Udienza 17 ottobre 1902; Pres. Fiocca, Est. Romano —Ric. Gagliardi e SamaritaniSource: Il Foro Italiano, Vol. 28, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1903), pp.67/68-69/70Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23106103 .
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PARTE SECONDA
personale di chi fu offeso nella riputazione o nell'onore
tranne il caso di cui nell'art. 105 cod. proc. penale. Non pertanto, se l'offeso muore prima di aver dato
querela, si concede, per il tempo che rimane, l'istesso di
ritto a designati congiunti ed affini ed anche agli eredi
immediati, per essere, al dire del Guardasigilli, " inte
ressati a mantenere inviolato, come sacro e prezioso re
taggio, l'onore di un nome, che è pure il loro, o la me
moria di una persona cui sono avvinti da delicati ricordi
di affetto o di riverenza „. E l'antica dottrina, secondo
la quale nella famiglia injuria facta uni, alteri facta cen
setur. L'offesa fatta al congiunto si riverbera anche su
quelli che gli sono congiunti per sangue o affinità, o che
ne continuano la rappresentanza giuridica, d'onde la ra
gione dell'eccezione.
Il codice non prevede, ed a ragione, il caso che la
persona offesa muoia dopo aver dato querela, perchè non
tornava ad uopo, come nel caso opposto, sancire alcuna
disposizione. Quando non manca la querela dell'offeso, cessa l'in
teresse dei parenti o degli eredi di tutelare il decoro del
nome, e perciò, se non sono querelanti, non possono avere
il diritto di fare remissione, sia che si guardi all'art. 400
cod. pen. che concede ai parenti od eredi facoltà di dar
querela, se questo diritto non sia esercitato dalla perso na offesa, per non lasciare impunita 1' ingiuria, sia che si
guardi agli art. 88 cod. pen., e 116 cod. proc. pen., che
concedono la facoltà della remissione alla parte lesa, o, come dice l'art. 116, alla parte stessa che dà querela.
Ed è necessario che sia cosi, perchè se l'offeso, es
sendo arbitro di far ciò che conviene a tutela del suo
decoro, ha stimato di far querela dell'ingiuria, non può
questa volontà, nel caso di morte, venir meno o cessare
per la remissione del congiunto o dell'erede come se la
remissione possa aver luogo per effetto di una volontà
che non sia quella del querelante. Se non è più possibile la remissione per la morte di
chi diede querela, non per questo può attribuirsene la
facoltà all'erede o congiunto, il quale ha il diritto di far
punire le offese fatte al defunto, se questi non ne fece
querela, ma non quello di farne remissione contro la vo
lontà manifestata dall'offeso col darne querela. Il Tribunale, che divagò in tanti argomenti, non pose
mente alle norme che regolano la remissione, per attri
buirne il diritto, contro il testo degli art. 88 cod. pen. e 116 cod. proc. pen., oltre che alla persona di chi fece
querela, a coloro che ne sono gli eredi, come se fosse un
diritto patrimoniale, e ciò per la ragione che l'erede
possa esercitare tutte le azioni del defunto o farne ri
nunzia.
Che, trattandosi di una manifesta violazione della leg
ge, è necessario annullare l'impugnata sentenza.
Per questi motivi, accoglie il ricorso del p. m.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 17 ottobre 1902 ; Pres. Fiocca, Est. Romano —
Ric. Gagliardi e Samaritani.
Falso — Cambiale — Uso (Cod. pen., art. 284).
Il delitto di falsità in cambiale è consumato con la fal
sificazione del titolo senza che occorra se ne faccia
uso. (1)
La Corte : — Gagliardi Alessandro e Samaritani Vit torio imputati di falsità in cambiali, furono ritenuti in
vece, dal Tribunale penale di Ravenna, responsabili di
abuso di foglio in bianco e condannati alla reclusione, il primo per mesi sei e alla multa di lire 400, ed il se condo a cinque mesi ed alla multa di lire 335. Essi pro dussero appello, sostenendo la inesistenza del reato; ap
pellò ancbe il p. m. ; e la Corte d'appello di Bologna, con
sentenza del 2 giugno 1902, respinto il gravame del
p. m., accolse invece quello dei condannati e dichiarò
non luogo a procedere per inesistenza di reato.
Ricorre il p. m. ed osserva che tutta la questione ri
ducesi a vedere se la cambiale sia un documento pub blico o una scrittura privata, perchè se documento pub blico il falso è consumato e perfetto con la semplice al
terazione, mentre per la scrittura privata occorre se ne
faccia uso. E non potersi dubitare che, essendo la cam
biale, per l'art. 284 cod. pen., equiparata all'atto pub
blico, non occorre che se ne faccia uso, come erronea
mente ritenne la Corte d'appello, dichiarando non luogo a procedere per inesistenza di reato.
Non si dissimula che la giurisprudenza del Supremo
Collegio non è stata sempre concorde e che nella più recente sentenza del 4 dicembre 1901 avrebbe ribadito il
concetto che alla sussistenza del reato di falso in cam
biale occorra siasene fatto uso.
Ciò non pertanto : trattandosi d'un caso davvero grave e veramente tipico, non si ritiene azzardato sottometterlo alla sapienza della Corte Suprema.
Attesoché la chiusa del ricorso del p. m., letteral
mente riferita, richiama l'attenzione del Supremo Colle
gio sulla rilevante questione risoluta sempre da questa sezione fin dal 1890 con innumerevoli sentenze nel senso
del ricorso. E la risoluzione non può esser dubbia a
fronte della legge. Che il momento consumativo del falso in atto pub
blico, commesso sia dal pubblico ufficiale, sia dal priva
to, si verifichi quando avviene la falsificazione materiale
o morale del pubblico documento, e non sia elemento es
senziale l'uso del documento, perchè è reato d'indole so
ciale ed è per sè una lesione alla pubblica fede che i
cittadini hanno diritto e dovere di vedere rispettata, è un principio inconcusso e indiscutibile desunto dal testo
degli art. 275 e 278 cod. penale.
Che, al contrario, l'uso sia elemento essenziale e co
stitutivo del falso nella scrittura privata, si desume dal
l'art. 280 cod. pen. in cui si dice: "
chiunque forma in tutto o in parte una scrittura privata falsa è punito ....
quando egli o altri ne faccia uso „ ; e la ragione è evi
dente, perchè se della privata scrittura non si fa uso e la si tiene nel forziere non ci è possibilità di danno. La
questione, quindi, si riduce a questo: il falso in cam biale è falso in atto pubblico, o in privata scrittura per la quale sia necessario, come elemento costitutivo, se ne
faccia uso, come fu ritenuto dalla Corte d'appello di Bo
logna nella denunziata sentenza e ritengono i sostenitori
della stessa tesi ?
(1) In senso conforme, vedi stessa Corte, 13 ottobre 1899
{Foro it., 1900, II, 31), e le altre sentenze ivi citate in nota,
nonché quelle del 27 novembre 1899 e 23 maggio 1900, ric. Suma, altra di pari data, ric. Salbego (id., Rep. 1900, voce Falso pen., nn. 34, 37-39), 29 novembre 1901 (Casa, unica, XIII, 571 ; Oiur. pen., Torino, 1902, 169), 27 maggio 1902 (Cass. unica, XIII, 1377; Temi veneta, 1902, 827, con nota del prof. Stoppato), ecc.
In senso contrario vedi le sentenze 22 giugno 1900 (Foro it., 1900, II, 337), e 4 dicembro 1901, citata nell'attuale (Sup plein, alla Riv. pen., X, 310).
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69 GIURISPRUDENZA PENALE 70
Imperocché, dicono essi, la legge ha equiparato nel
l'art. 284 cod. pen. le cambiali agli atti pubblici pei soli effetti penali, mentre nel fondo la cambiale resta sempre una privata scrittura e finché non se ne faccia uso può essere distrutta o surrogata con altra, e nessun danno,
neppure potenziale, né può derivare. Argomenti fallaci, coi quali si viola il testo della legge, non solo, ma si
mostra d'ignorare l'indole e l'importanza di questo ti
tolo di credito. Si viola la legge, la quale nell'art. 284
cod. pen., equiparando le cambiali a tutti i titoli di cre dito trasmissibili per girata o al portatore agli atti pub blici, non ha limitata l'equiparazione ai soli effetti pe
nali, ma, richiamando i precedenti articoli (tra i quali il 275 e 278), ha voluto attribuire alle cambiali l'entità ed il valore giuridico di atti pubblici per tutti gli effetti, nessuno escluso. L'interpretazione restrittiva dell' equi
parazione alla sola pena è, quindi, del tutto errata e con
traria a tutte le regole dell' ermeneutica legale. Ma,
poi, i sostenitori di questa tesi si sono dati ragione o,
per lo meno, si sono domandati, perchè l'art. 284 cod. pen.
equipara le cambiali e i titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore agli atti pubblici ? Perchè la fun
zione della cambiale nel commercio, una delle fonti più
importanti della prosperità economica delle nazioni, non
deve subire ritardi nel suo rapido corso, con alterazione
materiale o morale che paralizzerebbe i rapporti commer
ciali. Perchè oggi la cambiale è divenuta un titolo di credito analogo al biglietto di banca, alla moneta cor
rente, e per l'esercizio dell'azione cambiaria ha l'effetto
di titolo esecutivo, secondo le disposizioni dell'art. 554 cod. proc. civile.
Ecco la funzione ed il valore giuridico della cambiale
equiparata dal codice penale all'atto pubblico coerente
mente alle disposizioni del codice di commercio. E il
danno, non solo potenziale, ma effettivo che ne derive
rebbe ai rapporti commerciali, arrestati o intralciati dal
falso, sarebbe enorme. Il testo della legge adunque, e
l'intenzione che ispirò il legislatore penale nel dettare la
disposizione dell'art. 284 cod. pen. non lasciano nemmeno
il dubbio, a giudizio del Supremo Collegio, che il falso in cambiale è falso in atto pubblico consumato e perfetto nel momento dell'alterazione materiale e morale del do
cumento, e non sia necessario, per la sua sussistenza, se
ne faccia uso.
Quindi, facendo diritto al ricorso del p. in., la Corte
accoglie il ricorso, annulla 1' impugnata sentenza e rin
via la causa per nuovo esame alla Corte d'appello di Mo
dena.
CORTE DI CASSAZIONE DI EOMA. Udienza 23 ottobre 1902 ; Pres. Fiocca, Est. Tivaroni
— Ric. Prato.
It Minio obbedienza — Sindaco — Jlivleto di recitare
in pubblico poesie allusive (Cod. proc. pen., art. 434 :
L. com. e pro v., art. 150).
È legale l'ordinanza del sindaco che proibisce di recitare
in pubblico durante il carnevale delle poesie oscene od
allusive a persone.
La Corte: — Ritenuto che nel 15 febbraio 1902 il sindaco di San Pietro Vernotico pubblicò il seguente manifesto :
" Visto l'art. 49 della legge di p. s., prescrive quanto
segue :
" In occasione della festa del Carnevalone, stabilita
pel giorno 16 corr., è permesso di comparire in pubblico,
mascherato, purché dette maschere non siano allusive o
offensive a persone, nè si permette il travestimento con
abiti militari od ecclesiastici. " E poi assolutamente proibito di fare le così dette
poesie. " Ai contravventori alla presente ordinanza saranno
applicate le pene prescritte dal suddetto art. 49
Denunziato Prato Giuseppe per avere contrariamente
a tale ordinanza, nelle ore pom. del 16 febbraio 1902, recitato sulla pubblica piazza del paese versi osceni allu
sivi a persone, il pretore di Campi Salentino, con sentenza
14 giugno 1902, lo dichiarò responsabile della contrav
venzione di cui all'art. 434 cod. pen. per non avere os
servato un provvedimento legalmente dato dal sindaco
per ragione di p. s. e lo condannò all'ammenda di lire 30.
Avverso codesta sentenza il Prato ricorre pei seguen ti mezzi:
1° il pretore non poteva ritenere applicabile al caso
l'art. 434 cod. pen., perchè il provvedimento del sindaco
non era legalmente dato. Violazione del detto articolo ; 2° violazione dell'art. 150 legge di p. s. (rectius leg
ge com. e prov.) e 434 cod. penale. Il sindaco non poteva dirsi autorizzato ad emettere
l'ordine che si assume trasgredito ed in ogni caso era
inapplicabile al fatto l'art. 434. 3° violazione degli stessi articoli e dell'art. 323, n. 3,
cod. proc. penale. Subordinatamente la sentenza difetta di motivazione
perchè non vi è detto in che consista la poesia incrimi
nata per dedurne la violazione, o meno, dell'ordine emesso.
Considerato sovra i due primi mezzi del ricorso che, ai sensi dell'art. 150 legge com. e prov. il sindaco, quale ufficiale del Governo, è incaricato, fra altro, di invigilare a tutto ciò che possa interessare l'ordine pubblico. Di
fronte a tale disposizione di legge rettamente osservò il
pretore che, se il sindaco ha detto incarico, deve per
conseguenza avere il diritto di emettere tutti quei prov vedimenti di p. s. che reputi necessari al mantenimento
dell'ordine stesso.
Donde la denunziata sentenza trasse pur esattamente
l'ulteriore illazione che il sindaco di San Pietro Verno
tico aveva diritto di pubblicare il suindicato manifesto a tutèla dell'ordine, della sicurezza pubblica, una volta che
a suo giudizio nelle circostanze contemplate dal manife
sto stesso la lettura di poesie oscene od allusive a per sone poteva provocare dei disordini.
Nè codesto giudizio potrebbe essere sindacato dal ma
gistrato ordinario.
E poiché pel fin qui esposto non può dubitarsi che il
manifesto, più volte menzionato, ponesse in essere un
provvedimento legalmente dato dall'autorità competente
per ragione di ordine pubblico, di pubblica sicurezza,
egli è evidente che il pretore pronunciando di conformi
tà, lungi dal violare, bene interpretò ed applicò gli art. 150 legge com. e prov. e 434 cod. penale. Devonsi re
spingere pertanto i due mezzi in esame. Ed insieme ad
essi il terzo; imperocché la denunziata sentenza non fu
muta sul carattere della poesia incriminata, ma affermò
invece esplicitamente che conteneva versi osceni ed allu
sivi a persone, emettendo in tal guisa un apprezzamento di mero fatto e quindi incensurabile dinanzi al Supremo
Collegio. Nè può dubitarsi del pari che in base a codesto ap
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