Udienza 15 marzo 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De Cesare. P. M. Spera, (Concl. conf.) —Ric.Lampazzi Severino ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.191/192-193/194Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084738 .
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PARTE SECONDA 192
lanza presso Parò, un carretto carico di sacchi appa
rentemente pieni di frumento, veniva fermato dagli
agenti di finanza, ch'erano in sull'avviso che un con
trabbando di coloniali provenienti dalla Svizzera in
tendevasi fare; - ed avendo interrogato il vetturale,
ch'era il ricorrente Briccola, cosa contenessero quei
sacchi, il medesimo rispose che in essi vi era grano, ma invece si trovò caffè nella quantità di chilogr. 461,
appartenente all' altro ricorrente Catelli, per ordine e
nell' interesse del quale, senza carte giustificative, ve
niva spedito per ignota destinazione.
Questo fatto così accertato e ritenuto, non può non
costituire il reato di contrabbando, di cui è parola nell' art. 65, lettera C del regolamento doganale 11 set
tembre 1862, essendo stato il genere sorpreso in modo
da far presumere il proposito di commettere una
frode alla pubblica finanza, sottraendolo alla vigilanza
doganale.
Non è esatto dunque quello che contrariamente si
afferma, cioè che il fatto, invece d'importare un reato
di contrabbando propriamente detto, presenta gli estremi della contravvenzione assimilata al contrab
bando ai termini dell'art. 73 del prelato regolamento, in cui è detto che « è dovuta una multa non minore del
dazio di entrata, nè maggiore del quintuplo per lo zuc
chero o caffè sorpresi nella zona, o trovati in deposito senza la prescritta bolletta ». Questa disposizione ri
guarda non la frode, sibbene le semplici violazioni dei
regolamenti e delle istruzioni concernenti la esatta
esecuzione della legge e la ritualità delle operazioni
doganali. Quando invece, com'è detto nell'art. 2 del
citato regolamento, trattasi di merci estere, com' è nel
caso, contrabbandate, perseguite continuamente dagli
agenti della forza pubblica, anche che la sorpresa av
venisse fuori la zona di vigilanza, vi ha sempre con
trabbando e non contravvenzione. Nella fattispecie poi vi ha di più, giacché la sorpresa non avveniva fuori
la zona di vigilanza, ma in essa, ed il genere non aveva
passato che il solo confine; diguisachè le norme ap
plicabili sono quelle dell'art. 56, in cui è detto: « quando
vi sia indizio di contrabbando gli agenti doganali pos
sono visitare le merci estere soggette a dazio, le quali
siano trasportate o custodite nelle zone di vigilanza.
Se vi sono prove del contrabbando, le merci saranno
trasportate alla vicina dogana, perchè venga proce duto a norma di legge ».
Or se il caffè sorpreso e staggito nella zona di vigi lanza fu rinvenuto in modo da far presumere il pro
posito di sottrarlo alla visita doganale; se fu perse
guito dopoché clandestinamente passò la linea di con
fine; se il giudice di merito, ritenne il concetto della
frode a danno della pubblica finanza, invano si pre tende trattarsi di semplice contravvenzione e non di
contrabbando nel suo vero senso; Attesoché il secondo appunto non è meglio fondato
del primo, avvegnaché se il giudice di merito rite
neva in fatto che entrambi i ricorrenti concorsero a
fare il contrabbando, e se la multa, di cui all'art. 65, è
una pena principale convertibile in carcere, come vuole
la legge e come sempre ha ritenuto questo supremo
Collegio, invano si dice che la Corte di appello erro
neamente abbia condannato ciascuno dei ricorrenti alla
multa di lire 737 50. Il concetto di una sola pena pro
pugnata dai ricorrenti, racchiude la idea di una con
danna per danni-interessi ; ma se la multa di cui si
parla è pena principale, il giudice di merito non po teva regolarsi altrimenti senza violar la legge;
Per queste ragioni, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 15 marzo 1879, Pres. Ghiglieri, Est. De Ce
sare. P. M. Spera, (Conci, conf.) — Rie. Lampazzi
Severino ed altri.
<>iuri — l'iti read — Provocazione — Ebbrezza —
Unico quesito — Complessità (Cod. proc. poli., ar
ticolo 494).
Se per un accusato di più crimini e delitti si deduce
li scusa per provocazione, a ciascuna questione
principale deve seguire quella della scusa, non po tendosi questa proporre in unica formola complessii
per tutti i reati.
Lo stesso non può dirsi in quanto a quella dell' ub
riachezza, quando i diversi fatti criminosi sono
avvenuti nel medesimo tempo.
La Corte, ecc. — Attesoché i ricorrenti furono me
nati a giudizio sotto le accuse di omicidio volontario, di mancato omicidio e di ferite volontarie costituenti
delitto, reati commessi nello stesso tempo e nello stesso
luogo. In dibattimento si dedussero le scuse di ebbrezza
e di provocazione. Ma il presidente, lungi di ottempe rare alla legge ed alla logica proponendo per ogni reato le relative questioni di scuse, le formulava nei
seguenti termini:
« Nell'affermativa della prima, seconda e quarta « questione, ovvero di alcuna di esse, ha l'accusato « commesso i fatti nelle medesime espressi nello stato
« di ubbriachezza, contratta senza deliberato proposito « da lui non solito ad ubbriacarsi? »
Si rispondeva — no —.
« Nell'affermativa della prima, seconda e quarta que « stione, ovvero di alcuna di esse, ha l'accusato com « messo i fatti nelle medesime espressi nell' impeto « dell' ira a seguito di provocazione, ecc. ? »
Si rispondeva — 110 —.
Or torna chiaro che nel modo come furono proposte le trascritte questioni vi ha vizio di complessità, per essersi comprese in unica formola tutte le dimande di
scuse relative ai singoli reati, che per necessità logica dovevano andar separati, onde non rendere incerta la
risposta dei giurati. E sebbene la domanda concernente
l'ebbrezza potesse stare, avvegnaché se i reati av
vennero nello stesso tempo in cui gli agenti trovavansi
in quell'anormale condizione psicologica, e quindi il
preteso beneficio non poteva rimanere scisso, afferman
dosi per l'uno e negandosi per gli altri, lo stesso non
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Wò GIURISPRUDENZA PENALE 194
può dirsi in ordine alla scusa per provocazione, che
per la sua indole non doveva essere proposta in quel
modo, comprendendosi in unica proposizione tutti i reati
commessi dagli accusati in danno di diverse persone,
ritenendosi a priori che la provocazione fosse simul
taneamente partita da tutti gli offesi, mentre poteva bene verificarsi il contrario. E non è improbabile che
la spinta a far delinquere sia partita da colui che fu
meno offeso. Onde i giurati 11011 furono liberi a rispon
dere affermativamente per l'uno e negativamente per
l'altro, mentre il principale pensiero del legislatore è
quello di non volere che la mente dei giudici popolari
sia turbata da dimande arruffate ed incerte, e pre
scrive che ad ogni questione principale debba seguire
quella della scusa ; Per queste ragioni, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 12 febbraio 1879, Pres. Ghiglieri, Est. Fer
reri, P. M. Spera (Conci, conf.) — Ric. Rucci.
Kctroattività — Legje posteriore conforme alla
precedente — Bollo (Cod. pen., art. 3; Legge sul
bollo, 13 settembre 1874, testo unico, art. 55).
((olio — Quitanza provvisoria — Contabilità co
munale — Esenzione (Citata legge sul bollo, art. 21,
n. 5).
È nulla la sentenza che abbia, applicato una legge
posteriore al reato, quantunque tale legge impor
tasse una pena uguale a quella stabilita nella legge
preesistente.
Essendo esenti dal bollo, giusta l'art. 21 della rela
tiva legge, i documenti giustificativi del conto fi
nanziario del Comune, lo è pure la quitanza prov
visoria rilasciata per essere unita, come fu poi
unita di fatto, ad un corrispondente mandato, qual
documento giustificativo di esito per la contabilità
comunale.
La Corte, ecc. — Attesoché i due mezzi dal ricor
rente dedotti si presentano del pari pienamente fon
dati, giusti e meritevoli di accoglimento.
Il primo, perchè troppo è manifesto che il Tribunale
correzionale di Aquila, come ne risulta indubbiamente
dalla denunziata sentenza, ha invocato ed applicato nel
caso la legge sul bollo del 13 settembre 1874, testo
unico, mentre il fatto della contravvenzione ascritta
al Rucci rimontava al giorno 9 del mese di novembre
1873, e ciò in aperta violazione non solo dell'art. 55
della legge stessa, ma contro il principio elementare
della non retroattività, solennemente sancito nell'art. 3
delle disposizioni preliminari al Codice penale, giusta
cui nessun reato può punirsi con pene che non erano
pronunciate dalla legge prima che fosse commesso.
Nè importa che la legge precedente potesse portare
una pena eguale, quando la condanna si è espressa
mente fondata sopra la legge posteriore, che non esi
steva all'epoca del commesso reato. È quistione qui di
principio, non di quantità di pena. Il diritto fu violato.
La sentenza che fa retroagire una legge penale è ra
dicalmente nulla.
Il secondo, perchè, accertato e stabilito in fatto che
la carta firmata e rilasciata dal Rucci al sindaco di
Collepietro non era che una quitanza provvisoria per lire 15, la quale dovesse unirsi, come poi fu unita, ad
un corrispondente mandato, come documento giustifi cativo per l'esito delle contabilità comunali dell'eser
cizio 1873, non poteva esser dubbio che tale carta di
quitanza provvisoria doveva essere considerata non
altramente che come un documento giustificativo del
conto finanziario o materiale del Connine, a senso e
per gli effetti dell'art. 21, n. 5, della legge stessa sul
bollo, su cui il Tribunale aveva pur fermato la sua at
tenzione. Dal quale articolo si deduce che tutti i do
cumenti a corredo dei conti comunali possono essere
stesi e rilasciati in carta libera, salvo che si tratti di
atti particolari che fin dalla loro origine debbano per la loro natura essere soggetti al bollo. Il che non si
verifica per la quitanza provvisoria di cui si tratta.
Ed è notevole, in riguardo agli atti, documenti e
scritti che servono di corredo e giustificazione ai conti
amministrativi delle Provincie e dei Comuni, l'ultimo
capoverso del suddetto art. 21, giusta cui non sarà nep
pur considerata come presentazione in giudizio, che
porti l'obbligo del bollo, la produzione dei suaccennati
atti o scritti rilasciati ai Consigli di prefettura, alla
Corte dei conti ed al Consiglio di Stato. Tanto manca
che il legislatore abbia voluto prescrivere l'obbligo del bollo per le quitanze provvisorie che vanno unite
ai piccoli mandati delle contabilità comunali.
Ciò stante, rendendosi evidente la insussistenza le
gale dall'ascritta contravvenzione, ne vien di conse
guenza la logica necessità di annullare senza rinvio la
denunciata sentenza; Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 11 febbraio 1879, Pres. Ghiglieri, Est. Cano
nico, P. M. Spera (Conci, contr.) — Ric. P. M. c.
Marrocchi.
Prova— Macinato — Verbale ali contravreiizione — Firme — Testimoni (Regolamento 13 settem
bre 1874, articoli 272, 258 e 264; Cod. proc. pen., ar
ticolo 340).
Il verbale eli contravvenzione alla legge sul macinato
redatto dal delegato, di cui all'art. 258 del Rego lamento 13 settembre 1874, fa fede fino a prova in contrario, quantunque non sia redatto con V in
tervento dei testimoni, di cui all'art. 272 del ci
tato Regolamento, nè vi sia menzionata la circo
stanza di non essersi questi potuti trovare.
La Corte, ecc. — Attesoché, se è vero clie a ter
mini dell'art. 272 del Regolamento 13 settembre 1874, il delegato che scopre una contravvenzione dee pro
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