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Udienza 10 marzo 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De Cesare, P. M. Spera (Concl. conf.) —BocchiniSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.427/428-429/430Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084864 .
Accessed: 17/06/2014 21:11
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427 PARTE SECONDA 428
rati ordinari o dell' impedimento in cui fossero di
prestare servizio, si farà luogo, secondo le disposi
zioni dell'art. 34, alla citazione per ordine di estra
zione degli altri dieci giurati ordinari in sostituzione
degli irreperibili o degli impediti.
Con l'art. 34 è detto : che l'avviso del giorno in cui
hanno principio le assise è recato individualmente ai
primi trenta giurati ordinari ed ai dieci giurali sup
plenti per cura del presidente del Tribunale residente
nel luogo ove si aduna la Corte d'assise. Verificandosi
il caso della irreperibilità od impossibilità a prestar servizio di taluni dei primi trenta giurati ordinari il
presidente delle Assise, o in sua assenza il presidente del Tribunale, trasmette per ordine di estrazione l'av
viso agli altri giurati ordinari per completare il nu
muro dei trenta. E finalmente con l'art. 36 si dice: che
nel giorno stabilito per la trattazione di ciascuna causa,
il presidente, in pubblica udienza, in presenza del
l'accusato e del suo difensore, fa l'appello nominale
dei giurati. Se non vi sono trenta giurati ordinari pre senti questo numero è compiuto con i giurati sup
plenti già estratti a sorte.
Da ciò torna evidente che prima di aprirsi la ses
sione i soli primi trenta giurati ordinari ed i dieci sup
plenti devono essere citati, e se in quel frattempo si
viene- a notizia che dei primi trenta giurati ordinari
ve ne sono alcuni impediti o irreperibili, allora si ri
corre agli altri dieci ordinari, e così si completa il nu
mero richiesto con la citazione di tanti di essi per
quanti vi ha di bisogno. E se non pertanto nel mat
tino in cui si apre la sessione i comparsi non raggiun
gono il numero di trenta, esso va completato con i giu
rati supplenti già citati, non potendosi più ricorrere
al rimanente dei dieci ordinari.
Or se nei quindici giorni dell'apertura della sessione
a cui apparteneva la causa del ricorrente, si ebbe notizia
che dei primi trenta giurati ordinari erano impediti otto, non dovevano, come si fece, che citarsi i primi otto
dei dieci ordinari estratti in sussidio per completare il numero richiesto. E se malgrado ciò, nel mattino
della trattazione della prima causa vennero a mancare
quattro, si fece quello che vuole la legge estraendoli
dai supplenti presenti. Sicché in questo procedimento
lungi da esservi irregolarità, vi fu tutta l'osservanza
di quel che prescrive la legge ; Attesoché non ha maggior valore il secondo appunto,
potendo ogni persona offesa o danneggiata da un reato
costituirsi parte civile in giudizio penale dichiarandolo
formalmente o nella querela o con altro atto ricevuto
nella Cancelleria dove si fa l'istruzione, o dove pende il giudizio. Essa potrà costituirsi parte civile in qua
lunque stato della causa prima però che sia terminato
il pubblico dibattimento ; e non vi sarà più ammessa
nel giudizio di appello. La dichiarazione e le conclu
sioni della parte civile, che avessero preceduto il pub blico dibattimento dovranno sempre essere notificate al P. M. ed all' imputato od accusato.
Or se queste sono le principali norme che regolano la costituzione di parte civile non sa vedersi in quali
dei fatti denunziati siasi incorso in nullità. E valga il
vero: la costituzione di parte civile osservasi nell'atto
in cui si apriva il dibattimento. Espletata la udizione
dei testimoni essa conchiuse per un verdetto afferma
tivo, e dopo fece istanza (e non poteva farsi prima)
per la condanna del ritenuto colpevole ai danni
Onde erroneamente si obbietta che la richiesta dei
danni-interessi fosse stata illegale e che illegalmente,
non ostante la opposizione della difesa, la Corte abbia
aggiudicata la domanda della parte civile, senza che
questa preventivamente, notificasse le sue conclusioni
all'accusato. Ed in vero, essendo avvenuta la costitu
zione di parte civile nell'atto in cui si apriva il dibat
timento la pretesa notificazione della relativa dichia
razione e delle conclusioni è contraria alla legge (art. 110 cod. proc. pen.) La domanda dei danni fatta dopo il verdetto è conforme alla ragione ed alla testuale di
sposizione dell'art. 513 cod. proc. pen. Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 10 marzo 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De Ce
sare, P. M. Spera (Conci, conf.) — Bocchini.
Hollo — Esercente — ÌSoUega — Caffè — Occhiali — iscrizione.
L'esercente nella cui bottega, oltre del caffèK si ven
dono occhiali e libri, non è obbligato di apporre la
marca da bollo di centesimi cinque nelle relative
iscrizioni apposte sulla vetrina delle imposte, ac
cennanti a questo capo d'industria.
E errore giuridico il ritenere che allora soltanto non
sia dovuta la tassa suddetta di centesimi cinque,
quando gli scritti sono incisi su marmo, pietra o
dipinti su lastre metalliche o su legno.
La Corte, ecc. — Attesoché per l'art. 20, n. 4, della
legge sul bollo del 13 settembre 1874 sono soggetti alla
tassa di centesimi cinque gli stampati che si affiggono al pubblico. E per l'art. 45, n. 6, sono obbligati soli
dalmente per le contravvenzioni i negozianti e bottegai
per gli stampati o manoscritti di ogni specie, affissi
alle imposte, vetrine o. altri luoghi esterni ed appari scenti delle loro botteghe.
Dalle combinate due disposizioni risulta che non è
permesso, senza l'apposizione della marca da bollo, af
figgere al pubblico stampati o manoscritti contenenti
avvisi o manifesti; e, se l'esercente il negozio o la
bottega lo permetta, egli, solidalmente con colui a nome
del quale l'avviso si è affisso ne risponde. Risulta
inoltre che lo scritto non deve riguardare il commer
cio o l'industria del negozio o della bottega; giacché,
quando l'affisso a stampa od in iscritto contiene un av
viso di ciò che si negozia in quel luogo, le due citate
disposizioni non sono evidentemente applicabili. Sarebbe in fatti strano il pretendere che l'iscrizione
di un genere di commercio, di una professione, di
un'arte debba indicare solamente il titolo di un dato
commercio, di una data professione od arte, come, ad
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429 GIURISPRUDENZA PENALE 430
esempio, drogheria, farmacia, caffè, sartoria di Tizio
o di Caio, e non le diverse specie delle cose che for
mano parte del commercio o negozio, o le diverse ope
razioni di un'arte o professione. In effetto, l'art. 34
della citata legge prescrive, che non sono soggette alla
tassa di bollo le iscrizioni destinate ad indicare un ge
nere di commercio, di professione, arte od industria,
quando sono affisse nei luoghi esterni di ciascun eser
cizio. E se nella bottega della ricorrente, oltre del
caffè, si vendevano occhiali e libri, le relative iscri
zioni che si trovavano sulla vetrina delle imposte ac
cennanti a questo capo d'industria non andavano sog
gette alla tassa del bollo, come non vanno soggette le
tabelle indicanti il titolo di un dato commercio.
Onde la impugnata sentenza tiene a base un errore,
come conseguenza della falsa interpretazione dell'arti
colo 34, quando, per dichiarare la contravvenzione, af
ferma che allora soltanto non è dovuta la tassa di bollo
quando gli scritti sono incisi su marmo, pietra o di
pinti su lastre metalliche o su legno.
Il Tribunale adunque violava la legge quando ravvi
sava nel ritenuto fatto una contravvenzione alla legge
sul bollo; Per queste ragioni,, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 18 aprile 1879, Pres. ed Est. Ghiglieri P.,
P. M. De Falco P. G. e Spera (Conci, conf.) — Ric.
Persiani.
Stupro violento — Pregiudizio alla salute — Fan
ciulla violata — Offesa al pudore — Malattia —
Violenze — Offese volontarie — Assoluzione (Cod.
pen, art. 420, 489, 537).
Per escludere il crimine di stupro violento con grave
pregiudizio alla salute della fanciulla violata, e
ammettere il delitto di offesa al pudore, non è le
cito considerare la malattia della fanciulla come
conseguenza delle patite violenze, ossia come offese
volontarie, e molto meno è lecito toglier dai fatti la malattia inoculata alla giovinetta cogli atti di
turpitudine commessi sulla persona, e assolver V im
putato da questo fatto come se non l'avesse com
messo, o non fosse stato conseguenza del suo turpe attentato.
La Corte, ecc. — Osserva che il fatto, come si ri
leva dalla querela della giovinetta undicenne Maria o
Cecilia Cristini, confermata in gran parte dalle confes
sioni stesse dell'imputato, anziché i caratteri di una
semplice offesa al pudore ai termini dell'art. 420, pre senta indubbiamente quelli dello stupro violento con
grave pregiudizio alla salute della giovinetta violata; e, se per la discordanza fra la prima e la seconda perizia
può dubitarsi se lo stupro stesso sia stato consumato,
o più veramente mancato o tentato, certa cosa è che
il reato imputato al Persiani, anziché nel disposto del
l'art. 420, va compreso in quello assai più grave degli art. 489, 490, n. 1, e 492 cod. pen.;
Che fu veramente singolare il concetto della Camera
di consiglio, di scindere quel fatto unico in due diversi
reati e ravvisare la malattia della fanciulla, conse
guenza delle turpi violenze patite, ossia come offese
volontarie ai termini degli art. 537 e seg. cod. pen. E più singolare ed inesplicabile fu il giudizio del Tri
bunale nel cassar del tutto dai turpi fatti commessi
dal Persiani, la malattia violentemente inoculata alla
fanciulla cogli atti di turpitudine commessi sulla sua
persona, e assolverlo da cotesto fatto, come se non
l'avesse commesso o non fosse stato conseguenza del
suo violento attentato;
Che, di fronte a tale singolarità di concetti e ille
gale mitezza del giudizio, apparisce giusto quanto le
gale il conflitto elevato dalla Corte di appello, stantechè
il reato del Persiani ha nello stato presente degli atti
i caratteri del crimine di stupro violento con grave
pregiudizio alla salute delle giovinetta violata; e spet terà poi alla Sezione di accusa l'estimare, secondo i più sicuri risultamenti del processo e i maggiori schiari
menti che al bisogno si potranno ottenere, la gravezza del reato stesso, e pronunziare ai termini di legge il
rinvio del giudizio; La Corte di cassazione, adottando i motivi di fatto
e di diritto dal P. M. svolti, risolve il conflitto, dichiara
la causa di competenza criminale, ed ordina il rinvio
degli atti alla Sezione di accusa presso la Corte d'ap
pello di Roma perchè proceda come per legge.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 23 maggio 1879, Pres. ed Est. Narici. — Ric.
Moffa.
Istruzione penale — Sindaco — Giuramento «li pe riti (Cod. proc. pen., art. 62, 63, 67 e 54).
Avendo il giudice di merito ritenuto che il sindaco
avesse ritualmente proceduto ad accertare le tracce
del reato, non può Vatto dello stesso impugnarsi per non esservisi parlato del pericolo nel rilardo.
Non avendo i periti adibiti dal sindaco potuto prestar
giuramento, è questo supplito da quello renduto in
pubblica discussione.
Se il sindaco nel procedere sia stato assistito da più di due testimoni, non è necessario che sien tutti ci
tati in dibattimento.
La Corte, ecc. — Osserva che dichiarato il ricorrente
colpevole di furto semplice in danno di parecchi cit
tadini di Castelvetere, per aver loro rubato una por zione del grano portato a macinare nel di lui molino,
e condannato a due anni di carcere, dedusse tra l'altro
in appello, che nullo fosse il verbale generico, per es
sere stato redatto dal sindaco fuori i casi di legge, senza essere rinnovato nè rettificato dal pretore ; e nul
amente di vantaggio fosse stato poi letto in dibatti
mento, contenendo dichiarazioni generiche non giurate, e specifiche di persone non udite nè citate in pubblica
discussione; Che su tali deduzioni la Corte rilevò avere il sindaco
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