Udienza 22 aprile 1881, Est. Canonico —Ric. Di RoccoSource: Il Foro Italiano, Vol. 6, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1881), pp.299/300-301/302Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23088439 .
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299 PARTE SECONDA 300
tivata ordinanza, e con essa bene osservò, che l'istanza
della difesa venne fatta dopo che la seduta era già stata sciolta, onde non poteva più avere alcun valore.
Attesoché l'avere il verbale d' udienza enunciato in
una forma generale che si sono letti gli atti generici
della causa, coll'aggiunta, esclusi quelli concernenti
qualsiasi parte di prova specifica, e che si sono letti
del pari diversi documenti e rapporti nelle sole parti
che concernono la prova generica, corrisponde, come
già più volte ebbe a riconoscere e dichiarare questa
suprema Corte, al voto dalla legge espresso nei n. 2
e 7 dell'art. 201 del cod. di proc. pen., tanto più quando
le parti non avendo fatta alcuna opposizione od os
servazione al riguardo, come nella presente causa è
avvenuto, si deve ritenere che la menzione fatta nel
verbale sia del tutto conforme al vero, e così tutto
siasi passato in perfetta regola e di pieno accordo.
Attesoché per quanto riguarda l'audizione del Pie
tro Laurazzi risulta espressamente dal verbale del
dibattimento che il presidente lo fece citare in virtù
de' suoi poteri discrezionali, e lo sentì per semplici
chiarimenti. Pel che non era necessaria una motivata
e formale ordinanza, ma bastava 1' ordine del presi
dente registrato al verbale, perchè trattandosi di
un provvedimento che emana esclusivamente dai po teri di cui il presidente è investito, non è desso re
golato che dal suo prudente criterio, né vuol essere
guarentito che dalla sua firma apposta, con quella
del cancelliere, sul verbale d'udienza, il quale né fa
piena fede. L'art. 479 del cod. di proc. pen. citato nel
ricorso, non prescrive punto che il presidente non possa
esercitare il suo potere discrezionale se non mediante,
o previa una formale e distinta ordinanza. In essa anzi
non si parla che di chiamata, e il modo con cui debba
farsi evidentemente ne é rilasciato libero allo stesso
potere discrezionale del presidente, su cui nessuno può
investigare se esso non si spiega contro ciò che la, legge
prescrive o vieta sotto pena di nullità.
Attesoché non regga neppure il quinto mezzo che
si vorrebbe trarre dalla pretesa violazione degli ar
ticoli 330 e 331 del cod. pen., inquantoché la figura
dell'uso sciente di falsi biglietti equivalenti moneta
sorge dalla prima questione, nei termini in cui fu
ai giurati proposta, del tutto completa e perfetta a
senso dell'art. 329 del codice stesso ; e se la difesa
del Giacobini in particolare voleva che si proponesse una seconda questione, o che altramente s'interrogas sero i giurati, sulla circostanza speciale prevista dal successivo articolo 331, onde poterne invocare il
benefizio, doveva farne espressa domanda. Il presi dente non era tenuto, non risultandone dalla sentenza
d'accusa, a rilevarla. Il che d' ufficio non avendo la
difesa fatto, ogni ragione le manca per dolersi che
la prima questione non sia completa, e che la pena inflitta al Giacobini ecceda quella comminata per
l'ipotesi meno grave contemplata dall'art. 331. Im
perocché nel caso, giova il ripeterlo, il reato di cui
il Giacobini doveva rispondere, e che dai giurati fu
a suo carico affermato, era quello previsto e pu nito dall'art. 329. E se in favor suo non fu ammesso
e neppur si chiese, la scusante stabilita dal successivo
art. 331, pel caso cioè in cui si fossero ricevute per
vere le carte di credito pubblico che poscia, ricono
sciutane la falsità, sonosi rimesse in circolazione, ognun
vede che la pena giustamente doveva corrispondere
alla figura accertata dell'art. 329, e non all' ipotesi
■insussistente dell'art. 331. Imperocché in questo arti
colo altro in realtà non contiensi che una circostanza
scusante pei reati contemplati nei precedenti due ar
ticoli. In quanto agli ultimi mezzi aggiunti, dedotti nel
l'interesse particolare del Rossi, è da osservarsi che
al terzo risponde, e lo respinge, la formola stessa
della unica questione, in riguardo al Rossi Giovanni,
ne' precisi termini in cui fu ai giurati proposta e da
loro affermata, cioè :
« L'accusato Rossi Giovanni è colpevole di avere
« scientemente fatto uso di parecchi biglietti consor
« ziali da lira una, equivalenti moneta, spedendoli « da Napoli a Roma in più volte al proprio padrigno « Giacobini onde fossero spesi, conoscendone la fal
« sità ? « Risposta : a maggioranza, SI ».
In questa questione si trovano bensì espressi e com
presi gli elementi materiali e morali del reato di
uso sciente di falsi biglietti, previsto e punito dal
l'art. 329 del cod. pen., perché oltre il fatto materiale
della spedizione, allo scopo di spenderli, di biglietti
contraffatti da Napoli a Roma, vi concorre l'altro ele
mento morale, essenziale e costitutivo, della scienza
della loro falsità, onde la figura del reato ne sorge
perfetta, ma non s'incontra, quale sarebbe prescritta
dall'art. 494 modificato del cod. di proc. pen., la de
nominazione giuridica del reato, seppure non voglia
sostenersi che basti il valersi, nella formola delle
questioni, di qualche frase o parola che si legga nel
testo delle leggi, fosse pure il più comune e volgare,
come nel caso precisamente si verifica nelle parole
di avere scientemente fatto uso, per cadere nel di
vieto, a tutt'altro fine portato dal suddetto articolo,
di dare ai fatti alcuna denominazione giuridica. Il
che equivarrebbe all'assurdo di dover ben sovente so
stituire alle parole d'uso comune, e della più facile
e sicura intelligenza, altre parole men note, meno
esatte, d'oscura o di dubbia significazione, contro il
manifesto intento del legislatore.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 22 aprile 1881, Est. Canonico — Ric. Di Rocco.
l)i baili mento — Avvertimento sili gravami — Er
ronea indicazione — Decorrenza del termine (Cod.
proc. pen., art. 322).
Verronea indicazione del presidente del tribunale
circa il gravame competente avverso la sentenza,
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301 GIURISPRUDENZA PENALE 302
non impedisce la decorrenza del termine per in
terporre il gravame checompete a normadilegge. (1)
Epperò quand'anche per effetto dell'erroneo avver
timento l'imputato abbia interposto appello invece
di ricorrere in cassazione, non può, poi esser re
stituito in tempo a proporre il ricorso in cassazione
a cui realmente aveva diritto.
La Corte, ecc. — (Omissis). Atteso che il condan
nato non ha che tre giorni utili per fare dichiarazione
di ricorso in cassazione contro la sentenza definitiva
in merito;
Che la sentenza definitiva in merito era nella specie
in esame la sentenza del tribunale di Avezzano, perchè
non suscettiva di appello;
Che l'erronea indicazione, la quale abbia potuto
farsi dal presidente del tribunale (con l'accennare
alla facoltà dell'appello, non a quella del ricorso in
cassazione) non può avere per effetto di restituire in
tempo il Di Rocco a ricorrere in cassazione, dopo aver
indarno sperimentato il rimedio dell'appello, che non
poteva ammettersi e che fu difatti dichiarato inam
missibile; perché lo sbaglio materiale del presidente
nel ricordare i diritti accordati dalla legge al con
dannato non può scusare questo dell'ignorare la legge
che con presunzione juris et de jure si presume da
tutti conosciuta in seguito alla sua promulgazione;
Che rimane quindi una dichiarazione di ricorso in
cassazione fatta il 29 gennaio 1881 contro una sentenza
del tribunale di Avezzano, pronunciata il 29 novembre
1880, e perciò evidentemente fuori di termine.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 1 giugno 1881, Pres. Ghiglieri. Est. Cano
nico, P. M. Luciani — Ric. Frózza.
Arresto arbitrario — Estremi — Dolo (Cod. pen., arti
colo 194).
Il reato di arresto arbitrario, di cui all'art. 194 cod.
pen., si verifica semprechè lo arresto siasi eseguito
od ordinato volontariamente fuori elei casi dalla
legge previsti, e non occorre che l'agente abbia
cognizione dell' innocenza dell'arrestato, ovvero che
abbia la diretta volontà di commettere un atto
illegale.
Il sindaco che ordini un arresto illegale, non può
declinare la responsabilità penale con l'addurre di
aver agito per consiglio del delegato di pubblica
sicurezza.
I La Corte, ecc. — Ritenuto ohe con sentenza 29 gen naio 1881, la Corte d'appello di Roma confermava
quella del tribunale della stessa città, 21 ottobre 1880,
portante condanna di Luigi Frezza a 2 mesi di car
cere, 100 lire di multa, ed alla sospensione dall'eser
cizio dei pubblici offici per 6 mesi, perchè colpevole di attentato alla libertà individuale, per avere, come
facente funzione di sindaco di Capranica Prenestina, ordinato arbitrariamente l'arresto del sig. Giovanni
Battista Cialdea, a motivo di parole oltraggiose che
avrebbe asserito essersi da questo pronunciate; Che contro siffatta sentenza, fatto il deposito, il
Frezza deduce:
1° La violazione dell'art. 194 del codice penale,
perché la Corte d'appello ritenne esservi il reato, di
cui ivi, per ciò solo che il Frezza ordinò l'arresto del
Cialdea per oltraggiose parole a questo attribuite,
quando già era cessata la flagranza dell'oltraggio, mentre non era stato provato avere esso Frezza agito con dolo, il quale é pure elemento indispensabile in
tema di delitto; ed eresse così in principio, che l'ar
resto arbitrario debba considerarsi come semplice
contravvenzione, in cui non occorre che il fatto ma
teriale senza concorso di dolo, mentre é punito dal
codice di pena correzionale, oppure che in cotesto
delitto il dolo debba intendersi insito in re ipsa,
confondendo cosi con un atto arbitrario (di cui lo
agente dovrebbe rispondere, solo quando lo abbia
commesso con dolo) un atto illegale bensì, perchè materialmente contrario al disposto della legge, ma
non passibile di pena ; 2° La violazione dello stesso art. 194, ultimo comma,
perchè la sentenza impugnata ritenne responsabile il
Frezza di arresto arbitrario, benché fosse risultato, che l'ordine dell'arresto gli era stato suggerito dal
delegato di pubblica sicurezza di Palestrina;
Visti gli articoli citati, non che gli art. 656, 568 del codice di procedura penale;
Atteso, sul 1. mezzo, che dalla stessa sentenza im
pugnata risulta anzitutto, come nel concetto della
Corte di appello si ritenesse necessario il dolo pel reato di cui si tratta, e non si fosse mai dubitato del
suo carattere di delitto;
Che tutte le obiezioni messe innanzi con questo mezzo intorno al modo con cui fu dalla Corte d'appello considerato il dolo, derivano da una meno esatta ap
plicazione dei principi sul dolo, che il ricorrente fa
rebbe alla specie in esame, quasiché in questo reato
il dolo consista nell'essere l'autore convinto che la
persona di cui si ordina lo arresto sia innocente, o
nello avere quanto meno voluto commettere un atto
illegale; Che ben diverso è invece il concetto della legge:
poiché il diritto che l'art. 149 del codice penale volle
tutelare, non è altro se non la libertà individuale, il
diritto, cioè, a guarentigia del quale lo art. 26 dello
statuto fondamentale dice, che « niuno può essere ar
restato o tradotto in giudizio se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive », e
l'art. 60 del codice di procedura penale stabilisce che
(1) Riproduciamo il testo della sentenza dalla Riv. pen., XIV, pag. 200, la quale a pag. 385 dello stesso voi. pubblica un art. dell'avv. Benevolo in cui si muovono obiezioni alla massima stabilita con la stessa sentenza, e che è contraria alla giurisprudenza adottata dalle
altre Corti, e dalla stessa Cass. di Roma — Anche noi ci auguriamo che la suprema Cortef di Roma voglia ritornare alla massima già pre cedentemente adottata, e che risulta, tra le altre sentenze, da quelle del 2 febbraio 1880 citata dal Benevolo, e da quella recentissima del 4 marzo 1881, da noi pubblicata a col. 229 del presente volume.
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