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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 17 dicembre 1937; Pres. Aloisi, Est. Crachi, P. M....

Date post: 27-Jan-2017
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Udienza 17 dicembre 1937; Pres. Aloisi, Est. Crachi, P. M. Cordova (concl. conf.) —Ric. Longetti (Avv. Clementi, Salviani) Source: Il Foro Italiano, Vol. 63, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1938), pp. 207/208-209/210 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23136172 . Accessed: 28/06/2014 16:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.46 on Sat, 28 Jun 2014 16:23:49 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 17 dicembre 1937; Pres. Aloisi, Est. Crachi, P. M. Cordova (concl. conf.) — Ric. Longetti (Avv. Clementi, Salviani)

Udienza 17 dicembre 1937; Pres. Aloisi, Est. Crachi, P. M. Cordova (concl. conf.) —Ric. Longetti(Avv. Clementi, Salviani)Source: Il Foro Italiano, Vol. 63, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1938), pp.207/208-209/210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23136172 .

Accessed: 28/06/2014 16:23

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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207 PARTE SECONDA 208

a) essere colto,' in uno dei luoghi indicati nel n. 1, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere reati preveduti da

gli art. 256, 257, 258; b) essere colto, nei detti luoghi, in possesso ingiustificato di documenti, o di qualsiasi altra cosa atta a for nire le notizie indicate nell'art. 256. La formola usata nell'ar ticolo 260 corrisponde a quella usata negli.art. 707 e 708, pur non trovandoci qui in presenza di individui sospetti per i loro

precedenti penali. E non c'è da scandalizzarsi se la legge eleva il sospetto a prova di reità, giacché in certi casi, non c'è altro modo come combattere la delinquenza. Del resto, in certi casi, simili disposizioni riescono più in favore che in danno dell'im

putato, giacché il giudice, in mancanza di esse, piuttosto che ad assolvere, sarebbe tratto a condannare per un reato più grave. E così in molti casi, se non ci fosse l'art. 260, il giudice applicherebbe l'art. 256, o il 257, o il 258, nessuno potendogli contestare la facoltà di dedurre, dal possesso ingiustificato dei detti oggetti, la prova dello spionaggio o del tentato spionag gio ecc. . . . D'altra parte, è inutile partire con la lancia in resta contro le presunzioni, giacché di esse, che si basano sull'« id

quod plerumque accidit », vi è continua necessità nei nostri ragio namenti, ed è nella natura di esse portare processualmente alla inversione dell'onere dèlia prova nel senso che ho più volte

spiegato, e cioè che il giudice deve ricercare d'ufficio tutte le

prove a carico ed a discarico, ma, se non riesce a trovare nel

processo prove contrarie, deve mettere la presunzione a carico

dell'imputato, quando essa è dalla legge stabilita. Alcuni con siderano come condizione di punibilità il fatto che l'imputato non

giustifichi il possesso o la destinazione o la provenienza degli oggetti sopra indicati ; e cioè ritengono che il fatto è punibile solo a condizione che manchi la detta giustificazione, e quindi discutono, cpme fa il Baguvo (n. 11 del suo scritto), se, ad es., l'art. 260 contenga o no l'obbligo della giustificazione da parte dell'imputato. Ma qui non si tratta di condizione di punibilità (1). Tale condizione esiste, ma si concreta nell'essere collo in pos sesso. La giustificazione o meno di questo è poi questione di

prova, non di estremo del reato. Se l'imputato giustifica, viene

assoluto, perchè il suo fatto si ritiene lecito, e perciò non co stituisce reato ; se non giustifica, viene condannato, perchè il suo fatto si ritiene illecito In altri termini, è la giuridicità o meno del fatto (possesso) che viene in discussione, non la sua puni bilità ; la condizione funziona solo per vedere se l'imputato fu colto, o no, in possesso. E ciò dico per semplice accenno, giac ché l'indole di questa nota non mi permette di discutere a fondo

degli argomenti dell'antigiuridicità, della punibilità del reato ecc

Un altro equivoco, che ricorre sull'argomento, è quello di vo ler considerare come azione od omissione del colpevole il giu stificare o non giustificare il possesso ecc Ma anche qui debbo ricordare che la giustificazione attiene alla liceità del

fatto, e non all'estremo materiale del reato (azione od omis

sione), giacché questo estremo si concreta nel possedere, cioè nell'essersi .procurato il possesso degli oggetti.

Insomma si è voluto prendere il reato di mero sospetto come cavallo di battaglia per correre con esso quasi tutto il campo della parte generale del diritto penale, ma a me la cosa pare molto più semplice, poiché il legislatore non ha avuto altro

scopo che quello di elevare a realtà il sospetto nascente da certe situazioni soggettive od oggettive prodotte dalla qualità o dal comportamento di certi individui e da tutte e due que ste cose insieme, salva restando la prova del contrario.

Prof. Domenico Rende Consigliere della Corte di cassazione.

(1) Sulle condizioni di punibilità prego il lettore di tener conto dei due miei scritti pubblicati iu questa rivista (Foro it., 1933, II, col. 169, e 1935, II, col. 363).

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Prima sezione penale)

Udienza 17 dicembre 1937 ; Pres. Aloisi, Est. Crachi, P. M. Cordova (conci, conf.)

— Ric. Longetti (Avv.

Clementi, Sai, vi ani).

(Sent, denunciata : App. Perugia lò giugno 1937)

Concorso di reati e di pene — Alillantazione di

credilo — Truffa — Concorso materiale (Cod.

pen., art. 84, 346 e 640).

Il reato di millantazione di credito non assorbe il reato

di truffa, nè questo assorbe quello, ma l'uno e l'al

tro concorrono materialmente. (1)

(1) Contra: 7 luglio 1936, Paltrinieri, Boni e Nuzzaci (Foro it., 1936, II, 314, con nota di richiami), con la quale, invece, è stato ritenuto l'unico reato di millantato credito.

In dottrina, conforme : Bonini, Millantato credito e truffa, in Annali di dir. e proc. pen , 1937, 468 ; — contra : Escobedo, Impossi bilità del concorso di millantato credito e truffa, in Giust. pen., 1936, II, 928 ; Piacenza, Una legale fattispecie di reato complesso ecc., in fiiv. pen., 1937, 760, § 2.

La Corte : — La Corte di appello ha confermato la

sentenza del Tribunale locale con la quale Longetti Er

nesto era stato condannato : a) per atti -osceni ; b.) per millantato credito continuato, restando in esso assorbita la

truffa in danno di Ballerini Bernolfo e di Lerbadoli Giu

seppe ; c) per usurpazione di titoli : d) per furto aggra vato in danno di Paterni Alfredo ; e) per contravvenzione all' ammonizione.

Ha ricorso per cassazione il Longetti prima nei ri

guardi delle denunci e presentate dal Ballerini : egli era di costui creditore e di questo credito la Corte di appello ha detto poco o nulla ; se avesse esaminato gli atti avrebbe

accolto l'appello assolvendolo per non avere commesso i

fatti dal Ballerini attribuitigli. La sentenza ha violato l'art. 84 cod. pen. in quanto

che il millantato credito e l'usurpazione di titolo costi

tuiscono gli artifizi e i raggiri che traevano in inganno il

Ballerini e tentavano di trarre in inganno il Lerbadoli :

millantato credito ed usurpazione di titolo sono elementi

costitutivi della truffa ed errano i giudici di merito quando dichiarano assorbita la truffa nel millantato credito e nel

l'usurpazione di titoli, invece di dichiarare il contrario ; Violazione e falsa applicazione dell'art. 176 legge di

p. s. ; egli riportò l'ammonizione con ordinanza del di

cembre 1934, il biennio scadeva nel dicembre 1936, in

conseguenza era in grado di usufruire dei benefici largiti dal Sovrano con regio decreto',15 febbraio 1937, n. 77, non

essendo esatta l'interpretazione di entrambi i Giudici di

merito sulla continuazione dello stato di ammonito fino a

che la pena inflitta pel nuovo delitto, non è stata scontata.

Osserva il Supremo Collegio, che secondo i Giudici di

merito, l'imputato truffò il Ballerini e tentò di truffare il Lerbadoli, spingendo il primo ad atti osceni ed il se

condo ad oltraggio al pudore, facendosi sorprendere in fla

granza da falsi agenti e poi carpendo all'uno e all'altro

tentando carpire rilevanti somme anche in cambiali con

il pretesto di comprare il favore del Commissario di p. s. e di qualche altro agente di p. s. e còsi stornare i ri

spettivi procedimenti penali.

L'imputato si è" difeso in appello, affermando che il

fatto così come riferito dal Ballerini non era vero ; egli era effettivamente di lui creditore, ma la sentenza de

nunciata ritiene vera la versione del Ballerini f>er con

questo immediato dello stesso, per le dichiarazioni dei te sti diversi e per sequestro delle cambiali le quali non

avevano un fondamento creditorio : e questo credito più che provato era addirittura smentito dalle risultanze del

processo. Nel ricorso si rileva che non si è tenuto conto delle

deposizioni da cui risultava l'effettivo credito e si accenna

dopo all'art. 1121 cod. civ., per il quale essendo la causa

(giusta) provata sino a quando non si prova il contrario, questa prova doveva darla il Ballerini, il quale non la

diede, perchè riconobbe il debito. Il rilievo, invece, sta contro l'incensurabile apprez

zamento della Corte di merito, apprezzamento confutato

dall'ammissione di un largo tentativo in danno del Ler

badoli non contestato ; e contiene pure un errore intorno

alle prove in materia penale, che sono svincolate da quelle limitazioni stabilite dalle leggi civili, secondo il contenuto

dell'art. 308 cod. proc. penale. La Corte di appello po teva dire qualche cosa di più a tal riguardo soltanto se

l'imputato nel motivo di appello si fosse mantenuto meno

generico. Con il secondo motivo si afferma che il millantato cre

dito e l'usurpazione di titolo dovevano restare assorbiti

dalla finalità truffaldina che tali delitti perseguivano : la

sentenza ha operato l'assorbimento in senso inverso, vio lando il citato articolo 84 cod. penale.

Osserva il Supremo Collegio che questo assorbimento

sia nel senso della sentenza sia in quello preteso dal ri

corrente è nel sistema della legge attuale sconosciuto.

Se la violenza privata è un elemento costitutivo della ra

pina, reato complesso, nessuna disposizione di legge sta

bilisce che per commettere una truffa bisogna millantare

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209 GIURISPRUDENZA PENALE 210

credito verso la pubblica amministrazione o falsificare un

jpubblico documento.

Nel millantato credito il fatto offende direttamente la

'pubblica amministrazione, discreditandola presso i citta

dini, discredito ancora maggiore quando il millantatore

■opera, come nel caso, sotto il pretesto di dovere com

iprare il favore del pubblico ufficiale.

Con la tesi del ricorrente la classifica del millantato ■ credito nel capo II dei delitti contro la pubblica ammini strazione non avrebbe senso e valore pratico. Concorso

dunque materiale del millantato credito .con la truffa e

'veramente, come la sentenza denunziata aveva voluto, 'truffa non è un reato contro il patrimonio di natura più grave.

Ciò va espressamente affermato da questo Supremo

Collegio, pur senza potere derivare come è intuitivo, con

seguenza alcuna a disfavore dell'imputato ricorrente.

Per questi motivi, rigetta il ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE DEL RESNO. (Seconda sezione penale)

Udienza 9 marzo 1938 ; Pres. Saltelli, Est. Camassa, P. M. Bruno (conci, conf) — Ric. Palmieri (Avv. Fabbri, Corsanego).

{Sent, denunciata : App. Firenze 26 ottobre 1937)

Falso penale — Matrimonio religioso — Atto di

matrimonio — Redazione e trasmissione al Co

mune — Pubblica funzione — Qualità di pub blico ufficiale nel Parroco — False attestazioni — Falso in atto pubblico (Cod. pen., art. 357 e

476 ; L. 27 maggio 1929, il. 847, art. 5 e 8). Cassazione penale — Ricorso — Non punibilità del

reato per errore sul fatto — Non pub essere de

dotta per la prima volta — Sussistenza dello

elemento psicologico — Apprezzamento insinda

cabile (Cod. pen., art. 42 e 47 ; cod, proc. pen., art. 152, 524 e 525).

Il Parroco quando redige l'atto di matrimonio e lo tra

smette al Comune per la trascrizione adempie ad

una pubblica funzione e conseguentemente è un pub blico ufficiale. (1)

E risponde di falso in atto pubblico facente fede sino

a querela di falso se nell'atto di matrimonio tra

smesso al Comune attesta che il matrimonio è stato

celebrato in giorno diverso da quello in cui fu effetti vamente celebrato. (2)

Non può essere per la prima volta dedotta in Cassazione

la non punibilità del reato per errore sul fatto che

lo costituisce.

L'apprezzamento circa la sussistenza dell1 elemento psi

cologico del reato è insindacabile in Cassazione. (3)

La Corte: — Ritenuto che i coniugi Bianchini-Falconi

il 12 novembre 1935 reclamarono al Podestà di Arcidosso

per non avere ancora ottenuto il rilascio del certificato

del loro matrimonio celebrato il 29 settembre dal Par

roco Antonio Palmieri. Fu accertato che il certificato non

(1-2) Il Tribunale di Roma, con sentenza 19 aprile 1937, Diano, e 13 gennaio 1938, Sforazzini {retro, col. 122, con ampia nota del Pret. Eosso, che riassume i precedenti giurispruden ziali e dottrinali) ha ritenuto che il Parroco, che procede al matrimonio religioso destinato ad essere trascritto nei registri dello Stato civile, è pubblico ufficiale indipendentemente dalla trasmissione dell'atto al Comune ; e che il matrimonio religioso concordatario è un atto pubblico e il Parroco celebrante è pub blico ufficiale. Cfr. anche : Calamari, Questioni di diritto matri moniale e penale in materia di bigamia, in Riv. pen., 1938, 808 ; Sucato, In tema di tentativo nel reato di bigamia, id., id., 860.

(3) Conformi: 27 febbraio 1933, Chesi, 12 aprile 1933, Pesenti

(Foro it., Rep. 1933, voce Cassazione pen., nn. 97 e 96); 5 feb braio 1934, Lodi, 28 marzo 1934, Campiano (id,, Rep. 1934, voce

cit,, nn, 40 e 41).

era stato rilasciato, perchè il Parroco Palmieri non aveva

ancora trasmesso all'Ufficiale dello Stato civile l'atto di

matrimonio per la prescritta trascrizione. Il Podestà di - Arcidosso riferì il fatto al Procuratore del Re di Gros

seto e dalle indagini praticate risultò che il detto Par

roco non soltanto l'atto del matrimonio Bianchini'-Pal

coni, ma molti altri aveva trasmesso oltre i cinque giorni,

prescritti dalla legge, ed allo scopo di nascondere il ri

tardo aveva alterato le date, apponendovene altre, che

facevano apparire osservato il detto termine. Pu aperto

procedimento penale contro il Palmieri, il quale, dopo

regolare istruttoria, fu rinviato al giudizio del Tribunale

di Grosseto per rispondere di falso materiale in atto

pubblico faciente fede fino a querela di falso, a termini

dell'art. 476, capov., cod. penale. Il Tribunale di Grosseto con sentenza 27 novembre

1936 escluse nel Parroco Palmieri la qualità di pubblico ufficiale e lo ritenne colpevole di falso materiale conti

nuato in atti pubblici non facienti fede fino a querela di

falso, ai sensi degli art. 81 e 482 cod. penale. Contro la

detta sentenza propose appello tanto il P. M. che l'im

putato, il primo sostenendo che il Parroco nella celebra

zione del matrimonio assume ?a vest6 di pubblico uffi

ciale e quindi i primi giudici avrebbero dovuto ritenere

il reato rubricato, l'altro affermando la inesistenza di qual siasi reato per difetto di dolo.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza 26 ot

tobre 1937, in accoglimento dell'appello del P. M. e ri

gettando quello del Palmieri, ritenne costui responsabile di falso continuato in atti pubblici facienti fede fino a

querela di falso e lo condannò alla pena relativa.

Tempestivamente contro la sentenza della Corte di

appello di Firenze ricorse per cassazione il Palmieri, il

quale si dolse anche dell'ordinanza con cui la stessa

Corte aveva ritenuto generico un certificato medico pre sentato per ottenere un secondo rinvio della causa.

Come motivo contro l'ordinanza si dedusse che la ra

gione addotta dalla Corte non era sufficiente a giustifi care il rigetto della domanda di rinvio.

In ordine alla sentenza il ricorrente presentò i se

guenti motivi : 1° violazione dell'art. 47 cod. pen. per avere

ignorato gli art. 12 e 13 della legge 27 maggio 1929,

legge non penale ; 2° violazione dell'art. 476, capov., cod.

pen., in relazione all'art. 34 del Concordato, per aver

ritenuto il Parroco pubblico ufficiale allorché trasmette

l'atto di matrimonio all'Ufficio dello Stato civile per la

trascrizione ; 3° la copia di un atto ecclesiastico, concer

nente il matrimonio religioso, può essere impugnata coi

soli mezzi previsti dal diritto canonico, che ignora la

querela di falso e quindi non fa fede fino a querela di

falso ; 4° violazione dell'art. 42, essendosi trattato di

falsa interpretazione della legge canonica, e non di falso

cosciente e volontario. »

Con memoria il ricorrente illustrò ampiamente i detti

motivi. Il Collegio Supremo osserva che il ricorso contro la

ordinanza della Corte d'appello di Firenze investe un ap

prezzamento di fatto incensurabile in questa sede, men

tre quello contro la sentenza è infondato nel merito.

Per ordine di discussione va preso in esame prelimi narmente il secondo motivo come quello che attiene alla

configurazione giuridica del fatto imputato. La sentenza denunziata riscontrò in tale fatto gli

estremi del delitto di cui all'art. 476 cod. pen., con l'ag

gravante del capoverso, ossia l'ipotesi del pubblico uffi

ciale che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma in parte un atto falso che fa fede fino a querela di falso.

La prima indagine, quindi, riflette la qualità nel ri

corrente Parroco Palmieri di pubblico ufficiale, in rap

porto agli atti di matrimonio falsificati. Dall'art. 357 cod. pen. risulta che la nozione di pub

blico ufficiale si estende a chiunque eserciti una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria, prescin dendo dal rapporto di dipendenza dallo Stato dell'eser

cente. L'intento legislativo, espresso dal Guardasigilli nella relazione ministeriale, fu di ricollegare la pubblica

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