente compiuti e producono effetti solo per il tempo successivo alla pubblicazione del dispositivo sulla Gaz

zetta ufficiale, (ancora in questo senso, di recente, v. sez. VI

25 ottobre 1990, Dell'Ernia). Si tratta però di decisioni che non

hanno addotto argomenti per contrastare i principi affermati

dalle sezioni unite, perciò quei principi non possono che essere

ribaditi. Sul punto deve concludersi che la normativa risultante per

effetto delle pronunce di incostituzionalità va applicata anche

rispetto agli atti processuali già compiuti (sempreché, ovviamente, vi siano le condizioni processuali per la sua applicazione), costi

tuendo per il giudice l'unico canone di valutazione di quegli atti.

Nel caso in esame, dato che il procuratore generale ricor rente ha messo in discussione la validità del giudizio abbrevia

to, con la conseguente diminuzione di pena, e correlativamen

te la competenza del giudice per le indagini prliminari a defi

nire il giudizio in luogo della corte di assise, non può

prescindersi per la decisione del ricorso dalla pronuncia di

incostituzionalità se non individuando una limitazione che possa

Il Foro Italiano — 1992.

nel caso di specie impedirne l'applicazione «retroattiva».

Questa applicazione infatti non è senza limiti: uno, com'è

noto, è costituito dalle situazioni esaurite, un altro è costituito

dalle situazioni consolidate per effetto di norme penali di favore.

Il secondo limite si ricollega all'art. 25, 2° comma, Cost, ed

è stato più volte indicato dalla Corte costituzionale, che nei tempi meno recenti era solita dichiarare l'inammissibilità di questioni di costituzionalità concernenti norme penali di favore per la con

siderazione che l'eventuale pronuncia di accoglimento non avreb

be potuto spiegare effetti nel giudizio a quo. Con la sentenza

3 giugno 1983, n. 148 (id., 1983, I, 1800) la Corte costituzionale

ha riconosciuto l'ammissibilità delle questioni concernenti nor

me penali di favore ribadendo però che «è un fondamentale

principio di civiltà giuridica, elevato a livello costituzionale dal

2° comma dell'art. 25 Cost. ..., ad esigere certezza ed irretroat

tività dei reati e delle pene: né le garanzie che ne derivano po

trebbero venire meno, se non compromettendo l'indispensabile coerenza dei vari dettati costituzionali, di fronte ad una decisio

ne di accoglimento». La corte ha poi aggiunto che «sebbene

privata di efficacia ai sensi del 1° comma dell'art. 136 Cost,

(e resa per se stessa inapplicabile alla stregua dell'art. 30, 3°

comma, 1. n. 87 del 1953), quanto al passato la norma penale di favore continua perciò a rilevare, in forza del prevalente prin

cipio che precluse la retroattività delle norme incriminatrici».

La diminuzione di un terzo della pena e la sostituzione del

l'ergastolo con la reclusione di trenta anni costituiscono tratta

menti penali di favore con caratteristiche peculiari, perché si

ricollegano ad un comportamento dell'imputato successivo al

reato e di natura processuale, ma secondo queste sezioni unite

la peculiarità dei trattamenti non rende inoperante il limite di

cui si è detto.

È vero che, nonostante autorevoli opinioni dottrinali in senso

diverso, la giurisprudenza di questa corte e della Corte costitu

zionale tende ad escludere la riferibilità dell'art. 25, 2° comma,

Cost, alle norme processuali, ma nella specie gli aspetti proces suali sono strettamente collegati con aspetti sostanziali, perché tali certamente sono quelli relativi alla diminuzione o alla sosti

tuzione della pena e tali sono stati considerati anche dalla Corte

costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 23 del 1992 che ha

dichiarato l'illegittimità costituzionale di varie disposizioni con

cernenti il giudizio abbreviato, nella parte in cui non consenti

vano al giudice del dibattimento di verificare se il processo avreb

be potuto essere definito allo stato degli atti e di applicare in

caso affermativo la riduzione di pena. Sottrarre al giudice del

dibattimento il controllo sulla definibilità allo stato degli atti

avrebbe infatti limitato secondo la Corte costituzionale «in mo

do irragionevole il diritto di difesa dell'imputato, nell'ulteriore svolgimento del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale».

Non importa stabilire la natura della diminuzione o della so

stituzione della pena, importa piuttosto rilevare che essa si ri

solve indiscutibilmente in un trattamento penale di favore e che

ai fini della presente decisione rilevano gli aspetti sostanziali

della disposizione concernente tale trattamento, aspetti che sa

rebbe difficile contestare avendo presente un caso come quello

oggetto del presente ricorso nel quale l'adozione del giudizio abbreviato ha determinato una diminuzione di pena di sei anni

e sei mesi di reclusione. Né secondo queste sezioni unite può rilevare in senso negativo il fatto che il trattamento penale di

favore dipenda da un comportamento successivo alla commis

sione del reato perché la garanzia dell'art. 25, 2° comma, Cost,

deve essere intesa nel senso che se la legge ricollega ad una

condotta, anche successiva al reato, un trattamento penale non

può un'eventuale pronuncia di incostituzionalità di quella legge

comportare un trattamento svantaggioso per chi ha tenuto quel la condotta. Se si pensa, ad esempio, alle disposizioni che, in

relazione a condotte di collaborazione o di dissociazione tenute

dopo la commissione dei reati, hanno introdotto casi di non

punibilità ed attenuanti per i terroristi «pentiti» o «dissociati»

ci si convince agevolmente che la garanzia della «irretroattività»

delle pronunce di incostituzionalità relative a norme penali di

favore non può non riguardare anche il trattamento penale sta

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GIURISPRUDENZA PENALE

bilito per condotte successive alla commissione del reato e che

quindi il dato rilevante è costituito dal collegamento tra una

condotta e il suo trattamento penale sostanziale, di modo che

non può applicarsi ad un imputato una normativa meno van

taggiosa di quella che regolava la sua condotta nel momento in cui l'ha posta in essere.

Posti questi principi deve concludersi che la sentenza 176/91

non può determinare effetti svantaggiosi per gli imputati di rea

ti punibili con l'ergastolo che hanno richiesto il giudizio abbre

viato prima della dichiarazione dell'illegittimità costituzionale dell'art. 442, 2° comma, c.p.p.

Per questi imputati deve rimanere fermo il trattamento pena le di favore di cui hanno goduto in collegamento con il procedi mento speciale adottato e di conseguenza deve essere rigettato il ricorso del procuratore generale diretto a fare invalidare gli atti del giudizio abbreviato e fare cadere il correlativo tratta

mento di favore. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 18 feb

braio 1992; Pres. Sabeone, Est. Foscarini, P.M. Iannelli

(conci, conf.); ric. Cremonini. Conferma App. Bologna 7 mag

gio 1991.

Circostanze di reato — Aggravanti — Circostanze non cono

sciute o erroneamente supposte — Disciplina — Fattispecie (Cod. pen., art. 59, 582, 583).

Deve ritenersi in via interpretativa che i requisiti di «conoscen

za» o «colposa ignoranza» di cui all'art. 59, 2° comma, c.p.

(cosi come novellato dall'art. 1 I. 19/90) significhino «previ sione» ovvero «prevedibilità» del fatto, cronologicamente suc

cessivo alla condotta dell'agente, integrante la circostanza ag

gravante; la valutazione di prevedibilità dovrà essere compiu ta caso per caso, tenendo conto, oltre che della situazione

apparente, anche di quella prevedibile in relazione all'età, al

sesso della persona offesa e a quant'altro nel caso specifico

possa ragionevolmente essere preso in considerazione (nella

specie si è ritenuto che, rispetto al delitto di lesioni volonta

rie, debba considerarsi senz'altro prevista o quanto meno pre vedibile la circostanza aggravante di cui all'art. 583, 1 ° com

ma, n. 2, c.p. allorché la condotta dell'agente, in ragione del

mezzo adoperato, della direzione, della violenza nonché della

reiterazione dei colpi, di per sé riveli l'intenzione di arrecare

un danno notevole). (1)

(1) Lesioni personali aggravate e nuova disciplina delle circostanze.

1. - La sentenza costituisce uno dei primi interventi della Cassazione

volti a definire, alla luce delle recenti modifiche introdotte dalla 1. 19/90, il reale ambito applicativo dei nuovi parametri di imputazione delle cir

costanze aggravanti. Ed invero — posto che il nuovo testo dell'art. 59 c.p., cosi come

modificato dall'art. 1 1. 19/90, dispone che «le circostanze che aggrava no la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui cono sciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore deter

minato da colpa» — la corte ha ritenuto che i requisiti di «conoscenza»

o «colposa ignoranza» di cui al novellato articolo vadano interpretati, in relazione alle circostanze aggravanti che si collocano in un frangente

temporale successivo rispetto quello della condotta del reo, come «pre visione» ovvero «prevedibilità» delle circostanze medesime.

Ciò che conferisce ulteriore interesse alla sentenza su riprodotta è

l'espressa recezione, da parte della corte, di parametri di natura tenden

II Foro Italiano — 1992.

Cremonini Carlo venne tratto a giudizio per rispondere «del

delitto di cui agli art. 582, 583, 1° comma, n. 2, c.p. per avere

colpito con calci e pugni Fieni Furio, cagionandogli un trauma

facciale e la lussazione di sei denti, successivamente avulsi, con

conseguente indebolimento permanente dell'organo della masti

cazione, in Bologna il 6 ottobre 1985». Con sentenza in data 29 gennaio 1990 il Tribunale di Bologna

dichiarava il Cremonini colpevole del reato ascrittogli e, in con

corso di circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggra

vante, lo condannava alla pena di anni uno e mesi tre di reclu

sione, benefici, oltre al risarcimento dei danni in favore della

parte civile.

zialmente obiettiva quali criteri per formulare il giudizio di prevedi bilità.

La corte infatti — premesso che il giudizio di prevedibilità deve essere compiuto caso per caso, tenendo conto oltre che della situazione

apparente, anche di quella prevedibile in relazione all'età, al sesso del la persona offesa e a quant'altro debba essere ragionevolmente consi derato nel caso specifico — ha affermato che, rispetto al delitto di lesioni personali, debba considerarsi senz'altro prevista o prevedibile la circostanza aggravante di cui all'art. 583, 1° comma, n. 2, c.p., allorché ricorrano circostanze di ordine obiettivo (qualità del mezzo

adoperato, direzione, violenza, reiterazione dei colpi) tali da rivelare, di per sé, l'intenzione dell'agente di arrecare un danno notevole.

La portata innovativa della recente 1. 19/90 — caratterizzata, secon do le intenzioni del legislatore, dall'imprescindibilità del requisito sog gettivo ai fini dell'applicabilità delle circostanze aggravanti — risulta in realtà, alla luce di questa sentenza, ridimensionata: a ben guardare, infatti, la Cassazione nella sentenza in epigrafe, ripropone un modello di imputazione delle circostanze già proposto dalla Corte costituzionale in una ormai lontana sentenza (sent. 6/72, Foro it., 1972, I, 277; antecedentemente a questa sentenza, nel senso della completa irrilevan za della previsione o prevedibilità delle conseguenze, cfr. Cass. 18 mar zo 1968, Anelli, id., Rep. 1968, voce Lesione personale e percosse, nn. 16, 17; 8 novembre 1967, Mazzi, ibid., nn. 6, 7. Più in generale, sull'elemento soggettivo del delitto di lesioni personali, v. Cass. 25

novembre 1986, Zito, id., Rep. 1988, voce cit., n. 6; 6 marzo 1986, Bertanti, id., Rep. 1987, voce cit., n. 5; Trib. mil. Padova 30 gennaio 1986, ibid., n. 6; Cass. 3 febbraio 1984, Dal Pozzo, id., Rep. 1985, voce cit., n. 5; 12 aprile 1983, Negovetich, id., Rep. 1984, voce cit., n. 9). In quell'occasione, che risale al 1972, la corte aveva, invero, ritenuto che il rapporto di causalità psicologica necessario per la confi

gurabilità del delitto di lesione non sia interrotto se dall'azione dolosa

derivano le conseguenze previste dall'art. 583 c.p.; le circostanze in

questione rientrerebbero, infatti, nella prevedibilità dell'agente. Come è agevole osservare, si tratta appunto di un modello di preve

dibilità tendenzialmente astratto-oggettivo, che prescinde dal riferimen to alla capacità di previsione dell'agente concreto.

Il punto merita di essere segnalato, tanto più se considerato alla luce delle motivazioni politico-criminali che hanno ispirato il recente intervento riformistico.

2. - La 1. 19/90, nel solco delle fondamentali sentenze costituzionali 24 marzo 1988, n. 364 (id., 1988, I, 1385, con osservazioni di Fianda

ca, e commentata da Pulitanò in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988,

686) e 13 dicembre 1988, n. 1085 (Foro it., 1989, I, 1378, con nota di Ingroia), ha ricondotto infatti la disciplina delle circostanze aggra vanti all'alveo garantista del principio di colpevolezza: la nuova regola di imputazione estende alle circostanze che aggravano la pena il princi pio nulla poena sine culpa, subordinando, d'ora in avanti, l'attribuibi lità delle stesse ad un coefficiente soggettivo, rispettivamente costituito

dalla loro effettiva conoscenza ovvero dalla loro colposa mancata (o comunque errata) rappresentazione (sul punto, v. Guglielmini, La di

sciplina delle circostanze aggravanti secondo la nuova normativa del l'art. 59 c.p. dettata dall'art. 1 l. 7 febbraio 1990 n. 19, in Ciust.

pen., 1991, II, 700; Fiandaca-Musco, Diritto penale, appendice, Bo

logna, 1990, 2; Melchionda, La nuova disciplina di valutazione delle

circostanze del reato, in Riv. it. dir e proc. pen., 1990, 1439).

Proprio la previsione di un duplice criterio di imputazione delle cir

costanze aggravanti — da un canto il requisito di conoscenza effettiva, dall'altro quello di colpevole ignoranza — ha destato in dottrina per

plessità: è, infatti, controverso se la regola di imputazione, cosi come

differenziata dal legislatore, si ricolleghi o meno alla natura, rispettiva mente dolosa o colposa, del reato-base cui la circostanza accede.

Secondo un primo orientamento, si sostiene che, mentre le circostan

ze aggravanti «conosciute» potrebbero accedere unicamente ad un ille

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