Udienza 16 aprile 1879, Pres. Poggi, Est. Terzi, P. M. Trecci —Ric. MarinSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.437/438-439/440Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084870 .
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437 GIURISPRUDENZA PENALE 438
sioni da lui riportate; che l'unica causa a delinquere
era a ritenersi essere stato l'odio e il disprezzo verso
un agente della pubblica forza nell'esercizio delle sue
funzioni; che ciò bastava a costituire li estremi del
delitto di resistenza accompagnato da lesioni perso nali leggiere, escluso peraltro l'impulso della brutale
malvagità; e conseguentemente furono condannati il
Badiani a diciotto mesi di carcere, il Fautini a dieci
mesi della stessa pena, ed assoluti gli altri restati
ignoti; Attesoché la Corte, Confermando l'appellata sentenza,
abbia ritenuto essa pure il titolo della resistenza alla
pubblica forza, considerando segnatamente la intenzione
dei delinquenti, l'ora, il luogo, ove il fatto avvenne, e
l'occasione, la quale - ivi - « sia pure di semplice ge
« nere e scherzo chiassoso, non altra però poteva in
« tendersi la missione di un agente della pubblica forza
« che di mantenere la quiete e la regolarità, ossia la
« esecuzione della legge di pubblica sicurezza »; Attesoché indubbiamente errata sia la definizione giu
ridica data dai primi giudici al fatto, e tenuta ferma
dalla denunziata sentenza, chiaro essendo che nella
specie non ricorrono i caratteri legali della resistenza.
Ed invero gli elementi costitutivi il prefato delitto con
templato dall'art. 143 cod. pen. tose, consistono nella
opposizione alla esecuzione delle leggi o degli ordini
della pubblica autorità, e nella violenza alle persone
incaricate d'ufficio, o per mandato speciale, di quella
esecuzione. Ora del primo elemento non è dato riscon
trare traccia nel caso in esame, imperocché, anco pre
scindendo dal vedere se la denunziata sentenza abbia,
come lamentano i ricorrenti, alquanto spostato il fatto
dai termini in cui lo contenne la sentenza di pi'imo
grado, certo è che fu a loro imprestata una intenzione
che la predetta denunziata sentenza non era autoriz
zata dalle resultanze a poter ritenere, e che soitanto
vollesi argomentare e supporre, in conseguenza del
principio astratto, che l'agente della pubblica forza
deve sempre presumersi nell'esercizio delle sue fun
zioni, e che le violenze contro esso usate stanno or
dinariamente a manifestare l'animo di resistere; e ciò
veniva ritenuto nel caso concreto quantunque non una
parola fosse stata proferita, non un atto si facesse dal
Caramelli contro i due ricorrenti, onde come agente
della pubblica forza richiamarli al rispetto della legge o d'un ordine dell'autorità, né prima, né quando era
passivo delle violenze per parte di essi. Ora questo
non può ammettersi, perchè, se il concetto giuridico
della resistenza deve interamente, come è necessità,
rispondere al senso della parola resistere, la quale
esprime l'antagonismo di due forze che vicendevol
mente tendono a conflittarsi, ne avviene che come la
forza della pubblica autorità si estrinseca con una
azione fisica esteriore, così per parte del privato oc
corre una forza fisica corrispondente, acciò possa dirsi
che egli ha resistito agli agenti della autorità; occorre
adunque che l'atto criminoso costituente la resistenza
sia avvenuto quando gli agenti della pubblica forza si
accingevano ad agire, o quando agirono, o quando,
dopo avere esauriti gli atti relativi, la resistenza in
terveniva con lo scopo di distruggerli. In sostanza in
questo delitto vuoisi l'attuabilità dell' esercizio delle
funzioni pubbliche, onde impedirle, disturbarle, o di
struggerle; e niuna di queste ipotesi essendosi verifi
cata nella specie, con tutta ragione fu dai ricorrenti
dedotta la violazione del predetto art. 143 e della giu
risprudenza relativa; Attesoché in proposito a ciò che resta del fatto in
criminato, ossia alla violenza di cui fu passivo il Ca
ramelli, sarà la Corte di merito, cui è commesso il
nuovo esame, quella che determinerà se al fatto, come
sopra, convenga, come pretenderebbesi dai ricorrenti,
la qualifica d'ingiuria atroce contemplata dall'art. 368,
§ 2, lett. B del detto cod. pen., o non piuttosto quella
qualunque esclusa dalla sentenza di primo grado, e di
che nell'art. 327, § 2, codice stesso, che punisce sempre come premeditata la lesione personale che sia derivata
da solo impulso di brutale malvagità; Per questi motivi, cassa e rinvia, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 16 aprile 1879, Pres. Poggi, Est. Terzi, P. M.
Trecci — Ric. Marin.
ilniiiisliii — tfiicusn — C«ni|ii;tciizii — interessi ci
vili (Cod. proc. pen., art. 830).
Vamnistia è una misura di ordine pubblico, e quindi non può essere ricusata dall'imputato che voglia
provare la propria innocenza. (1)
Spetta alla sola Sezione di accusa Vammettere l'im
putato all' amnistia; epperciò rettamente opera il
Tribunale allorché procede a giudizio, facendo salvo
all'imputato il diritto di essere ammesso a quel be
neficio. (2) L'amnistia non pregiudica alle azioni civili nascenti
da reato; e colui che condannato in prima sede ad
una pena ed ai danni, viene in pendenza dell'ap
pello ammesso dalla Sezione d'accusa all' amnistia,
può far valere in appello le sue ragioni per essere
esonerato dal risarcimento dei danni. (3)
La Corte, ecc. — Sul primo mezzo — Attesoché, tanto
per la lettera della legge, la quale dispone, che l'am
(1-3) Per reato di arresto arbitrario il ricorrente fu condannato a 6 giorni di carcere oltre alla multa di lire 51, alla sospensione dell'e sercizio dei pubblici uffici per mesi tre, al risarcimento del danno verso l'arrestato per la detenzione arbitraria sofferta, liquidato in lire 50, con riserva d'ogni maggior diritto da esperimentarsi in giudizio ci
vile, ed infine al pagamento di lire 115 a favore del procuratore del l'arbitrari amente arrestato.' In pendenza dell'appello da lui prodotto, fu dichiarato dalla Sezione di accusa ammesso al benefizio dell'amni stia concessa col regio decreto 19 gennaio 1878. Contro tale ordinanza declaratoria dell'ammissione al benefizio dell'amnistia il Marin ricor reva alla suprema Corte per ottenerne l'annullamento denunciandola come infetta di nullità: 1. per avere quella declaratoria falsamente
applicato l'art. 830 cod. proc. pen. in relazione ai principi generali, dei quali s'informa il sistema di procedura vigente, e ciò, inquantochè il benefizio dell'amnistia può venire ricusato da chi, anziché accettare
quel benefizio, ami meglio di essere dichiarato giudizialmente inno
cente; 2. nuova violazione dello stesso art. 830, non che dell'art. 393
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439 PARTE SECONDA 440
rùstia, indipendentemente dalla volontà del colpevole,
abolisce di pieno diritto l'azione penale, ed estingue la
pena inflitta pei reati determinati nel decreto reale,
quanto pei dettati della giurisprudenza, non sia dubbio,
che l'amnistia è una misura di ordine pubblico, ed una
legge di generale interesse, e perciò non possa la me
desima per individuali e particolari ragioni venire ri
cusata. D'onde è, che il primo mezzo manca di fonda
mento.
Sul secondo mezzo — Attesoché non essendo an
cora stato dichiarato, che il Marin meritava d'essere
ammesso a godere il benefizio dell'amnistia e che l'e
mettere tale dichiarazione spettasse non alla compe tenza del Tribunale giudicante, ma bensì a quella della
Sezione d'accusa, così è che il Tribunale non solo non
violò la legge, ma anzi la osservò, procedendo a giu
dicare e dichiarando in egual tempo salvo all'imputato
il diritto per ottenere il benefizio dell'amnistia. Per
lochè, eziandio, questo secondo mezzo non ha fonda
mento.
Sul terzo mezzo — Attesoché anche il terzo mezzo
non sia meglio degli altri fondato. Ed invero, mentre
l'amnistia abolisce l'azione penale ed estingue le pene inflitte pei reati, si dichiara nel relativo decreto, che
il medesimo non pregiudica alle azioni civili ed ai di
ritti dei terzi derivanti dai reati che ne formano l'og
getto: tantoché se in dipendenza delle ragioni di civile
diritto, il Marin reputa di non potere essere tenuto
alle indennità e pagamento di spese a che era stato
condannato, non gli è interdetto poter sostenere in ap
pello, che egli debba essere da quelle condanne per civile ragione assoluto;
Per questi motivi, rigetta, ecc.
cod. proc. pen. in relazione all'art. 2 del regio decreto 19 gennaio 1878, giacché il Tribunale, da cui il ricorrente Marin fu condannato a senso dell'art. 393, non doveva, dopo la pubblicazione del decreto di amni
stia, col quale si dichiarava estinta l'azione penale, procedere a con dannare per un reato compreso nell'amnistia, per effetto della quale rimaneva estinta l'azione penale; 3. falsa applicazione dell'art. 830
suddetto, perchè il Marin, che era stato condannato, oltre alla pena ed alla multa, anche al risarcimento del danno ed al pagamento di lire 115 a favore del procuratore della parte civile, non poteva dalla declaratoria che ammettevalo al beneficio dell'amnistia esser privato del diritto di far revocare in appello tali condanne.
Si vedano in proposito le sentenze 12 febbraio e 30 maggio della Cass. di Torino a col. 229 del Foro it., 1879, e riguardo alla compe tenza a conoscere dell'amnistia, vedi le sentenze pubblicate a col. 379, 226, 112 dello stesso anno, e quelle indicate nel Repertorio, 1878, v. Amnistia,
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 19 febbraio 1879, Pres. Poggi, Est. Ferrari,
P. M. Gloria — Ric. Sarri e Salvadori.
SMhattiiiiento — Allontanamento ileiraecusato fuori
i casi pre visti dalla legge — Nullità (cod. prOC. pen. art. 271, 283 e 628).
Fuori i casi preveduti negli art. 283 e 628, cioè
quando il provvedimento sia reso necessario dal
contegno degV imputati, o dal bisogno di sentirli
separatamente, non è lecito far allontanare dalla
sala gì' imputati stessi.
È quindi nullo il dibattimento se un testimone sia
stato esaminato dopo aver fatto allontanare gli
imputati.
TJn simile provvedimento non è neanche consentito al
presidente della Corte d'assise in virtù del suo po tere discrezionale ; epperciò rende nullo anche il
dibattimento innanzi ai giurati.
La Corte, ecc. —■ Ritenuto che Giuseppe Sarri e Maria
Salvadori in Sbordellati hanno interposto ricorso contro
la sentenza proferita nel giorno 11 dicembre 1878 dalla
Corte di assise, circolo di Siena, che quali colpevoli di
violenza carnale li condannò alla pena della casa di
forza, il primo per cinque, l'altra per sei anni; Che nell'interesse della Salvadori non furono pre
sentati i motivi ;
Che in quello di Sarri fu dedotta la violazione degli art. 271, 305 e 628 cod. proc. pen., non che delle re
gole generali prescritte dalla legge sui dibattimenti
penali, perchè a dimanda del capo dei giurati il pre sidente fece allontanare dalla sala di udienza gli ac
cusati, e, questi assenti, fu interrogata una seconda volta la bambina Assunta Sbordellati, parte lesa, e ciò
senza neppure interpellare in proposito la difesa; Considerando che per l'accennata mancanza di mo
tivi da parte della Sbordellati l'art. 659 cod. proc. pen. osta a che il suo ricorso possa essere ammesso;
Considerando quanto al Sarri che la legge penale in
due soli casi accorda al presidente la facoltà di far
allontanare dalla sala di udienza gli accusati od im
putati, quelli previsti dagli art. 283 e 628 proc. pen. Del secondo non è tampoco luogo a parlare, non es
sendo stato per il loro contegno che il presidente li
fece allontanare dalla sala, ma anche nel primo la fa
coltà è limitata allo scopo di esaminarli separata mente sopra qualche circostanza del processo, in
guisa che pel principio che specialmente nei giudizi
penali le disposizioni della legge non possono esten
dersi dal caso previsto a quello non previsto, non può la facoltà stessa estendersi da quello accennato ad altro scopo. E veramente è chiaro che intanto il le
gislatore permette l'allontanamento degli accusati, in
quanto dalla difformità o conformità delle loro osser
vazioni, dal respettivo loro contegno può trarsi argo mento a scoprire la verità e a determinare la con
vinzione dei giudicati, ciò che diffìcilmente avviene se uno dei medesimi ascolta e può ripetere quanto fu as
serito o negato dall'altro, e questa ragione della legge non milita riguardo a tutte le altre operazioni che
hanno luogo nei dibattimenti. La presenza d'altra parte
degli accusati o imputati al dibattimento, quando si
tratti di crimini o di delitti non punibili con pena pe cuniaria soltanto, è dall'art. 271 cod. proc. pen. espres samente e senza altra distinzione prescritta.
E evidente adunque che per regola generale non
possono farsi allontanare dalla sala di udienza per esa
minare, essi assenti, i testimoni;
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