Udienza 17 aprile 1899; Pres. De Cesare, Est. Perfumo —Ric. Vaccaro ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 24, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1899), pp.305/306-307/308Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23104137 .
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305 GIURISPRUDENZA PENALE 306
appello del procuratore del re, che per inosser
vanza di termine dichiarò inamissibile, ma non
interloquì su l'appello del procuratore generale che
pure esisteva e pel quale, anche che fosse viziato
d'irregolarità, nulla si era eccepito. Rimanendo
così aperta una via di vitalità all'appello dell'ac
cusato, ne fu certo prematura ed illegale la deci
sione d'irrecevibilità.
Attesoché la prima deduzione è del tutto inatten
dibile solo se si consideri che si trattava di una
eccezione pregiudiziale, quale è sempre quella del
fine di non ricevere; onde bene fu proposta, di
scussa e decisa senza che vi precedesse la rela
zione del consigliere delegato, la quale è intesa ad
informare il collegio, le parti ed i loro difensori
dell' intera causa, il che è inutile quando per de
dotta eccezione perentoria la causa in merito non
possa essere esaminata e discussa.
Attesoché nemmeno reggono la seconda e la
terza deduzione. Anzitutto è da porre mente in
fatto che non sia vero ciò che il ricorrente asse
vera che oltre all'appello del procuratore del re
anche il procuratore generale ablia proposto ap
pello fra i sessanta giorni. Dagli atti risulta che
l'appello fu uno solo, quello del procuratore del re.
Del procuratore generale altro non vi è che la sua
richiesta di citazione in data 17 gennaio 1889 per la discussione degli appelli dell'imputato De Al
bertis e del procuratore del re, del quale presen tava nel medesimo giorno l'informativa nella can
celleria. Epperó la censura di mancata motivazione
e di prematura ed illegale decisione non ha fon
damento per assoluta assenza di riscontro in fatto.
Si osserva inoltre che l'inamissibilità dell'appello
del procuratore del re sia evidente. È ella testual
mente sanzionata dall'art. 407 cod. proc. pen., qua
lora si lasci trascorrere il termine di trenta giorni
dalla interposizione del gravame sino alla richie
sta di citazione. Nella specie la prima fu in data
28 novembre 1898, l'altra il IT gennaio 1899. —
Era del pari inamissibile l'appello dell'accusato
Eugenio De Albertis e tale ritenendolo la Corte di
Modena andò in savia sentenza. Questo supremo
collegio ha sempre costantemente deciso che per
testuale disposizione dell'art. 399 proc. pen., e per
suo coordinamento a tutte le allre correlative san
zioni dello stesso codice, l'imputato assolto per
reità non provata non possa appellare onde otte
nere dichiarazione di non luogo, inesistente il reato
o da lui non commesso. Si richiamano in propo
sito le ragioni esposte nelle precedenti sentenze ed
in quella a sezioni unite dei 20 dicembre 1898 (Fo
ro it., 1899, II, 1) che si abbiano qui per ripor
tate, riuscendo superfluo il ripeterle. — Non a
buon dritto poi il ricorrente invoca il principio
che, proposto dal pubblico ministero l'appello, an
che ad essere parziale, o che vi receda, la causa
vada sempre esaminata neila sua totale integrità
e segnatamente circa l'esistenza del reato e la re
sponsabilità dell'accusato, su di che il giudice ha
piena facoltà, bastando ad investimelo la sola pro duzione del gravame. — Non è ciò applicabile alla
specie, imperocché non trattasi di un appello del
pubblico ministero per parziale censura, o che ab
bia questi dichiarato di rinunziarvi, ma di completa inesistenza dell'appello, perchè non portato in ter
mine innanzi al magistrato, onde si risolve total
mente in un atto colpito di eccezione perentoria,
per la quale in vista d'infruttuoso decorso di ter
mine assegnato dalla legge, ogni dritto vi si perde a produrlo, e, se prodotto, vale come mai non av
venuto, e di conseguenza, quale di ogni atto nullo, è egli privo di qualsiasi effetto giuridico e in sè
stesso, e pel producente ed in rapporto a tutte le
parti in causa.
Per tali ragioni, rigetta il ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 17 aprile 1899; Pres. Db Cesare, Est. Per
fumo — Ric. Vaccaro ed altri.
Incanti (turbata liberta degli) — Convenzioni
fraudolenti anteriori — Anniento di sesto (Cod.
pen., art. 299).
Sussiste il delitto di cui all'art. 299 cod. pen.
tanto se le convenzioni fraudolenti dirette ad
allontanare gli oblatori avvengano nell'atto stes
so dell' incanto quanto se siano state anteriori.
Il detto reato può aver luogo in rapporto all' in
canto per aumento di sesto, quantunque per
effetto di collusione fraudolenta la gara non
abbia avuto luogo.
La Corte: — Attesoché, lasciando da parte quan
t'altro si adduce contro l'investita sentenza, rela
tivamente alla motivazione sui fatti, e sulle prove,
poiché, come già si è notato, anziché riferirsi a
vizio di omessa o deficiente motivazione, tende a
sostituire un criterio di apprezzamento di verso da
quello de' giudici del fatto; ed affrontando l'unica
questione di diritto, che presenta la causa, può
essa riassumersi e prospettarsi nel seguente modo,
e cioè: 1° Se per lo spirito, il testo e la genesi
dell'art. 299 cod. pen., possono essere incriminate
le convenzioni anteriori agl'incanti: 2° Se può il
delitto, di cui in detto articolo, dirsi commesso in
rapporto all'offerta di sesto, non ostante gl'incanti
per questa non fossero stati promossi, a termine
dell'art. 681 proc. civ.
Atteso, in ordine al primo obbietto, che se il
cod. pen. vigente all'art. 299 non ha riprodotto la
locuzione dell'art. 402 del codice abolito relativa
mente alla circostanza di tempo anteriore agl'in
canti, per la punibilità delle convenzioni tendenti
all'allontanamento da essi, non è questa ragione
per ritenere discriminabili le collusioni, e gli altri
mezzi fraudolenti adoperati precedentemente ad
essi; avendo al pari della circostanza di tempo
anteriore omesso anche quella concomitante, limi
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PARTE SECONDA
tandosi ad adoprare la locuzione di turbativa di
pubblici incanti. La determinazione di un momen
to, come circostanza di tempo necessaria all'incri
minabilità del fatto, importa, per la ragione de' con
trari, la esclusione di ogni altro momento, ante
riore o successivo, a' quali non può estendersi la
punibilità del fatto commesso in momento diverso.
Ciò esige il senso di rotta interpretazione. Non
così però procede, quando manca ogni determina
zione di tempo, e la figura del reato si riferisce
esclusivamente al fatto. In tal caso non può dirsi
che sia compreso un sol momento, ed esluso ogni
altro: non vi si presterebbe la esegesi della dispo
sizione e l'esclusione non potrebbe aver fondamento
di sorta. Nel caso, non potrebbe averlo che in una
reminiscenza storica di uguale disposizione di legge
non più vigente, la quale, invece di conglobare,
distingueva in due i momenti punibili. Non è adun
que da questo lato, che può sostenersi la limita
zione della disposizione. E molto meno può soste
nersi dal lato del suo contenuto. Due ipotesi com
prende l'art. 299 tra loro intimamente connesse, la
prima quando vi aut frande venga impedita o tur
bata la gara ne' pubblici incanti, la seconda, quan
do l'astensione avvenga per danaro od altra uti
lità data o promessa. Necessari, per la prima ipo
tesi, sono un turbamento ed un impedimento della
libertà dell'incanto, impedendo o turbando la gara,
o allontanando gli oblatori. Necessario per la se
conda, è che sicuri oblatori si astengono dalla
gara, e che l'astensione segua per danaro od altre
utilità. Se codesta è l'obbiettività giuridica del
reato, logicamente il nuovo codice ha soppresso
la determinazione dei due momenti, anteriore, ed
attuale, poiché, se ad escludere il momento poste
riore sta il fatto che, terminato lo incanto, non
ha più scopo la sanzione, a rendere utile la spe
cificazione degli altri due momenti sta l'irrilevanza,
che il mazzo fraudolento si usi prima o nell'atto
dell' incanto, essendo sostanziale una cosa soltanto,
e cioè, che il mezzo sia atto a turbare od impe
dire, e che abbia tentato od impedita la gara. Con
ciò non vuoisi intendere, ed è bene chiarire il con
cetto, che ogni fatto che segua ad occasione di
pubblica gara, ogni convenzione che la preceda,
sia incriminabile, potendo una larga e non esatta
interpretazione aprire l'adito a vessatorie investi
gazioni, ed a punire fatti intrinsecamente non il
leciti. Una convenzione fra più persone tendente
all'acquisto dello stesso immobile, non può di per
sè soltanto costituire un delitto, poiché ad ognuno
è lecito di associarsi ad altro per riuscire ad un
fine non conseguibile singolarmente.
Il reato si verifica, quando invece la convenzione
tende all'allontanamento, all'astensione dall'asta di
chi, avendo il determinato proposito di concorrer
vi, ne recede per mezzi fraudolenti verso di lui
adoperati. In tal caso è chiaro, che, ai fini della
legge penale, poco può importare che la collusione
avvenga prima o durante l'incanto, quando la li
bertà e sincerità di questo può essere violata egual mente.
Atteso, per quanto concerne il secondo obbietto, che neppure esso ha fondamento. Non può esservi
distinzione tra primo incanto ed incanto in grado di aumento di sesto; se il danno può verificarsi
tanto nell'uno, come nell'altro, la ragione della
legge s'impone necessariamente nell'una e nell'al
l'altra ipotesi. Non basta il diritto che, ai ter
mini dell'art. 683 cod. proc. civ., nel caso di chi, avendo fatto l'aumento sul prezzo, non promova la vendita, spetta al compratore, al debitore, al
creditore istante, ed a qualunque fra i creditori
iscritti di farvi procedere, per dire che con questa
disposizione sia eliminato il pericolo di collusione
fra l'offerente di sesto e l'aggiudicatario, e che
quindi sieno tutelati i diritti e gl'interessi legit timi del debitore espropriato e de' creditori, e per inferirne che nessuna ragione vi sarebbe per pro
teggere interessi garentiti largamente dalla legge, civile. Il magistero punitivo non può arrestarsi di
fronte ad una facoltà, che la legge civile concede
per evitare il danno, e neanche di fronte al fatto
che, verificandosi la vendita, mancherebbe il dan
no, quando l'offerente, correndo l'alea di un danno
possibile, abbia trovato maggior vantaggio a desi
stere per profittare di un lucro illecito. Non deve
perdersi di vista che l'offerente in grado di sesto
col semplice fatto dell'offerta, riconosce senza dub
bio alle cose prima aggiudicate un valore maggiore
di quello offerto. Se quindi egli non continua la
procedura, perchè colluso, è chiaro, che conseguì
un profitto a danno del debitore e de' creditori, e
con lui, ove la nuova vendita non sia stata pro
mossa illecitamente, profittarono i primi aggiudi
catari, rimasti, per la diserzione dell'offerente, tali
definitivamente. Se è cosi, non può ritenersi tu
tela sufficiente a far esulare il reato di turbativa
d'incanto in grado d'aumento di sesto, nè la fa
coltà di promuovere la vendita concessa agli aventi
diritto, nè la penalità del vigesimo del prezzo po
sto a carico dell'offerente inadempiente, quando
con la collusione per l'astensione, il danno è pos
sibile, ed anche in maggior misura pel maggior
prezzo che si sarebbe potuto raggiungere con la
nuova gara. E ciò, senza considerare che, nella
economia dell'ordinamento procedurale esecutivo,
l'incanto, l'aumento di sesto, la rivendita costitui
scono un tutto armonico, che non può essere scis
so, mirando i diversi istituti a tutelare gli inte
ressi dei creditori e quelli del debitore. Se non
vi è aggiudicazione definitiva, se non scaduti i ter
mini per l'aumento di sesto, e, quando questo viene
offerto, l'incanto continua, è assurdo sostenere, che
la legge penale abbia voluto limitare le sue san
zioni al solo primo incanto, escludendo le sovrim
posizioni e le rivendite.
Per questi motivi, rigetta il ricorso.
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