Udienza 17 luglio 1879, Pres. Montagnini, Est. Talice, P. M. Gambaro (Concl. conf.) —Ric.Lumini ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.383/384-387/388Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084847 .
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383 PARTE SECONDA 384
cessivo art. 404 prescrive la enunciazione dei motivi
d'appello, o il ricorso contenente i medesimi, intende
che questi rivelino in concreto la ragione o il fatto,
per cui l'appellante crede pregiudicato il proprio di
ritto; Considerando che se la legge non ha potuto prescri
vere una forma precisa per la enumerazione dei mo
tivi, essa non può non aver voluto che i motivi stessi
esprimano abbastanza chiaramente il concetto, che gli
informa, acciocché la parte appellata possa prepararsi
alle proprie difese, e perciò non può la legge stessa
aver ritenuto come efficace e giuridica enunciazione di
motivi, qualunque vaga e indeterminata censura alla
sentenza appellata, la quale lasci completamente ignoto
od incerto l'intento dell'appellante;
Considerando che tanto meno può aver ciò consen
tito, quando chi appella deve necessariamente cono
scere i fatti e le ragioni da cui trae il diritto a recla
mare, ed ha perciò il dovere di esprimerli in modo
chiaro e preciso, acciocché si conosca qual' è la parte
della sentenza che si censura, e sieno ben definiti i
limiti della discussione, come quello del giudizio;
Considerando che l'ammettere un opposto avviso,
oltre che urterebbe direttamente coi principi di diritto
in materia di giudizi, darebbe luogo a facili sorprese,
che la legge non può aver permesse, perchè coarte
rebbero o menomerebbero i diritti della difesa, come
di colui che rappresenta la legge, dinanzi a chi ha la
missione di render giustizia; Considerando che, appunto per agevolare alle parti
la formulazione dei motivi, la legge ha loro lasciato
un congruo termine, all'effetto che, in cosa tanto seria,
com' è l'amministrazione della giustizia, tutto si compia
secondo ragione e nei modi leali, che garantiscono la
rettitudine dei giudicati; Considerando, ciò premesso, che basta leggere il
motivo d'appello dedotto nell'interesse del Gallia, per
riconoscere come, nella parte in cui si dice nulla la
sentenza appellata, sia assolutamente impossibile di
comprendere in che le nullità siansi verificate, o in
che consistano; e come nell'altra parte, che accenna
vagamente a travisamenti ed erronei apprezzamenti
di fatti, che diconsi risultati al dibattimento, e dai
quali si pretende che il pretore avrebbe dovuto argo
mentare che il querelante mancava di azione, di ra
gione e di veste per querelarsi, rimanga ignota la ra
gione da cui si trae la censura che si muove all'ap
pellata sentenza; Considerando che l'allegazione di motivi, di cui non
è permesso di comprendere la significazione, equivale
al difetto di deduzione dei motivi stessi, ed importa
la giuridica sanzione dell'art. 357 del Cod. di proc. pen.,
che rettamente fu dal Tribunale applicato;
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 17 luglio 1879, Pres. Montagnini, Est. T alice,
P. M. Ga.mba.ro (Conci, conf.) — Ric. Lumini ed altri.
ISìcnttazioiie dolosa — l'revia intelligenza — Com
plicità — ^jnalifiehe del furto — Scienza nel ri
cettatore — Complicità semplice o necessaria
— (àiui'ì (Cod. pen., art. 639, 638 e 104).
La pena di cui è passibile chi abbia (con o senza
previo trattato od intelligenza) ricettate le cose
furtive, si commisura su quella dovuta all' autore
principale, senza che sia necessario di stabilire in
lui la scienza delle qualifiche od aggravanti che
accompagnarono il furto. (1)
Laonde non è necessario proporre ai giurati un'ap
posita questione relativamente a quella scienza. (2)
(1-2) Vedi in senso conforme, precisamente in tema di ricettazione
previo trattato, la importante sentenza della Cass. di Palermo, 23 set
tembre 1874, ric. Grillo e Rosario, Est. Salis {Legge, 1875, pag. 598). Ma la Cassazione di Napoli con la recente sentenza 12 marzo 1879, ric. Cappabianca, da noi data in Rivista a col. 416 del presente vo
lume, stabilì che il ricettatore previo trattato, essendo punito come
complice dell'autore, deve rispondere delle aggravanti solo quando ne abbia avuto scienza al momento della ricettazione. Ecco la parte sostanziale di tale sentenza, che è riportata per esteso nella Gazzetta
trib., Napoli, XXIX, 1879, pag. 462, nel Giorn. trib., Milano, Vili, 1879, pag. 416, e nella Gazzetta proc., Napoli, XIV, 1879, pag. 120: « Osserva che il Cappabianca duolsi che egli risponda delle qualifiche
quando non mai i giurati furono per lui invitati a dichiarare, se quando intromettevasi per far vendere gli oggetti derubati previo trattato od
intelligenza cogli autori del furto, sapesse egli delle qualifiche. ... Sul
Sul che è palmare lo errore. Quando l'art. 638 del cod. pen. con-idera
i colpevoli come Cappabianca quali complici perchè nella identica mi
sura li punisce, è inevitabile conseguenza che ad essi vada applicato l'art. 105 del cod. medesimo, per cui le circostanze materiali che ag
gravano la pena, come sono al certo le qualifiche del valore e del
mezzo nei furti, nuocciono ai complici se costoro ne abbiano avuto
scienza nell'atto della cooperazione. Nulla fu di ciò mai domandato ai
giurati pel ricorrente ; senza fondamento quindi nella specie è la pena di complice in furti qualificati ».
Riguardo poi alla ricettazione senza previo trattato, è concorde la
giurisprudenza nel non ritenere necessaria nel ricettatore la scienza
delle aggravanti. Così infatti è stato deciso, fra le altre sentenze, da
quelle della Cassazione di Palermo, 4 giugno 1866 (Legge, 1866, pag.
1042) ; della Cassazione di Milano, 26 marzo 1862 (id., 1862, pag. 348) ; nonché dalla recente sentenza 13 settembre 1879, ric. Allegro, est. Ciol
laro, della Cassazione di Napoli (Garzella dei trib. di Napoli, 1879. n. 3004, pag."734), della quale crediamo utile riportare i motivi: «L'in
vocato art. 639 (così la Cassazione napolitana) non richiede se non la ricettazione di cose depredate, rubate, ecc., e la scienza nello agente di siffatta provenienza, senza punto ricercare anche quella delle singole
aggravanti o qualifiche. E razionalmente ha il legislatore trasandato
cotesta scienza trattandosi di reato il quale sorge sol quando il furto, la depredazione, ecc. sono già consumati ; e se la scienza delle cir costanze materiali, onde sia aggravato un reato nell'atto della coope razione allo stesso, è giustamente valutata rispetto al complice, non
avrebbe significato quando non si tratti di complicità, ma di reato sui
generis e posteriore alla consumazione del primo. Nè regge punto la
ragione desunta dallo asserto inconveniente di potersi talvolta punire il ricettatore senza previo trattato più gravemente del complice nel
reato; perciocché questi può essere secondo i casi punito anche di morte o dei lavori forzati a vita, mentre la pena massima sancita per l'altro è di anni 10 di lavori forzati; e se per gli altri casi è stabilita una pena di transazione, da ciò non segue che si debba ricercare nel
ricettatore senza previo trattato una scienza generale ed un'altra spe ciale contro i dettami della logica* e del diritto ».
Del resto la massima di non esser richiesta nel ricettatore la scienza delle aggravanti, evidentemente deve incontrare assai minori difficoltà nella ricettazione senza trattato precedente, anziché in quella che è
preceduta da trattato, e la quale, a differenza dell'altra, è dall'art. 638
del cod. pen. equiparata alla complicità.
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385 GIURISPRUDENZA PENALE 386
La ricettazione previo trattato ed intelligenza con
gli autori del furto, è una vera complicità per tutti gli effetti di legge. (3)
Epperciò è legalmente posta la questione con cui si
chiede al giurì se la cooperazione del ricettatore
fu tale che senza di essa il reato non sarebbe av
venuto; ed in caso di risposta affermativa legal
mente si punisce il ricettatore come complice ne
cessario. (4)
La Corte, ecc. — Sul primo mezzo. — Attesoché
non ha fondamento in diritto ed è respinta dalla giuri
sprudenza la tesi propugnata in questo mezzo, che
cioè sia necessario abbia il ricettatore conosciute
tutte le circostanze aggravanti del furto perchè possa essere assoggettato alle pene dipendenti dalle stesse
circostanze, epperciò si fosse dovuto proporre al giurì la questione relativa a tale scienza: e ciò non essen
dosi fatto ne sia derivata violazione di legge, eccesso
di potere, ingiusta ed eccessiva applicazione di pena; Attesoché sia che si tratti di ricettazione semplice
o (come nella specie) di ricettazione qualificata, ossia
previo trattato ed intelligenza cogli autori, venendo
tanto l'una che l'altra a compiersi dopo che il furto
fu già consumato, né più potendo immutarsi o modifi
carsi il carattere che indelebilmente gli hanno impresso
gli autori ed i veri e propri complici del medesimo,
la scienza delle circostanze materiali inerenti al furto
stesso, come il valore delle cose rubate, ed i mezzi
impiegati per involarle, è presunta nel ricettatore do
loso il quale ben sapendo la provenienza furtiva delle
cose da esso ricettate potè del pari avere o facilmente
procurarsi la cognizione esatta dei modi di perpetra
zione del furto e dell' entità dei valori sottratti, e qua
lora, ciò che non è ammessibile, non avesse curato di
chiarirsene, s'intende che egli volle sottomettersi ad
affrontare tutte le conseguenze, ed ogni responsabilità
di cui il reato è suscettibile, senza che occorresse di
fare viemmeglio emergere con espressa domanda ai giu
rati la subbiettiva personale scienza di dette circo
stanze per le quali la di lui cooperazione al reato venga
a rendersi più grave; Attesoché essendo poi certo nella specie che si trat
tava non solo di un ricettatore, pei due furti pei quali
fu punito, previo trattato ed intelligenza cogli autori,
ma di un correo coi medesimi nell' associazione di mal
fattori diretta appunto alla consumazione tra gli altri
di quei furti, si poteva a ragione ritenere che avesse
non meno la scienza all'atto della ricettazione che la
precognizione persino al momento dei presi concerti
delle circostanze che aggravano i furti, e ne discende
che non fuvvi violazione di legge, e non è giuridica
mente sussistente la querimonia sull' eccesso di potere
e sulla gravità della pena.
Sul secondo mezzo. — Attesoché nella sentenza di
rinvio la sezione d'accusa oltre il dare precisamente
carico al Lumini di ricettazione previo trattato ed in
telligenza cogli autori dei furti in danno Paganini, To
nelli, e Spezia accentuava l'indole e l'estensione della
cooperazione e compartecipazione costitutiva di sua
reità col seguente motivo, che cioè : « fra i 5 autori
« conosciuti dei furti in discorso ed il Lumini appariva
« dalle tavole processuali essersi formata un'associa
« zione ad oggetto di delinquere contro la proprietà :
« che questa associazione si manifestava anche per le
« conventicole frequenti in casa del Nicola Caprioni:
« ed il Francesco Lumini, (presso il quale era stato
« allevato il detto Caprioni) se non prendeva parto
« materialmente ai furti, pure vi partecipava quanto
« al prodotto non meno degli altri, ed era piuttosto
« quello che s'incaricava della vendita, potendolo fare
« con più sicurezza degli altri, perchè essendo dive
« nuto discreto capitalista e proprietario era ben na
« turale che egli avesse delle derrate da vendere, ed
« in conseguenza il medesimo oltre dell' ascrittagli as
« sociazione dovesse pure rispondere del reato di ri
« cettazione dolosa nel senso dell'art. 608 del Codice
« penale »;
Che su queste basi tracciate dalla Sezione d'accusa
regolamente il presidente della Corte d'assise propose
anzitutto pel Lumini al pari degli altri coaccusati Ca
prioni, Lucchi, Lazzoni, Gianfranchi, Pivieri, la que
stione se nell'inverno del 1878 avesse fatto parte di
un' associazione di malfattori « in numero non minore
di 5 persone all'oggetto di commettere dei furti nei
dintorni di Sarzana», ed i giurati ne affermarono la
relativa colpevolezza. Propose inoltre in ordine a detti
tre furti le questioni relative alla colpevolezza pure
dello stesso Lumini in reato di ricettazione previo
trattato ed intelligenza cogli autori, e nel caso di ri
sposta affermativa, se la cooperazione da esso presta
tavi fosse stata tale che senza di essa non sarebbero
stati quei furti commessi. Ed i giurati per due di quei
furti risposero affermativamente per l'una cosa e per
l'altra, motivo per cui la Corte rettamente commisurò
poi la pena sul combinato disposto degli articoli 638
e 104 del detto Codice;
Attesoché la giurisprudenza di questa Corte ha re
plicatamente deciso (vedi sentenza - Milano 22 luglio
1863, ric. Bernarolo, est. Pasella, e 16 marzo 1872, ri
corrente Merighi, est. Bertarelli) - che i ricettatori
previo trattato ed intelligenza sono a considerarsi come
complici a tutti gli effetti, e quindi come tali puniti,
e che perciò era legalmente posta la questione ai giu
rati se detto ricettatore si fosse reso colpevole di com
plicità necessaria o di tale cioè che senza il di lui
concorso non si sarebbe potuto commettere il furto.
E di vero la ricettazione previo trattato ed intelligenza
cogli autori non può revocarsi in dubbio che sia di
spesso una delle forme più efficaci di complicità pei
ladri ai quali il concorso ed ausilio preventivamente
assicuratosi di uno di quei fautori porge il mezzo di
assicurarsi il criminoso agognato profitto, oltreché ven
gono ad essere più facilmente indotti al misfatto spe
rando di conseguire il tine dell'impunità con far scom (3-4) Oltre le sentenze citate nel corpo della stessa decisione, vedi
conforme: Cass. Milano, 22 luglio 1865 (Legge, 1865, pag. 75).
Il Foro Italiano. — Volume IV. - Parte II. — 27.
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387 PARTE SECONDA
parire, mercè la sicurezza della ricettazione, ogni traccia
del crimine; Anche questo mezzo adunque è a rigettarsi. Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 29 gennaio 1879, Pres. D'Agliano, Est. Rossi,
P. M. Pozzi (Conci, conf.) — Rie. Borrini ed altri.
I'esi e misure — Tessitori — Oli 111 iff" della verifi
cazione periodica (Leg. 28 luglio 1871, art. 14).
Anche i tessitori i quali ricevono il filo per conver
tirlo in tela e corrisponder questa in proporzione del filo ricevuto, sono soggetti all'obbligo della ve
rificazione periodica dei pesi e delle misure.
La Corte, ecc. — Attesoché l'art. 14 della legge 28
luglio 1871 è così concepito: « Sono tenuti alla verifi
cazione periodica coloro che fanno uso di pesi e mi
sure per la vendita o compra, per commercio qualsiasi di mercanzie e prodotti, per la consegna delle materie
da essere lavorate e ridotte ad altra forma, e per de
terminare la quantità di lavoro e la mercede degli
operai »;
Attesoché, in presenza di queste disposizioni di legge, non puossi ragionevolmenle contestare che in essa tro
vinsi pur anche compresi i tessitori, imperocché i me
desimi, se non attendono al mestiere di vendere o com
prare, ricevono però il filo da convertire in tela, e questo
dovendo corrispondere nel peso al quantitativo di filo
ricevuto, essi non possono fare a meno che pesarlo al
momento del ricevimento, come debbono poi pesare
nuovamente la tela dopo d'averla confezionata per ve
dere se nel peso questa corrisponda, perchè in altro
modo non potrebbe essere determinato il giusto am
montare della mercede loro dovuta, essendo assurdo
il supporre che per siffatte operazioni i tessitori si
rimettano ciecamente alla parola dei committenti, tanto
da menare per buoni il peso e la misura che questi a
loro volta possono, nel loro particolare interesse, ed a
modo di controllo aver operato ; donde la conseguenza che i tessitori si trovano nella precisa condizione di
coloro che ricevono in consegna materie per essere
lavorate, e che dovendo così necessariamente esser
provvisti di pesi e misure per determinare la quan tità del lavoro e la mercede loro dovuta, essi vanno
perciò, per espressa disposizione della legge, soggetti
all'obbligo di verificazione; Che l'interpretazione data in questo senso dal pre
tore di Novara all'art. 14 della legge sovracitata si
presenta quindi giusta e legale, e le censure mosse
contro la sentenza da lui pronunciata sono evidente
mente inattendibili ; occorrendo al postutto di osser
vare che il pretore stesso, ritenendo che i ricorrenti
per l'esercizio del loro mestiere di tessitori non pote vano a meno che servirsi di pesi e misure, anziché risol
vere una questione di diritto, avrebbe piuttosto emesso
un giudizio di puro fatto, di semplice apprezzamento
per sua natura incensurabile in Cassazione.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 28 luglio 1879, Pres. Montagnini, Est. Longhi,
P. M. Gambara (Conci, conf.) — Ric. Iravega.
Appello — Sentenze interlocutorie aventi forza «li
definitive (Cod. proc. pen., art. 400).
Può proporsi appello prima della sentenza definitiva dalle sentenze interlocutorie, che hanno forza di
definitive, in quanto, indipendentemente dal me
rito, hanno risoluto un capo di contestazione, che
esaurisce l'oggetto controverso. (1)
Tale sarebbe la sentenza che dichiara irregolare la
citazione dell'imputato. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché, se pel disposto dell'ar
ticolo 400 del Cod. proc. pen., il legislatore mirò ad
(1-2) Sebbene l'art. 400 Cod. proc. pen. vieti l'appello dalle sentenze od ordinanze preparatorie, prima della sentenza definitiva, pure le nostre Corti regolatrici, applicando l'assioma « melius esl occurrere in tempore, quam post eccitum vindicare », crederono che tale di
sposizione non fosse invocabile nel caso di quelle sentenze interlocu
torie, le quali, come dicevano i nostri pratici, habent vim definitivae. E giustissima pare a noi questa deroga al principio sanzionato nel l'art. 400 della procedura penale, che è stato stabilito (giova non di
menticarlo) per togliere di mezzo le lungaggini a cui dava luogo il sistema anteriore, che ammetteva l'appello da qualunque sentenza. Infatti se l'art. 400 proibisce l'appello dalle sentenze interlocutorie, devesi però intendere che egli abbia inteso parlare delle vere e proprie sentenze interlocutorie e preparatorie, e non di quelle sentenze che
impropriamente si chiamano così (forse perchè proferite nel corso del
dibattimento), ma che in sostanza, e quanto ai loro effetti, sono vere e proprie sentenze definitive, perchè decidono e risolvono definitiva mente una controversia incidentale, di per sè stante, ed esauriscono in tutto od in parte la giurisdizione del magistrato riguardo alla ma teria del contendere. In casi di questo genere il volere, con farisaica e letterale interpretazione, applicato il disposto dell'art. 400 Cod. proc. pen., sarebbe lo stesso che andar contro allo spirito ond'è informata
quella disposizione di legge, poiché invece di ovviare ai ritardi ed alle inutili spese, quelli e queste si raddoppierebbero, perchè molte volte, ove l'appello della interlocutoria avente forza di definitiva fosse ac
colto, sarebbe necessario rifare nuovamente il primo dibattimento, il
quale poi darebbe luogo ad un nuovo appello in merito, e così invece di due, o al più tre giudizi, se ne avrebbero quattro. È da osservare inoltre che non di rado queste sentenze producono l'effetto di togliere di mezzo una delle parti, onde sarebbe del tutto vano l'imporre a
questa di aspettare la sentenza definitiva per proporre l'appello, quando per essa la sentenza definitiva è res inter alios acta: così accade, a mo' d'esempio, rapporto a quei provvedimenti interlocutori, coi quali si dichiara irregolare la costituzione della parte civile, e questa si
respinge dal giudizio. E concorde è la giurisprudenza, memore del sapiente detto dell' im
peratore Giustiniano « nos enim, non verbis, sed rebus legem impo nimus », nello stabilire che si debba applicare anco alle ordinanze
quello che si dice delle sentenze, sempre che si tratti di ordinanze che abbiano quell'indole di perentorietà, che per le sentenze si esige. In altre parole si è detto essere indifferente che il magistrato dia al suo provvedimento un nome piuttosto che un altro, quando si tratta di decidere intorno al provvedimento stesso, e vedere quali regole deb bano ad esso applicarsi, doversi esaminarne la sostanza, prescindendo dal nome che gli si è dato, forse per mera inavvertenza: quindi se la natura intrinseca del provvedimento dimostra che è importante al
pari di una sentenza, come sentenza dev'esser trattato. Le massime da noi sviluppate sono state dall'esimio consigliere
Longhi rettamente applicate al caso sottoposto all'esame della su
prema Corte di Torino, poiché è certo che una sentenza, la quale di chiara nulla la citazione, ancorché non si voglia chiamare defini
tiva, produce peraltro tutti gli effetti di una sentenza definitiva,
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