Sezioni unite penali; sentenza 6 ottobre 1979; Pres. T. Novelli, Est. Manca Bitti, P. M. Saja(concl. conf.); ric. Messina e altro. Annulla App. Perugia 5 novembre 1976Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 1/2-5/6Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171522 .
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Anno CV Roma, 1980 Volume CHI
IL FORO
ITALIANO
PARTE SECONDA
GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; sentenza 6 ot
tobre 1979; Pres. T. Novelli, Est. Manca Bitti, P. M. Saja
(conci, conf.); ric. Messina e altro. Annulla App. Perugia 5
novembre 1976.
CORTE DI CASSAZIONE;
Prescrizione penale — Comparazione fra circostanze — Legge
più favorevole — Applicabilità (Cod. pen., art. 2, 69, 157, 589;
legge 7 giugno 1974 n. 220, conversione in legge con modifi
cazioni del d.l. 11 aprile 1974 n. 99, concernente provvedimenti
urgenti sulla giustizia penale, art. 6).
Sentenza, ordinanza e decreto in materia penale — Sentenze di
primo e di secondo grado — Motivazioni — Integrazione re
ciproca — Ammissibilità (Cod. proc. pen., art. 474).
Qualora sia stata concessa una circostanza attenuante, il reato
di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla
disciplina della circolazione stradale o per la prevenzione de
gli infortuni sul lavoro, commesso anteriormente all'entrata in
vigore della novella, meno favorevole, del 1974 sul giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti ed attenuanti, si
prescrive nel termine massimo di sette anni e sei mesi. (1)
(1) Nello stesso senso, tra le altre, Cass. 26 gennaio 1979, Capello e 24 gennaio 1979, Formia (massimate in Giust. pen., 1979, 1:1, 629); 16 novembre 1978, Imburgia, inedita, tutte citate in motivazione; 12 dicembre 1978, Pietrobon, Riv. pen., 1979, 326; 2 ottobre 1978, Leg
gieri, Giust. pen., 1979, II, 184; 27 aprile 1978, Guaiana, Arch, circolaz., 1979, 41 e Riv. pen., 1979, 175; 27 aprile 1978, D'Alessandro, Foro it., Rep. 1978, voce Circostanze di reato, n. 6; 3 maggio 1977, Barbera, inedita. L'unico precedente contrario è costituito da Cass.
12 febbraio 1979, Lentini, citata in motivazione, id., 1979, II,
282, con nota di richiami e osservazioni critiche di Boschi, secondo cui in tema di prescrizione la nuova disciplina legislativa potrà consi derarsi più favorevole o meno favorevole al reo solo quando il ter
mine prescrizionale sia, secondo una delle due leggi, effettivamente decorso e la questione, pertanto, assuma quel carattere di attualità che
in origine le possa essere mancato e non abbia, quindi, impegnato il
giudice nei primi gradi del processo. Qualora l'imputato, condannato in primo grado, abbia ottenuto in appello, ai sensi della nuova di
sciplina introdotta, nelle more dell'impugnazione, con il d.l. 11 aprile 1974 n. 99, convertito in legge 7 giugno 1974 n. 220, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza ri
spetto all'aggravante originariamente contestata e ritenuta, non può
invocare, a seguito del ricorso per cassazione proposto per un più fa
vorevole giudizio di comparazione tra le circostanze, l'applicazione della causa estintiva della prescrizione del reato, maturata nelle more
della fase di legittimità, in forza del principio della legge più favo revole (art. 2 cod. pen.), se la Corte di cassazione, verificando pre giudizialmente la fondatezza della doglianza esposta nel ricorso, la disattenda rigettando il ricorso stesso e rendendo così irrevocabile
l'impugnata pronuncia ed inapplicabile la normativa previgente al decreto legge n. 99 del 1974, che avrebbe consentito la declaratoria
di estinzione del reato per prescrizione.
Il Foro Italiano — 1980 — Parte II-Ì.
Se con i motivi di appello non sono state dedotte questioni nuo
ve, la motivazione della sentenza di secondo grado può rite
nersi integrata da quella della decisione conforme di primo
grado. (2)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Il Tribunale di
Spoleto, con sentenza pronunciata il 30 ottobre 1975, dichiarava
il Messina e il Piombo responsabili del reato di omicidio colposo in danno dell'operaio Antonino Sangiorgio il quale, mentre era
intento a posare alcune lastre di « eternit » su una tettoia di un
reparto dello stabilimento « Cementir » di Sant'Angelo in Mercole
(di cui il Messina era capo del servizio nuovi impianti), cadeva
da una altezza di diciotto metri, decedendo sul colpo.
Al Messina, con la concessione delle attenuanti generiche ri
tenute equivalenti alla contestata aggravante, veniva inflitta la
pena di sei mesi di reclusione; al Piombo (direttore della filiale
di Roma della società Eternit, che aveva stipulato un contratto
d'opera con il Sangiorgio per la esecuzione del lavoro) la pena di un anno di reclusione (con i benefici di legge per entrambi
gli imputati). Giudicando sul gravame proposto sia dal Messina sia dal
Piompo, la Corte d'appello di Perugia confermava la decisione
di primo grado, con la sentenza indicata in epigrafe, avverso la
quale i due imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
Con i motivi dedotti a sostegno dell'impugnazione il Messina
sostiene anche in questa sede che, poiché era stato stipulato un
contratto di appalto fra la Cementir e la Eternit, il personale di
pendente dalla prima delle suindicate due società (come appun to l'attuale ricorrente) aveva l'obbligo giuridico di non interfe
rire nell'esecuzione dei lavori appaltati, la cui responsabilità, ad
ogni effetto, era stata validamente e contrattualmente trasferita
all'appaltatore Eternit.
La corte del merito avrebbe travisato i termini contrattuali e
applicato erroneamente le norme che disciplinano il contratto
d'appalto ponendo a carico del Messina la responsabilità del
l'infortunio occorso al Sangiorgio.
A sua volta il Piombo, con i motivi dedotti a sostegno del ri
corso, sostiene, sotto il profilo della violazione degli art. 524,
nn. 1 e 3, 475, n. 3, cod. proc. pen., in relazione agli art. 589
e 62 bis cod. pen.: a) che il contratto stipulato fra le due suin
dicate società avrebbe dovuto essere qualificato come un con
(2) Giurisprudenza costante: Cass. 4 febbraio 1976, Pesenti, Foro
it., Rep. 1977, voce Sentenza penale, n. 127; 13 gennaio 1976, Casa
grande, id., Rep. 1976, voce cit., n. 148; 11 novembre 1975, Corsini, ibid., n. 145; 5 dicembre 1975, Notarbartolo, ibid., n. 138; 10 marzo
1975, Sivalli, ibid., n. 141; 31 luglio 1974, Binagli, id., 1976, II, 18, con nota di richiami.
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PARTE SECONDA
tratto d'appalto (o subappalto) e non già come un contratto
d'opera, come ritenuto dal giudice d'appello; b) che non avrebbe
potuto essergli attribuita la qualità di « appaltatore » (cioè quel la stessa che egli, per la Eternit, aveva nel rapporto con la
Cementir) anche nei confronti del Sangiorgio, del quale era sol
tanto un committente (dell'appalto o della locazione d'opera) senza potere alcuno d'ingerenza; c) che l'appaltatore, nel rap
porto Piombo (Eternit) e Sangiorgio, era proprio ed esclusiva
mente quest'ultimo; d) che la predisposizione delle misure di si
curezza sul lavoro (l'accertata difettosità della quale aveva pro vocato l'evento mortale) era compito esclusivo della ditta San
giorgio, in quanto rientrava nella sua autonomia organizzativa;
c) che il diniego delle attenuanti generiche non sarebbe stato
congruamente motivato, in quanto la corte del merito non avreb
be tenuto conto dell'incensuratezza e della personalità dell'im
putato. Il ricorso, originariamente assegnato alla quarta sezione pe
nale, veniva in seguito rimesso a queste sezioni unite, in consi
derazione della speciale importanza della questione da decidere, cioè l'individuazione del termine di prescrizione da applicare al
delitto di omicidio colposo aggravato, con la concessione di cir
costanze attenuanti, in relazione a fatti commessi anteriormente
all'entrata in vigore del d. 1. n. 99 del 1974, convertito in legge n. 220 del 7 giugno 1974, che ha modificato, fra l'altro, il testo
dell'art. 69 cod. penale. Questione sulla quale vi è stata, fra
le sezioni di questa corte, discordanza di orientamenti giurispru denziali sul punto relativo al termine di decorrenza della pre
scrizione, in seguito alla concessione" di circostanze attenuanti
generiche dichiarate equivalenti all'aggravante contestata per det
to delitto.
Motivi della decisione. — In relazione al ricorso proposto dal
Messina, le sezioni unite sono chiamate a risolvere il quesito
se, in caso di condanna con applicazione di circostanze attenuan
ti (abbreviandosi cosi il termine di prescrizione del reato rispet to a quello previsto per lo stesso reato non circostanziato), deb
ba considerarsi meno favorevole lo ius superveniens che impo ne il giudizio di comparazione fra aggravanti e attenuanti, delle
quali il giudice abbia ritenuto l'equivalenza.
Con alcune decisioni di questa corte (si vedano, fra le più
recenti, Sez. IV 26 gennaio 1979, Capello; 24 gennaio 1979, For
mia; 16 novembre 1978, Imburgia) è stato ritenuto che, in tema
di omicidio colposo, aggravato da violazione di norme sulla
circolazione stradale, e sulla prevenzione di infortuni sul la
voro, la concessione di attenuanti generiche, operata prima del
l'entrata in vigore della citata novella del 1974, riduce il termine
di prescrizione per detto delitto a cinque anni (art. 157, 1° com
ma, n. 4, cod. pen.), prolungabile sino a sette anni e mezzo, a
norma dell'art. 160, ultima parte, dal menzionato codice.
Tale termine non può essere sfavorevolmente modificato, per
l'imputato, a seguito del giudizio di comparazione fra le con
cesse attenuanti e le ritenute aggravanti, consentito dall'art. 69
dello stesso codice (secondo la nuova formulazione).
Secondo altre decisioni, invece (cfr., fra le altre, Sez. VI 12
dicembre 1978, Lentini, Foro it., 1979, II, 282), questa corte ha
ritenuto che, in tema di prescrizione, la nuova regolamentazione
legislativa potrà considerarsi più favorevole o meno favorevole
al reo soltanto quando il termine di prescrizione sia, secondo
una delle due leggi, effettivamente decorso, e la questione, per
tanto, assuma quel carattere di attualità che in origine le possa essere mancato, e non abbia quindi impegnato il giudice nei
primi gradi del processo.
Con la conseguenza che, qualora l'imputato, condannato in
primo grado con la concessione delle attenuanti generiche, abbia
poi ottenuto in sede d'appello, a norma della nuova disciplina introdotta nelle more del giudizio d'impugnazione con il d. 1. n.
99 dell'I 1 aprile 1974 (convertito, con modificazioni nella legge n. 220 del 7 giugno dello stesso anno), il riconoscimento di equi valenza di dette circostanze con l'aggravante originariamente contestata e ritenuta, l'imputato stesso non può invocare, a se
guito del ricorso per cassazione, l'applicazione della causa estin
tiva del reato, maturata nelle more della fase di legittimità, in
forza del principio della legge più favorevole (art. 2 cod. pen.) se la Corte suprema, verificando pregiudizialmente la fondatezza
della doglianza esposta nel ricorso, la disattenda rigettando il
gravame, rendendo cosi irrevocabile l'impugnata pronuncia e
inapplicabile la normativa previgente, che avrebbe consentito la
declaratoria del reato per prescrizione.
Ciò premesso, ritiene il collegio, dopo meditata considerazio
ne, di dover aderire a quell'orientamento di questa corte che
ha ravvisato l'applicabilità, nell'ipotesi suindicata, della prescri
zione, con conseguente estinzione del reato.
È anzitutto da osservare, sulla scia dell'ormai costante giuris
prudenza di questa Corte regolatrice, in tema di applicazione del 3° comma dell'art. 2 cod. pen. (« se la legge del tempo in
cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che
sia stata pronunciata sentenza irrevocabile »), che, ai fini delle
disposizioni di leggi più favorevoli, non è sufficiente che queste siano più favorevoli in astratto, ma è necessario, altresì, che
lo siano anche in concreto; non soltanto, cioè, sulla base di una
mera comparazione fra le due normative di legge succedutesi
nel tempo, ma anche raffrontandosi i risultati che deriverebbero
dall'applicazione effettiva di esse alla fattispecie concreta.
È opportuno precisare, inoltre, che la natura più favorevole
o meno all'imputato delle disposizioni di legge sopravvenute dev'essere accertata bensì in concreto (soprattutto quando la nuo
va norma non opera automaticamente ma, come nel caso di spe cie, fa dipendere il risultato, più o meno favorevole all'imputa to, dall'apprezzamento che il giudice deve fare, caso per caso, di determinate situazioni), ma con riferimento all'intera disci
plina di un determinato reato o istituto; con la conseguenza che
non è consentito al giudice applicare al caso concreto, rispetto allo stesso reato o istituto, in parte lo ius novum e in parte la
normativa previgente, dovendo invece trovare applicazione o
l'uno o l'altra e, precisamente, quella normativa più favorevole
nel complesso all'imputato nel caso concreto, valutati tutti i pos sibili effetti.
Fra tali effetti, tenuta presente l'ampiezza della dizione lette
rale del precetto contenuto nel 3° comma del citato art. 2, e la
ratio cui il precetto stesso è ispirato (favor rei), dev'essere com
presa anche la durata del termine di prescrizione del reato.
Quindi, quando il giudice, nella valutazione di un fatto, com
messo in epoca antecedente l'entrata in vigore della novella del
1974, riconosce la sussistenza di una circostanza attenuante, che
importava una variazione quantitativa della pena edittale, detta
valutazione opera a favore dell'imputato, ai fini della determina
zione del tempo necessario per la prescrizione, indipendente mente dall'esito del giudizio di comparazione, ex art. 69 cod. pen., che il giudice faccia.
Infatti, il riconoscimento di una circostanza che attenua il rea
to, riferito al momento consumativo di questo, produce gli effetti
della regolamentazione giuridica vigente in quel determinato mo
mento, se questa, in concreto, si appalesa più favorevole.
Orbene, nel caso sottoposto all'esame del collegio, la normati
va anteriore al d. 1. n. 99 del 1974 prevedeva che, per il delitto
di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla
circolazione stradale, o (come nel caso in esame) da quelle per la
prevenzione sugli infortuni sul lavoro (aggravante che, come è
noto, opera sul minimo edittale, determinando la misura della
pena in modo autonomo rispetto alla pena ordinaria del reato),
l'applicazione della pena si doveva fare a norma dell'art. 63 cod.
penale. Da ciò consegue che, per effetto della riconosciuta sus
sistenza delle attenuanti generiche, la diminuzione della pena do
veva operarsi sulla quantità di pena stabilita per il reato aggra vato, e quindi — tenendo presente il massimo edittale di cinque anni di reclusione per il reato suindicato — la pena doveva esse
re in ogni caso inferiore a detto massimo.
Né tale effetto può essere modificato dal risultato del giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen., che il giudice di primo
grado o quello d'appello può fare in virtù dello ius superveniens
perché, in mancanza di impugnazione del pubblico ministero
ai fini dell'applicazione della norma relativa al termine di prescri zione, quell'effetto è certamente più favorevole all'imputato, se
condo la legge del tempo del commesso reato.
Se, quindi, la riconosciuta sussistenza delle circostanze atte
nuanti generiche nel caso concreto riduce, sia pure in misura
minima, il massimo edittale di cinque anni stabiliti per il reato, ne deriva che il termine di prescrizione, secondo il combinato
disposto degli art. 157, 1° comma, n. 4, e 160, ultima parte, cod.
pen., è di sette anni e sei mesi.
E poiché il reato ascritto al Messina è stato commesso il 10
giugno 1970, esso si è prescritto il 10 dicembre 1977.
Nei confronti del predetto ricorrente la sentenza denunciata
dev'essere pertanto annullata senza rinvio, a norma dell'art. 539, n. 1, cod. proc. pen., non sussistendo, nella specie, l'ipotesi pre vista dal 2° comma dell'art. 152 del suindicato codice.
I principi e le considerazioni che precedono non possono, in
vece, trovare applicazione a favore del ricorrente Piombo, il
quale, come s'è già accennato, non ha ottenuto la concessione
delle attenuanti generiche. Le censure dedotte a sostegno del gravame nell'interesse del
suindicato ricorrente, ampiamente illustrate nel corso della di
scussione orale dai suoi difensori, sono destituite di giuridico fondamento.
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GIURISPRUDENZA PENALE
In relazione al primo motivo osserva il collegio, in linea ge nerale, che la stessa circostanza che nell'appalto l'opus promesso deriva dall'organizzazione ad impresa dell'assuntore permette di
distinguere detto contratto da quello d'opera, disciplinato dagli art. 2222 segg. cod. civile.
Se è vero, infatti, che entrambi i suindicati contratti rientrano nella categoria dei contratti di risultato (avendo per oggetto il
compimento di un'opera o la prestazione di un servizio, e pre sentando, inoltre, gli elementi comuni dell'autonomia rispetto al committente e dell'assunzione del rischio da parte del debi tore del lavoro) c'è peraltro da precisare che ì due contratti si
distinguono nel senso che il primo è contrassegnato dall'esisten za di un'organizzazione a impresa nell'appaltatore, mentre nel contratto d'opera il risultato promesso è ottenuto con il lavoro
prevalentemente proprio del debitore e dei suoi familiari.
Ne consegue che il prestatore d'opera, a differenza dell'appal tatore, non riveste mai la figura d'imprenditore normale, ex art. 2082 cod. civile.
Il contratto d'opera materiale è, infatti, di regola, il contratto di lavoro autonomo dell'artigiano, e quindi di un piccolo impren ditore (art. 2083 cod. civ. e art. 1 legge n. 856 del 1956).
Tutte queste precisazioni, rileva il collegio che esattamente il
giudice d'appello ha ritenuto, sulla base delle risultanze proces suali specificamente esaminate e valutate nella sentenza impu gnata, che fra la società Eternit appaltatrice dei lavori in que stione e il Sangiorgio era stato stipulato, non già un contratto verbale di subappalto (come sostenuto dal Piombo) ma un con tratto di locatio operis e, precisamente, un contratto di posa in
opera (con manovalanza, o senza) di lastre per copertura e ri vestimento di una tettoia dello stabilimento Cementir, a nulla
rilevando, ai fini della qualificazione giuridica dell'atto: a) che nella denuncia per il registro il contratto sia stato denominato
appalto dalla Eternit (probabilmente allo scopo di cautelarsi, e nel tentativo di riversare sul Sangiorgio rischi e responsabilità che, secondo le norme di legge e per la sua qualifica di arti
giano, non gli competevano); b) che il Sangiorgio fosse iscritto alla camera di commercio come titolare di impresa artigiana, per ché questa circostanza non portava ad escludere la sua qualifica di lavoratore, sia pure autonomo; c) che lo stesso Sangiorgio avesse alle sue dipendenze un operaio che lo aiutava, saltuaria
mente, per la posa in opera delle lastre (in aggiunta al personale specializzato della Eternit).
Da questa premessa la corte del merito ha tratto l'esatta con
seguenza che la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (nella specie, inefficienza della fune di trat tenuta a cui era legata la cintura di sicurezza del Sangiorgio) era da porre a carico, oltre che del Messina, anche del Piombo, nella sua qualità di appaltatore che nel contratto con la Ce mentir aveva assunto la responsabilità della fornitura in opera, da eseguire con personale sorvegliato e diretto dalla società Eternit.
D'altra parte questa Corte regolatrice ha pili volte avuto occa sione di affermare che l'appaltatore è responsabile della manca ta osservanza delle norme antinfortunistiche per suo conto, so
prattutto nel corso dell'esecuzione dei lavori; responsabilità che
peraltro non può escludere quella del committente, il quale ab bia omesso per sua incuria di controllare con diligenza le con dizioni di sicurezza della costruzione.
Quanto poi alla denunciata violazione dell'art. 475, n. 3 cod.
proc. pen. (sotto il profilo di una pretesa carenza di motivazione e del travisamento dei fatti) basta osservare che, considerato il carattere unitario del complesso procedimento logico nel quale si compendia la sentenza, nulla vieta che le ragioni dirette a sor
reggere la decisione adottata possano trovare posto, oltre che
nella motivazione propriamente detta, anche nella parte normal
mente destinata all'esposizione dei fatti (come si è verificato
nel caso in esame); va osservato inoltre, anche con riferimento
alla considerazione che precede, che non ogni imperfezione del
la sentenza è causa di nullità della stessa, a norma dell'art. 475, n. 3, cod. proc. pen., ma soltanto quei vizi logici e quelle man
chevolezze che non consentano il controllo dell'iter seguito dal
giudice del merito per giungere alla soluzione adottata.
Alla stregua di questi rilievi deve pertanto escludersi la de
nunziata nullità.
D'altro canto, a ulteriore confutazione della doglianza conte
nuta nel primo motivo del ricorso, relativa al preteso difetto di
motivazione (su cui ha insistito la difesa del ricorrente in sede
di discussione orale) può precisarsi che, non essendovi difformità
fra le pronunzie di primo e secondo grado, le motivazioni delle
rispettive decisioni si integrano a vicenda, onde ad ogni even tuale manchevolezza di quella della sentenza d'appello si può
sopperire con la motivazione di quella di primo grado (nella
specie, molto diffusa ed elaborata in ordine alla riconosciuta re
sponsabilità del Piombo); né con i motivi di gravame erano
state, in sostanza, prospettate nuove questioni o proposti nuovi temi d'indagine, non esaminati dai primi giudici e che la corte
d'appello fosse stata tenuta particolarmente a esaminare.
Anche in ordine alla mancata applicazione dell'art. 62 bis cod.
pen. nella sentenza impugnata, al contrario di quanto si assume, sono state motivatamente, e quindi insindacabilmente spiegate le ragioni che sconsigliavano la concessione delle richieste atte nuanti generiche al Piombo.
In base alle suesposte considerazioni il ricorso va rigettato, con le conseguenze derivanti ex lege a carico del ricorrente:
condanna al pagamento delle spese processuali, della tassa di
sentenza e di una somma a favore della causa delle ammende.
(Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; sentenza 6 ot
tobre 1979; Pres. T. Novelli, Est. Lavosi, P. M. Saja (conci,
conf.); ric. P. m. e Proietti. Conferma App. Roma 16 marzo
1976.
Notificazione di atti penali — Imputato latitante — Elezione di
domicilio — Notificazione mediante deposito in cancelleria —
Forme equipollenti (Cod. proc. pen., art. 173). Bancarotta e reati fallimentari — Bancarotta fraudolenta —
Truffa — Concorso di reati — Configurabilità (Cod. pen., art.
640; r. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 216).
Nel caso di elezione di domicilio da parte dell'imputato lati
tante, le notificazioni devono essere eseguite mediante depo sito in cancelleria o in segreteria con avviso al difensore, tutta
via esse sono validamente eseguite anche nel domicilio eletto
o mediante consegna dell'atto a mani dell'imputato. (1) Il reato di bancarotta fraudolenta, del quale la dichiarazione di
fallimento costituisce elemento essenziale, può concorrere con
il delitto di truffa in danno dei singoli fornitori dell'imprendi tore. (2)
(1) Le sezioni unite penali hanno composto il contrasto fra tre diver si orientamenti emersi nella giurisprudenza delle sezioni semplici in tema di notificazioni all'imputato latitante che abbia fatto elezione di domicilio. Secondo un primo orientamento (Cass. 25 ottobre 1972, Petrilli, Foro it., Rep. 1974, voce Notificazione pen., n. 106; 29 gen naio 1971, Barchis, id., Rep. 1972, voce cit., n. 17), anche nel caso di elezione di domicilio, le notificazioni all'imputato latitante devono essere eseguite esclusivamente nelle forme previste dall'art. 173 cod.
proc. penale. Per un secondo orientamento (Cass. 15 ottobre 1975, Esposito, id., Rep. 1977, voce cit., n. 144), la notificazione al latitante
presso il domicilio eletto deve ritenersi prevalente rispetto a quella prevista dall'art. 173 cod. proc. pen., in quanto più favorevole all'im
putato. Tale orientamento si ricollega a quello adottato costantemente nel caso di imputato libero, per il quale, in base al principio di pre valenza del domicilio eletto sul domicilio reale, la notificazione ese
guita in luogo diverso da quello del domicilio eletto può considerarsi valida solo se eseguita a mani dell'imputato; al di fuori di tale ipo tesi la notificazione è nulla anche se fatta al domicilio reale (Cass. 6 dicembre 1976, Pacini, ibid., n. 81; 16 marzo 1976, Febo, ibid., n. 96; 27 febbraio 1976, Caverzaschi, ibid., n. 98). Per un terzo orien tamento, che è quello seguito dalle sezioni unite, la notificazione al domicilio eletto dall'imputato latitante è ugualmente valida, al pari di quella eseguita nelle forme di cui all'art. 173 cod. proc. penale.
Corte cost. 2 giugno 1977, n. 98, id., 1977, I, 1612, con nota di richia mi, e ord. 2 maggio 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 124, hanno dichia rato infondata, con riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 173 cod. proc. pen. nella parte in cui vieta il ricorso a forme di notificazione diverse dal deposito nella cancelleria o segreteria, anche quando si conosoa il luogo di abita zione del latitante o quando esista una elezione di domicilio.
In dottrina, sulle notificazioni all'imputato latitante, cons. Colacci, in Arch, pen., 1965, I, 544; Cavallari, Le notificazioni nel processo penale, 1959, 236; Gaito, in Giur. it., 1976, II, 546; Gianzi, Lati tanza, voce dell 'Enciclopedia del diritto, 1973, XXIII, 284; Giorgi, in Arch, pen., 1973, I, 145; Grilli, in Giust. pen., 1971, III, 472; Kostoris, in Giur. costit., 1977, I, 1640; Marucci, Latitanza, voce del Novissimo digesto, 1963, IX, 469.
Sulle notificazioni ad imputato latitante od evaso v. anche Cass. 12 dicembre 1977, Bronzetti, Foro it., 1978, 'II, 406, con nota di ri chiami.
In tema di elezione di domicilio v., da ultimo, Cass. 10 novembre 1978, Zucchetto, id., 1979, II, 457, con nota di richiami.
(2) Giurisprudenza costante nel senso che la dichiarazione di falli mento si configura come elemento costitutivo, e non come condizione obiettiva di punibilità dei reati di bancarotta (da ultimo, v. Cass. 30
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