Udienza 12 marzo 1877, Pres. Pironti P., Est. Narici —Ric. MarandoSource: Il Foro Italiano, Vol. 2, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1877), pp.415/416-417/418Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23080904 .
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415 PARTE SECONDA 416
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 29 luglio 1876, Pres. Ghiglieei P., Est. Db
Cesare, P. M. Spera S. P. G. — Ric. Pierantonio
Tosi.
Percosso © ferite — Morte — Inabilitazione al la
voro (Cod. pen., art. 541,[543, 550.)
Le prescrizioni sancite per le percosse o ferite, che in concorso di cause presistenti o sopravvenute abbiano
prodotto la morte infra i quaranta giorni immediata
mente successivi, non possono applicarsi alle semplici lesioni personali per le quali Voffeso rimase inabile al lavoro oltre il quinto giorno.
La Corte, ecc. — Osserva, che insussistente si è il
primo motivo con cui si grida alla violazione e falsa
applicazione degli articoli 543 e 550 Cod. pen., per a
vere il tribunale ritenuto che dalla percossa irrogata
dal ricorrente ne sia derivata la incapacità al lavoro
oltre il quinto giorno, quando vi è stato eziandio il con
corso della causa preesistente;
Che sebbene il giudice di merito avesse detto, che la
incapacità al lavoro per 25 giorni fosse derivata dal si
multaneo concorso della causa traumatica e di quella
preesistente, non poteva però prescindere dall'applicare al caso, come fece, il citato aticolo 543, avvegnaché una
speciale condizione patologica della persona offesa non
può attenuare la responsabilità dell'offensore. Non vi
ha testo di legge che lo permetta, e le prescrizioni san
cite per le percosse o ferite che abbiano in concorso di
cause preesistenti o sopravvenute prodotto la morte
infra i quaranta giorni immediatamente successivi non
possono applicarsi alle semplici lesioni personali per le
quali l'offeso rimane inabile al lavoro oltre il quinto
giorno. La causa sapravvenuta o preesistente ha potuto far protrarre la malattia, o la incapacità al lavoro sino
al venticinquesimo giorno, ma ciò non esclude che la
lesione da per se sola abbia prodotto una incapacità anche per sei giorni, e questa ipotesi non viene dal giu dice di merito esclusa. Una distinzione di effetti ri
spetto alle diverse cause generatrici del male in simili
casi sarebbe non solo difficile, ma impossibile, non po tendosi sceverare l'evento dell'una da quello dell'altra,
e per questo il legislatore non ha stabilito alcuna dimi
nuzione di pena, come ha fatto nel caso dell'articolo 541
Cod. pen., ancorché la incapacità al lavoro oltre il quinto
giorno sia derivata ancora da altre canse suscitate dalla
lesione.
Per queste ragioni, rigetta ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI.
Udienza 12 marzo 1877, Pres. Pisonti P., Est. Narici — Ric. Marando.
Furto — Ricettazione sciente — Appello — Nnovo con« vinciniento — Sentenza di accasa — Rinvio al corre zionale — Partecipazione al giudizio. (C, P. P., art. 638, 746, 747. - C. P. C., art. 116,119.)
L'imputato di furto può bene dal magistrato essere di
chiarato colpevole di sciente ricettazione degli effetti rubati, anche senza previo trattato (1).
La Corte di appello dalle risultanze del dibattimento se
guito davanti al Tribunale può trarre il convincimento
di un fatto, di cui i primi giudici abbiano dubitato. Non è nullo il pronunziato della Corte per lo intervento
di consiglieri, i quali abbiano votato nella sentenza della Sezione di accusa pel rinvio della causa al correzio
nale (2). •
La Corte, ecc. — Osserva che non abbia alcun pregio il 1° mezzo principale, col quale sostiensi che, essendo
stato il ricorrente imputato di furto, non avrebbe po tuto essere condannato • per sciente ricettazione degli
oggetti furtivi senza previo trattato ; e per fermo, se co
testo reato non è vera modalità del furto, siccome è la
ipotesi dello articolo 638 C. P., ha nonpertanto con
lo stesso attinenza e connessità, versando sulle mede
sime cose, le quali fraudolentemente contretfate dal
ladro passano nelle mani del ricettatore con la scienza
della furtiva provenienza; ed il ricettatore, quantunque
originariamente imputato del furto, ha avuto piena ba
lìa di preparare la propria difesa, qualunque fosse la
definizione giuridica da attribuirsi al fatto. Osserva sul 1° e 2° tra'mezzi aggiunti, che dal tribu
nale fosse stata ritenuta la colpabilità nella sciente ri
cettazione dell'olio rubato, dacché sebbene non fosse
stato chiaramente assodato appartenersi al ricorrente
lo imbuto rinvenuto sul luogo del furto, la discussione
pubblica avesse provato di avere il medesimo dato da
naro al ladro, e questo poi in un momento di risenti
mento avere accennato al male, che avrebbe potuto su
bire il ricorrente.
Che dolutosi il condannato in appello pelmotivo, tra
gli altri, di non essere provata la sciente compra del
l'olio, la Corte avesse ritenuto giustificati i seguenti
fatti, di appartenersi lo imbuto all'appellante, di es
sersi due volte il ladro durante la sottrazione dell'olio
recato nella di lui casa, e posteriormente il Marando
avergli fatto consegnare lire 10 per sovvenirne i bisogni nei primi giorni di latitanza.
Che ora s'impugni di contraddizione la sentenza della
Corte, perchè avesse ritenuto come provata la perti nenza dello imbuto, quando il Tribunale per la nega zione della prova aveva escluso la complicità nel furto, e s'impugni altresì per difetto di motivazione sul tempo della scienza.
Che insussistente però sia il primo appunto, percioc
(1) La Corte di cassazione di Torino, nelle sentenze 13 aprile 1868, Legge, Vili, p. 491, e 8 febbraio 1867, VII, p. 861, ha pur stabilito la
massima, potersi formulare la dimanda subordinata sulla complicità nel furto rispetto a chi fu accusato come autore principale, e l'altra
sulla ricettazione dolosa rispetto a chi fa accusato di complicità; da che questa sta alla perpetrazione dell'autore principale, e la ri
cettazione alla complicità, come il meno al più, e non può dirsi che
si tratti di deduzione di fatti nuovi statuita dalla legge.
(2) Conf. Cass. stessa, 2 agosto 1876, ric. Rigone ed altri, nel Foro
Ita1.., 1876, II, 34, colla nota relativa
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GIURISPRUDENZA PENALE 418
cbè essendo la Corte giudice del merito in 2" instanza,
può bene dalle prove discusse davanti il tribunale e re
gistrate nel verbale del dibattimento trarre quel con
vincimento di cui abbian dubitato i primi giudici ; se nella specie il magistrato di appello dal complesso dei
rilievi morali desunti dal dibattimento poteva inferire
che fosse stato il ricorrente ricettatore previo trattato
ed intelligenza col ladro, la qual cosa non fece per l'ac
quiescenza del Ministero Pubblico alla piùmite qualifi
cazione, niuna ragione ha lo stesso ricorrente a doler
sene.
Che non regga poi nel fatto lo asserto difetto di mo
tivazione, avendo la Corte ritenuto la scienza della fur
tiva provenienza anche prima della ricettazione.
Osserva dedursi col 3° mezzo la violazione degli ar
ticoli 746 e 747, proc. penale, e 116 e 119 proc. civile,
per aver fatto parte della Corte i consiglieri Forginele
e Simonelli, i quali avevan votato nella sentenza di
rinvio al correzionale renduta dalla Sezione di accusa.
Che a prescindere però dalla indagine, se iln° 9 del
citato articolo 116 sia applicabile in materia penale a
chi valutò nello stadio istruttorio i risultamenti del
solo processo scritto, sia fuori dubbio come si contenga nello aricolo 119 uu mero obbligo morale, senza veruna
sanzione di nullità.
Per questi motivi,, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI.
Udienza dell'll giugno 1877, Pres. Pibonti P., Est. Na
rici — Ric. Mandrich.
Appropriazione indebita — Qualifica — Privato com
messo — Appalto (C. P.. art. 631 ; C. com. art. 2).
Il commesso di un privato nel disimpegno di un appalto commerciale non può dirsi impiegato di lanca o casa
di commercio privata, sicché la indebita appropria
zione, della quale si sia reso colpevole, debba ritenersi
qualificata.
La Corte, ecc. — Osserva nel fatto, che imputato
Eliseo Mandrich di appropriazione indebita per oltre
lire 500, e nella qualità d'impiegato di una casa di
commercio privata, la sezione di accusa riteneva la re
sponsabilità in crimine, ma, ammesse a favore dello in
colpato le attenuanti, ordinava rinviarsi la causa al
correzionale.
Che ritenuta anche dal tribunale l'accennata qualifi
cazione, lo imputato se ne dolse in appello, assumendo
tra l'altro non essere casa di commercio quella, in cui
era impiegato ; alla quale doglianza fece dritto la Corte,
rilevando che il Morfini, di cui era commesso il Man
drieh, non fosse commerciante, nè rappresentasse una
casa di commercio, quantunque sostenesse la impresa
della fornitura di viveri alla real marina; ond'è che,
definito il fatto come semplice appropriazione, ridusse
la pena da tre anni a sei mesi di carcere.
Che della mentovata sentenza abbiano dimandato la
cassazione tanto il procuratore generale presso la Corte
di appello, quanto il condannato, il primo sostenendo
violati gli articoli 631 Codice penale, e 2 Codice di com
mercio; e l'altro, per non avere la Corte avuto ragione delle attenuanti già ammesse dalla sezione di accusa.
-Osserva sul ricorso del Pubblico Ministero, che la
legge enissamente distingua i commercianti dagli atti
di commercio, dando la prima denominazione, non ai
quelli che accidentalmente facciano un atto isolato di
commercio, qualunque siano la natura o la estensione,
bensì a coloro che dello esercizio del commercio fac
ciano l'abituale loro professione, e sieno obbligati alla
tenuta di designati libri preordinati a far prova contro
i medesimi. Da ciò il corollario, che se il privato nel
disimpegno dell'atto commerciale adibisca alcun com
messo, non possa questi dirsi impiegato di casa di
commercio ; conciossiachè siffatte parole intese sotto il
significato filologico ed economico, indicano il luogo ove
i mercadanti o banchieri esercitano la loro professione
diretta al traffico del danaro ed al commercio dello
stesso di piazza in piazza per via delle lettere di cam
bio ; indicano il corpo di un negozio con tutte le sue
appartenenze, ma non vogliono certo significare la casa
di un privato, sebbene abbia questi accidentalmente
fatto un atto di commercio.
Che essendo impertanto assodato in fatto, come il
Morfini, del quale era commesso il Mandrich, non fosse
un commerciante, quantunque mercè lo appalto della
fornitura di viveri alla Marina avesse fatto un atto di
commercio, egli è manifesto che impropriamente la se
zione di accusa ed il tribunale avessero considerato lo
imputato quale impiegato di casa di commercio.
Osserva che manchi di fondamento il ricorso del con
dannato, avendo il tribunale, poscia la Corte, tenuto
conto delle attenuanti.
Per tali motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE.
Udienza 7 luglio 1877, Pres. Poggi P., Est. Coppi, P. M.
Hiraglia, S. P. G. — Ciabattari (Avv. Dal Pog
getto).
Amnistia — Spese del processo — Pena condonata
(C. P. tose., art. 33 ; E. D. 2 ottobre 1876, art. 1, n° 4).
A seguito d'amnistìa le spese del processo non vanno a
carico del condannato, quando dall'atto di citazione
consti che si tratta di reato punibile , in ogni più grave evento, nei limiti della péna condonata, e quindi
il giudizio di merito sia completamente inutile (1).
La Corte, ecc. — Attesoché al momento della ema
nazione del regio dscreto di amnistia del 2 ottobre 1876,
gl'imputati oggi ricorrenti non erano ancora stati giu
dicati del reato che avrebbero commesso nel 14 agosto
(1) Conf. in genere Cass. Roma, £7 febb. 1877, ric. Derchi, nel Foro Hal. 1877, pag. 215.
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