Udienza 2 dicembre 1878, Pres. Ghiglieri, Est. Canonico, P. M. Spera (Concl. conf.) —Ric.Palizziotta Francesco ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp. 53/54-55/56Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084670 .
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53 GIURISPRUDENZA PENALE 54
proposte ai giurati, è chiaro che si è fraintesa la legge, |
obliandosi i precisi termini di essa.
Che fra le utili modificazioni portate dalla enunciata
legge all'art. 495 del Codice di procedura penale vi è
quella sapientissima riguardante il caso in cui devonsi
proporre ai giurati questioni intorno a fatti che esclu
dono la imputabilità. Con essa si dispone doversi indi
care nella prima questione non altro che il fatto del
l'accusa nei suoi elementi materiali; nella seconda, la
condizione psicologica dello agente escludente la im
putabilità; e nella terza, in caso di risposta negativa
alla precedente, l'elemento morale del reato, cioè a
dire il concorso della volontà, della intenzione cri
minosa.
Questo nuovo metodo di proporre le quistioni, in caso
che la difesa deduca fatti escludenti la imputabilità
dell'accusato, riconduce la istituzione dei giurati all' in
dole sua propria di un giudizio di puro fatto, ed eli
mina tutte le possibili contraddizioni che solevano uni
ficarsi con l'antico sistema.
Osserva che nel caso in esame fu dedotto a difesa
dell'accusato Verticchi un fatto escludente ogni colpa
bilità, cioè che il detto accusato avesse commesso
l'omicidio imputatogli, essendo in uno stato di totale
privazione di mente per cagione di onore. Così stando
le cose, il presidente stimò di poter proporre ai giu
rati le questioni nell'ordine seguente:
Prima questione: « Siete convinti che l'accusato
« Pietro Verticchi nel 22 luglio 1877 abbia volontà
« riamente a colpo di fucile ucciso Stefano Monte
« murri? »
Seconda questione: « Nell'affermativa della prece
« dente questione, concorse la circostanza che l'accu
« sato stesso nel tempo in cui esegui l'azione trovavasi
« per cagione di onore in istato permanente o tran
« sitorio di privazione di mente, ovvero vi fu tratto
« da una forza alla quale non potè resistere? »
Or, datà affermativa risposta alla questione prima e
negativa alla seconda, la Corte in conseguenza di questa
dichiarazione dei giurati condannò l'accusato alla pena
del carcere per anni cinque, come colpevole di omicidio
volontario col concorso di circostanze semplici ed at
tenuanti.
Osserva che è evidente l'errore della prima questione
sul fatto principale. Ed in vero essa non si contiene
nei termini del puro fatto materiale, 211a si estende
eziandio alle sua moralità, avvegnaché si è domandato
ai giurati non solo se fossero convinti che l'accusato
avesse tolto la vita a Montemurri con un colpo di fu
cile, ma pur anco che gliela avesse tòlta volonta
riamente. La qual cosa è incompatibile e contraddice
al fatto giustificativo escludente ogni imputabilità de
dotto a difesa dell'accusato, non essendovi volontà dove
non vi è discernimento, vale a dire libera facoltà di
volere o non volere, conciossiachè la privazione di
mente consiste precisamente nel turbamento delle pas
sioni e delle volontà senza causa esterna attuale e di
cui non si ha coscienza.
Or l'affermare la volontà nell'agente invaso da si
migliante turbamento nel momento dell'azione importa escludere a priori la circostanza derimente la impu
tabilità, ch'era il soggetto della seconda questione. Onde
facilmente i giurati, facendo quel ragionamento che il
proponente le questioni non seppe fare, cioè che af
fermandosi la volontarietà dell'accusato nell'omicidio,
era ad essi interdetto affermare poi la privazione di
mente, per non cadere in un'aperta contraddizione af
fermarono 1' una e negarono l'altra, ammettendo sola
mente il vizio parziale di mente ai termini dell'art. 95
Codice penale per le Provincie napolitane. E così i
giurati non ebbero nel deliberare quella piena libertà
che la legge loro concede.
In conseguenza il ricorrente a ragione si duole di
essere stata a suo danno violata la legge; Per queste ragioni, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 2 dicembre 1878, Pres. Ghiglieri, Est. Cano
nico, P. M. Spera (Conci, conf.) — Ric. Palizziotta
Francesco ed altri.
Contrabbando — Casi assimilati — Pena ridotta a
metà — Tabacchi (Legge 15 giugno 1865, n. 2397,
sui sali e tabacchi, art. 28, 23 e 26).
La disposizione dell'articolo 28 della legge 15 giu
gno 1865, per la quale la multa determinata dai
precedenti articoli 23 e 26 è ridotta alla metà per
le contravvenzioni assimilate al contrabbando, si
applica tanto se la contravvenzione si riferisce a
sale, quanto se si riferisce a tabacco.
La Corte ecc. — (Omissis) — Atteso, "in ordine al
secondo mezzo, che a senso del disposto dell' invocato
art. 28 della legge 15 giugno 1865 (n. 2397) nelle con
travvenzioni assimilate al contrabbando la multa è
la metà di quella determinata negli articoli 23 e 24,
senza che si debba far distinzione (come erroneamente
suppose il Tribunale nella sua sentenza confermata poi
in appello) fra il caso in cui si tratti di tabacco e
quello in cui si tratti di sale;
Che, a senso dell'art. 24 della stessa legge, le pene
del contrabbando consistono in una multa fìssa di lire 51
ed in una multa proporzionale di lire 10 a 20 per ogni
chilogramma (o frazione di chilogramma) pel tabacco
lavorato ;
Che la sentenza del Tribunale confermata dalla Corte
d'appello di Palermo, avendo applicato per la contrav
venzione assimilata al contrabbando, di cui si resero
colpevoli i ricorrenti, la multa fissa di lire 51 e la
multa proporzionale di lire 10 per l'unico chilogramma
legale di tabacco greggio che fu sequestrato, eviden
temente prese per base della penalità il disposto del
l'art. 24, n. 1, e non l'ultimo alinea dell'art. 28 della
citata legge; la qual cosa dimostra altresì che la multa
proporzionale di lire 260, a cui condanno i ricorrenti
per tabacco lavorato (corrispondente ai 13 chilogrammi
sequestrati, in ragione di lire 20 per chilogramma) non
! rappresentava la misura a cui avesse il Tribunale vo
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55 PARTE SECONDA 56
luto attenersi entro la latitudine accordatagli dalla
legge di lire 10 a lire 20 per chilogramma in ordine
alle contravvenzioni assimilate al contrabbando, bensì
jl minimum della multa da lire 20 a 60 stabilita pel
vero contrabbando ; Che per altra parte ciò risulta con viemaggiore
evidenza, sia dalla citazione dell'art. 24, n. 1, che si
fece nella sentenza del Tribunale, sia dall'essersi nella
medesima detto in termini espressi, benché senza fon
damento, che la. diminuzióne della metà stabilita nel
l'ultimo capoverso dell'art. 28 è solo applicabile quando
si tratti di contravvenzione relativa al sale, non a
quelle riguardanti il tabacco;
Per questi motivi, cassa ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 16 dicembre 1878, Pres. Ghiglieri, Est. Salis,
P. M. Spera (Conci, conf.) — Ric. Carta Liberato
ed altri.
Giurati — Capo — Assenza «lei primo estratto —
Modo «li surrogarlo (Cod. proc. pen., art. 501 ; Re
golamento sui giurati 1° settembre 1874, n. 2061,
art. 31).
Allorché il primo estratto dei giurati non si presenti
perchè impedito da malattia, è conforme alla legge
che la Corte gli sostituisca nelle funzioni di capo
del giurì il giurato che fu estratto immediata
mente dopo; non essendo applicabili a questo caso
le disposizioni stabilite per quello ben diverso in
cui il primo estratto, senza cessare di esser giu
rato, ricusi o sia impedito di far da capo del giurì.
La Corte, ecc. — Attesoché ben lungi che la Corte
d'assise di Cagliari meriti censura, dev'esser lodata
per la giusta applicazione che ha fatto della dispo
sizione dell'art. 501 Cod. di proc. pen., il quale articolo
nella sua prima parte dispone: « È capo dei giurati
il primo di essi estratto a sorte ».
Or, essendo stato impedito da malattia il giurato
Francesco Melis, ch'era il capo dei giurati, perchè era
stato il primo estratto non ricusato, la Corte merita
mente con ordinanza del 5 agosto lo sostituì, nella
qualità di capo dei giurati, coll'altro giurato Francesco
Poddu, il quale, tolto dal giurì il Melis, era il primo
estratto, e quindi era il giurato cui di diritto, giusta il
citato art. 501, spettava l'onore d'esser capo dei giu
rati; eccettochè egli avesse rinunciato a tal carico,
nel qual caso la scelta doveva farsi colle norme se
gnate nella 2° parte del citato art. 501 e nell'art. 31
del regolamento del 1° settembre 1874, dove nel primo
comma si parla di rinuncia del primo estratto e di
scambio di posto col medesimo. Nel capoverso dello
stesso art. 31 si prevede un caso speciale d'impedi
mento sopravvenuto nella Camera delle deliberazioni.
Non devonsi confondere i due casi diversi: quello cioè
in cui il primo estratto cessa d'esser, giurato ; e l'altro
in cui, rimanendo giurato, ricusa o è impedito di far
da capo dei giurati senza smettere le funzioni di giù
rato. Il 1° caso è preveduto nella la parte dell'art. 501; l'altro caso è contemplato dalla 2a parte dello stesso
art. 501 e dall'art. 31 del regolamento, facendo distin
zione per la forma del procedimento tra il caso in cui
l'impedimento avvenga nell'udienza o nella Camera
delle deliberazioni. In conseguenza il mezzo deve ri
gettarsi ; Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 4 dicembre 1878, Pres. Ghiglieri, Est. Nico
lai, P. M. Spera. (Conci, conf.) — Ric. Patacca Gen
naro ed altri, e Procuratore del Re di Teramo.
lumi stia — Pena dt morte — Commutazione —
Quando sia applicabile (Regio decreto d'amnistia
19 gennaio 1878, art. 3).
Il beneficio della commutazione della pena di morte
nei lavori forzati a vita, giusta il regio decreto
d'amnistia del 19 gennaio 1878, non ha luogo in
ogni caso in cui il reato sia punibile pei' sè stesso
con la pena capitale, ma soltanto allorché la pena dovuta in concreto per le circostanze del fatto sia
effettivamente quella di morte. (1)
La Corte, ecc. — Sul ricorso del pubblico ministero. —
Attesoché contro la sentenza abbia ricorso anche il
pubblico ministero, denunziando la violazione dell'ar
ticolo 3 del regio decreto d'amnistia 19 gennaio 1878,
per essersi applicata malamente la pena temporaria dei lavori forzati, partendo dal falso principio che in
virtù dell'anzidetto articolo 3 del regio decreto d'amni
stia si dovesse nel caso commutare la pena capitale, minacciata al crimine del quale si tratta, in quella dei
lavori forzati a vita, e, diminuendo questa di un gradò
per le ammesse circostanze attenuanti, discendere a
quella di anni venti, che venne applicata; Attesoché un tale principio, nel quale la sentenza è
fondata per l'applicazione della pena, è manifestamente
erroneo e viola l'articolo 3 del menzionato decreto di.
amnistia, dovendo procedere il diverso principio che .
non sia luogo ad applicare il benefico disposto del sud
detto articolo 3 se non dopo definita e pronunciata la
pena dovuta al reato, tenuto conto delle aggravanti e
delle diminuenti, Or, nella specie, la pena dovuta al
crimine di assassinio, del quale trattasi, non poteva essere che quella dei lavori forzati a vita, diminuendo
d'un grado, per le ammesse circostanze attenuanti, in
dipendentemente dal disposto dell'articolo 3 dell'amni
stia, la pena capitale minacciata dall'articolo 531 del
Codice penale, onde non era nel caso applicabile il
benefico disposto del suddetto articolo 3, né poteva farsi valere per l'effetto di commutare la pena capi tale nei lavori forzati a vita, e diminuire poi quella d'un
grado per riguardo delle circostanze attenuanti.
Sussiste adunque la violazione dell'articolo 3 del regio
(1) Conforme, Cass. Palermo, 23 aprila 1878 (Foro it., 1878, col. 232).
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