Udienza 20 luglio 1897; Pres. ed Est. Risi —Ric. P. M. nell'interesse della legge in causaCapararoSource: Il Foro Italiano, Vol. 22, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1897), pp.449/450-451/452Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23101100 .
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449 GIURISPRUDENZA PENALE 450
CORTE DI CASSAZIONE CI ROMA. Udienza 20 luglio 1897; Pres. ed Est. Risi — Ric.
P. M. nell'interesse della legge in causa Capa
raro.
Ingiurie — Compeuakiione — Con temporali «HA — Mancanza di querela (Cod. pell., art. 397j.
Per farsi luogo alla compensazione delle ingiurie,
di cui all'art. 397 cod. pen., non occorre che
siano contemporanee. (1)
. .. . Ma la compensazione non può pronunziarsi se
il querelato non abbia alla sua volta dato que
rela per le ingiurie fattegli dal querelante. (2)
La Corte: — Osserva che il ricorso stato dedot
to nell'interesse della legge contro la sentenza 15
maggio 1897 del pretore di Sant'Angelo dei Lom
bardi sollevale seguenti due quistioni :
1° Per farsi luogo alla compensazione delle in
giurie di cui è parola nell'art. 397 cod. pen., oc
corre la contemporaneità delle medesime ? Su que
sto punto la Corte regolatrice non può convenire
col ricorrente p. m., e ritiene invece che la con
temporaneità delle ingiurie non è necessaria perchè
il magistrato di merito abbia facoltà di compen
sare le ingiurie. Anche ingiurie che non hanno
carattere di contemporaneità, possono dar luogo
(1-2) Con la sentenza '26 agosto 1896 (Foro it., 1896,
II, 447), la suprema Corte stabili non potersi ammette
re la compensazione a favore di chi ingiuria non per
ritorcere 1' ingiuria ricevuta o sotto 1' impressiono di
questa, ma per offendere, quantunque agisca pel ricor
do di ingiurie fattegli nei giorni precedenti. Crediamo
però che tale sentenza non sia contraria alla presente,
poiché allora tratta vasi d'ingiuria pronunziata qualohe
mese dopo quella ricevuta, sicché l'imputato, come si
espresse la stessa sentenza, non trovavasi nella condi
zione di chi "ritorcendo la ingiuria sotto la impres
sione di altra ingiuria patita, erompe in essa meno per
proposito di denigrare il suo ingiuriatore, quanto per
riparare alla propria dignità offesa „. E poiché questa condizione può avverarsi anche quando le ingiurie non
siano contemporanee, cosi la sentenza attualo ci pare
del tutto esatta, e non contraria alia precedente.
Riguardo poi alla 2a massima, non crediamo che sia
conforme né alla lettera dell'art. 397 cod. pen., che nel
l'accordare il beneficio non mette la condizione della
reciproca querela, né allo spirito di esso, poiché essen
do il beneficio concesso in vista dello stato di animo e
dello scopo di chi ritorce contro il suo offensore la in
giuria ricevuta, l'avere o no sporto querela è del tutto
indifferente. Pubblichiamo poi la requisitoria del p. g. (Melega
iti) che è difforme <lalla sentenza sulla prima massima. " Il P. G. : — Nel 19 aprile 1897, Agostino De Biasi,
giornalista di S. Angelo dei Lombardi, sporgeva que
rela contro Capararo Antonio, sottoprefetto di detta cit
tà, perchè nel giorno precedente, mentre esso querelan te passeggiava con altri in via del Duomo della città
slessa, improvvisamente l'investiva, afferrandolo,spin
gendolo e tenendolo fermo contro il muro, apostrofan dolo con le parole: "rettile schifoso, finalmente ti ho
trovato Il querelato presentava le sue deduzioni a difesa in
scritto, chiedendo la compensazione delle ingiurie a lui
ascritte, perchè il De Biasi in antecedenza si era reso
verso di lui responsabile del delitto di oltraggio a cau
sa delle suo funzioni di sottoprefetto e posteriormente continuava ad offenderlo in reiterate corrispondonze
giornalistiche, accettate per proprie dal querelante nel
pubblico orale dibattimento. Il pretore di S. Angelo dei Lombardi, con sentenza
del 15 maggio 1897, non appellata dichiarava non far
si luogo a procedere contro il dott. Antonio Capara ro per inesistenza di reato di lesioni lievissime in pre
giudizio del De Biasi, costituitosi parte civile, ed esen
te da pena per l'altra imputazione d'ingiurie semplici in danno del medesimo, ritenendole compensate, con
dannandolo alle spese del giudizio. Se non che tale
pronunziato non è conforme alla legge e alle discipli ne cho regolano la materia. Per'il disposto dell'art.
397 del cod. pen. la pena dovuta all'ingiuriatore deve
in alcuni casi essere diminuita ed in altri casi o deve
o può pronunziarsene l'esenzione. È di diritto l'esen
zione quando chi ha offeso vi fu indotto da violenze
personali. Dipende dal prudente arbitrio del;magistrato
quando si tratti d'ingiurie scambiatesi reciprocamente tra i contendenti, mentre non si fa luogo che a dimi
nuzione quando 1' ingiuriatore sia stato provocato, a pa
role, dall'ingiuriato. E condizione quindi necessaria per chè il magistrato possa nel suo prudente arbitrio dichia
ralo l'esenzione della pena (quando chi ha offeso non vi
sia stato indotto da violenze personali) che vi sia st ita
reciprocanza, giacchèse vi è materia in cui l'olemento del
la reciprocanza ha un valore, è quella appunto delle in
giurie. Anzi bisogna risalirò al principio della ritorsio
ne, al vim vi repellere licet per trovare la ragione giuridica dell'esenzione della pena. Il che porta al concetto d'in
giurie scambiatesi fra i contendenti nel calore dell'al
tercazione, all'intendimento di respingere la violenza
delle offese, e mena necessariamente à quello della lo
ro contemporaneità (sentenza 20 febbraio 1894 di que sta Corte di cassazione, causa Crescimanno, e relazione
Zanardelli sul progetto presentato alla Camera dei de
putati nella tornata del 2 novembre 1887). Che se manca la contemporaneità dell'offesa, venen
do meno l'attualità della violenza, dovrà tenersi conto, nella punizione, dell'ingiustizia contenuta nell'oltrag
gio patito, diminuendo la pena per la provocazióne, ma
non mai pronunziarsi, come nel concreto fu fatto, l'e
senzione della pena. Inoltre tale temperamento equi tativo della compensazione, accolto nell'articolo succi
tato, e suggerito alla giurisprudenza dal diritto comu
ne, trova la sua origino, oltre che nella legge 151 ff., § 1
De reg. juris : " Illi debet pennini poenam petcre qui in
ipsam non inciditi , anche, e meglio, nella legge 39 ff.
soluto matrim: " Paria enimi delieta mutua yensatione dis
solvuntur „. Da cui consegue che per l'applicazione di
tale temperamento occorre anche la parità delle ingiu
rie, l'eguaglianza dei termini da elidere, giacché come
quando ad propulsandam injuriam l'offeso ritorcaul'in
giuria sul suo offensore, egli sta nel suo diritto fino a
che si contiene nei limiti dell'offesa ; nello stesso óio
do la compensazione quale mezzo d'esenzione della pe na perirne le pene reciproche dei contendenti altrimen
ti incorse, elide l'una l'altra quando i medesime si tro
vino nelle stesse condizioni. Quando cioè i reati sieno
dello stesso genere ed importanza e nelle medesimo con
dizioni di punibilità, e non già allora che per l'uno l'a
zione sia stata messa in moto e per l'altro no. La man
canza della querela se non è impedimento al sorgere
dell'azione penale, lo è però al suo esercizio, in quanto
che la querela, dove è necessaria a promuovere l'azio
ne è condizione sospensiva della punibilità. L' antica
giurisprudenza toscana (Cebetelli, verbo injuriae) ha
sempre accoltola compensazione quale mezzo estintivo
dell'azione, quando le offese e le ingiurie hinc inde pro
ferite erano leggiere, rispettivamente semplici e di ugua
le parità. E tale giurisprudenza fu mantenuta anche
dopo la pubblicazione del codice leopoldino, dalla Cor
te suprema fiorentina colla normale decisione 24 feb
Il Foro Italiano — Anno XXII — Parte 11 38.
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451 PA RTK SECONDA 452
alla compensazione, purché dedotte nello stesso
giudizio. Niun dubbio poi che la reciprocilà delle
ingiurie sia richiesta, ma cotesto requisito indi
spensabile per ammettersi la compensazione nella
specie fu riconosciuto dalla sentenza alla quale sot
to a questo aspetto non può muoversi utile cen
sura.
2° Una seconda quistione solleva il ricorso del
procuratore generale, sostenendo che il pretore di
S. Angelo dei Lombardi, non poteva dichiarare esen
te da pena il querelato Capararo, per non essere
egli alla sua volta querelante, per le pretese in
giurie state compensate. E su questo punto vuol
farsi diritto al ricorso. Difatti l'istituto della com
pensazione, per il quale il magistrato può, in ca
so di reciproche ingiurie, dichiarare esenti da pe
na le parti, presuppone necessariamente che le in
giurie stesse siano reciprocamente querelate da cia
scuna delle parti, e che il giudice le abbia rico
nosciute sussistenti a carico delle medesime. Nella
specie non querela da parte dell'imputato Capa
raro, nè il pretore si è curato di dichiarare la col
pabilità del querelante De Biasi in ordine alle in
giurie da esso Capararo dedotte ; in tale stato di
cose mancano i termini giuridici per ritenere av
venuta la compensazione e poter dichiarare esenti
da pena le parti.
Con ragione pertanto il procuratore generale de
nunzia la sentenza pretoriale sotto cotesto secon
do punto di quistione, e dev'essere perciò annulla
ta neir interesse della legge.
braio 1855 in caso d'ingiurie reciproche al seguito di
rispettive querele, confermando la sentenza 24 novem bre 1854 del pretore di Poppi ohe, esentati l'uno e l'al tro degl'intimati dalle penalità per l'ammessa compen sazione, sottoponeva ambidue alle spese degli atti e del
giudizio da pagarsi fra loro a perfetta metà. A tali
principi di diritto non uniformandosi la sentenza suc citata 15 maggio 1897 del pretore di Sant'Angelo dei
Lombardi, ohe ammetteva Oapararo Antonio all'esen zione di pena per compensazione d'ingiurie non con
temporaneamente pronunziate e non respettivamente querelate da entrambe le parti, il proc. geu., veduti gli art. 683 e 687 proc. pen., la denunzia per il dovuto esa me di legge a questa eccma Corte di cassazione chie dendone l'annullamento nell'interesse della legge „.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 4 giugno 1897 ; Pres. Risi, Est. Baudana
VaccoiiIni — Ric. Vittoria.
Omicidio colposo — Invito a soccorrere perso
ne in pericolo (Cod. pen., art. 371).
A ritenere la responsabilità per reato colposo, non
basta che la vittima sia accorsa all' invito dell' im
putato per salvare una persona in pericolo di
vita, mancando in quei supremi momenti la pos sibilità di provvedere con diligenza e perizia, co
me alla propria, così all'altrui incolumità.
La Corte : — II tribunale di Termini Imerese di
chiarò non farsi luogo a procedimento per inesi
stenza di reato a carico di Mariano Vittoria, im
putato di omicidio colposo in persona di Gaetano
Di Liberto e Bongiorno Agostino, e di lesioni col
pose in persona di Paolo Di Liberto ; fatti avve
nuti in seguito alla ripulitura di un pozzo.
Ne appellò il p. m.t e la Corte d'appello di Pa
lermo condannò il Vittoria a tre mesi di detenzione
per l'omicidio colposo di Gaetano Di Liberto e pel le lesioni di Paolo Di Liberto.
II condannato ricorre per cassazione, e deduce
che egli non poteva essere condannato, perchè fu
del tutto estraneo ai lavori che produssero la di
sgrafia, della quale fu ritenuto responsabile, e che
erano stati appaltati allo sventurato Agostino Bon
giorno, persona del mestiere ed abilissima; perchè non conosceva le condizioni del pozzo della casa
che egli abitava, per locazione, da 10 giorni ap
pena, e il proprietario dichiarò all'udienza che a
lui non ne fece mai parola; e perchè prosciolto
dall'imputazione dell'omicidio colposo in persona del Bongiorno, il tribunale non lo poteva, senza con
traddirsi, condannarlo per la morte di Gaetano Di
Liberto.
La Corte d'appello di Palermo ritenne che il Vit
toria non ignorava di aver preso in fitto un piano terreno con un pozzo da parecchi anni non usato ed
ingombro di luride materie di ogui specie, e per
procurare il nettamento adibì il nettapozzi di me
stiere Bongiorno Agostino per la mercede di L. 10:
costui scese e ridiscese nel pozzo a suo rischio e
pericolo, senza nulla richiedere al committente per le occorrenti precauzioni, e la sua sventura de
ve esclusivamente attribuirsi alla propria impru
denza.
Riguardo a Gaetano Di Liberto, ritenne che co
stui fu invitato di accorrere al salvataggio d<*l po vero Bongiorno dai coniugi Vittoria, senza essere
nemmeno legato ad una corda, e nel fondo del pozzo né giacque anche egli asfissiato; che di questo se
condo fatto è responsabile il Vittoria, il quale ri
chiese un operaio che non era del mestiere, e quan do era già edotto che una grave sventura aveva
dovuto succedere al Bongiorno, che non dava più
segno della sua esistenza; e che una mediocre pre cauzione fosse possibile lo dimostra il terzo espe rimento praticato dal Di Liberto Paolo, che, attac
cato ad una corda e calatosi nel pozzo, potè al
meno campare la propria vita, comunque uscitone
malconcio.
Ma questa sentenza, dopo aver prosciolto il Vit
toria dalla imputazione di omicidio colposo in per sona di Agostino Bongiorno, non persuade riguar
do alla condanna per gli altri fatti pronunciata.
E veramente, a fine di ritenere responsabile per reato colposo, non basta che la vittima sia accorsa
all'invito dell'imputato per salvare una persona in pericolo di vita. In quei supremi momenti non
si ha tempo, nè mezzo, nè volontà di provvedere
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