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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 13 gennaio 1916; Pres. Palladino, Est. De Luca —...

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Udienza 13 gennaio 1916; Pres. Palladino, Est. De Luca —Ric. Camattini Source: Il Foro Italiano, Vol. 41, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1916), pp. 305/306-307/308 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23117938 . Accessed: 25/06/2014 10:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.162 on Wed, 25 Jun 2014 10:27:18 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 13 gennaio 1916; Pres. Palladino, Est. De Luca —Ric. CamattiniSource: Il Foro Italiano, Vol. 41, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1916), pp.305/306-307/308Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23117938 .

Accessed: 25/06/2014 10:27

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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305 GIURISPRUDENZA PENALE 306

la trasgressione al confino, non incorre nella sanzione

dell'art. 180, ma in quella dell'art. 178, appunto perchè

«ssa trasgressione non costituisce un vero e proprio reato.

Se adunque l'unica entità penale sussistente nella

specie è la condanna per diffamazione a mezzo della

stampa, e se per questo delitto è stabilita una pena su

periore ai 30 mesi di reclusione ed una pena pecuniaria

superiore alle lire 3000, esso evidentemente esula dal

decreto luogotenenziale 27 maggio 1915.

Ma perchè si possa parlare di trasgressione all'ob

bligo del confino ed alla coseguente conversione di pena,

oocorre stabilire che l'espiazione del confino stesso sia

oominciata.

Invero cosi per l'abolito codice di procedura penale

(art. 778) come pél nuovo (art. 566) era ed è stabilito, che nel caso di condanna alla pena del confino, l'autorità

competente per l'esecuzione fa notificare al condannato

l'ingiunzione di trasferirsi, entro un termine non mag

giore di 15 giorni, nel Comune designato per la sua di

mora, con la comminatoria dell'arresto e del trasferimento

mediante la pubblica forza.

Dal che consegue che la trasgressione all'Ingiunzione di reaarsi nel luogo designato non ha altra sanzione, se

non quella dell'arresto e della traduzione forzata, e non

oostituisce ancora l'inosservanza di che all'art. 18, capo verso. Mal si concepisce invero la violazione di un obbligo inerente all'esecuzione d'una pena, se di questa non è

paranco cominciata l'esecuzione stessa. Ma poiché dalla

sentenza della Corte d'appello nulla a tal riguardo si

rileva, occorre rimandare la causa ad un altro giudice,

perchè, accertati più chiaramente i fatti, vegga se ricorre

la trasgressione all'art. 18 capov. cod. pen., e se nella

specie si possa far luogo alla comminata sostituzione di

pena. Per questi motivi, annulla e rinvia alla 7a Sezione

della Corte d'appello di Napoli.

CORTE Di CASSAZIONE 01 ROBA. (Seconda sezione penale)

Udienza 13 gennaio 1916; Pres. Palladino, Est. De Luca — Ric. Camattini.

Termini penali — (Senti (arnione In termine — Violivi

d'impDgiiailone — InamailuIblIlM — (Cod. proc.

pen., art. 126; R. D. 5 ottobre 1913, n. 1176, art. 6).

La restituzione in termine e ammissibile soltanto per la

dichiarazione d'impugnazione, e non anche per i re

lativi motivi. (1)

La Corte: — Attesoché Cesare Camattini abbia nel

20 luglio 1915 fatta dichiarazione di ricorso per la cas

sazione della sentenza del giorno precedente del 2" pre tore urbano di Roma, con cui fu confermato il decreto

penale 19 giugno precedente, che l'aveva condannato a

lire 50 di ammenda, e agli accessori per la contravven

zione prevista dall'art. 434 cod. pen., ma, non avendo

esso Camattini ottemperato all'obbligo di produrre i mo

tivi dello stesso ricorso imposto dagli art. 131, 510 cod.

proc. pen., lo stesso pretore, nel 10 agosto p. p., ordinava

l'esecuzione della sua sentenza secondo le norme del suc

cessivo art. 514.

(1) Contra, 19 agosto 1915, Giatti (Foro it., 1915, II, 502, con Meta di richiami).

Il Camattini per tanto presentò domanda di restitu

zione nel termine per la produzione dei detti motivi di

ricorso, adducendo un impedimento di forza maggiore a

cagione del quale egli non avrebbe potuto produrli nel

termine fissato dalla legge. Attesoché codesta domanda non sia da accogliersi. L'art. 6 delle norme di attuazione del cod. proo. pen.

contenute nel reale decreto del 5 ottobre 1913, n. 1176,

prescrive che in esecuzione di quanto dispone l'art. 126

del codice stesso, dopo pronunziata la sentenza, la resti

tuzione in termine non possa essere conceduta al P. M.

e alle parti se non per proporre i mezzi di impugnazione.

Ora, codesta disposizione, che fa parte di quelle di

coordinamento emesse per la facoltà consentita dal po tere legislativo colla legge -0 giugno 1912, n. 598, la

quale autorizzò il governo del Rea pubblicare il codice

di procedura penale, introducendo nel testo di esso quelle modificazioni che risultassero necessarie per i voti del

Parlamento, tolgono l'adito a qualunque contrario assunto,

qualunque sia l'impressione che sull'intelletto del giurista

possa essa disposizione produrre di fronte all'ampio di

ritto consentito dall'art. 126 del codice per il quale la

restituzione in termine dovrebbe concedersi dal giudice

per l'esercizio di qualsiasi diritto processuale, qualora si

dimostri l'impossibilità di esercitarlo nel termine peren torio stabilito dalla legge derivata da forza maggiore.

D'altronde, la relazione ministeriale, che precede il

decreto reale 20 giugno 19 i 2, farebbe dileguare ógni

dubbio, se dubbio fosse possibile di fronte alla lettera

di codesto art. 6, poiché per essa sono manifeste e palesi le ragioni che indussero il potere esecutivo a completare col detto art 6 la disposizione dell'art. 126 del codice, cioè il fine di « garantire il sicuro, uniforme e regolare funziouamento di un istituto tanto interessante quanto nuovo alla pratica dei nostri procedimenti giudiziari e

soddisfare alla necessità di far cauto governo del novello

istituto al quale convenivano norme efficaci per prevenire e rimuovere qualsiasi pericoloso abuso». Codesto obbiet

tivo si reputa di ben conseguire còl prescrivere che « la

domanda di restituzione in termine non possa riferirsi

se non appunto al termine d'impugnazione » ; imperocché « sarebbe uu controsenso ammettere che, avendo potuto senza impedimento di nessuna specie usufruire del ter

mine per impugnare la sentenza e non avendone usufruito

per deliberato proposito o per negligenza, fosse lecito poi

infrangere l'autorità della cosa giudicata ». La quale deve

affermarsi intangibile anche dalla domanda di restituzione in termine non ostante il disposto dell'ultimo capoverso dell'art. 127, il quale prescrive che la domanda di resti

tuzione in termine « non sospende l'esecuzione della con

danna » ciò che potrebbe far ritenere già irrevocabile la

sentenza, che altrimenti non potrebbe essere eseguita

(art. 555 cod. proc. pen.), imperocché « quando il codice

parla della esecuzione della sentenza — insegna la stessa

relazione — e della eventuale sospensione sua per ordine

del giudice, si riferisce indubitabilmente a sentenza che

acquistò i requisiti esteriori dell'irrevocabilità e quindi dell'esecutività pel decorso del termine perentorio utile a impugnarla ».

A codeste ragioni non è necessario aggiungere altro, e quindi la lettera della legge e l'intenzione del legisla tore dimostrano incontrovertibilmente che la domanda

di restituzione in termine è limitata alla sola dichiara

zione d'impugnazione. La domanda adunque del Camattini, di restituzione in termine per produrre i motivi del ri

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307 PARTE SECONDA 808

corso, è vana, la sentenza che lo condanna è così giu dicata intangibile e per tanto il suo ricorso deve essere

respinto. Per questi motivi, rigetta il ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA (Prima sezione penale)

Udienza 18 aprile 1916; Pres. ed Est. Moschini — Ric. P. M. o. Theophiloa ed altri.

Guerra — Provvedi menti speciali — Difesa economies»

dello Stato — Divieto d'esportazione — Alerei pro

venienti dall'estero— Monete d'oro (L. 21 marzo 1915,

n. 7'23, art. 1; RR. DD. 1 e 6 agosto 1914 n. 758

e 790).

Il divieto di esportare merci comprende tanto quelle fab

bricatei, raccolte o comunque acquistate nel regno,

quanto quelle provenienti dalVestero.

Tra le merci di cui e vietata l'esportazione sono comprete

le monete d'oro.

La Corte: — Theophilos Kenkora Tsacknis Antonio

furono assolti con sentenza 29 gennaio 1916 del tribu

nale di Napoli per inesistenza di reato dalle imputazioni

di avere tentato di esportare monete d'oro dal regno,

contro il disposto dell'art. 1 L. 21 marzo 1915, n. 1(23,

in rapporto dell'art 1 L. 6 agosto 19.14, n. 790; appellò

il P. M., e la Corte di Napoli, con sentenza 12 febbraio

1916. in parziale riparazione della prima pronunzia, as

solse gli imputati per insufficienza di indizi e ordinò che

fossero convertite in valuta cartacea e fossero restituite

loro, col cambio relativo, le monete d'oro delle quali

erano possessori. Ricorre ora il procuratore generale presso la Corte

di appello di Napoli, deducendo: 1° la violazione del

detto arc. 1 L. 21 marzo 1915, in quanto che la pa

rola e lo spirito della disposizione non consentono di

distinguere, come erroneamente fece la sentenza impu

gnata, la merce proveniente da altri paesi esteri o presa

nel regno quando si cerca di esportarla; 2° violazione

dell'art. 1 regio decreto 6 agosto 1914, n. 790, che

spiega come al divieto di esportazione delle merci fatto

col decreto l agosto 1914, n. 758, s'intendono aggiunte

le verghe e monete d'oro ; 3° rileva poi come la sentenza

impugnata in sostanza riconobbe la perentorietà del pre

cetto quando ordinò la conversione delle monete metal

liche in biglietti di banca, mentre la conseguenza legit

tima del proscioglimento conduceva a restituire l'oro

senz'altro.

La difesa del Theophilos e Tsacknis resiste al ricorso

con elaborata memoria, sostenendo che la sanzione della

legge speciale 21 marzo 1915, n. 273, non è applicabile

al fatto in esame e che la confisca delie monete è in

assoluto contrasto con l'assoluzione.

Attesoché il ricorso è fondato, perchè l'art. 1 L. 21

marzo 1915, n. 273, vietando di esportare in qualsiasi

modo merce della quale il Governo abbia vietato l'es

portazione, non distingue affatto tra quelle che sieno

fabbricate, raccolte o comunque acquistate nel regno

con le altre provenienti dall'estero, nè dalla precisa pa

rola o dalla palese finalità del divieto vien consentita

una interpretazione arbitrariamente limitativa quale fu

quella spguita dai magistrati di cognizione. Nel decreto

1 agosto 1914, n. 758, vengono indicate le merci che

non si possono esportare dal regno e nel successivo de

creto 6 agosto 1914, n. 790, se ne completa l'elenco ag

giungendovi l'oro in verghe, sì che non resta dubbio

che le monete possedute e tenute nascoste dai resistenti

al ricorso formavano preciso oggetto della proibizione.

Nè si dica che non si trattasse di esportazione, ma solo

di transito, se le sterline in paròla venivano dall'Ame

rica, perchè una cosi fatta caratteristica (sempre che la

distinzione fosse ammissibile) sarebbe applicabile soltanto

alle merci rimaste nelle soste del viaggio in possesso del

vettore e depositate nei magazzini, non mai a quelle che

i viaggiatori tengono sulla persona a libera disposizione

per nofr-pochi giorni di fermata in una città, come f*

constatato nel caso in esame dai magistrati di cognizione,

i quali ritenevano pure che gli imputati negarono di

possedere l'oro che tenevano celato entro i pantaloni, ad

dimostrandosi così non ignari della legge proibitiva, la

di cui ignoranza mai, del resto, avrebbe a dirimere la

responsabilità. Per questi motivi, accoglie il ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA (Prima sezione penale)

Udienza 16 marzo 1916; Pres. Gui, Est. Santoro —

Rico. Fanelli ed altri.

Guerra — ProTTcdlmtotl spedali — Stanco Ito di e«

reall — Prestazione di quadrupedi, macrblue e per

sone — Contusioni (D. luogot. B giugno 1915, n, 791, art. 1 e 4).

Non contravviene al decreto luogotenenziale 3 giugno 1915

n. 791 ehi si sia rifiatato di obbedire all'ordine del sin

daco, eon il quale gli si s'ingiungeva di prestare la

propria opera ed i propri buoi a persona che non ne,

aveva fatto richiesta, che non possedeva fondi nel ter

ritorio del Comune o di Comuni limitrofi e che non

doveva provvedere al tempestivo e regolare raccolto di

cereali. (1)

La Corte: — Panelli Paolo fu Gialessandro, Vizzuso

Antonio fu Rocco e Mino Francesco Paolo fu Andrea

hanno ricorso contro la sentenza del pretore di Tricarico, 25 novembre 1915, che li dichiarò colpevoli di contrav

venzione all'art. 4 del decreto luogotenenziale S giugno

1915, n. 791, per non aver nel luglio 1915 prestato gli animali bovini, loro richiesti dal sindaco di Tricarico,

pel regolare raccolto di cereali, e condannò ciascuno di

essi a lire 100 di ammenda. Motivi del ricorso:

1° Falsa interpretazione dell'art. 4 decreto luogo

tenenziale, sopracitato, perchè~i condannati non avevano

obbligo di eseguire il trasporto di una macchina per conto

di un privato, che faceva speculazione, nè di recarsi in

mandamento non limitrofo a quello di Tricarico.

2° Nullità del dibattimento, perchè il pretore non

avvertì gl'imputati del diritto di ricorrere per cassazione.

Motivi aggiunti: 1° Violazione dell'art. 4 decreto luogotenenziale

3 giugno 1915, n. 791, e dell'art. 414, n. 3, cod. proc. pen.,

perchè il pretore con erronea e contraddittoria motiva

zione, riconoscendo in linea di fatto che la prestazione dei quadrupedi non era stata ordinata per la mietitura

(1) In merito al decreto luogotenenziale succitato vedi Pi

vano, Provv. per il raccolto dei cereali e per l'approvv. della earn*

bovina, in Riv. di dir. e proc. pen., 1915, I, 478.

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