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Udienza 17 maggio 1876 —Est. Puppa —App. Uff. elettorale di Crespino (avv. Mosca eTrombini) c. il gerente dell'Elettore liberale di Rovigo (avv. Parenzo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 1, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1876), pp.259/260-263/264Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23081438 .
Accessed: 17/06/2014 04:59
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259 PARTE SECONDA 260
quell'aiuto e quella assistenza », e perciò importala nullità del giudizio.
La Corte, ecc. — (Omissis) Si censura la sesta qni stione proposta ai giurati sull'apprezzamento della pre
meditazione formolata in questi termini : « L'accusato
aveva precedentemente all'aiuto prestato formato il
disegno.di apprestare nell'omicidio quell'aiuto e quella assistenza? »
Ora, tale quistione hanno detto i ricorrenti è incom
pleta e viziosa, ammettendo nel complice la premedita
zione senza essere accertato genericamente, che la uc
cisione fu commessa con premeditazione, nè rinvenen
dovi nella quistione medesima gli elementi tutti costi
tutivi la premeditazione.
E si noti che i giurati avevano negata la terza qui
stione relativa alla premeditazione negli accusati come
autori principali dell'omicidio, e nel ritenere la loro col
pabilità per avere scientemente aiutato gli autori del
l'uccisione nei fatti che prepararono l'omicidio, o in quei
fatti che lo facilitarono, dichiararono che l'aiuto o l'as
sistenza fu tale che senza di esso l'omicidio sarebbe stato
sempre commesso, sicché non avrebbero mai potuto ès
sere ripresentati in quanto alla pena per gli autori del
reato.
Attesoché la premeditaziono vuoisi obbiettivamente,
e subbiettivamente considerare sotto l'uno aspetto, la
premeditazione forma l'elemento caratteristico dell'as
sassinio che lo distingue dall'omicidio semplicemente
volontario, e sotto l'altro riguardo la premeditazione è
una circostanza aggravante la criminosità del fatto
principale in quanto che si ravvisa nell'animo dell'a
gente quella malizia piena che costituisce il massimo
grado del dolo.
Ond'è che la premeditazione è una circostanza ine
rente alla persona, poiché l'intenzione che determina la
moralità, ed il carattere del reato non è che personale.
Da ciò la conseguenza segnata nell'articolo 105 Cod.
pen. che le circostanze permanenti o accidentali ine
renti alla persona per le quali, o si toglie, o si diminui
sce, o si aggrava la pena di taluno degli autori, od a
genti principali, o dei complici, non sono calcolati per
escludere, diminuire, od aumentare la pena riguardo
agli altri autori ed agenti principali o complici del me
desimo reato.
Così il complice per rispondere della premeditazione
deve conoscere della natura e del carattere del reato al
quale presta il suo concorso, morale, o fisico, e deve ri
sultare egualmente che egli abbia agito con premedi
tazione.
Altrimenti ne avverrebbe o che non si trattasse real
mente di un omicidio premeditato, o che l'aggravante
della premeditazione non riguardasse personalmente il
complice.
Or disaminando la quistione sopra riportata può dirsi
scolpito con precisione il doppio concetto del concorso
degli accusati all'omicidio commesso con premedita
zione, ed alla quale circostanza aggravante hanno an
ch'essi partecipato ?
Certamente non puossi ciò con sicurezza affermare, e
molto meno si potrebbe dedurre che avendo i giurati
negata la premeditazione negli accusati come autori
dell'omicidio, l'avessero poi voluta ritenere negli stessi come complici.
Se non altro la quistione proposta, senza accennare
alla circostanza della premeditazione nell'omicidio, non
è scevra di dubbio, e ciò basta per rendere incompleta
la quistione. E la sarebbe del pari sotto il riflesso del carattere
costitutivo la premeditazione, e che consiste nel disegno
formato prima dell'azione.
Or le frasi di avere gli accusati precedentemente col
l'aiuto prestato formato il disegno di apprestare nell'o
micidio quell'aiuto, e quell'assistenza rendono la stessa
idea ? Per la dichiarazione dei giurati è possibile che l'aiuto
si fosse limitato ai fatti di facilitazione dell'omicidio, ed allora il disegno di apprestare quell'aiuto ha potuto confondersi coll'atto di consumazione del reato ; che la
determinazione presa al momento dell'esecuzione non
equivale al disegno formato prima dell'azione.
E tanto più si rende dubbioso questo concetto in
quanto che la circostanza della premeditazione del fatto
principale per le cose dinanzi rilevate non fu netta
mente acclarata.
Che se la premeditazione non può stabilirsi per sup
posizione, e se è a temersi che i giurati non abbiano in
teso la quistione nel suo véro senso è a biasimarsi la
formola adoperata dal presidente che farebbe sorgere
dei dubbi, e delle incertezze in una materia per se stessa
difficile, e complicata. Per tali motivi cassa, ecc.
CORTE DI APPELLO DI VENEZIA. Udienza 17 maggio 1876 — Est. Puppa —
App. Uff. e
lettorale di Crespino (avv. Mosca e Trombimi) c. il ge rente dell'Elettore liberale di Rovigo (avv. Pabenzo).
Elezioni — Schede — Abbruciamento doloso — Falsa
imputazione — Diffamazione — Direttore del gior nale — Complicità — Dolo — Gerente (Leg. sulla
stampa 26 marzo 1848, art. 27, 47 — Cod. pen. it. art. 191, 570,571).
L'abbruciamento doloso di schede contestate, per parte
dei membri dell'ufficio elettorale, costituisce il reato eli cui alVart. 191 del Codice penale (1).
(1) L'art. 191 del Cod. pen., parla solo di sottrazione, o aggiun zione di schede, o di falsificazione del contenuto delle medesime, nel
corso delle operazioni elettorali.
Ma la giurisprudenza ha costantemente ritenuto, che sotto il suo
disposto cada ogni fatto, come appunto'nella specie l'abbruciamento
doloso, il quale sia diretto ad influire sull'esito della votazione, con
maneggi dolosi sulle schede. Si ricava poi chiaramente dalle espressioni dell'articolo 191 « nel
corso delle operazioni » che p^r eccezione al diritto comune, la falsi
ficazione o sottrazione delle schede non è punibile, se non nel caso
di flagrante delitto, di guisa che, questi fatti non danno luogo ai al
cuna pena, quando non sieno scoperti e constatati che ulterior mente. Ved. Dalloz, torn. XXII, pag. 132, e le sentenze da esso ci
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261 GIURISPRUDENZA PENALE
La falsa imputazione data col mezzo della stampa, ai membri suddetti, di avere dolosamente abbruciato le
schede contestate, costituisce il reato di libello famoso,
di etti agli art. 570 e 571 del Codice stesso, punibile a tenore dell'articolo 27 della legge sulla stampa (1).
Il direttore di un giornale non può essere tenuto penal mente responsàbile per gli scritti diffamatorii pubbli cati nel medesimo, se non quando li abbia sottoscritti
e sia provato anche in lui il dolo, secondo le regole ge nerali e comuni della complicità (2).
Per il gerente non occorre invece indagare, se sia con
corso in lui il dolo o la colpa, in quanto che basta il
fatto materiale della sottoscrizione e pubblicazione del
giornale per renderlo responsabile penalmente, per gli
artìcoli ingiuriosi o diffamatorii in esso inseriti (3).
La Corte, ecc. (Omissis.) — Attesoché dalle riportate
deposizioni risulterebbe pertanto che il solo a muovere
contestazioni sopra le schede sarebbe stato Licisco Ve ronese. Questi vuole averne contestate tre, che precisò aver portato i nomi di Corto Clemente, Corti Clemente,
Parte o Carte Clemente, che, secondo esso, sarebbero
state poste fra quelle da abbruciarsi. Relativamente
alla prima tutti sono d'accordo sul suo letterale tenore,
e di essa scheda si fece cenno nel verbale. La seconda
fu conservata e trovasi unita al verbale, nò consta di
una ulteriore col nome di Corti Clemente, che sia stata
realmente contestata. Rimane la terza, che il solo Li
cisco Veronese indica per Carte o Parte Clemente, ma
le di lui deposizioni sono resistite dal verbale 21 feb
braio 1875 non impugnato di falso, nel quale sta regi strata bensì una scheda al nome di Parte Clemente, ma
non come contestata, nonché dalle dichiarazioni dei sei
testi addotti dalla parte civile in piena armonia con
quella dei cinque querelanti ed il Veronese poi non è
sostenuto nemmeno dalli Bolognesi e Cappato, perchè
questi sono in piena contraddizione con lui e con se stessi, precisando la terza scheda, il primo per Corte
Clemente, ed il secondo per Corte Clemente (non Carte
o Parte Clemente) ; e la scheda poi accennata dal Bolo
gnesi per Corte Clemente può essere stata da lui con
tusa con quella Corte Clemente, la quale fu pure con
servata e trovasi unita al verbale.
Egli ò quindi evidente che gli imputati non riusci
rono a dare la prova del rinfaccio, della sottrazione do
losa cioè di schede contestate imputata ai querelanti, qual è contemplata dall'art. 191 Cod. pen., non ba
stando, quand'anche fosse vero, a togliere la sussistenza
del reato, come giustamente dissero i primi giudici, il fatto che si abbruciassero dello schede sulle quali eransi
elevate contestazioni o proteste, e la cui materiale
scritturazione era stata concordemente ritenuta, men
tre il fatto stesso sarebbe ben differente dalla sottra
zione dolosa che nella corrispondenza imputavasi ai
querelanti.
Attesoché, ciò ritenuto, rimaneva a vedersi se rag
giunta fosse la prova di reità a carico del gerente To
nini e del direttore Benvenuti. Ed in proposito osser
vava la Corte che per la legge sulla stampa e pel di
ritto penale comune, al quale la prima non ha derogato che in qualche parte, come rilevasi dalle parole del
proemio : Abbiamo voluto che il sistema di repressione in esso contenuto si conformasse guanto più fosse possi
bile alle disposizioni del vigente nostro Codice pen., evi tando così la non necessaria deviazione dalla legge co mune osservava, dicesi, altri essere gli estremi che ba
stano a stabilire la colpabilità del gerente, ed altri
quelli che si richieggono a comprovare quella del diret
tore del giornale. Il primo rappresenta ed è, si può dire, immedesimato
col giornale. Assumendone la gerenza, apponendovi la
propria firma, egli viene a far suoi gli articoli ed a ren
dersi complice dei delitti e delle contravvenzioni che
gli articoli medesimi contengono, e col pubblicare quindi il giornale consuma il reato, giusta la nota mas
sima: la pubblicazione crea il delitto. Per il gerente non
occorre indagare se siavi concorso in lui il dolo o la
colpa, basta il fatto materiale della sottoscrizione e
della pubblicazione del giornale per renderlo responsa bile (Art. 47, legge sulla stampa). Ora se è costante
che il n° 12 dell 'Elettore liberale uscito il 25 febbraio
1875 fu dal gerente Tonini sottoscritto, e che quel nu
mero venne quindi divulgato, la sua reità è manifesta.
Ma per il direttore del giornale la legge sulla stampa non ha stabilita alcuna eccezione (Art. 47 succitato), nò d'altronde ha derogato alle regole generali della com
plicità portate dal Codice penale. Non è sufficiente per tanto la sola qualità di direttore, senza la sottoscrizione
dell'articolo diffamatorio per costituirlo responsabile in
faccia alla legge penale, nè basta l'aver egli fatto inse
rire l'articolo stesso nel giornale del quale non risulta
autore, ma fa d'uopo che sia dimostrato che abbia agito
coll'intenzione di ledere l'altrui onore, colla coscienza
tate; Chauveau ed IIelie, torn. II, n. 1258; Locrè, tom.XV, pag. 183,
206; Carnot, sull'art. 3, n.2. Vedi tra i commentatori del Codice sardo,
Ferrarotti, sull'art. 191, n. 1, e le autorità e sentenze da esso pure citate.
(1) Infatti nella specie si riscontra l'imputazione di un fatto delit
tuoso e immorale, determinato, cioè specificato, individuale, nei suoi
rapporti di tempo, di luogo, di modo e di persona, nè vi è dubbio che
ciò riunisca tutti gli estremi del reato in parola.
(2) Uguale tesi la Corte suprema di Torino ha stabilito riguardo allo
stampatore, sebbene avesse conosciuto il tenore dallo scritto dif
famatorio, in una sentenza del 27 aprile 1876, est. Buniva, ric. Claudio
Perrin, stampatore del Ficcanaso. (V. Il Foro Italiano, 1876, col. 184, colla nota relativa), e riguardo anche allo stesso direttore in altra
sentenza del 21 aprile del suddetto anno, ric. marchese Caiani, di
rettore della Gazzetta di Torino, richiamata nella Rivista di questo nostro fascicolo, col. 261.
La stessa questione è stata discussa in Francia per il redattore in
capo, e Dalloz,Iìepert. V. Presse, Outrage, n. 1142, riporta le argo mentazioni di Emilie de Girardin, pubblicate già nel n. 399S della
Presse, 2° anno, in sostegno della negativa, quando non concorra il
dolo, l'elemento necessario ad ammettersi la complicità. (3) Questo principio è constante, tanto nella dottrina e giurispru
denza nostra, quanto nella dottrina e giurisprudenza francese. Il ge rente, si dice, quando l'autore non abbia sottoscritto, è l'agente prin
cipale, e ciò non già come autore presunto degli articoli, ma come
sottoscrittore e pubblicatore dei medesimi. Tanto che è stato deciso, che l'editore o gerente il quale ripete un articolo pubblicato in altro
giornale, si rende egli stesso pubblicatore, diviene responsabile del
suo contenuto, e passibile, come autore principale, di tutte le pene
portate dalla legge (V. Dalloz, 1. c. n. 1135 e seg.).
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268 PARTE SECONDA 264
di divulgare uno scritto o una proposizione infamante, che sia insomma concorso in lui il dolo, elemento essen
ziale d'ogni delitto. E l'animus injuriandi nel Benvenuti, il quale am
mette di aver fatta pubblicare la corrispondenza incri
minata e di essere autore della premessa o cappello, non emerge, ad avviso della Corte, dimostrato. Ed in
vero, nella premessa egli dice, che sebbene la corri
spondenza parta da persona alla quale non poteva ne
gare fede, pure sperava per il decoro del collegio che
ella esagerasse i fatti, e quindi soggiunge, che se
quanto ella narrava fosse vero e non venisse recisa
mente smentito, sarebbe costretto, ove avesse a riu
scire nella domenica successiva l'onorevole Tenani, ad
invocare dalla Camera un'inchiesta giudiziaria. Con ciò
il Benvenuti non ha fatta sua la corrispondenza, non si
è associato interamente all'autore della medesima, ma
invece ha insinuato nei lettori il dubbio sulla piena ve
rità dei fatti in essa esposti e quindi anche di quello dell'abbruciamento delle schede. L'ultimo capoverso
poi della premessa non si riferisce ai fatti del 21 feb
braio, ma bensì, a timori di fatti eventuali nella dome nica 28 di quel mese, ed al medesimo capoverso non si
può pertanto ricorrere, come fecero i primi giudici, per trarre argomenti a carico nel Benvenuti. Rimano così, almeno incerto, se egli pubblicasse la corrispondenza coll'intenzione di diffamare i membri dell'ufficio eletto
rale di Crespino. Se le parole sono equivoche e si pre stano a doppio senso, a quello cioè ingiurioso e non in
giurioso, spetta in allora all'accusa di provare che con
corse nell'imputato Vanimus injuriandi, bastando al
l'imputato medesimo di asserire che usò le parole in
senso buono e non colla mira di ingiuriare. Il dottore
Benvenuti sostiene di non aver avuto l'animo d'intac
care l'onore e la riputazione delle rispettabili persone che componevano il seggio di Crespino, fra le quali an
noverava degli intrinseci amici, e la prova cui l'accusa
incombeva non venne data.
Ma v'ha di più. É comprovato inoltre che il Benve
nuti prima di far inserire la corrispondenza neWElet
tore liberale si portasse a (lavello per assumere infor
mazioni sulla verità dei fatti in essa accennati, ed otte
nesse assicurazione che pure quello dell'abbruciamento
delle schede contestate era vero, per cui anche da ciò
dovrebbe dubitarsi che egli avesse in mira di diffamare
i componenti il seggio di Crespino. Deve perciò essere
assolto. a
RIVISTA DI GIURISPRUDENZA PENALE
Cassazione — Motivi — Violazione «l'articolo (Cod. proc. pen., art. 159).
La semplice dizione « violato l'art. 624 Cod. pen. » non è sufficiente a conseguire lo scopo del legislatore, il quale vuole che il ricorso sia motivato.
(Corte di cassazione (li Roma, udienza 28 marzo 1876 — Pres. Ghiglieri, P., Est. De Donno, P. M. Spera — Ric. Pozzi Caterina (Avv. Pugno) — Collez. 1876, pag. 92).
Contravvenzione — Stabilimenti contemplati all'ar ticolo :» legge «li |>nl>blica sicurezza —- Lanterna (li notte (Log. pubblica sicurezza, art. 3, 45).
Apertosi anche momentaneamente di notte uno degli stabilimenti indicati nell'art. 3 della legge di pubblica si
curezza, conviene accendere la lanterna, a norma dell'ar ticolo 45 della stessa legge, altrimenti si cade in contrav venzione.
(Corte di cassazione di Roma, udienza 14 marzo 187G — Pres. Grhigìieri, P., Est. Ferreri — P. M. c. Curti —
La Legge, 1876, II, 179).
Interrogatorio —Atto «l'accusa— Notificazione — «ili rati or«linari — Citazione — Questioni — Grassazione — Furto —• ©micHlio (Cod. pen., art. 533, n° 3, e 569, n° 11 — Leg. 8 giugno 1874, art. 29, 34,36 e 44).
Non è nullo l'interrogatorio dell'accusato, per essersi raccolto nel giorno stesso in cui gli si erano stati già notifi cati la sentenza di rinvio e l'atto di accusa.
Secondo la nuova legge sull'ordinamento dei giurati, gli ultimi 10 ordinari non debbono essere citati, se non quando consti della irreperibilità o impedimento di altrettanti fra i primi 30.
Quantunque in tesi generale non possa dirsi complessa la
questione di grassazione per depredazione accompagnata da omicidio, a cagione della riunione dei due reati o del nesso tra i medesimi, nondimeno deve ritenersi tale, se chiesto dalla difesa di prospettarsi il fatto anche sotto la
figura di furto e di omicidio concorrenti, il presidente ab bia subordinatamente proposto la sola questione di furto.
(Corte di cassazione di Napoli, udienza 28 gennaio 1876 — Pres. Ciampa P., Est. Narici — Ric. Nizio — La
Legge, 1876, pag. 400).
Stampa — l>irettori — Responsabilitil — Complicità — Dolo (Legge 26 marzo 1848, art. 4,5,37, 47 — Cod. pen., art. 1,102,103, 572).
Il direttore di un giornale può tenersi responsabile come
complice per gli articoli da lui pubblicati soltanto quando si provi che agì con dolo (1).
(Corte di cassazione di Torino, udienza 21 aprile 1876 — Pres. D'Agliano P., Est. Buniva, ric. marchese Caiani, direttore della Gazzetta di Torino — Monit. dei Trib. di
Milano, 1876, pag. 527).
(1) Nella specie la Corte Suprema di Torino ha argomentato così: « Analizzati esattamente i fatti, non raffigurano niente più che
l'opera del direttore della Gazzetta di Torino. il quale ad occasione di una polemica sorta tra due direttori di scuole veterinarie dichiara di avere riconosciuto il tenore degli scritti di cui è caso, di volerli accogliere nel giornale, come fece. Dichiara di ciò fare, perchè la questione, a suo parere, non è tanto personale quanto di pubblico interesse, e che brama la soluzione di una questione importante, quella cioè della responsabilità del direttore del giornale. Questi fatti non rivelano nè l'intenzione criminosa da cui fosse mosso il Caiani di ingiuriare pubblicamente anche per conto suo il profes sore Oresti, associandosi all'intendimento dei Desilvestri e Piovano, nè veruna causa in lui di delinquere, nè veruno di quei molti fatti previsti dalla legge ed attenenti direttamente a consumare il reato, mercè un concorso personale all'autore od autori del medesimo.
« La Corte cadde anche in errore, quando pose a base del suo giu dicato una vieta massima in fatto d'ingiuria, riprovata universal mente dalla dottrina e dalla giurisprudenza, cioè : verba sua natura imperiosa praesumuntur animo injurandi prolata nisi contrarium probetur. »
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