Udienza 21 gennaio 1896; Pres. Risi, Est. Petrilli —Ric. P. M. c. OrsolatoSource: Il Foro Italiano, Vol. 21, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1896), pp.127/128-129/130Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23101954 .
Accessed: 17/06/2014 15:40
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.44.78.144 on Tue, 17 Jun 2014 15:40:55 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
127 PARTE SECONDA
delitti concorrenti non si tien conto dell'aumento
di pena derivante dal concorso di reati e di pene,
così non deve tenersene conto pei delitti continua
ti : ubi eadem ratio ibi eadem lex.
Difatti il legislatore, che non poteva volere per
questi un trattamento diverso da quello voluto per
gli altri, ne concentrò le relative disposizioni nel
lo stesso titolo 7°, libro 1°, codice penale.
Quindi è che, ai fini della competenza, l'aggrava
ineuto di pena prescritto dall'art. 79 cod. pen. non
opera alcun immutamento nella stessa, e conseguen
temente il tribunale nella specie giudicò un reato,
la di cui conoscenza ad esso spettava, non già alla
Corte d'assise.
Attesoché col quarto mezzo si deduce la viola
zione degli art. 65 e 170 cod. pen., perchè, asso
luto il Chisari, che era il solo imputato rivestito
della qualità di pubblico ufficiale, ed eliminata così
la concussione, non potevano i ricorrenti, quali im
piegati privati, essere dichiarati correi in tale
reato ;
Attesoché a ragione si è mossa una tale doglian
za. La concussione specializza il fatto dell'ufficia
le pubblico, che si procura un indebito lucro mer
cè l'abuso del suo ufficio. Si è quindi la circostan
za di tale abuso che imprime al fatto delittuoso un
carattere speciale, e lo aggrava, ed in tal caso la
circostanza aggravatrice derivante ex condictione
personae è comunicabile ai compartecipi del reato,
qualora siffatta quaiità di pubblico ufficiale serva
ad agevolarne la esecuzione, e qualora dessi la
conoscessero nell'atto che vi concorsero.
Ma se manca la prova di avere l'ufficiale pub
blico preso : arte al fatto incriminato, vien meno
l'estremo cho è di essenza al reato, cioè l'abuso di
detta qualità, ed il lamentato ingiusto profitto non
ipotizza più una concussione, né più può avverarsi
la comunicazione della circostanza che aggrava il
reato per la qualità del pubblico ufficiale, e rima
ne il privato che avendone indebitamente tratto
0 carpito il suddetto ingiusto lucro, deve rispon derne sotto quel titolo di reato, che più si adatta
all'illecito di lui operato.
Ora, nella specie, avendo la Corte giudicatrice eliminato dal fatto imputato il concorso del pub blico ufficiale signor Chisari, ed avendo qualificati 1 ricorrenti come semplici e privati impiegati, la
ipotesi della concussione non aveva più il suo so
strato, ed il fatto loro addebitato andava definito
come a privati colpevoli si conveniva.
Essendosi 1' impugnata sentenza discostata da tali
principi, deve annullarsi in base del suddetto mez
zo quarto, e dovendosi rinviare la causa per 1' in
tiero esame che ne sussegue, non occorre discen
dere alla discussione degli altri mezzi del ricorso.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 21 gennaio 1896; Pres. Risi, Est. Petrilli
— Ric. P. M. c. Orsolato.
Rifiato di obbedienza all'autorità — Notaio —
Hesidenxa — Oindizio disciplinare — Ordine
del proc. dei re (Cod. pen., art. 434).
Perche sussista contravvenzione all' art. 434 cod.
pen., occorre che Vordine dato dall' autorità non
soltanto sia dato nelle forme legali, ma che an
che sia legittimo nella sostanza.
Sussistendo tuttora i motivi pei quali il notaio in
giudizio disciplinare fu prosciolto dalla impu tazione d'inosservanza dell' obbligo della residen
za, è illegale l'ordine del proc. del re adem
piere quell' obbligo. In ogni modo, trattandosi di precetto stabilito da
apposita legge con relativo procedimento disci
plinare e pena speciale, non è lecito surrogarvi un ordine particolare, e la trasgressione del me
desimo non può dar luogo all' applicazione del
l'art. 434 cod. pen.
La Corte: — Attesoché il notaio dott. Giovanni
Orsolato fu tradotto in giudizio innanzi al pretore di Padova imputato della contravvenzione preve duta dall'art. 434 del cod. pen. per avere perma nentemente trasgredito all'ordine del procuratore del re dato I' 11 giugno 1895, col quale gli s'ingiun
geva di stabilire la sua dimora ed il suo studio no
tarile in Piombino Dese, comune che era stato a lui
assegnato per esercitarvi il suo uffizio di notaio in
soprannumero, il pretore di Padova con sentenza
dei 13 novembre 1895, ritenendo elio l'ordine del
procuratore del re non fosse legale, dichiarò il non
luogo a procedimento per inesistenza di reato.
Contro di questa sentenza il pubblico ministero
presso quella pretura ricorre per cassazione.
Attesoché il ricorrente assume nel primo mezzo
che non era dato al pretore di ricercare se l'or
dina fosse nella sua sostanza legale, imperocché pel dovere di obbedienza basta soltanto che venga emes
so nelle forme legali. — E questo un concetto to
talmente erroneo, come quello che non ha riscon
tro né nella lettera né nella ragione della legge
(art. 434 cod. pen.). Non nella lettera, perchè la locuzione ordine legal
mente dato è generale, onde generale ne è il signi
ficato, e quindi comprende e l'obbiettività dell'or
dine nei rapporti tra la pubblica autorità e chi è
chiamato ad obbedire e la forma con cui l'ordine
stesso viene emanato. Non nella ragione, perchè una tale disposizione di legge stando a garentia dell'ordine pubblico, devierebbe evidentemente dal
suo fine se al comando ingiusto ed arbitrario im
ponesse obbedienza; ne verrebbe a tal modo scosso
ed annientato il mutuo rispetto tanto ai poteri dello
stato che alla libertà individuale dei cittadini, che
è fondamento di ordine e benessere sociale.
Attesoché neppure regge il secondo mezzo, nel
This content downloaded from 185.44.78.144 on Tue, 17 Jun 2014 15:40:55 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
129 GIURISPRUDENZA PENALE
quale il ricorrente assume che l'ordine dato dal pro
curatore del re fosse legale. Anzitutto si osserva
che non possa ritenersi quell'ordine legalmente for
mato, perchè è insussistente la sua causa determi
nante. La Corte di Venezia con sentenza andata
in giudicato, sulla contravvenzione ascritta al nota
io Orsolato per abbandono della residenza di Piom
bino Dese, dichiarò il non luogo perchè soppressa in quel comune la sede notarile; l'Orsolato non avea
più obbligo di risiedervi come notaio in sopran uumero. Questo statuendo il giudicato, viene me
no la ragione su cui poggia l'ordine del procura
tore del re, la obbligatorietà cioè della residenza.
Nè può dirsi che a tale ordine non osti la sentenza
della Corte di Venezia, perchè, medesimo essendo
l'obbietto, l'azione era già esaurita in virtù del giu
dicato, e non poteva più rivivere anche adottando
procedimenti diversi. E nemmeno è esatta la dedu
zione che l'ordine riflettesse fatti posteriori alla
sentenza onde non vi abbia identità, imperocché se
non cangiò mai la posizione dell'Orsolato di notaio
soprannumero e la sede notarile di Piombino Dese
continuò sempre ad essere soppressa, è indubitato
che permanevano tuttavia le ragioni, che sottraeva
no l'Orsolato dall'obbligo della residenza siccome
dal giudicato è statuito.
Oltre a tutto ciò l'illegalità dell'ordine è mani
festa per eccesso di potere. Tra gli ordini cui si
riferisce l'art. 434 cod. pen. non può essere com
preso quello impartito al notaio Orsolato, onde la
di lui disobbedienza, come bene decise il pretore, non può renderlo colpevole di contravvenzione.
Trattavasi dell'obbligo della residenza come notaio
della cui trasgressione si faceva accusa. Su ciò
provvede specialmente la legge notarile coi giu dizi disciplinari che vi sono stabiliti e con le pene che vi sono inflitte. Questo era il solo procedi mento che il procuratore del re poteva seguire e
non arrogarsi un dritto che la legge non gli rico
nosce, di decidere cioè da sè solo dell'obbligo della
residenza e della inosservanza di tale obbligo, for
mandone la base del suo ordine, e di promuovere
per via indiretta ed in giudizio non di propria se
de una punizione che il giudicato aveva dichiarato
non dovuta.
Per questi motivi, rigetta ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 28 gennaio 1896; Pres. Risi, Est. Perfu
mo — Ric. Falladore.
Competenza — Titolo del resto — Circostanze diminuenti la pena — Reato commesso all'este ro (Cod. proc. pen., art. 12; Cod. pen., art. 5).
Agli effetti della competenza deve tenersi conto
della diminuzione di pena derivante dall' essere
il reato stato commesso all'estero. (1)
La Corte: — Sull'unico mezzo del ricorso, col
quale si deduce la violazione dell'art. 9 n. 5 proc.
pen. in relazione agli art. 212, 258 cod. pen., non
ché in relazione all'art. 12 proc. pen., in quanto la
imputazione ascritta al ricorrente importando una
penalità, che si estende dai tre ai dodici anni di
reclusione esorbitava dalla competenza del tribu
nale penale.
Atteso, in ordine a questo mezzo, che essendo
stato il ricorrente imputato di calunnia per avere
incolpato il proprio fratello di spendita di monete
false nel Tirolo, l'eccezione d'incompetenza dedotta
per essersi a lui ritenuto applicabile l'art. 5 del
cod. pen. che diminuisce la pena di un sesto, men
tre il reato fu commesso nel regno, e che in ogni caso trattasi di circostanza personale, che non vale
(1) Crediamo utile ricordare le più notevoli sentenze
pronunziate dalla suprema Corte sul punto di sapere di
quali circostanze importanti diminuzione di pena debba tenersi conto agli effetti di determinare la competenza, a' sensi dell'art. 12 proc. pen. modif. dal r. d. 1 die. 1889.
Influisce sulla competenza : l'essere il delitto rimasto allo stato di tentativo: 2
maggio 1890 (Foro it., 1890, II, 470), 27 gennaio 1893 (IcL., Eep. 1893, voce Comp. pen., n. 24), 11 marzo 1895 [Id., 1895, II, 416);
il trattarsi di complicità corrispettiva (art. 378 cod.
pen.): 22 luglio 1891 (Foro it., 1892. II, 51) e 9 luglio 1894 (Id., 1895, II, 92);
l'esser l'omicidio avvenuto in persona di un infan te (art. 369 cod. pen.): 15 gennaio 1892 (Foro it., 1892, II, 103).
Non influisce sulla competenza : l'eccesso di difesa nell'omicidio: 23 gennaio 1895, Ma
rino (inedita) ; la ritrattazione nella calunnia: 11 luglio 1892 (Foro
it., 1892, II, 482), 25 novembre 1892 (Id., 1893, II, 136), 16
gennaio 1895, Porcello, e 13 novembre stesso anno, Aqui lani (inedite);
la preterintenzione nelle lesioni personali : 5 novem bre 1891 (Foro it., 1892, II, 178);
la restituzione o risarcimento nei delitti contro la
proprietà (art. 432 cod. pen.): 11 aprile 1892 (Foro it., Rep. 1892, voce Comp. pen., n. 47).
Per i seguenti casi la giurisprudenza della suprema Corte non è stata costante:
Omicidio in flagranza d'adulterio (art. 377 cod. pen.). Ritenne doversi tener conto di tale circostanza nel de terminare la competenza, con la sentenza 3 aprile 1891
(Foro it., 1893, II, 186, in nota), e giudicò in senso con trario con quelle del 12 ottobre 1892 e 20 febbraio 1893
(Ibid., testo e nota). Ritenne doversi aver riguardo nel delitto di falsa
moneta alla facile riconoscibilità, con le sentenze 26
giugno 1891 (Foro it., 1891, II, 337) e 20 aprile 1893 (Id., 1893, II, 332), ma andò in contrario avviso con le deci sioni 13 novembre 1891, 21 novembre 1892 e 14 luglio 1893 (Id., 1893, II, 104, testo e nota, e 478), e 30 gennaio 1893 (Id., Rep. 1893, voce Comp. pen., n. 30).
Ricordiamo poi per analogia aver la suprema Corte con le sentenze 11 luglio 1895 (Foro it., 1895, II, 477) e 5 marzo 1894 (Id., Rep. 1894, voce Associazione a delin
quere, n. 11) deciso non influire sulla competenza l'ag gravameuto di pena stabilito dall'art. 250 cod, pen. per i delitti commessi dagli associati a delinquere, ed infi ne ricordiamo che riguardo all'aggravamento derivante dalla continuazione del reato la suprema Corte ha qua si sempre deciso che esso non influisce sulla competen za, ma qualche volta ha deciso in senso contrario (v. sent. 4 gennaio 1896 e relativa nota a col. 125 del pre sente volume).
This content downloaded from 185.44.78.144 on Tue, 17 Jun 2014 15:40:55 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions