Udienza 15 maggio 1879, Pres. D'Agliano, Est. Talice, P. M. Pozzi (Concl. conf.) —Ric. P. G. diMilano c. Abbà e GrechiSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.283/284-285/286Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084793 .
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283 PARTE SECONDA ' 284
ed effettivo della cosa rubata, come quello che costi
tuisce elemento materiale, essenziale a misurare la
quantità naturale del reato, e così la gravità del me
desimo, onde la ragione legale di averlo in conside
razione, ove abbia ad esser limitato, e concorrano cir
costanze attenuanti, per l'applicazione di una pena
meglio adeguata.
Ove si avesse a dare ospitalità alla tesi nel proposto
mezzo sostenuta, che cioè in materia di furti la sud
detta espressione importo del danno avesse da rap
presentare il pregiudizio, oltre la cosa rubata, se
condo le diverse contingenze risentito dal derubato,
ne verrebbe la valutazione, le tante volte avventurata,
anche di elementi, sebbene conseguenti dal reato, del
tutto estranei ed indipendenti dalla volontà diretta
dell'autore del reato, e ne verrebbe inoltre la incon
gruenza, ad esempio, che la rottura sarebbe doppia
mente valutata quale aggravante del furto, dapprima
come mezzo che lo rende qualificato, e quindi ■ ancora
pel danno, che ne può derivare: lochè non fu certo
negli intendimenti del legislatore, il quale perciò, negli
accennati art. 626 e 625, si riferì espressamente, per
la maggiore o minor pena da infliggersi, non al danno
in genere, sibbene al valore della cosa rubata.
Ed accettato poi una volta il principio dal ricorrente
propugnato, non si potrebbe coartare nelle sue conse
guenze, e perciò dovrebbe applicarsi anche a vantag
gio del delinquente.
Egli è quindi troppo manifèsto, che una teorica così
plasmata non sarebbe conforme ai principi del giure
anche in materia d'imputabilità.
E solo nel campo del risarcimento dei danni, a cui
anche la colpa può far luogo, che si può estendere al
di là del valore della cosa rubata.
E di fronte a coteste considerazioni non potrebbe
aver valore l'argomento, cui il ricorrente vorrebbe
trarre dall'art. 636 del Codice medesimo.
Imperocché qui pure militerebbe la ragione dell'eco
nomia sopravvertita; inquantochè tale disposizione non
riguarda solo i furti propriamente tali, ma anche i
reati contemplati dalle sez. 1 e 3 del suddetto cap. 2.
Ma prescindendo da ciò, è manifesto per la stessa
locuzione dell'art. 636, che il legislatore non può rife
rirsi, in tema di furto, che al valore della cosa rubata,
come quella appunto, che unicamente influisce sull'ap
plicazione della pena; Attesoché dappresso tutto ciò non merita censura
la denunziata ordinanza della Corte d'assise, che tenne
ferme le questioni , che nell'eventuale applicazione dell'art. 682, in realtà poi applicato, avevano a base
il valore della cosa rubata
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 15 maggio 1879, Pres. D'Agliano, Est. Talice,
P. M. Pozzi (Conci, conf.) — Ric. P. G. di Milano
c. Abbà e Grechi.
Xcstiiiioiiiaiiza falsa — Materia correzionale « ili
polizia — Furi» campestre coil recidiva (Cod. pen., art. 364 e 365, n. 3 e 4, e 625).
La falsa testimonianza deve ritenersi commessa in
materia correzionale e non in materia di polizia, allorché si riferisce a reato che sebbene in genere
sia punibile con semplice pena di polizia, tuttavia
per effetto di circostanze speciali, non escluse quelle
soggettive all' imputato, venga dalla legge elevato
a delitto; tanto più poi se effettivamente fu inflitta
una pena correzionale. (1)
Laonde la falsa testimonianza a favore dell'imputato di furto campestre con recidiva (la quale aggra vante fa si che la pena di polizia comminata per
quel reato si elevi a pena correzionale), ricade
sotto la sanzione del n. 3 dell'art. 365 Cod. pen., relativo alla falsa testimonianza in materia cor
rezionale, e non del n. 4, relativo alla falsa testi
monianza in materia di polizia. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché la falsa testimonianza
addebitata agli Abbà e Grechi si verificò innanzi un
Tribunale correzionale, e nella causa contro Luigi Fran
ceschini, al quale erano addebitati, oltre un reato di
minacele, previsto dall'art. 431 del Cod. pen., parecchi furti campestri con recidiva speciale. Questi titoli d'im
putazione costituivano evidentemente materia corre
zionale, essendo appunto correzionale la pena per si
mili reati comminata dalla legge; e si aggiunse poi ancora che la pena effettiva, concreta applicata al
Franceschini, specialmente per i detti furti campestri, fu del pari correzionale.
Non si poteva quindi dubitare, che la falsa testimo
nianza fosse seguita in materia correzionale; Attesoché a far deviare da questo corollario, esat
tamente conforme ad ogni principio di giustizia, ed
alla lettera della legge, non meno che allo scopo da
essa propostosi nel fissare la varia graduazione delle
pene della falsa testimonianza, ed a fare invece rite
nere giudicabili i testimoni falsi in una condizione
astratta, e diversa dall'esito invariabile del giudizio sul
fatto principale, non poteva essere ragione valevole e
legale, quella escogitata dalla Corte d'appello, che l'ag
gravante della recidiva si avesse a riguardare come
una circostanza meramente personale subbiettiva pel Franceschini e da non tenersene calcolo a riguardo dei
testimoni falsi.
A parte anche la considerazione, che questi se s'in
(1-2) Intorno al criterio per determinare se la falsa testimonianza sia stata commessa in materia criminale, correzionale o di poli-zia, se cioè debba guardarsi al titolo del reato addebitato al prevenuto prin cipale, o alla pena al medesimo inflitta, vedi le sentenze 10 ottobre 1877 della Cass. di Napoli (Foro it., 1873, col. 216), 12 maggio 1877 della Cass. di Firenze {Id., 1877, col. 288), e l'articolo di giurisprudenza comparata pubblicato dall'egregio prof. Lucchini a pag. 49i e se guenti del vol. X della Rivista pen., nel quale è pure commentata l'attuale sentenza della Cass. di Torino.
Riguardo poi alla natura del furto campestre, se cioè costituisca delitto anche quando è punibile con semplice pena di polizia, vedi la sentenza della stessa Corte e relativa nota a col. 100 e seg. di questo volume.
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285 GIURISPRUDENZA PENALE 286
dussero a comméttere quel reato contro la pubblica
giustizia, fu per impedire che il Franceschi™ fosse condannato ad una pena correzionale, cui ben conosce
vano quel giudizio poteva solo metter capo, devesi poi
riflettere che i furti campestri sono classificati nel
libro II del Cod. pen., che concerne i delitti, furono
posti sotto la rubrica dei furti semplici e sono della
stessa categoria; quando poi sono commessi da chi è
recidivo nella specie stessa di furti, il legislatore non
credette fosse adeguata repressione quella che secondo
le regole ordinarie sarebbe stata dovuta, e li elevò al
grado di delitti, disponendo che il colpevole, qualunque
pur fosse il valore dell'oggetto derubato, soggiaccia alla pena del carcere non minore di tre mesi, ed alla
sorveglianza speciale della pubblica sicurezza; Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 31 luglio 1879, Pres. ed Est. Eula P. P.,
P. M. Boron (Conci, conf.) — Ric. Cassone, parte
civile, c. Pagliani.
Cassazione — K Scorso della parte civili* — Sezione
penale (Cod. proc. pen., art. 645, 370 e 353; Legge
di ordin. giudiz., art. 123 e 125).
Il ricorso iti Cassazione cortro le sentenze pronun
ziate sali'appello della sola parte civile, deve pro
porsi alla sezione penale della Corte suprema. (1)
La Corte, ecc. — Attesoché il Tribunale d'Acqui, pro
pronunciando la sentenza denunciata, non ha giudicato,
e non poteva giudicare, che come Tribunale correzio
nale, perché trattavasi d'appello proposto contro la
sentenza del pretore emanata in giudizio penale e nelle
forme stabilite dal Cod. di penale procedura;
(1) Con questa sentenza, proferita a relazione dello stesso suo primo presidènte, il senatore Lorenzo Eula, la suprema Corte di Torino viene rischiarando quella selva selvaggia ecl aspra e forte, che è il
procedimento da seguirsi per gli appelli e ricorsi in Cassazione della sola parte civile. Nessuna norma ha dettato il legislatore nostro in fuori di quell'art. 370 del Cod. di proc. pen., di cui tante diverse in
terpretazioni sono state date, che può proprio dirsi, come diceva il
poeta, che quel procedimento è una selva selvaggia, che nel pensier rinnova la paura. E infatti quasi impossibile il dare un esatto rag guaglio delle tante decisioni, che «ono state proferite su questa ma
teria, senza trovarsi confusi per la grande disparità di dottrine che hanno seguito i magistrati ne'diversi casi al loro esame sottoposti.
Noi in questa brevissima nota daremo un cenno delle principali massime che, relativamente all'appello della parte civile, sono state stabilite dalla nostra giurisprudenza.
Tutte le decisioni sono concordi nello ammettere che possa la parte civile appellare anco sola da una sentenza assolutoria o che abbia dichiarato non farsi luogo a procedere riguardo ai suoi interessi ci
vili, e ciò in conformità dell'art. 353 della procedura penale. Giova
però notare che da alcuni scrittori si è negato alla parte civile di ap pellare per i soli interessi civili, sostenendo che l'art. 353 questa fa coltà concede alla parte civile nel solo caso in cui sia stata condan nata al risarcimento del danno a favore dell'imputato. Però la giu risprudenza non ha fatto a questa dottrina buon viso, ritenendo, e a
parer nostro giustamente, che le parole dell'art. 353 « per ciò che ri
guarda la somma dei danni » sulle quali si fondano i sostenitori della stessa dottrina, si riferiscano al solo imputato che voglia appellare da una sentenza nella sola parte che lo condanna al risarcimento dei danni a favore della parte civile.
Un'opinione stranissima è stata accolta dalla Corte d'appello di Ve nezia colla sua decisione dell' 8 marzo 1878 (inserita in questa Rac
colta, III, 2, 140), con cui ha ritenuto che la parte civile non può in tervenire nel giudizio di appello se essa stessa non abbia appellato.
Questa singolare dottrina fu vivamente censurata dall'illustre av vocato Giuriati con un brillante articolo, che fu riprodotto anche dal Foro it. in nota alla decisione stessa, nel quale il valente giurecon sulto dimostrò come la dottrina della Corte veneta sia assolutamente contraria alla legge, e come non abbia alcun fondamento neppure nelle massime generali del diritto.
Quanto alla competenza, la giurisprudenza è in parte concorde, in
parte discorde. E concorde in quanto è dottrina non contrastata che, per ciò che attiene alla competenza, si debba seguire la legge penale e debba quindi adirsi rispettivamente il Tribunale correzionale, la se zione degli appelli correzionali e la sezione penale della Corte suprema (Cassazione di Torino, 12 novembre 1878, rei. Provera nel Giornale dei trib. di Milano, Vili, 43, e Cassazione di Firenze, 3 agosto 1876, rei. Ederle, negli Ann. it., XI, 1, 77).
Ma quanto al numero dei giudici, onde dev'esser composta la se zione degli appelli correzionali della Corte di appello, è discordia gran dissima nella giurisprudenza. La suprema Corte di Torino, infatti, ha deciso ripetutamente che la detta sezione, dovendosi la causa istruire
civilmente, debba esser composta non di quattro, ma di cinque vo tanti (Vedi decisioni 11 luglio 1867 nella GiurisprIV, 702; 13 mag gio 1875, ivi, XII, 326; 15 marzo 1876, ivi, XIII, 227, e 24 maggio 1878, nel Mon. dei trib. di Milano, XIX, 626).
Ma la nostra Corte suprema, con una elaborata decisione del 27 di cembre 1876, a relazione del mentissimo cons. cav. Calcedonio Fer rari (in questa Raccolta, II, 2, 56), mentre accetta tutti gli altri cri teri stabiliti in proposito dalla Cassazione di Torino, sta ferma però nel ritenere che la sezione degli appelli correzionali, perchè correzio nale, deve comporsi di quattro votanti, anco quando giudica dell'ap pello della sola parte civile. Questa decisione fu censurata assai vi vacemente in questa Raccolta (loc. cit.) dal signor cav. G. B. Puppa, consigliere della Corte d'appello di Venezia, che forse era stato esten sore della sentenza annullata dalla nostra Cassazione.
Noi però crediamo ch'essa sia nel vero quando afferma che quattro soli consiglieri debbono giudicare dell'appello della parte civile.
Infatti la Cassazione di Torino, seguendo la opposta dottrina, si pone in contraddizione colla sua stessa giurisprudenza; essa ha sta bilito ripetutamente, ed anco colla decisione che ora annotiamo, che
l'appello e il ricorso della parte civile debbono essere proposti alla sezione penale e non a quella civile; ora, per la legge sull'ordina mento giudiziario, la sezione correzionale delle Corti di appello giu dica invariabilmente col numero di quattro votanti, e quindi il vo lerne aggiungere un quinto è lo stesso cho trasformarla in sezione civile. E deve notarsi ancora che l'art. 370 della procedura penale, sul quale la Cassazione di Torino ed il consigliere Puppa si fondano
per combattere la dottrina della nostra Corte suprema, dice soltanto che nei giudizi di appello promossi dalla sola parte civile si debbono osservare -per la istruzione e pel giudizio le leggi sulla procedura civile e il rito sommario; ora il numero dei votanti che debbono esser chiamati a sentenziare nulla ha che fare colla istruzione della causa, e molto meno col giudizio in cui deve seguire la discussione. Ciò è tanto vero, che le norme relative alla istruzione ed al giudizio nelle cause civili sono dal legislatore esposte nel Cod. di proc. civ., mentre
quelle relative alla composizione de'Tribunali si trovano nella legge sull'ordinamento giudiziario. Non può dunque dirsi che l'art. 370 della
procedura penale sia concepito in modo da rendere necessaria la in
terpretazione datagli dalla Cassazione torinese, che è stata ripudiata da quella fiorentina. Nel silenzio della legge è necessario ricorrere ai principi generali del diritto; ora questi c'insegnano che ubi ac ceptum est semel judicium et ibi finem accipere debet (Marcello, nella leg. 30, ff. de judiciis et ubi quisque, ecc ), e quindi nel caso il giudizio deve proseguire ed aver fine avanti il Tribunale criminale ; ma questo, per legge, si compone di quattro votanti ; dunque anco
dell'appello della parte civile deve giudicare la sezione degli appalli correzionali composta di quattro votanti. E basti per ora di questa controversia, sulla quale però ci proponiamo di tornare quando ci se ne porga l'occasione, esaminandola con ampiezza maggiore che in
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