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Udienza 10 luglio 1879, Pres. Montagnini, Est. Malagoli, P. M. Pozzi (Concl. diff.) —Conflitto incausa Lazzarini ed Incerti SalvaraniSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.453/454-457/458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084880 .
Accessed: 18/06/2014 06:27
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453 GIURISPRUDENZA PENALE 454
La Corte, ecc. — Sul mezzo secondo. — Attesoché
tanto il regio decreto d'amnistia del 2 ottobre 1876,
quanto quello del 19 gennaio 1878, dichiararono abo
lita l'azione penale e condonate le pene pronunciate
pei reati ivi indicati, e nella specie non si trattava nè
di reato nè di pena. Il termine reato inchiude il concetto di un atto con
trario ad una particolare disposizione del codice pe
nale, o d'alcuna delle varie leggi speciali che ne for
mano il complemento ; di un atto che dà luogo ad una
azione penale, e si esercita dalle autorità giudiziarie
di conformità alle prescrizioni del codice di procedura
penale o dei regolamenti, che, a seconda delle speciali
esigenze dei casi, parzialmente le modificano. Invece
i fatti, che come involventi una violazione dell'ufficio
e del mandato di procuratore, un'offesa alla propria
delicatezza ed al decoro del Collegio, determinarono
contro l'avv. Leoncini la pronunzia della sospensione
per 45 giorni, sono bensì riprovati dalle leggi eterne del
l'onore e del dovere, ma non trovano riscontro in alcuna
disposizione di legge penal'e; la repressione loro è affi
data in primo grado ai Consigli di disciplina, che non
sono autorità giudiziarie, non esercitano una giurisdi
zione propriamente detta, ma hanno un potere pura mente censorio, diretto non a tutela dell'ordine sociale,
ma a tener salvo il decoro ed il prestigio del Corpo dei procuratori, ad assicurare il coscienzioso adempi mento dei personali doveri da parte dei membri di
esso, i quali hanno dalle leggi il privilegio di rappre sentare i cittadini in giudizio, di sostenerne e difen
derne gl'interessi. In secondo grado decide bensì la
Corte d'appello, ma in sede civile, non in sede penale;
e anche dei ricorsi in Cassazione conosce la Sezione
civile, non la Sezione penale della Corte suprema. Non
vi hanno dunque gli elementi di un reato, e qualora
fosse altrimenti, dovrebbe questa Sezione civile dichia
rare la propria incompetenza.
B per le stesse ragioni la punizione inflitta all'avv.
Leoncini non ha carattere di pena in senso della legge
penale. Pronunziata da un Consiglio di disciplina, e per
mancanze che non si elevano alla gravità di un reato, essa
si riduce ad una repressione disciplinare, ad una ca
stigano domestica, che di pena non ha che l'apparenza.
E se non può parlarsi nè di reato nè di pena, vano è
invocare l'applicazione dei reali decreti d'amnistia, i
quali hanno per effetto di estinguere l'azione penale
non per anco esercitata, di far considerare già espiate,
in tutto od in parte, le pene inflitte nell'esercizio del
l'azione medesima, e che, essendo leggi eccezionali, non
possono estendersi a casi da esse non contemplati.
Sul mezzo terzo. — Attesoché le stesse considera
zioni, che rendono inapplicabili i decreti d'amnistia,
dimostrano pure l'inapplicabilità della prescrizione.
Questa, a termini degli art. 137 e seg. del cod. pen.,
produce l'estinzione dell'azione penale o delle condanne
pei reati puniti con pene criminali, correzionali o di
polizia; nessun cenno è fatto, sia nel codice penale, sia
nelle leggi speciali, sugli avvocati e procuratori, di una
prescrizione dell'azione disciplinare, e delle condanne
in conseguenza di questa inflitte. D'altronde nemmeno
sussisterebbero, per l'azione disciplinare deferita ai Con
sigli, le ragioni che indussero il legislatore a porre un
termine all'esercizio dell'azione penale mediante lo spe
ciale istituto della prescrizione.
Questa ha la particolare ragione di essere, da una
parte nell'obbligo incombente alle autorità giudiziarie
di procedere per tutti indistintamente i reati d'azione
pubblica che vengano a loro cognizione ; dall'altra, nella
forza edace del tempo che, distruggendo é corrompendo
le prove, può rendere pericoloso, dopo un certo numero
di anni, il perseguimento dei reati e dei loro autori,
con effetto di turbare forse senza frutto la pace delle
famiglie, di destare con accuse non solidamente fon
date il pubblico scandalo e mettere a dura prova la
stessa innocenza, rimasta per avventura disarmata per
la perdita degli elementi di difesa.
Ma siffatti inconvenienti o non si verificano affatto,
o soltanto in grado molto minore nei procedimenti di
sciplinari, e in ogni caso il potere dei Consigli essendo
di natura sua discrezionale, è sempre in loro facoltà
di non far luogo a procedimento od a condanna quando
pel lungo tempo trascorso stimino poco prudente e
inopportuno esercitare la loro azione repressiva;
Per questi motivi, rigetta, ecc.
13 marzo 1879 (Foro it.. 1879, II, 176), in tema di contravvenzioni no
tarili, e le altre sentenze ivi citate in nota. Ma in senso contrario, ri
guardo all'amnistia, si è pronunciata la Cass. di Napoli in tema di
multe inflitte in via disciplinare agli uscieri, a norma degli art. 181
e 184 ord. giudiz., ed in tema di pene disciplinari inflitte agli avvo
cati o procuratori, come dalle sentenze citate in detta nota.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 10 luglio 1879, Pres. Mont agnini, Est. Ma
lagoli, P. M. Pozzi (Conci, diff.) — Conflitto in causa
Lazzarini ed Incerti Salvarani.
Conflitto — furto semplice — Diverse ipotesi (Cod.
pen., art. 622 e 624; Cod. proc. pen., art. 345).
Sebbene i diversi furti contemplati nel § 2 della se
zione 11, cap. II, tit. X, lib. II cod. pen., sieno
tutti essenzialmente semplici, non possono pei~ó
confondersi tra loro, mentre ciascuno di quegli ar
ticoli contempla furti di una fisionomia del tutto
speciale e distinta. (1)
Per conseguenza, quantunque non possa contendersi
che il giudice istruttore, anche in tema di furto
contemplato dall'art. 624, possa, in base agli ar
ticoli 683, 252 e 257 cod. proc. pen., rinviare V im
putato davanti il pretore, tuttavia, se dalla di lui
ordinanza apparisca aver egli considerato il fatto
unicamente sotto l'aspetto dell'art. 622, mentre al
dibattimento emerse chiara la figura dell'art. 624,
ben a ragione il pretore ebbe a dichiarare la pro
pria incompetenza e sollevare il conflitto, a sensi
dell'art. 345 cod. proc. pen. (2)
(1-2) Il P. M. era andato in diversa opinione, come dalla requisi toria che crediamo utile di pubblicare : « Lazzarini Michele ed Incerti
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455 PARTE SECONDA 456
La Corte, ecc. — Attesoché è irrecusabile quanto
enuncia il pretore nella sentenza del 26 maggio 1879,
che fin da principio, e come venne confermato nel
corso del dibattimento, risultava che una notte sui
primi di marzo 1879, era stato rubato, a danno di Luigia
Della Falda, in San Michele della Fossa, in aperta cam
pagna, un tronco, del valore di lire 7, di rovere o quer
cia, già abbattuto, legno da lavoro là per necessità
lasciato.
Ed è del pari irrecusabile l'opinione spiegata dal
pretore, che tale furto in siffatte contingenze è a ri
tenersi previsto e represso dall'art. 624 cod. pen.
Ora il giudice istruttore di Reggio Emilia, coll'ordi
nanza 30 aprile 1879, ebbe a considerare il fatto uni
camente nei rapporti dell'art. 622 dello stesso codice.
Ed è ciò sì vero, che non accennò nell'ordinanza stessa
all'importante circostanza, che il furto era avvenuto
nella campagna od altrimenti all'aperto; circostanza
che era indispensabile di ben rilevare per l'esatto raf
fronto colla corrispondente ipotesi dell'art. 624.
E quindi, unicamente di fronte all'art. 622, valendosi
della facoltà consentitagli dagli art. 252 e 257 cod. proc.
pen., e senza richiamarsi all'art. 683 cod. pen., ma solo
in termini generali accennando alla tenuità del furto,
alla moralità degli imputati, ed al parziale ricupera
mento della refurtiva, rinviò gli imputati davanti il
pretore. Ciò dimostra a ciliare note che al giudice istruttore
sfuggì l'art. 624.
Sta invero che i diversi furti contemplati nel § 2,
sez. II, cap. II, tit. X, lib. II, cod. pen., sono tutti es
senzialmente semplici; ma sta altresì, che non possono
tra loro confondersi, mentre ciascuno di quegli articoli
contempla furti di una fisonomia giuridica del tutto
speciale e distinta.
L'art. 622 trova sua applicazione in materia di furti
semplici solo e unicamente nel caso in cui il furto non
cada sotto alcuna delle particolari disposizioni degli
art. 623, 624 e 625.
E l'art. 624 racchiude una configurazione giuridica
ben più grave: imperocché, se il furto avviene di
giorno, la pena è di carcere bensì, ma non può essere
minore di sei mesi; e se avviene di notte, non può es
sere minore di un anno, mentre ne' rapporti dell'arti
colo 622 la pena del carcere non soggetta a speciali limitazioni può discendere sino a soli 6 giorni.
E la ragione della maggiore severità della pena è
fatta palese dalla considerazione, che versando il furto
su cose per necessità lasciate all'aperto, e facili perciò a divenire preda dell'avidità altrui, era provvido e
savio che la legge soccorresse nel miglior modo a tu
telare il diritto di proprietà.
Che se non possa contendersi che il giudice istrut
tore, anche in tema di furto di tal natura, avrebbe po tuto, in base dell'art. 683, capoverso, cod. pen., far uso
della facoltà accordatagli dai rammentati art. 252 e
257, e quindi rinviare, ad ogni modo, nella specie, gli
imputati davanti il pretore, rimarrebbe però somma
mente dubbio se egli, qualora avesse esaminata la tesi
di rimpetto all'art. 624, avrebbe opinato, e quando già fosse stato preceduto dalle conclusioni favorevoli del
P. M. (e nella specie le conclusioni del P. M. sono af
fette dello stesso vizio dell'ordinanza), per il rinvio
degli imputati al giudizio del pretore, e ciò per la con
siderazione che si sarebbe versato in un caso in cui sa
rebbesi tolta al pretore ogni facoltà di spaziare nella
applicazione della pena; di guisa che, avrebbe dovuto
irrogare quella di tre mesi di cercere, massimo limite
della competenza del pretore.
Egli è, per tutto ciò, manifesto, che all'ordinanza del
giudice istruttore non si può dare un significato al di
là di quello che ne esprime la parola ed il senso, e
nei limiti dell'art. 622. In materia di giurisdizione delegata, non può essere
che restrittiva la interpretazione. E quindi bene a ragione il pretore di Correggio, ri
tenendosi incompetente, e mentre erasi in tema di di
versa definizione del reato, ebbe a valersi dell'art. 345
cod. proc. pen.;
Per questi motivi, risolvendo il conflitto, dichiara
Salvarani Isidoro, incolpati del furto di un tronco di quercia del pe ritato valore di lire 7, commesso in una notte del marzo 1879 in San Michele della Fossa, a danno di Luigia Della Falda, furono, con or dinanza 30 ultimo aprile del giudice istruttore di Reggio Emilia, rin viati pel giudizio alla pretura di Correggio, essendosi il fatto ritenuto
previsto dall'art. 622 cod. pen., e punibile con pena non maggiore di mesi tre di carcere, sia per la tenuità del furto, sia per i buoni pre cedenti degli imputati, sia anche pel conseguito ricupero, almeno in
parte, della cosa rubata, a senso degli art. 252, 257 cod. proc. pen. « Però il pretore, tenuto il dibattimento, considerando che, tanto
dalle sue risultanze, quanto dall'istruttoria anteriore all'ordinanza di
rinvio, il furto appariva commesso in aperta campagna, di cosa espo sta al pubblico, per assoluta necessità essendo impossibile il trasporto del tronco se prima non veniva ridotto a pezzi, e così, a senso del l'articolo 624 cod. pen., la .pena non poteva essere inferiore ad un anno di carcere, si dichiarò incompetente e sollevò il conflitto.
« Che così pronunciando, non sembra che il pretore abbia bene af ferrato il senso dell'ordinanza del giudice istruttore, che lo investiva della giurisdizione.
« Difatti il giudice istruttore, ritenendo il furto siccome semplice, a senso dell'art. 622 cod. pen., determinò soltanto il carattere, per così dire, generico del reato, come venne dal legislatore definito ogni reato compreso nel § 2 del tit. X, lib. II, dello stesso codice, in con fronto dei maggiori reati previsti dalla precedente sezione prima, ma non escluse l'applicabilità, al caso, sia dell'art. 624, sia dell'art. 625, secondo che le risultanze del dibattimento avrebbero potuto consigliare; soltanto osservò, in virtù dei poteri che gli sono conferiti dagli arti coli 252 e 257 della procedura, che quand'anche avesse potuto essere
applicabile al caso una pena edittale superiore alla competenza pre toriale, tuttavia, per le circostanze attenuanti da esso riconosciute, questa pena maggiore doveva subire tali modificazioni, che non avrebbe, in definitiva, mai potuto eccedere i tre mesi di carcere, e così poteva essere rinviato, secondo lo spirito del legislatore, al giudizio più pronto e più semplice del pretore.
« Prematuro perciò essendo, allo stato della cosa, ogni esame sul vero carattere del furto in questione, in quanto che, venisse il mede simo pur anche a risultare previsto dall'art. 624 cod. pen., potendo pur tuttavia, per l'applicazione degli art. 683 e 56, la pena esser sem
pre ridotta a mesi tre, la delegazione fatta dal giudice istruttore con serva tutto il suo vigore, perchè pienamente conforme alla legge.
« Il procuratore generale perciò, non ravvisando regolare la sen tenza del pretore di Correggio in data 26 maggio ultimo, richiede che
piaccia alle EE. VV. la medesima venga annullata, e sia rieccitata la giurisdizione dello stesso pretore, acciò proceda al relativo giudizio e io esaurisca a senso di legge >>f
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457 GIURISPRUDENZA PENALE 458
che il reato di cui si tratta, è previsto e represso dal
l'art. 624 cod. pen., e passibile perciò di pena ecce dente la competenza pretoriale;
E niun conto quindi fatto dell'ordinanza 30 aprile 1879
del giudice istruttore di Reggio Emilia, rimanda gli atti al Tribunale correzionale di detta città.
CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO. Udienza 17 luglio 1879, Pres. Parisi, Est. Abrignani, P. M. Del Mercato. — Ric. Catalano.
Cassazione — Ilevoca di mandato di cattura —
Sentenza della Sezione di accusa — Iliserva di
riesame — Kicorso inamiuessibiie (Cod. proc. pen., art. 647).
La sentenza della Sezione di accusa che, provvedendo sulla domanda con la quale, adducendo la inesi
stenza di reato, sia chiesta la revoca del mandato
di cattura, rigetta nel dispositivo la domanda, ma
nei motivi si riserva di ritornare sugli apprezza menti delle prove, non può dirsi nè definitiva nè
avente forza di definitiva. (1) Epperciò contro detta sentenza non è ammesso il ri
corso per annullamento. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché il primo còmpito della
Corte di cassazione è quello di vedere se il ricorso sia
o pur no ammessibile. Ed all'uopo occorre indagare
l'indole della sentenza impugnata ; conciossiachè, se la
stessa non sia una sentenza definitiva, il ricorso in
contra l'ostacolo dell'art. 647 cod. proc. pen., sicché si
debba non ora produrre, ma unitamente a quella contro
la definitiva. E che definitiva non sia l'indole della sentenza im
pugnata risulta dai fatti premessi all'uopo, non che
dalla lettera e dalla sostanza della sentenza medesima.
Nulla mette in essere il fatto enarrato, cioè che la
Sezione, nel confermare il mandato di cattura di cui
si tratta, aveva riconosciuto la esistenza degli elementi
del reato; tale riconoscimento era implicito nel fatto
di quella conferma.
E nulla mette in essere l'altro fatto, cioè che nel di
spositivo della sentenza impugnata si legga il semplice
rigettamento della domanda, quando, come fu premesso
in fatto, nella finale considerazione leggesi chiara ed
espressa riserva del riesame sulla domanda ad istru
zione compiuta. E la riserva nella finale considerazione contenuta,
che tutto quanto avea detto precedentemente subordina
al compimento della istruzione, e che, unita al dispositivo, costituisce un sol tutto della sentenza, avea fondata ra
gione di essere nella possibilità di doversi mutare il
titolo del reato, al che la requisitoria del pubblico mi
nistero avea chiaramente accennato, in quello di falsa
testimonianza, avuto luogo in un processo già chiuso ed
ultimato ; circostanza questa che risulta dall'esposizione dell'istanza dello stesso Catalano.
Se dunque la Sezione delle accuse riservossi il rie
same della domanda ad istruzione compiuta, per fermo
non si comprende come possa dirsi definitiva tal sen
tenza, già revocabile, per virtù di legge, dallo stesso
magistrato che la emise, giunto il momento dell'ultima
statuizione, ai termini degli art. dal 429 al 444 cod.
proc. pen.
Regola generale è quella che il ricorso in Cassa
zione sia un rimedio straordinario, e non debba am
méttersi che nei casi, modi e tempi dalla legge de
terminati. Una sola eccezione contiene l'art. 647 del cod.
cit., se tale essa sia, o non piuttosto applicazione della
stessa regola. Ed essa è in ordine alle sentenze della
Sezione di accusa, per le quali siasi dichiarato non es
sere luogo a procedimento penale, per difetto d'indizi
sufficienti di reità a carico dell'imputato, quando le
stesse vengano impugnate per taluno dei motivi desi
gnati nei nn. 2, 3 e 4 dell'art. 460. Or nella indagine
della ragion della legge, per siffatta eccezione, non si
procede a stento. La sentenza della Sezione d'accusa,
che tanto dispone, non puossi qualificare preparatoria
di un giudizio ; essa costituisce cosa giudicata, imper
ciocché, se nel termine di legge sorgono nuove prove,
è in virtù di queste esclusivamente che la istruzione
si riprende ; senza di esse il rispetto al giudicato esser
debbe assoluto. Or questo precisamente volle la legge
dichiarare nell'alinea dell'art. 647, ad eliminare ogni
possibile dubbio. Si sa che la dottrina e la giurisprudenza, basando
(1-2) Catalano Francesco, imputato di calunnia in danno di Anto nino Sinatra ed altri, produsse domanda alla Sezione d'accusa di Pa
lermo, premettendo lunga esposizione di fatti relativi all'istruzione !
segreta in corso, e, ragionando sui fatti medesimi, conchiuse l'istanza j nei seguenti precisi termini : « Rimanendo quindi escluso il titolo del ;
reato, per cui l'arresto del Catalano è avvenuto, rimanendo escluso 1
ogni altro titolo di reato, per cui potrebbe procedersi a mandato di
cattura, si fa istanza perchè, nei termini dell'art. 185 cod. proc. pen., riformato dalla legge 30 giugno 1874, sia revocato il mandato di cat tura eseguito contro Francesco Catalano, e venga di conseguenza or dinata la escarcerazione di lui, dichiarandosi non farsi luogo a pro cedimento penale per inesistenza di reato ».
Sulla esposta domanda il P. M. osservò che non era qui il caso di valutare il merito della denuncia del Catalano, incriminata come falsa, cioè se costituiva o no un reato in rapporto alla volontà dell'agente, perchè ciò doveva essere riservato ad istruzione compiuta. Accentuava inoltre il P. M. la riflessione che allo Stato bastava assodare potervi essere il reato di calunnia o di falsa testimonianza, e che elementi
per l'uno e per l'altro vi erano, sicché richiese il rigetto della do manda.
La Sezione d'accusa, con sentenza del 26 aprile 1879, osservò che
dessa, nel confermare il mandato di cattura eseguito contro il Cata
lano, tenne presente altra domanda di costui, identica all'attuale, e che aveva allora riconosciuto nei fatti in esame gli elementi della ca lunnia. Osservò altresi che non erano sopravvenute altre risultanze istruttorie valenti a modificare i concetti di fatto e di diritto sulle par venze della istruzione, cioè che le dichiarazioni del Catalano conte nessero una denuncia di fatti criminosi.
Ed osservò in ultimo luogo che, stando così le cose, e salvi gli op portuni apprezzamenti delle prove, quando il processo sulla calun nia sarà compiuto, non era il caso di dare accoglienza alla proposta istanza. Dietro tali considerazioni dispose il rigetto della domanda
Catalano, cioè di revoca del mandato di cattura contro lui eseguito, della dichiarazione di non farsi luogo a procedimento penale per ine sistenza di reato ; ed avverso tale sentenza il Catalano produsse ri corso per annullamento adducendo di non concorrere gli estremi del
reato imputatogli.
Il Foro Italiano. — Volume IV. - Parte II — 32.
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