Udienza 1° maggio 1879, Pres. Parisi, Est. Abrignani, P. M. Del Mercato (Concl. conf.)—Conflitto in causa ValenzaSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.291/292-293/294Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084797 .
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291 PARTE SECONDA 292
CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO. Udienza 1° maggio 1879, Pres. Parisi, Est. Abrignani,
P. M. Del Mercato (Conci, conf.) — Conflitto in
causa Valenza.
Furto — Blomestieo — Consegna per uso determi
nato— Appropriazione indebita (Cod. pen., art. 607,
n. 1 e 631).
È sempre responsabile di furto qualificato per la per sona e non di appropriazione .indebita il domestico
che si rende infedele, sia se sottrae degli oggetti non
affidati specialmente alla sua custodia, sia se si
appropri delle somme e degli oggetti a lui special mente consegnati per farne un determinato uso.
La Corte, ecc. — Attesoché la Camera di consiglio
del Tribunale di Caltanissetta, addì 29 ottobre 1878, in
difformità della requisitoria del pubblico ministero, sul
conto di Valenza Francesco, ordinò l'invio degli atti
al Tribunale correzionale suddetto, mutando il titolo
del reato di furto qualificato per la persona, nell'altro
di appropriazione indebita.
E ciò fece la Camera di consiglio, ritenuto in fatto
che l'imputato trovavasi ai servizi materiali del si
gnor Sillitti da Ravanusa, con stipendio fisso, e che
servendosi di tal qualità di domestico, avea convertito
in proprio uso, cose allo stesso consegnate per un uso
determinato, e delle quali trovavasi in possesso, cioè
il prezzo di salme 20 frumento e più altre somme che
teneva di conto del suddetto di lui padrone. Il Tribunale di Caltanissetta, celebrata la pubblica
discussione, dichiarò la propria incompetenza per nuova
definizione del reato. Esso ritenne che trattavasi di
furto qualificato per la persona, e precisamente di do
mestico, ai termini dell'art. 607, n. 1 del Cod. pen.
Da ciò il conflitto in esame, sul quale la Corte di
cassazione osserva quanto segue:
Se si trattasse de lege cóndenda, sarebbe utile met
tere di fronte i due sistemi, cioè quello delle abolite
leggi penali dell'ex Regno delle Due Sicilie, la remini
scenza del quale, probabilmente determinò il giudizio della prenominata Camera di consiglio, e l'altro del
Cod. pen. vigente, per conoscere quale dei due sia il
migliore; ma poiché non si deve che quest'ultimo ese
guire, occorre solo conoscerne in che la differenza stia.
Nelle suddette leggi del 1819, il domestico e le-altre
persone nominate nell'art. 410, erano responsabili di
frode qualificata per la persona, in virtù di una fin
zione di diritto, contenuta nell'art. 430, n. 2, in cui di
chiaravasi che, quanto alla giustizia penale, si consi
derava come deposito necessario, la consegna di cose,
che affidavansi alle persone suddette, per ragione della
qualità loro, o del loro mestieri. Non pertanto quelle
medesimé persone erano responsabili di furto qualifi cato per la persona, ai termini del citato art. 410, se
infedeli, con la rispettiva qualità, si rendevano.
Così era evidente che 1'un reato dall'altro distili—
guevasi solo per la esistenza o mancanza del fatto della
consegna; nel primo caso era vi frode, furto nell'altro.
Ma per potere logicamente coesistere quelle due
disposizioni, era necessaria la distinzione tra consegna
speciale di un oggetto qualsiasi, coll'obbligo di custo
dirlo e restituirlo in ispecie, o di farne un qualunque
altro uso determinato, cosa tutta diversa dall'obbligo del domestico di aver cura e custodia di tutti gli og
getti esistenti nella casa del padrone; di modo che
questi restavano a disposizione del proprietario, sotto
la vigilanza altresì del domestico.
Siffatta distinzione era dominata dal principio del
possesso materiale da parte del proprietario nel mo
mento in cui il domestico sottraeva la cosa, e quindi non eravi dubbio concepibile sulla sottrazione, elemento
necessario a costituire il furto; non così quando la
cosa, a mezzo della consegna speciale, era passata nella detenzione del domestico col consenso del padrone
per uso determinato.
Or questa distinzione tra la fiducia speciale, a mezzo
della consegna, e l'altra, in generale, accordata al
servo, ovvero alle altre persone nominate nei quattro numeri dell'art. 607, non è nel sistema del Cod. pen.
vigente.
Ma perchè manca tale distinzione, si dirà che allor
quando si affidi al servo un oggetto per farne un uso
determinato, ed egli se lo appropri o in altro modo
lo distrugga, debba essere lo stesso punito, in virtù
dell'art. 631 Cod. pen., senza che qualche cosa metta
in essere la qualità di domestico? La Camera di con
siglio del Tribunale di Caltanissetta considerò e ritenne
l'affermativa, ma la Corte di cassazione non può con
formarvisi.
Anzitutto non si comprende la differenza di puni zione di persone infedeli, aventi la medesima qualità, cioè con la reclusione, se sia stata accordata alle
stesse una fiducia, concepita in genere, sopra tutto ciò
che al proprietario appartenga, di cui la parziale sot
trazione costituirebbe il furto, e col carcere, che po trebbe essere anche di un mese, se si riponga ip
esse persone una fiducia speciale, concretata con la
consegna della cosa per un uso determinato. Vera
mente non sarebbe esso un sistema legale ammi
revole.
Del resto, da banda l'assurdo; si consideri il fonda
mento della pretesa distinzione tra l'un reato e l'altro.
L'argomento si trae dalle parole della definizione la
tina del furto: fraudolosa contrectatio rei alienae. Si
direbbe che sia impossibile la contrattazione dolosa-, una volta che il proprietario trasmetta egli stesso la
cosa nelle mani altrui di propria volontà ; sicché manchi
^elemento essenziale del furto.
Già non era nuovo presso i romani il furto senza la
dolosa contrattazione", così semplicemente considerata.
Se ne ha la prova dalla stessa definizione, addotta
come base dell'argomento. Bisogna però tenerla Sot
t'occhio integralmente; eccone le parole: furtum est
contrectatio rei fraudolosa, lucri faciendi gratia, vel
ipsius rei vel etiam usus ejus possessionisve, quod
lege naturali prohibit am est admit'ter e. Dig. 1. la, lib. 47, tit. 2°.
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293 GIURISPRUDENZA PENALE 294
Infatti la 1. 40 dello stesso titolo così si esprime : Qui
jumenta sibi commodqta longius duxerit, alienave re,
invito domino, usus sit, furtum facit. E dunque nel diritto romano eravi caso, in cui era
possibile un primo tempo di contrattazione non dolosa
di un possesso legale, cioè quello del comodato; op
pure il dolo potea sopravvenire e costituire il furto,
allorché della cosa si Iacea quell'uso, che il proprie tario non avea consentito.
Cujacio defluì, alla sua volta, il furto con queste altre parole: furtum est interversio possessionis rei
mobilis. Ed allora cosa mette in essere la consegna del pa
drone al domestico? Essa esclude la dolosa materiale
contrattazione del primo tempo, ma se sopravvenga la
distrazione della cosa consegnata, da parte del conse
gnatario domestico, sopraggiunge altresì il momento
del dolo; ed esso è quello della inversione del possesso
precario nell'altro come a padrone, spogliandone il vero
proprietario, il quale non mai l'aveva perduto, perchè il domestico consegnatario, per l'uso determinato, pos
sedea.in nome di lui (art. 685 Cod. civ.)
Ed ora è utile che dalle astrazioni si passi sul ter
reno della "pratica appliòazione della legge, bene intesa
nel suo spirito e nella lettera.
La distinzione tra fiducia generica e speciale non ha
ragione di essere, sì perchè non è nella legge che ci
governa, e perchè importa solo che tale fiducia sia
necessaria sempre. Volle la legge rigorosamente tute
lare siffatta necessità di confidenza, che il padrone è
costretto avere nella persona del suo domestico, ap
punto per lo speciale pericolo, al quale la proprietà
si trova esposta, e per la maggiore reità di colui che
abusa di essa necessaria confidenza del proprietario.
Or nello stesso modo, in cui necessariamente il pa
drone affida al servo tutto ciò che possiede nella pro
pria casa, senza consegna, così è necessario che gli
consegni il danaro per la spesa giornaliera, il rame
per la cucina, l'argento per la tavola; altrimenti ver
rebbe meno lo scopo, per cui, con quella qualità, lo
elegge e lo paga; di tal che sé il domestico involi il
danaro lasciato dal padrone per accidente sul tavolo,
o se distragga quello consegnatogli per la spesa, egli
commette lo stesso reato, quello cioè di furto quali
ficato per la persona; appunto perchè la fiducia è in
sita alla qualità personale, non diversificabile dalla
volontà del padrone, in quanto lo speciale servizio con
venuto concerne, e conseguentemente tale fiducia è ne
cessaria sempre.
Dalle cose discorse discende che, non essendovi tra
la Camera di consiglio ed il Tribunale di Caltanissetta
discordia sul fatto della qualità eli domestico nel vero
senso legale, la quistione di diritto non può essere ri
soluta in modo differente da quello esposto, cioè che,
nella fattispecie, si tratti di furto qualificato per la
persona, previsto dallo art. 607 Cod. pen., non mai di
appropriazione indebita ai termini dell'art. 631 dello
stesso Codice;
Pertanto, la Corte, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO. Udienza 1° maggio 1879, Pres. Parisi, Est. Abrignani,
P. M. Del Mercato (Conci, diff.) — Ric. Caruso.
Cassazione — (■indisi» «li falso — Errore materiale — Travisamento — Ammissibilità «lei ricorso
(Cod. proc. pen., art. 640 o 645).
L'incensurabilità del giudizio di fatto ritenuto dal
magistrato di merito ha luogo soltanto allorché si
tratta di un giudizio propriamente detto, risultante
da un lavorìo di mente, pel quale si ha bisogno di
'analisi e di sintesi.
Ma se per semplice errore materiale è stato ritenuto
un calcolo erroneo, produttivo di effetti giuridici diversi (nella specie, che l'impedimento al lavoro
sia durato 30 giorni anziché 29), il pronunziato
del giudice di merito è censurabile in Cassazione
e dev'essere annullato.
La Corte, ecc. — Attesoché il Caruso chiese la cas
sazione, perchè la Corte di appello ritenne un fatto
contrario alla verità, risultante dagli atti del processo, cioè che, secondo le perizie giudiziarie, la durata della
incapacità al lavoro era stata di giorni 30, mentre si
legge in esse che fu di 29, e quindi contro legge ap
plicavasi l'art. 538, invece dell'art. 544 del Cod. pen.,
in aggravio del condannato.
E, per vero, il fatto è secondo il ricorrente asserisce;
imperciocché dalla denunzia del reato, da parte della
pubblica forza, e dalla prima perizia medica risulta
che la ferita avvenne alle ore 6 p. m. del giorno 22
aprile 1878, e la cessazione della incapacità al lavoro
fu dal perito riconosciuta la mattina del 21 maggio che
segui; di tal che si ha la certezza che dagli atti ri
sulta il fatto contrario a quello dalla Corte di appello
ritenuto, cioè che la incapacità durò 29 giorni, non
mai 30.
Or così stando le cose in fatto, il supremo Collegio
osserva in diritto quanto appresso.
Non è dubbio che la Corte di appello avrebbe potuto
non attendere alla perizia e giudicare, per criterio
proprio, che 30, non mai 29 giorni erano scorsi, du
rante la incapacità suddetta; ma essa non solo ciò non
disse, ben pure alla perizia medesima, con apposita
considerazione, conformossi e si riferì; dal che con
segue che tal fatto, dalla Corte ritenuto, non fu sta
bilito per effetto del criterio proprio, conciossiachè non
paragonò proposizione con proposizione, giudizio con
giudizio, per conoscere la verità, non adoperò perspi
cacia alcuna; le quali cose esclusivamente avrebbero
potuto costituire il proprio criterio; ad essa invece
servì di norma unica l'avviso del perito dell'arte e di
chiarò espressamente che tal giudizio volea rispettare
e su di tal base giudicare dell'entità del reato. Ciò
dall'un canto esclude la idea di un eccesso di potere
dal ricorrente asserto, nel senso del n. 3 dell'art. 640
del Cod. di proc. pen., in relazione agli art. 538 e 544
Cod. pen., e dall'altro, la ingiustizia e la violazione della
legge risultan flagranti, perchè fu applicato, fuori luogo,
l'art. 538, invece del 544, in aggravio del condannato
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