Udienza 14 maggio 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De Cesare, P. M. Spera (Concl. conf.) —Ric. FalliSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.185/186-187/188Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084734 .
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185 GIURISPRUDENZA PENALE 186
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza del 14 maggio 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De
Cesare, P. M. Spera (Conci, conf.) — Ricorrente
Barretta.
Dazio consumo — Comune njicrto — Assenza <lcl
l'appaltatore — Dichiarazione ili uso — A olii
deliba farsi — Confisca (Legge 3 luglio 1864, II. 1827,
art. 22).
Se in un Comune aperto il ciazio, consumo trovasi
dato in appalto, e V appaltatore assente non ha un
ufficio daziario, gli esercenti vendita a minuto di
oggetti soggetti a dazio non sono tenuti a far la
dichiarazione di uso nella casa comunale.
Le leggi ed i regolamenti del dazio consumo non ri
conoscono la confisca degli oggetti in contravven
zione.
La Corte, ecc. — Attesoché con la denunciata sentenza
si ritiene che il ricorrente nello scorcio del luglio 1878
avesse macellati undici agnelli, senza fare la preven
tiva dichiarazione all'ufficiò daziario del paese di
Monti (Comune aperto), e senza pagare il corrispon
dente dazio. Onde veniva il medesimo condannato alla
multa, dichiarandosi confiscati nove agnelli di perti
nenza del contravventore, rinvenuti e sfuggiti fuori
l'abitato mentre erano al pascolo.
Questa sentenza, in tutte le sue parti, è contraria
ai principi che governano le leggi ed i regolamenti
sul dazio consumo. Contiene tre errori, l'uno non meno
grave dell'altro; conciossiachè si ritiene, in tesi ge
nerale, che quand'anche lo appaltatore del dazio-con
sumo fosse assente dal luogo, e non avesse ufficio da
ziario, il macellaio debba fare la sua dichiarazione
alla casa municipale. Nel concreto, mentre si ritiene
che la macellazione fosse stata di nove o undici agnelli,
si dichiara il ricorrente contravventore per un nu
mero maggiore, comprendendosi quelli che non erano
mai stati introdotti nell'esercizio, né macellati, ma
sequestrati, per eccesso di potere, nella campagna. E
come coronamento di tutto questo edilizio di errori si
dichiararono confiscati i detti nove agnelli.
La principale ragione dedotta in tesi astratta, e
sulla quale si poggiano gli altri errori dell' impugnata
sentenza, non è conforme alla legge, avvegnaché, nella
esistenza di un appalto, è dovere dell'appaltatore te
nere un ufficio proprio di dazio consumo, non avendo
l'ufficio municipale veste giuridica a ricevere le di
chiarazioni ed i versamenti del dazio. Quando lo ap
paltatore si assenta, e non ha un ufficio daziario, deve
imputare a sé la irregolarità del servizio, che per og
getti di prima necessità non richiede differimento.
Contravventore, espressione che raffigura il frodatore,
non può chiamarsi colui che non intese violar la legge,
ma che per un fatto a lui del tutto estraneo non gli
fu dato ottemperare ad essa.
L'enunciato concetto erroneo di dritto, che signo
reggia nella impugnata sentenza, tiene a fondamento
una ipotesi e non un fatto accertato e ritenuto. Onde
per questa parte, nel caso di cassazione, il giudizio deve andar rinviato ad altro giudice per assodare, in
fatto, le circostanze dell' assenza dell' appaltatore dal
Comune, nell'epoca della macellazione degli agnelli, e
della mancanza dell' ufficio daziario, da cui potranno derivare le mentovate conseguenze di diritto.
Ma non è questo, come si è detto, il solo errore su
cui si poggia la denunciata sentenza. Oltre dell'avere
estesa la contravvenzione a 18 agnelli, vi è quello non
meno grave della confisca dei nove agnelli rinvenuti
al pascolo fuori l'abitato. Questa parte della sentenza
racchiude un eccesso di potere e ne legalizza un altro.
Oli animali, di cui è parola, non avevano alcuna rela
zione col fatto delia contravvenzione, e se pur l'aves
sero avuta, la confisca di essi si trova in aperta op
posizione coll'art. 22 della legge 3 luglio 1864, n° 1827,
in cui è detto: « Gli agenti dell'amministrazione
« avranno diritto, a garantia delle multe, di seque
« strare, oltre i generi caduti in contravvenzione, an
« clie i recipienti, ecc. »; Per queste ragioni, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 14 maggio 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De Ce
sare, P. M. Spera (Conci, conf.) — Ric. Falli.
Ingiurie — Scritti forensi — Immunità — Ikifen
sori — l'arti litiganti (Cod. pen., art. 580).
Un atto protestativo, importante incidente in un giu
dizio principale civile, sebbene atto di parte, non
può ritenersi essere stragiudiziale.
La immunità di cui all'art.,580 Codice penale si
estende non solo ai difensori o causidici, ma anche
alle parti, essendo un beneficio concesso alla cosa
e non alle persone. (1)
La Corte, ecc. — Attesoché innanzi di ogni altro
esame è mestieri soffermarsi sul mezzo concernente la
denunciata violazione dello art. 580 Codice penale,
come quello che tiene alla inesistenza dell'azione pe
nale. E non può disconvenirsi che ben si apponga il
ricorrente, avvegnaché si è ritenuto esservi azione pe
nale nel fatto di un preteso erede, che pendente il giu
dizio ereditario, intimi all'Amministrazione dei beni
sottoposti a sequestro atto protestativo, in cui si dice :
« che lo intento del sequestratario giudiziario si è
« quello di usare ed abusare della cosa affidatagli, di
(1) E questa la giurisprudenza prevalente. Vedi infatti, tra le più recenti sentenze: Cassazione Torino, 6 dicembre 1876, P. M. c. Costa
{La giurisprudenza, 1877, col. 167; Giorna,le dei trib. Milano, 1S76,
pag. 1226); Tribunale Modena, 22 giugno 1877, causa G. A. c. Z. C.
(Rivista legale, Modena, 1877, pag. 443); Trib. Novi Ligure, 26 gen naio 1878, causa Aragonne c. De Maurizi (Gazz. pret., 1878, pag. 607). Ma in senso contrario, vedi Cass. Torino, 13 novembre 1866, rie- Altea
{Legge, 1867, pag. 284). La Cassazione di Palermo lia poi deciso che l'immunità sanzionata
dall'art. 530 Codice penale non si estende alla persona del magistrato, che nell'esercizio delle sue funzioni si renda colpevole di ingiurie. Sent. 26 maggio 1876 (Foro it., 1876, col. 441).
Il Foro Italiano. — Volume IV. - Parte II. — 14.
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187 PARTE SECONDA 188
« devastarla, di mandarla a male e non custodirla.
« Che questa non era che una dolosa amministra
« zione ».
In queste parole, essenzialmente giuridiche, si volle
vedere una contumelia, affermandosi non competere alla parte istante querelata il benefìcio dell'art. 580 Co
dice penale, non concorrendo, al dir del giudice di me
rito, le due condizioni richieste, cioè l'atto giudiziario e la persona ivi indicata. Ma simiglianti affermazioni
contengono due errori, ed hanno per base un falso sup
posto, quale si è quello di ritenere che la citata dispo sizione non sia altro che una scusa personale, quando è la esplicazione di un gran principio che tiene all'os
sequio della illimitata libertà di difesa consentita in
ogni libero reggimento, avvegnaché la legge non sup
pone in colui che si difende l'animo d'ingiuriare; Che se questo è il concetto informatore della dispo
sizione in esame, i due argomenti messi innanzi per escludere la eccezione d'inammissibilità dell'azione pe nale non han valore, essendo ad essi contrario non
meno lo spirito che la parola di quello stesso articolo
invocato al riguardo. Il primo argomento, vale a dire quello di non essere un
atto giudiziario l'incriminata protesta, è una inesatta
affermazione; giacché sebbene sia un atto di parte
(e non poteva essere altrimenti), per la sua forma, per la sua essenza e per l'obbietto a cui mirava rivestiva
in tutto il suo lato senso il carattere di atto giudi
ziario; esso gittava le basi di un incidente del giudizio
principale che si agitava innanzi il Tribunale civile di
Roma, avente ad obbietto quei medesimi immobili, per la cui pretesa mala amministrazione l'atto si noti
ficava.
Il secondo argomento della impugnata sentenza non
è più solido del primo, essendo una troppo rigorosa adesione alle parole della legge il limitare ai soli av
vocati o causidici l'immunità concessa dal citato arti
colo, disconoscendosi con simigliante distinzione il cri
terio fondamentale della regola, poiché una immunità
concessa dalla legge alla cosa, si converte in una im
munità concessa alla persona. Secondo il concetto razionale della disposizione non
può ritenersi che in essa si racchiuda non altro che un
privilegio esclusivo della toga, conciossiacliè, se il sacro
diritto della difesa esige libertà di dire a chi altri
difende, non può essa venir negata a chi difende sé
stesso.
Né vale argomentare dall'ultimo alinea del citato
articolo, dove si avverte che l'avvocato e causidico
possono in tali casi incontrare pene disciplinari. Questo
non è che un provvedimento relativo al decoro del
l'ordine, ma niente modificativo, né esplicativo della
regola prestabilita. Che anzi dal medesimo e dalla parola inoltre che si adopera sorge evidente una discretiva, la quale mostra che la legge, dove volle parlare dei
soli difensori lo disse, dove noi disse non volle.
Né la scuola è stata mai discorde a ritenere siffatti
principi, combattendo sotto il concetto dell'assurdo la
interpretazione limitativa, giacché ammesso che tutto
l'art. 580 contemplasse tassativamente i soli avvocati
o causidici e non le parti che si difendono da sè me
desime, verrebbesi alla conseguenza, che il giudice non
potrebbe decretare la soppressione di nessun brano di
atto difensionale per quanto esorbitantemente ingiu
rioso, quando l'atto s'intimasse a nome della parte e
non dell'avvocato: e questo è un assurdo.
Onde la denunziata sentenza evidentemente, sotto
doppio aspetto, conculcò lo spirito della legge, ritenendo
esercibile l'azione penale nel caso di cui è disamina; Per queste ragioni, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza del 19 marzo 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De
Cesare, P. M. Spera (Conci, confi) — Ric. Olivieri.
^laciniato — Contravvenzione — IVescrizione —
Termine (Legge 13 settembre 1874, art. 40; Regola mento doganale 11 settembre 1862, art. 64).
L' azione penale per le contravvenzioni alla legge del macinato 13 settembre 1874 si prescrive in un
anno dal giorno del commesso reato, e se vi è stato
processo dall'ultimo atto del medesimo.
Con l'art. 40 della citata legge, rimessivo all'art. 64
del regolamento doganale (che contempla i casi di
contrabbando e di semplice contravvenzione, stabi
lendo per i primi la prescrizione di 5 anni e per
gli altri quella di un anno), s'intese stabilire pei• la prescrizione delle contravvenzioni al macinato
la stessa norma che regola la prescrizione delle
semplici contravvenzioni doganali, e non quella che
regola la prescrizione del contrabbando.
La Corte, ecc. —Attesoché dalla prima sentenza della
Corte di appello, con cui fu ordinato il rinnovamento
della pubblica discussione, sino al decreto di citazione
per procedersi al dibattimento passavano oltre due
anni senza che intervenisse atto alcuno di procedura, Ond' è manifesto che con l'inutile trascorrimento di un
tal tempo l'azione penale rimaneva estinta per pre
scrizione, ai termini della disposizione dell'art. 64 del
regolamento doganale applicabile alle contravvenzioni
alla legge sulla macinazione dei cereali.
Nè potrebbe obbiettarsi che il citato articolo con
templando un doppio caso di prescrizione, cioè quello dell'azione penale pel contrabbando e quello dell'azione
penale per ogni altra contravvenzione, il rimando del
l'art. 40 della legge 13 settembre 1874 sulla macina
zione dei cereali debba riferirsi al primo e non al se
condo, avvegnaché l'art. 18 della prima legge sul ma
cinato 7 luglio 1868 si rimetteva, in quanto alla pre scrizione per tutte le contravvenzioni prevedute da
essa, all'art. 24 della legge sulle tasse governative e
sui dazi di consumo del 3 luglio 1864, n. 1827, in cui è
detto: «l'azione per le contravvenzioni e per le de
« fraudazioni si prescrive entro un anno dal giorno in
« cui fu commessa la contravvenzione ».
Per la redazione di questo articolo essendo sorto il
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