Udienza 16 luglio 1884; Pres. Enrico, Est. Scacchetti —Ric. BanfiSource: Il Foro Italiano, Vol. 9, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1884), pp.321/322-323/324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23088208 .
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321 GIURISPRUDENZA PENALE 322
Laonde non poteva essere atteso il ricorrente che
avrebbe preteso doversi avere per lui la legge come
non pubblicata; e ciò tanto più resisteva ad ammet
tersi, perché la pubblicazione non lo aveva accolto
inopinatamente, ma aveva di non breve tempo, cioè
di dieci mesi circa, preceduto il suo ritorno in patria,
avendogli cosi dato agio che di questa legge, avente
per iscopo un grave interesse, gliene potesse perve nire la notizia.
Attesoché, non ammessa la ignoranza della legge,
la sentenza pare abbia ritenuto non ammissibile nem
meno la buona fede, perchè in proposito di contrav
venzioni a leggi speciali, come questa, di mera crea
zione politica, basti il solo fatto materiale a costituire
il reato.
A sostenere la sentenza anche in questo senso, che
si compenetra in sostanza col primo, sta la verità
del principio che nelle contravvenzioni di regola non
può addursi la buona fede per escludere la imputa
bilità; vero è però che insieme con questo principio aridamente enunciato sarebbe stato desiderabile anco
l'indicazione dei fatti addotti a costituire la buona
fede, ed ai quali intendevasi il ricorrente affidare; ma non essendo stata la sentenza attaccata per di
fetto di motivazione in questo proposito, non vi era
quindi ragione di occuparsene, e il ricorrente doveva
appagarsi se la buona fede gli fu almeno ammessa
come uno degli elementi di scusa che consigliarono i giudici del merito ad inffliggergli la pena pecu niaria neir infima quantità.
Attesoché, non verificandosi adunque né violazione, né falsa applicazione delle disposizioni legislative, come sopra invocate, non poteva essere accolto l'a
vanzato ricorso.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 16 luglio 1884; Pres. Enrico, Est. Scacchetti
— Ric. Banfi.
■Inoli costume — Corruzione ill minorenni — Scopo di soddisfare la libidine propria (Cod. pen., ar
ticoli 421 e 422).
Sussiste il reato di eccitamento alla corruzione,
previsto dall'art. 421 cod. pen., benché la ragazza che ne fu oggetto non fosse incontaminata, ec
cetlochè avesse essa stessa eccitato agli alti costi
tuenti l'imputazione. (1) Il suddetto art. 421 non comprende il solo caso di
lenocinio, ma anche quello in cui V eccitamento
alla corruzione siasi fatto per sfogare la libi
dine propria. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché, col secondo mezzo, si
dissb che l'Agosti era moralmente pervertita prima di contrarre rapporti col Banlì, ma questo stato di
cose, affermato nel ricorso, non fu ritenuto dall'im
pugnata sentenza che fondandosi nelle risultanze
della causa, se escluse che la giovane potesse a quel
tempo dirsi incontaminata, escluse del pari che a
vesse adoperati adescamenti per trarre alle sue vo
glie il proprio tutore, onde in linea di fatto, ricono
scendosi da un canto che non fu iniziata alle lubri
che vie dal Banfi, si ritenne dall'altro che gli atti
osceni e le turpitudini ripetute per parte sua sulla
giovane affidata alle di lui cure dimostravano il suo
intendimento di farne una vittima delle proprie ten
denze disordinate, per cui, dimentico dei suoi doveri,
spingeva l'Agosti ad una completa corruzione faci
litandone la dissolutezza ed elevando cosi una bar
riera insormontabile pel ritorno ad abitudini oneste
e costumate. Ciò posto in fatto dai giudici del me
rito, restava confutata la prima parte del mezzo se
condo, e cadeva il terzo, giacché l'allettamento agli
impuri amplessi non era eccitato ad opera dell' A
gosti, spinta invece ad una completa immoralità da
gli atti osceni ripetutamente esercitati su di lei ad
opera del Banfi che avrebbe in tal modo abusato
della sua qualità di padrone e di tutore della mino
renne, conculcando i propri doveri, per cui risulta
pure pienamente spuntato il mezzo quarto, col quale si pretendeva non avere influito in alcuna guisa la
veste di tutore ad ottenere le riprovevoli condiscen
denze della minorenne e non essersi di ciò parlato nella sentenza;
Attesoché, quanto alla seconda parte del mezzo
secondo, in cui si fece campeggiare la quistione di
diritto sull'interpretazione degli art. 421 e 422 del
cod. pen., sostenendosi che il primo di detti articoli
prevedeva semplicemente il caso di lenocinlo, talché
mancando il reato principale si dileguasse pure l'ag
gravante dell'articolo successivo, importa di conside
rare al riguardo che l'art. 421 è concepito in termini
generali, onde nella sua cerchia comprende non so
lamente i lenoni, ma chiunque ecciti, favorisca e fa
ciliti la corruzione, ovvero induca a prostituirsi per sone minori degli anni 21; e conseguentemente an
che chi agisce per conto proprio e nel proprio in
teresse allo scopo di sfogare impure voglie. E ad
una diversa e ristretta interpretazione resiste senza
dubbio la lettera e lo spirito della legge; la lettera, in quanto che la espressione eccitare di sua natura
generica e indeterminata abbraccia le due specie di
corruzione, e in quanto che aggravandosi la pena
quando il reato assume il carattere d'abituale ed in
fame traffico, è facile per questo il concepire che ca
dono sotto la sua sanzione altre specie da cui esula
l'idea di traffico. Vi osta infine lo spirito della legge,
giacché il diritto che si vuol proteggere, cioè quello di non contaminare k moralità pubblica col perver timento della giovinezza, si lederebbe egualmente sì
nell'uno che nell'altro caso e si verrebbe nello stesso
modo ad offendere il diritto della persona di cui si
abusa gettandola con precoci rivelazioni sulla via
della lubricità e della perdizione; Che quindi, interpretato in simil guisa il disposto
dell'art. 421, svanisce l'obbietto della condizione ac (1-2) Sopra queste due controverse questioni v. le sentenze e re
lativi richiami, nel Foro it1883, II, 381 e 223, e 1883, II, 90.
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323 PARTE SECONDA '324
cessoria dell'aggravante, poiché, ritenuto il Banfi col
pevole di eccitamento alla corruzione, dovevasi in
suo aggravio calcolare la qualità di tutore, giusta le
deduzioni di fatto superiormente desunte dall'impu
gnata sentenza;
Attesoché, rispetto al quinto mezzo, sia per conse
guenza logica e giuridica, dipendente dalla sussi
stenza del reato, la generica pronuncia dei danni,
e non occorra per questo alcuna speciale dimostra
zione, che, anzi sarebbe stata rimessa al giudizio da intraprendersi in separata sede allo scopo di li
quidarne l'ammontare.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO
Udienza 2 luglio 1884; Pres. Enrico, Est. Scacchbtti,
P. M. Gambara — Ric. Ferrari ed altri.
Dibattimento — Letture — Interrogatori ili colui -
pillati prosciolti (Cod. proc. pen., art. 311).
C»iuri — Camera delle dellbcrazioul — Forma del
tavolo (Cod. proc, pen., art. 503).
Falsi biglietti — Uso — In che consista (Cod. pei],,
art. 329).
Gl'interrogatori di coimputati prosciolti non pos
sono equipararsi a dichiarazioni testimoniali, ma
vanno considerati come documenti.
Epperò la loro lettura al dibattimento non è vietata
e non osta alla stessa lettura, la circostanza, di
esser l'interrogato stretto parente del giudicabile.
Bene è respinta l'istanza della difesa di verificare
se il tavolo esistente nella camera delle delibera
zioni dei giurati sia tale da corrispondere ai fini
voluti dalla legge.
Il f-eato di uso sciente di biglietti falsi contem
plalo dall'art. 329 cod. pen., si verifica non solo
ilei caso di spedizione effettiva del biglietto, ma
anche in quello in cui se ne sia fatto un semplice
uso per altra causa e scopo, come ad es. se siano
stati rimessi per campione a fine di vendita.
La Corte, ecc. — Attesoché sia certo per le risul
tanze del verbale d'udienza che la Sofìa Ferrari, ca
duta in sospetto di avere col padre Francesco coo
perato nella dolosa spendizione di biglietti falsi, fu
sottoposta a diversi interrogator», indi prosciolta da
ogni imputazione dichiarandosi in favore della me
desima non farsi luogo a procedimento per man
canza d'indizi. Che ciò premesso, intuitivamente e
merge che l'asserire, come si è fatto col primo mezzo,
che il deposto di qualsiasi persona assunta dal giu
dice istruttore durante un procedimento riveste il
carattere di testimonianza, e che tale debb'essere ri
tenuta ogni dichiarazione fatta da Sofia nei suoi in
terrogatori, è cosa che urta colla ragione, poiché
corre una sostanziale differenza tra il deposto di un
teste e l'interrogatorio d'un imputato, essendo da
tutti risaputo che le dichiarazioni degli imputati non
possono rivestire il carattere giuridico di testimo
nianze pel modo con cui queste vengono raccolte»
per le sanzioni che le circondano e per l'animo col
quale sono rese; mentre all'opposto chi si trova nella
condizione d'imputato ha facoltà di dire soltanto ciò
che esso crede possa giovare alla sua difesa, né il
fatto postumo di avere cessato dal primitivo stato
vale a cambiare la natura intrinseca delle dichia
razioni stesse e far sì che acquistino maggior valore
ed importanza. Certo niuna disposizione di legge osta alla lettura
degli interrogatori, i quali conservando il loro pri
migenio carattere debbono necessariamente ritenersi
documenti del processo da leggersi a semplice ri
chiesta di parte; onde ben fece la Corte d'assise di
Mantova a secondare l'istanza del pubblico mini
stero, non avuto riguardo alla condizione di figlia di
uno degli imputati nella persona di Sofia, poiché fu
ritenuto anche con giudicati di questa e di altre
Corti supreme che il divieto a deporre come testi
mone, di cui all'art. 286 del cod. pen., non può con
tribuire a variare la natura, forma e sostanza dei
documenti, i quali restano sempre quel che sono, e
con ciò vanno in dileguo gli argomenti dedotti col
mezzo primo;
Attesoché non abbia ad attendere esito migliore il
secondo, col quale fu messa in campo la violazione
dell'articolo 503 cod. proc. pen., in quanto che la ta
vola esistente nella camera delle deliberazioni dei
giurati non si'prestasse ai fini voluti dalla legge.
Ma la relativa verifica fu giustamente respinta ed
ora si reclama senza fondamento, sia perchè non si
riscontra in proposito comminata dalla legge alcuna
sanzione di nullità, sia perché la difesa si fondò so
pra uno stato di cose che, dipendendo dalla confor
mazione della tavola stessa, faceva necessariamente
presumere e ritenere che fin da principio fosse stata
costrutta nella forma ed agli effetti voluti dalle pre
scrizioni di rito; sia perchè niuno ha diritto di spin
gere le indagini fino a seguire il giurato nella ca
mera delle sue segrete deliberazioni; sia da ultimo
in quanto la descrizione della tavola risultante dal
prodotto certificato non si trovava ostare alle norme
di legge, stante la sua ampiezza, che forniva modo
al giurato di scrivere il proprio voto senza che fosse
scoperto dagli altri;
Attesoché le questioni sesta ed ottava proposte ai
giurati pel Bellini e pel Reggiani porgono gli ele
menti di fatto necessari a stabilire l'imputabilità e
colpevolezza di entrambi'nel reato d'uso d'un bi
glietto falso consorziale di lire 5 consegnato da cia
scuno di essi ad un individuo quale campione di al«
tri biglietti falsi dello stesso taglio, che si offrivano
e promettevano in vendita all'effetto di metterli più
facilmente in circolazione col mezzo di chi allo stesso
fine ne avrebbe fatto acquisto;
Che di fronte a tali risultanze il pretendere come
si fa col mezzo terzo dai ricorrenti che manchino gli
estremi costitutivi del reato è un disconoscere che lo
art. 329 del cod. penale non esige per requisito so
stanziale che siasi raggiunta la spendizione del bi
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