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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 1° febbraio 1878, Pres. Pironti P., Est. Ciollaro...

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Udienza 1° febbraio 1878, Pres. Pironti P., Est. Ciollaro —Ric. Cantasole Source: Il Foro Italiano, Vol. 3, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1878), pp. 101/102-105/106 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23081867 . Accessed: 17/06/2014 01:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.108 on Tue, 17 Jun 2014 01:24:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 1° febbraio 1878, Pres. Pironti P., Est. Ciollaro —Ric. CantasoleSource: Il Foro Italiano, Vol. 3, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1878), pp.101/102-105/106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23081867 .

Accessed: 17/06/2014 01:24

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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101 GIURISPRUDENZA PENALE 102

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 3 gennaio 1878, Pres. Ghiglieri P., Est. Ca

nonico, P. M. Spera (Conci, coni'.).

Multa — Minorenni — Diminuzione di pena — So

lidarietà.

Crimine — Delitto — Contravvenzione — Criteri

per determinarne la natura.

Criteri sulla imputabilità — Codice penale comune — speciali.

La solidarietà di più condannati nell'obbligo di pa

gare una multa non impedisce di applicare al mi

norenne le diminuzioni del grado della pena sta

bilita dalla legge.

Il titolo di crimine, delitto o contravvenzione si deve

determinare dalla natura della pena applicabile al

delinquente nei singoli casi concreti.

I criteri sul grado d'imputabilità dell'agente si de

vono prendere dalle disposizioni del diritto comune,

e non dalle leggi speciali.

La Corte, ecc. — Premesso, in fatto, che I'll no

vembre 1875, nel caffè esercito in Vittoria da Ignazio

Schita, furono sorprese parecchie persone a giuocare attorno due tavolini con carte sfornite di bollo;

Che, invece d'un solo processo, si fecero per questo unico fatto davanti al Tribunale di Modica due pro cessi distinti, e con due distinte sentenze, portanti en

trambe la data del 23 agosto 1877 (e così due volte

pel medesimo fatto); fu condannato lo Schita, còme

possessore di carte da giuoco non bollate, a lire 100

di multa; e solidalmente alla stessa pena, con ciascuna

rispettivamente di tali sentenze, fu condannato ciascuno

dei giuocatori componenti rispettivamente l'uno e l'altro

gruppo, ad eccezione del solo Anselmo Serafini, in or

dine al quale si dichiarò non farsi luogo a procedere,

perchè essendo egli fra i 14 e i 18 anni, e la pena ri

ducendosi quindi (per la diminuzione di due gradi) a

pena di polizia, dovesse l'azione penale dirsi prescritta

riguardo a lui, stante il decorso d'un anno compiuto dal commesso reato;

Sui mezzi dedotti dal Pubblico Ministero:

Considerato, in ordine al primo, che la solidarietà

dell'obbligazione nei condannati di pagare la multa non

toglie a questo il carattere di pena, nè impedisce quindi di applicare al minore d'età le diminuzioni di grado stabilite dalla legge;

Considerato, in ordine al secondo, che uno degli ele

menti essenziali ad ogni reato essendo l'imputabilità del fatto vietato al suo autore, la quantità criminosa

del medesimo non può riguardarsi in astratto, ma ri

sulta necessariamente dal grado di tale imputabilità nei singoli casi concreti, e debbe quindi il reato stesso

ritenersi crimine, delitto o contravvenzione, secondo

la natura della pena in ciascun caso applicabile al

l'agente ;

Che, per conseguenza, se delitto deve ritenersi il fatto

di cui si tratta pegli imputati ai quali si dovette ap

plicare la pena ordinaria correzionale, il fatto stesso

doveva ritenersi e fu rettamente ritenuto contravven

zione per il Serafini, dal momento che, stante la di

minuzione del grado richiesta dall'età di lui, si dovette

per esso discendere a pena di polizia;

Considerato, in ordine al terzo, che, se vi può talora

essere motivo nell'applicazione delle leggi speciali, di

allontanarsi in alcuna parte dai principi generali del

diritto comune, stante la natura particolare della ma

teria, questo motivo non può mai verificarsi nell'ap

plicazione di quelle disposizioni legislative di diritto

comune che riguardano il grado d'imputabilità del

l'agente, il quale non muta natura per la diversità

della materia a cui il suo reato si riferisce;

Che, d'altro lato, non vi è nella legge positiva al

cuna disposizione, la quale dispensi il giudice dall'ap

plicare al minore d'età, nella materia di cui si tratta,

la diminuzione di pena dell'articolo 90 del Codice pe

nale, e che quest'articolo, lungi dallo escludere dal

l'applicabilità delle sue disposizioni le materie contrav

venzionali, ve le include espressamente al n. 5; Sui mezzi dedotti dallo Schifa:

Considerato, in ordine al 3° e al 4° di essi, che er

roneamente si ritiene dal Tribunale di Modica esservi

due reati, ed erroneamente si fecero due distinti giu

dizi, pronunziando due distinte condanne, mentre il fatto

era un solo, e non si poteva, senza ingiustizia, dupli care la pena;

Che risulta dal verbale di udienza essersi fatta dagli

imputati formale istanza per l'unione dei due giudizi e per l'unicità della condanna; ma nè quell'istanza fu

accolta, nè fu espressa nei motivi della sentenza la ra

gione del rigetto, col che si violarono apertamente le

disposizioni degli articoli 281, n. 4 e 323, n. 3, del Co

dice di procedura penale. Per questi motivi, senza arrestarsi agli altri mezzi

dedotti, rigetta il ricorso del Pubblico Ministero, e nel

l'interesse dello Schita cassa le due sentenze, e rin

via, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 1° febbraio 1878, Pres. Pironti P., Est. Ciol

laro — Ric. Cantasole.

Testimone — Affinità — Matrimonio ecclesiastico — Affinità (Cod. proc. pen., 286, 290. Cod. civ. ar

ticolo 93. Leg. civ. nap., art. 67 e 189).

Secondo il Codice civile italiano è solo il matrimonio

civile che produce vincoli di affinità agli effetti civili.

Secondo però le abolite leggi civili napoletane, con

tratto il matrimonio ecclesiastico, il vincolo d'affi nità era creato.

E però non pud la matrigna, divenuta tale per ef

fetto di matrimonio semplicemente ecclesiastico con

tratto sotto l'impero delle leggi napoletane, deporre come testimone contro il figliastro, comunque la

deposizione avvenga sotto l'impero dell'attuale le

gislazione.

La Corte, ecc. — Osserva che il ricorso, del quale è

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103 PARTE SECONDA 104

esame, presenta unica doglianza : quella cioè di essersi

respinta la domanda della difesa in dibattimento, la

quale chiedeva di non udirsi la testimone Teresa Cas

sese, perchè stretta in vincoli di affinità con l'accusato.

Sta in fatto clie la Cassese dichiarò che ella diciotto

anni addietro, vai dire nell'anno 1859, erasi stretta in

matrimonio soltanto ecclesiastico col padre dell'accu

sato ; da ciò la disputa sul se la testimone poteva dirsi

affine ascendentale dell'accusato, per cui l'art. 286 del

Cod. di proc. pen. sanziona il divieto di testimoniare

sotto pena di nullità.

La Corte di merito, nel respingere la istanza, disse

che il matrimonio soltanto ecclesiastico non produce

vincoli di affinità, e certo a corroborare codesto prin

cipio nello emettere la ordinanza dovè ricordare l'ar

ticolo 93 dell'attuale Codice civile. Disse ancora che,

anche a guardare le leggi civili abolite, trattandosi di

incapacità sanzionata da legge di procedura, questa è

retroattiva siccome ogni altra la quale miri a pubblico

interesse.

Circa la prima parte del ragionamento della Corte,

nulla per fermo sarebbe ad obbiettarsi in contrario, se

nel caso in ispecie dovesse prevalere unicamente l'ar

ticolo 93 del Cod. civ. italiano, pel quale la celebrazione

del matrimonio agli occhi della legge civile è sol quella

che avviene nella casa comunale e pubblicamente in

nanzi all'uffiziale dello Stato civile del comune, ove uno

degli sposi abbia il domicilio o la residenza. Oggi è rag

giunto alla perfine presso di noi un gran desiderio

della scienza, di non confondere cioè il contratto di

matrimonio col sacramento matrimoniale, e di fare che

le due leggi, l'una civile e l'altra ecclesiastica, proce

dano separate ed indipendenti fra loro ed in guisa che

l'una non assorba l'altra e viceversa.

Ma non è dell'art. 93 del Cod. civ. che trattasi, sì

bene delle leggi civili del 1819, le quali tuttavia im

peravano all'epoca del matrimonio ecclesiastico con

tratto dalla testimone col padre dell'accusato; e ciò

pure intravide la Corte di assise allorché passò al se

condo motivo della sua ordinanza.

Così è che accade esaminare se per le leggi anzi

dette esisteva matrimonio, quando erasi questo contratto

soltanto ecclesiasticamente, perciocché nell'affermativa

è irrepugnabile la conseguenza dell'affinità ascendentale

del figliastro del binubo con la di costui seconda moglie,

come l'altra che, contratto il vincolo, questo non sa

rebbe venuto meno per la promulgazione del novello

Codice civile, il quale, invece, nel suo articolo 56 san

ziona che non possa contrarre altre nozze chi sia vin

colato da un matrimonio precedente : tanto è sembrato

opportuno nella specie al legislatore italiano il prin

cipio della non retroattività delle leggi.

Or per. fermo, secondo gli art. 67 e 189 delle abolite

leggi civili, il matrimonio nel già regno delle due

Sicilie non si poteva legittimamente celebrare se non

in faccia della Chiesa, secondo le forme prescritte dal

Concilio di Trento, per guisa che diversamente non

produceva effetti civili, né riguardo ai coniugi, nè ri

guardo ai figli.

È pur vero che le disposizioni medesime soggiunge vano essere essenzialmente necessario che precedessero

gli atti dello stato civile sino alla solenne promessa

dinanzi all'ufflziale dello stato civile, perchè il matri

monio potesse produrre gli effetti civili, tanto riguardo

ai coniugi che ai figli, ma il significato di codesta sog

giunta è chiaro di essere questo : cioè che il compimento

degli atti civili non era già richiesto per imprimere al matrimonio, ecclesiasticamente celebrato, la sua le

gittimità, la quale raggiungevasi non appena osservati

i riti della Chiesa cattolica, sì bene pel solo fine di co

stituire la famiglia domestica nella condizione di lega

lità civile e conferire ai suoi componenti tutti quei

diritti che nei rapporti meramente civili erano loro

dalla legge attribuiti. Seguiva da ciò che codesta pri

vazione degli effetti civili del matrimonio pei coniugi» i quali non avessero adempiuto alla formalità della so

lenne promessa, costituiva una punizione, non un be

nefizio, la quale, nell'atto che toglieva loro i vantaggi

del contratto civile, non li esentava dal vincolo del

matrimonio celebrato innanzi la Chiesa. Essi infatti

non avrebbero potuto mai contrarre un nuovo matri

monio, sì per la espressa proibizione scritta nell'arti

colo 155 LL. CC., e sì perchè, essendo la solenne pro

messa innanzi allo stato civile priva di effetto, se non

fosse stata seguita dal matrimonio ecclesiastico (arti colo 78 dette LL.), e non potendo questo aver luogo

secondo i canoni della Chiesa, se il primo non era

precedentemente annullato o disciolto, tornava impos

sibile a chi fosse stato legato da un matrimonio pu

ramente ecclesiastico di contrarre un nuovo matrimonio

legittimo.

Quéstg verità irrepugnabili, conformi al testo ed ai

principi informatori delle abolite leggi, vennero rifer

mate non pur da una costante giurisprudenza, ma anche

da molteplici speciali disposizioni del potere legislativo,

fra le quali basterà enunciare il rescritto del 21 giugno

1823, col quale fu ritenuto che in generale i matrimoni

così detti di coscienza, se non producevano gli effetti

civili, non perciò cessavano di essere matrimoni legit

timi; il decreto dell'I 1 ottobre 1839, col quale fu sta

tuito che la vedova, la quale godeva di una pensione

sull'erario dello Stato, contraendo un matrimonio ec

clesiastico o di coscienza perdeva il diritto alla detta

pensione; quello del 22 settembre 1840, col quale fu

dichiarato che la sanzione dell'articolo 353 LL. penali fosse applicabile al caso di omicidio volontario com

messo dall'un coniuge sull'altro, benché stretti da ma

trimonio puramente ecclesiastico; infine le istruzioni

del 20 maggio 1849, per le quali, sciogliendosi un ma

trimonio ecclesiastico per morte del marito, la vedova

non poteva contrarre novelle nozze, se non dopo il

trascorrimento di mesi dieci.

Tutte le quali disposizioni non erano che logici co

rollari di quel principio generale, che il matrimonio

ecclesiastico, tuttoché non preceduto dalla solenne pro messa innanzi allo stato civile, era nondimeno piena mente legittimo, e vincolava i contraenti anche in faccia

alla legge civile, quantunque, in pena della contrav

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105 GIURISPRUDENZA PENALE 106

venzione alle sue prescrizioni, li privasse poi dei be

nefici che alla osservanza di esse erano annessi.

E relativamente alla seconda considerazione della

ordinanza, quella cioè che trattandosi d'incapacità san

zionata da legge di procedura, questa sia retroattiva,

il principio, comunque in astratto riesca esatto, pure

riesce inopportunamente applicato nella specie. L'accusato nella causa di cui trattasi non respingeva,

ma chiedeva invece l'osservanza del sistema d'incapacità

a testimoniare dall'affine ascendentale, giusta l'arti

colo 286 della legge attuale di procedimento penale;

e per decidere poi se la testimone era, ovvero no, affine

dell'accusato nel grado enunciato, non occorreva già

di far ricorso a legge di procedura, la quale, siccome

è noto, regolar deve puranche gli affari in corso, ma

era mestieri di consultare ed interpretare il dritto

civile, il quale, per norma costante, salvo i rari casi

di eccezione talvolta espressi dal legislatore, non ha

giammai effetto retroattivo, e nella specie, secondo che

si è già di sopra ricordato, il Codice civile italiano ha

voluto per vece espressamente sanzionare la regola,

quando con l'art. 56 ha detto che sia impedito a con

trarre altre nozze quegli che trovisi vincolato da un

matrimonio precedente, senza distinguere se ecclesia

stico o civile si fosse il vincolo.

Le quali cose tutte premesse ed applicate nel ricorso

in esame, menano alla conseguenza che la testimone

Teresa Cassese vada risguardata quale madrigna del

l'accusato ora ricorrente, e che come tale essendo stata

ella udita da testimone in pubblica udienza, contraria

mente alle istanze del giudicabile, sia la Corte di as

sise caduta nella nullità flagrante sanzionata dagli ar

ticoli 286 e 290 del Cod. di proc. penale.

Per questi motivi, veduto ed applicato l'articolo 667,

cap. 4° del Codice di rito or citato, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 15 febbraio 1878, Pres. ed Est. Narici — P. M.

c. Veri ditti.

Amnistia — Azione penale — Imputazione — Esi

stenza «lei reato (Decreto 2 ottobre 1876, Cod. proc.

pen., art. 830, 831, 834).

L'amnistìa ha carattere di generalità a differenza

dello indulto o della grazia; essa abolisce l'azione

penale, opera di pieno diritto e s' impone all'im

putato volente o nolente.

È quindi inibita al giudice di merito qualsiasi inda

gine sulla esistenza o no del reato compreso nella

amnistia.

La Corte, ecc. — Osserva nel fatto, che dichiarati

colpevoli dal Tribunale d'Isernia Michelangelo Yenditti

ed altri di porto d'arma vietata e, condannati a tre

mesi di carcere, ne avessero prodotto appello, e la

Corte di Napoli, ritenendoli compresi nell'amnistia del

2 ottobre 1876, avesse dichiarato non farsi più luogo

a procedere.

Che di tale sentenza abbia dimandato la cassazione

il procuratore generale presso la mentovata Corte; dacché essendo stato in appello allegato dagli imputati non sussistere il reato, avesse dovuto la Corte discu

tere il motivo prima d'applicar l'amnistia; dacché lo

indulto o l'amnistia presuppongano un fatto punibile, la quale ipotesi vien meno quando non vi sia reato ; e

dacché l'applicazione dell'amnistia senza il menzionato

esame importi che lo imputato paghi indebitamente

le spese, e possa, in caso di nuova infrazione, esser

tenuto recidivo.

Osserva nel diritto, che manifesto sia lo errore del

procurator generale ricorrente nel confondere due in

stituti sostanzialmente diversi, quali sono lo indulto e

1* amnistia.

Che, per fermo, mentre lo indulto è pura emana

zione di quel diritto di grazia, il quale è stato sempre attribuito al rappresentante della sovranità, l'amnistia, storicamente e razionalmente considerata, è atto del

potere legislativo, solo allo stesso appartenendo il di

ritto di vietare che si apra o si prosegua il procedi mento contro determinate infrazioni, s'impedisca la

esecuzione delle condanne già pronunziate in rapporto alle stesse, e ne cessino tutti gli effetti.

Che bene impertanto è l'amnistia dalla scienza quasi

agguagliata alla legge novella, la quale cancelli un' a

zione dalla classe de'reati; conciossiachè se in questo caso riconoscesi la inimputabilità assoluta del fatto, è fuori dubbio, come l'amnistia relativamente al tempo che precedette la sua pubblicazione induca lo identico

effetto.

Che da codesta essenzialità dell'amnistia abbia pure la scienza desunto i seguenti corollari: 1° che abbia

dessa carattere di generalità, che può farla qualificare di reale, mentre lo indulto e la grazia sono essenzial

mente personali e individuali ; 2° che s'imponga, né

possa esser rifiutata da coloro che vi sono compresi,

quantunque offrissero la più nitida pruova della pro

pria innocenza, tra perchè dessa è misura di ordine

pubblico, e perchè niun interesse può avere lo impu tato a scolparsi di un fatto che la legge medesima ri

tiene cancellato, e cui toglie qualsiasi idea di delin

quenza.

Che in vista appunto dell'accennata essenzialità del

l'amnistia lungamente sia stato disputato tra'pubbli cisti sul potere cui spetti il promulgarla, muovendosi

dal principio che alla sola podestà legislativa competa il diritto di sospendere la legge penale; e se vedute

di alta convenienza sociale han fatto risolvere la qui stione a favore del potere esecutivo, si è nondimeno

ritenuto che desso agisca come delegato della podestà

legislativa.

Osserva di vantaggio, che con questi dettami della

scienza, universalmente riconosciuti dagli scrittori di

diritto penale, armonizzino pienamente le disposizioni sancite nella procedura penale del 26 novembre 1865.

Che in effetti, giusta gli articoli 830 e 831, mentre

lo indulto si accorda per decreto reale a proposta solo

del ministro guardasigilli, non abolisce l'azione penale, solo estinguendo o attenuando le pene inflitte con sen

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