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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 22 maggio 1877, Pres. Ghiglieri P., Est. Salis, P....

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Udienza 22 maggio 1877, Pres. Ghiglieri P., Est. Salis, P. M. Municchi S. P. G. (Concl. pel rigetto) —Ric. Di Lorenzo (avv. Lopez) Source: Il Foro Italiano, Vol. 2, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1877), pp. 385/386-399/400 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23080895 . Accessed: 23/06/2014 15:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.58 on Mon, 23 Jun 2014 15:44:49 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 22 maggio 1877, Pres. Ghiglieri P., Est. Salis, P. M. Municchi S. P. G. (Concl. pelrigetto) —Ric. Di Lorenzo (avv. Lopez)Source: Il Foro Italiano, Vol. 2, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1877), pp.385/386-399/400Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23080895 .

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385 GIURISPRUDÈNZA PENALE 386

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 24 gennaio 1877, Pres. Ghiglieki P., Est.

De Cesake, P. M. Speea S. P. Gr. — Ric. Domenico

Santini.

Contravvenzione — Ammenda — Responsabile civil mente — Somma indeterminata — Appello (Cod. p. p., art. 353, n° 3,558).

Condannati gli autori di una contravvenzione alla sola

ammenda di lire 2, ed il responsàbile civile ai danni

interessiper somma indeterminata, non è a quest'ultimo

fuorchiusa la via dell'appellazione (1).

La Corte, ecc. — Osserva, che non è esatto il prin

cipio ritenuto dal tribunale correzionale nel dichiarare

inammessibile lo appello del ricorrente, responsabile

civile, per essere stati gl'imputati principali, autori

della contravvenzione, condannati alla sola pena del

l'ammenda in lire 2.

Se è vero infatti che gli autori principali non avreb bero potuto nella fattispecie utilmente appellarsi, ciò

avviene unicamente perchè il pretore dimenticò di pro

nunziare contro di essi la condanna ai danni, cui di

chiarò tenuto il civilmente responsabile. Intanto è po

sitivo che se il ricorrente Santini, invece di vestire solo

la qualità di civilmente responsabile, fosse stato impu

tato, avrebbe avuto diritto per l'inflittagli condanna di

appellare, e tanto basta perchè non gli possa essere

preclusa la via all'appello, la quale per ciò che ri

guarda i danni è sempre aperta quando la somma esce

dalle lire 30 (art. 558 e 353, n° 3 Cod. di proc. pen.). Nè si dica che manchi nel fatto di cui si ragiona que st'ultimo estremo, perchè la sentenza porti la condanna

non ad una somma eccedente le lire trenta, ma ai danni

in genere da liquidarsi nei modi di legge. Trattandosi

di somma indeterminata non si può dire che sia al di

sotto delle lire trenta, che possono anche essere di molto

superiore. Ed in questa eventualità, in questo dubbio

non è consentito dalla legge, dalla ragione ed anche dal

l'equità interdire ad un condannato il diritto di appello,

che per principio generale è regola nei procedimenti, mentre il divieto forma l'eccezione.

In conseguenza mal si apponeva il tribunale corre

zionale quando per erronea applicazione degli articoli

353 e 558, Cod. di proc. pen., dichiarava inammessibile

lo appello del responsabile civile, condannato dal primo

giudice ai danni per somma indeterminata.

Per queste ragioni, cassa, ecc.

(1) Qui si applica lo stesso principio che riguardo alla competenza,

quello cioè che l'indefinitezza della materia porta di diritto alla

competenza superiore (Ved. Cassazione Firenze 29 febbraio 1868.,

Legge, 1868, pag. 310). E ciò, non solo se il valore delle riparazioni chieste o ordinate sia indeterminato, e comunque poi minima risulti l'estimazione della cosa (V. Cass. fr. 29 genn. 1835, Sirey, 35, I, 494), ma in ispecie se pur sia richiesta la distruzione di un'opera indebi

tamente fatta, senza che se ne sappia, o si sia potuto e voluto pre figgere a priori la spesa occorrente per rimettere le cose al loro

primitivo stato (Cass. fr. 31 gennaio 1851, Bull. pag. 69, e Cass. To rino 25 aprile 1867, Gazz. dei Trib. di Genova, p. 226); ovvero si tratti

di pubblicazione di sentenza ordinata dal giudice per reato di diffa

mazione, di libello famoso e d'ingiuria pubblica ai termini dell'arti

colo 581 del Cod. pen., che a differenza di quella prescritta dall'ar

ticolo 23, del Codice stesso, è pura riparazione civile (V. Cass. To

rino, 24 novembre 1867, Legge, 1868, pag. 104, e Betl., parte I, pag. 744/Ved. sul punto deciso Saluto, Commento al Cod. di proc. pen., sull'articolo 353, n. 1225. Conf. poi alla presente sentenza, ved. Cass.

Milano, 27 dicembre 1873 (Mon. Trib., Milano, XV, 198), Cass. To

rino, 22 novembre 1871 (Giur. ital., 1,777); app. Bologna, 20 aprile 1876, Foro ital., 1876, II, 277 ; stessa Cass., Roma 9 marzo 1876, Foro ital. 1876, II, 162.

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 22 maggio 1877, Pres. Ghiglieri P., Est. Sa

lis, P. M. Municchi S. P. Gr. (Conci, pel rigetto) — Ric. Di Lorenzo (avv. Lopez).

Infanticidio — Prole illegittima — Atto di accusa — Sentenza <li rinvio — Ragione di onore — Questioni ai giurati — Penalità (Cod. pen., art. 531, 532 —D. luogot. 17 febb. 1861 — Cod. proc. pen., art. 49 V, 495).

Il Cod. pen. modificato dal decreto luogotenenziale 17 febbraio 1861, nell'ammettere una scusante nell'in

fanticidio commesso dalla madre su prole illegittima, a differenza del Cod. pen. sardo, parla espressamente dell'estremo che la strage sia stata determinata dalla

ragione di onore (1). L'includere nella questione principale ai giurati la di

manda, se Vuccisions volontaria dell'infante fu com

messa su prole illegittima, può riuscire di vantaggio ma non di danno all'accusato, e con ciò la figura del

reato resta ben definita, ne può allegarsi disione im propria, incompletezza o complessività (2).

Quando l'infanticidio sia stato commesso dalla madre su prole illegittima, il medesimo deve sempre presumersi avvenuto per ragione dionore, e quindi dietro risposta dei giurati alla questione sopra formulata deve appli carsi la pena diminuita dell'art. 532, e non quella del l'art. 531 Cod.pen. italiano (3).

La Corte, ecc. — In fatto: Attesoché Di Lorenzo Ma

ria Loreto fu accusata di infanticidio ; per avere nel 27

gennaio 1876 od in tempo prossimo, con la intenzione

d'uccidere, tolta la vita alla sua prole illegittima di re

cente nata e non aneora battezzata nò inscritta sui re

(1-3) L6 leggi romane, come si nota anco nella sentenza, da prima confusero l'infanticidio col parricidio, e lo considerarono quale reato ordinario. Esse non fecero neppure distinzione, tra l'uccisione del

figlio adulto e quella del figlio nato di fresco, che sola oggi costi

tuisce il titolo del reato in parola; ma gli interpreti, come può vedersi in Farinaccio, Questione 122, n. 156, Perezio, in L. 9, Cod-, tit. 17. n. 38, Carpzovio, Praclica crim., par. 1, Questione 9, n. 41, e tanti altri, hanno ritenuto comprendersi, nello stesso titolo, am

bedue le specie di uccisione.

Parlando soltanto della uccisione del figlio o della figlia per parte della madre, mater quae fìlium filiamve occiderit adficitur, si è fatta questione se fosse punita l'uccisione commessa dal padre che

per lungo tempo ha avuto Yjus vitae et necis. La risoluzione di essa si è fatta dipendere dal vedere, se questo diritto fosse illimitato, o solo potesse esercitarsi per un delitto del figlio, e previo un giudizio di famiglia, nel modo che si è disputato tra gli interpreti e special mente da Gebauer. Exercit. 7, cap. 2; Binkershoek, Opera, 1.1, pag. 317, 389; Noodt, Julus Paulus ; et amica responsio ; Gothofredo, in

Cod. Theod., t. Ili, pagi 84; Perrenot, De patria potestate apud romanis legibus non soluta. Ma dopo tanta discussione, noi non cre

diamo, che sia stato completamente chiarito, come pensano alcuni, che il padre fosse in modo assoluto sottratto alle sanzioni della L. 1

li. Foro Italiano. — Volume II. - Parte II. — 31.

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387 PARTE SECONDA 388

gistri dello stato civile, facendola annegare nell'acqua

di un pozzo posto in prossimità, della sua abitazione in

tenimento di Collecorvino.

Le questioni sottoposte dal presidente alla decisione

dei giurati furono formulate nei seguenti termini :

la L'accusata Maria Loreto Di Lorenzo, fu Vincenzo, di anni 22, contadina di Collecorvino, è colpevole di a

vere nel 27 gennaio 1876 od in tempo prossimo, con la

intenzione di uccidere, tolta volontariamente la vita

alla sua prole illegittima di recente nata, annegandola

D. Ad Leg. pompejam de parricidis, che sino alla costituzione di Va

lentiniano, 374, Cod., lib. 9, de infantic., stette a punire l'infanticidio. La sentenza rammenta che alcuni Statuti, e le leggi dei Frisoni,

non punirono l'infanticidio. I Germani invece lo considerarono come crimine speciale, e secondo la testimonianza di Tacito, De Germ. 19, 10 punirono di morte. Lo storico al l. c. adopera la parola adgnatus, ma ciò non per designare la parentela da parte del padre, sibbene

per indicare l'infante nato di recente, per derivazione da adgriasci (ved. Ulpiàno, t. 23, § 3). In Germania poi, prima che altrove, come afferma il Carrara, vol. V, § 1207, nota 1, prevalse l'idea che lo infanticidio fosse delitto minore della uccisione del figlio adulto, sebbene questo primo passo verso la mitezza si arrestasse in prin cipio a sostituire la pena della spada alla pena dell'annegamento:

Boehmero, in art. 131; C. c. c. ; Meister, Principia iuris criminalis, § 160, e ved. anche Ant. Mattheo, De criminibus, lib. 48, t. 16

cap. 1; Hertius, Responsa, t. I, cons. 276, e responsa 302. La legge salica, De homicidio parvulorum, punendo l'uccisione

del fanciullo coll'ammenda, contemplava l'età minore di 12 anni. Nei capitolari di Carlo magno, lib. VII, art. 168, l'infanticidio è considerato, come nei nostri Statuti, quale un omicidio volon tario ordinario ; si quis infantem necaverit homicidio teneatur (V, Baluze, t. I, pag. 1059). E da dottissimi giureconsulti si vuole che la costituzione Carolina, art. 131, fosse la prima a distinguere tra l'uccisione della prole legittima e quella della prole illegittima, e a dare a quest'ultima il carattere di reato scusato (V. Mitter

maier, dissert, nell' Eco dei Trib., n. 1622, 27 maggio 1860 e seg.). In Francia, sotto l'impero degli editti del 1556, 1586, della dichia

razione 25 febbraio 1708, degli arresti e regolamenti 16 marzo 1731, 27 aprile 1735, 8 maggio 1742, 8 settembre 1784, l'infanticidio fu pari mente punito come omicidio. Anzi l'editto del 1556 aveva stabilito per fino un certo numero di presunzioni) il cui concorso costituiva contro la madre la prova legale della uccisione dell'infante : ivi : Tonte

femme qui se trouvera dument atteinte et convaincue d'avoir célé, convert et occultò, tant sa grossesse qu'enfantement, sans avoir déclaré Vun ou Vautre, ou avoir pris de l'un ou de autre témoi

gnage suffisant, méme de la mort ou de la vie de son enfant lors de Tissue de son ventre ; et après se trouve l'enfant avoir été privò, tant du saint sacrement du bastèrne que de sépulture publique et accoutumée, soìt cette femme tenue d'avoir homicidé son enfant, et, pour réparation publique punie de mort et dernier supplice, de telle rigueur que la qualità particulière du cas le méritera

Nè queste idee hanno prevalso soltanto in Francia: in Prussia 11 fatto di una donna, di avere occultato la gravidanza e il parto, è stato punito, come crimine distinto, collg, detenzione da 4 a 6 anni (art. 957J: di più, se in questo caso il parto era seguito dalla morte dell'infante, e vi erano presunzioni d'infanticidio, alla donna si ap plicava il supplizio delle verghe e la reclusione perpetua (art. 960); infine, quando fosse provato, che la madre aveva tolto la vita al fanciullo nato di fresco con premeditazione, essa era punita colla decapitazione (art. 963).

11 Cod. pen. francese del 1791 non conteneva disposizioni partico lari, e sottoponeva l'infanticidio al diritto comune, punendolo come assassinio o come omicidio, secondo che concorreva o no l'aggra vante della premeditazione. Nel Cod. del 1810, lasciate le distinzioni e le presunzioni legali dell'antico diritto, n'è fatto un crimine spe ciale, ed uguagliandosi al parricidio, astrazione fatta dalla premedi tazione, è punito come assassinio. Laonde, il legislatore sembra caduto nell'errore sostenuto da Favre, Exposé des motifs, art. 301, che nel l'infanticidio debba sempre presumersi la premeditazione, in quanto che un-bambino nato di recente non può dar causa di sdegno, nè ri guardo ad esso può ammettersi dolo d'impeto (Contr. Ved. Destri veaux, Imbert, pag. 17, cit. da Carrara, 1. c.) Alcuni, è vero, hanno posta la ragione della legge nell'impotenza della vittima a resistere, in un criterio cioè tratto dal solo soggettojpassivo, ma questo, al dire dello

stesso prof. Carrara prova troppo, perocché mostrerebbe incoerente il legislatore il quale, tranne il concorso di altra qualifica, punisce dei lavori pubblici a vita la strage di un bambino di otto giorni (V. Wan Berkhout, pag. 22; Carnot, art. 300, n. 9; Chauveau, n. 2405, Chatagner, pag. 90, sentenza citata). In ogni modo, certo egli è che questa teorica del legislatore francese, di parificare in modo assoluto l'infanticidio all'assassinio, in Italia fu seguita dalle Costituzioni piemontesi, IV, 34, 4, dal Codice Feliciano, art. 1823, ma non inte ramente dal Codice penale sardo, ora italiano, avendo introdotto di suo l'art. 532, secondo il quale, quando l'infanticidio è commesso dalla madre su prole illegittima, la pena deve essere diminuita da uno a tre gradi.

L'infanticidio nel Codice penale sardo, ora italiano, e nel progetto di Codice penale unico dell'on. Vigliani, è reato qualificato e scu sato, cioè: in principio (articolo 525) è un reato colla presunzione di premeditazione qualificato assassinio, ma considerato come scusato (articolo 532) quando si tratti di uccisione commessa dalla madre su prole illegittima; e in questa specialità il nostro legislatore non fa altro che abbracciare il titolo di infanticidio, quale nella sua es senza da lungo tempo è inteso dalla scuola germanica, e dalla to scana ; quale infine si trova tradotto nell'articolo 316 del Codice pe nale tose., § 17 del Cod. pen. dell'impero germanico del 1871-1872.

Neil' infanticidio scusato la dottrina è costante nel ritenere, che la ragione della scusa sta nel fine di salvar l'onore o di evitare sovrastanti sevizie. Il Cod. pen. sardo e il Cod. pen. tose, hanno inteso di esprimere questo concetto radicale, limitandosi a desi gnare, l'uno il fatto dell' illecito concepimento (art. 316), l'altro il fatto àò\V illegittimità della prole : ma tutto questo non basta. La causa che impropria il titolo di omicidio e lo converte in infantici dio, dice l'ili, prof, di Pisa, secondo la moderna dottrina è il peri colo dell'onore. La illecita fecondazione pub eccitare codesta causa, e la ecciterà nei casi ordinari. Quando però trattasi di infanticida re cidiva, o d' akra donna che faccia professione dell'onore perduto, obbligare il giudice ad usarle benignità per un riguardo all'impeto del pudore, essa è cosa non meno ingiusta che risibile. La riprova dell'infelice locuzione dei due Codici, e più specialmente del Codice

pen. tose., noi potremmo subito trovarla nel caso della donna che uccidesse la prole concepita fuori di matrimonio, ma data alla luce dopo che questo è avvenuto.

Il Codice delle Due Sicilie, e il decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861, con cui al Codice sardo, nel promulgarsi nelle Pro vincie meridionali, si arrecarono alcune gravi modificazioni, di que sta ragione di onore, come fondamento della scusa, ne parlano in modo espresso, ed è stato precisamente per questo che è sòrta disputa nella specie in riguardo al modo di formulare le questioni ai giurati.

Di fronte alla disposizione dell'art. 532 del Cod. pen. sardo, ora ital., come di fronte alla disposizione dell'art. 316 del Cod. pen. tose., nel l'affermazione che l'uccisione fu commessa su prole illegittima non

potrebbe non riconoscersi il concorso degli estremi litterali della

legge, e quindi per presunzione di diritto anco quello degli estremi giuridici che in quelli si sono voluti includere. Nella legge penale, è vero, non dovrebbero mai presumersi fatti di scusa ; quando però una disposizione litterale vi dimostra che il legislatore un dato fatto l'ha presunto, o almeno quando una disposizione litterale bene o male vi stabilisce, quali sono gli estremi secondo i quali ritiene che si estrinsechi ; allora se dal magistrato si potrà desiderare che col suo criterio scientifico supplisca ad ogni difetto, in manpanza di sua iniziativa sarebbe contro ogni regola di buona giustizia andare a conseguenze dannose peli'accusato, supponendo il contrario di

quello che la legge ha supposto. Maggior rigore è dubbio, se non lo autorizzasse il Cod. pen. delle

Due Sicilie, e il Cod. modif. dal decreto luogoten. 17 febbraio 1861. A scusare l'infanticidio, nel senso dell' articolo 387 del Codice so

pracitato, pensa il Nicolini, Questioni di diritto, pag. 444, egli è ne

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SÌ89 GIURISPRUDENZA PENALE 390

nell'acqua di un pozzo in prossimità della sua abita

zione in tenimento del comune suddetto ?

A maggioranza di 7 voti, sì. Nell'affermativa. 2" Tale fatto venne commesso sulla

prole suddetta non ancora battezzata o inscritta sui re

gistri dello stato civile ? A maggioranza, sì.

In diritto : Attesoché per valutare convenientemente

il merito dei mezzi dedotti, non torna inopportuno, nè

disutile risalire alla genesi, e seguire le fasi subite dal

reato di infanticidio, il quale nel dritto comparato pre senta non poche varietà, imperocché qua non forma og

getto d'alcuna sanzione penale, e rimane impunito ; là

fu riguardato come omicidio semplice, e punito d'egual

pena ; altrove fu compreso tra le specie dei parricidi ; e

colà ove l'infanticidio costituì titolo di reato speciale, or fu considerato come omicidio qualificato, or come o

micidio scusato; inguisachè non dappertutto fa identica

la definizione di tal reato, nè al nome rispose sempre un conforme concetto, e medesimo significato.

Negli antichi tempi nessuna legge penale presso gli Ebrei era sancita contro l'infanticidio che era reato sco

nosciuto, come osserva il Thonissen (Etudes sur Vhist.

du dr. crim., tom. 2, Appendice, eh. V, § 1). La corru

zione dei costumi produsse frequenza di infanticidi, e

da Flavio Giuseppe nella risposta ad Appione, lib. 2,

cap. 2, apprendesila pena sancita là ove dice che « alla

femmina è vietato che non lasci mai il parto in abban

dono, e non lo corrompa... perchè se essa facesse la vita

del figliuolo perire, sarebbe di esso ammazzatrice...

(Traduzione di M. Francesco JBaldelli) ; così l'infantici dio punivasi della pena dell'omicidio. Tacito (Histor., lib. 5, cap. 5) parlando di quel popolo scrive : Augen daemultitudiniconsulitur : nam etnecare quemquam ex

gnatis, nefas. Lo stesso egli dice degli antichi Ger mani: Numerumliberorum finire, et quemquam ex gnatis

neeare, flagitium liabetur (De morii), german., cap. 19). Pare però che fosse riputato misfatto 1' uccisione dei fi

gli legittimi, non così degli illegittimi, che era costume seppellire nei gorghi del Reno; onde il detto di Claudiano :

Etquns nascentes explorat gurgite Bhenus; corrispon dente ai versi di Valerio Fiacco : Subitam saevi durani

mus amne-Progeniem natosque rudes.

Nella Grecia le leggi attiche niuna pena decretarono

contro l'infanticidio, bensì come Samuele Putiti (Comm.

in leges atticas, lib. 2 tit. 4) ricorda e scrive : quemad modum liberos toiler e in patris erat positum potestate, ita etiam necare et exponere ; idque (meo judicio, dice lo stesso autore) non tam moribus, quam lege receptum fuit

Athenis... Sed etiam quoslibebat, sanguìnolentos licébat vel necare vel exponere, quod certe idem est.

Facevano eccezione le leggi dei Tebani, con certa mo

dificazione nel caso che il padre versasse in estrema po

vertà (V. Eliano, Variar, hist., lib. 2, cap. 7). Qual sia stato il dritto che abbia dominato nella giu

risprudenza romana, non è facile lo stabilire.

Negli antichi tempi era frequente il reato di procu

rato aborto, che era impunito, dacché in base alla dot

trina stoica si considerava, che il feto nell'utero è parte

dell'utero e non è animai, insinuandosi l'anima estrin

secamente dopo il parto ex anima mundi, postulato del

panteismo stoico. (V.l. 9, § 2, D. ad legem falcid., 1. 2, D. de mortuo infer., 1.1, § 1, D. de ventre inspic. Plu

tarco, Deplacitis philosoph., cap. 15 e 16., e De stoic,

repugn., cap. 62, Eckardus, Dissert. 4° De instit. phi los. stoicae, et sedar, plac., cap. 137).

Nei tempi posteriori fu sol punito straordinariamente

coll'esilio temporale (1. 4, D. deextr. crim., 1. 8, D. ad

legem Cornel, de Sicar.) eccettuato il caso riferito da

Trifonino nella 1. 39., D. de poenis., e tratto dall'ora

zione di Cicerone pro A. Cluentio, cap. 11, a riguardo

d'una donna di Mileto : quod ab haeredibus secundis ac

cepta pecunia partum sibi ipsa medicamentis abegerit. In tutti questi casi il soggetto passivo del reato era

un feto legittimo: ola ragione del punirefondossi in ciò,

che indignum videri potest, impune eam maritum liberis

fraudasse (detta 1. 4, De extraord. crimin.) e che (come dice Cicerone, citato loco) l'accusata: Spem parentis,

memoriam nominis, subsidium generis, haeredem fami

liae, designatum Reipublicae civem sustulisset. Impe rocché in tal caso anche dopo il divorzio e dopo la morte

del marito, a quest'ultimo uterus pertinet jure proprio

(V. Bynkershoek, De jure occidendi liberos, cap. 7).

Cessando pertanto tali ragioni sul portato illegittimo,

che apparteneva alla sola madre, questa rimaneva im

punita. Come nell'antichità ebraica e greca, così nella ro

mana il padre aveva il dritto di esporre i propri figli,

cessario che nell'animo del delinquente si scorga chiaramente, non solo che l'amore, la pietà naturale di una madre verso la sua crea tura non è estinta, ma perdura invece vivissima sebbene contrad detta da una necessità feroce, e quasi da una fatalità ineluttabile. Posta la donna in tale stato, se lacerata da sì opposti affetti, of fuscata la ragione in mezzo ai dolori, ai pericoli, al decadimento di tutte le forze fisiche e morali, ond'è accompagnato il parto, ella si volga improvvisa contro il monumento infelice di sua vergogna, o permetta che altri \i si volga, allora può destare ed ottenere dalla coscienza universale commiserazione, e per la diminuzione

del dolo più mite giudizio. Ma ove la strage possa ragionevolmente

arguirsi premeditata, invano la donna pretenderebbe in suo favore il

benefizio della legge. In sostanza, sebbene il fatto di scusa ammesso dalla legge, conclude l'illustre scrittore, tutto consista nell'animo e nel fine della persona colpevole, conviene che la vita antecedente

di lei, e le circostanze imperiose del momento in atto del misfatto siano tali, che non possano rilevare e non accertino altro fine ; la legge

non può presumere e non presume mai un fatto di scusa; nell'infan

ticidio, come in ogni altro reato di sangue, la scusa deve essere

provata da chi l'allega; altrimenti^, esso deve essere punito colla

pena ordinaria, cioè colla pena di morte.

Noi però dobbiamo riflettere, che qui si parla con puro criterio

astratto, non in riguardo alle questioni da formularsi ai giurati : for

mulandosi una questione colla dimanda « se l'uccisione fu commessa

su prole illegittima » evidentemente si specifica la circostanza, nella

quale soltanto può racchiudersi la ragione di onore; e se non vuoisi

ammettere che l'uso di quelle espressioni non abbia, tanto pei giu dici del diritto quanto pei giudici del fatto, alcun valevole signifi

cato, forza è attribuire alle medesime quello che costituisce la scusa

legale ; vale a dire, o si tratti di applicare il Cod. pen. sardo, o il

Cod. pen. modificato dal decr. luogot. 17 febbraio 1861, se pure nella

questione vuoisi riconoscere qualche difetto, tale esso non può ri

tenersi da far presumere un concetto contrario a quello della legge, e indurre la nullità del verdetto e del giudizio in danno dell'accusato,

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891 PARTE SECONDA 392

donde venne il costume che, nato un figlio, era deposto sul suolo, e dipendeva dall'arbitrio dello stesso padre di farlo levare, o d'abbandonarlo e repudiarlo. (Y. De

zobry, Home au siècle d'Auguste, tom. 2, lettera 54.

Pertile, Storia del diritto italiano, voi. 5, § 200; e voi. 3, § 115). Col progresso del tempo questo paterno dritto arbitrario a Roma fu represso con pena straor

dinaria in virtù del Senatusconsulto Planciano fatto

sotto Vespasiano o Vitellio, e coll'altro sotto Adriano

(V. 1. § 4, D. de agnos. et alend. liber, l.pen. C. de pa tria potest., I. 2, C. de infant, expost.).

Le leggi delle 12 Tavole concedevano al padre jus vi

tale et necis col disporre : Endo liberis justis vitae necis, venumdandique potestas ei esto.

Sotto gli imperatori questa immane facoltà conce

duta ai padri legittimi sulla vita dei figli fu raffrenata con sanzioni penali ; e per l'uccisione di figli adulti ne

forniscono esempi la 1. 5, I). de lege Pompeia, e la 1. 2, I). ad legem Cornel, de sic. In qual tempo il nuovo

dritto sia stato introdotto, è soggetto di grave disputa tra Bynkershoek (citato trattato) e G. Solorzano {Be

parricida crimine) da una parte, e tra Gerardo Noodt

dall'altra (Liber singularis de partus expos, et nece

apud Veteres, ossia Julius Paulus), seguito dallo Scul

tingio (Jurispr. Antejustinianea).

L'uccisione del figlio per opera della madre era stata

compresa nel secondo capo della legge Ptmipeia Depar

ricidiis, pubblicata nel 698 ab urbe condita, come risulta

dalla 1. 1, D. de lege Pompeia. Del padre in essa legge non poteva parlarsi, perchè ancora sussisteva immu

tata la jus vitae et necis. La pena sancita contro la madre che uccideva il pro

prio figlio era la stessa che sanciva la legge Cornelia De sicariis; pena che indi fu esasperata colla Costitu

zione dell'imperatore Costantino nell'anno 319 dell'èra

volgare e riportata nella l. un. Cod. Justin. De his qui parentes vél liberos occiderunt, e nella l. un. C. Tlieod. de

parricidio, con aver sancito culei poena [tanto eontro la madre che contro il padre. (V. pure § 6, Inst. de pubi, judic.). Per comune consenso degli interpreti sotto le

generali espressioni di tìglio e figlia nelle succitate leggi s'intendono comprési tanto gli adulti, quanto gli in fanti.

Dell'uccisione speciale degli infanti per opera dei loro

genitori parlano il giureconsulto Paolo (Recept. sentent., lib. 2, tit. 24, § 9, el. 4, D. de agnoscen. vel al. lib.), Tertulliano (nel trattato Ad nationes, lib. 1, cap. 15, pubblicato sotto Settimio Severo, probabilmente prima del 202 dell'èra volgare, od in quel turno) ; Costantino nella 1. 1, C. Tlieod. de alimentis, quae inopes parentes de publico petere debent.; e finalmente gli imperatori Yalentiniano, Valente e Graziano nella loro Costituzione

pubblicata nel 374 e contenuta nella 1, 1 C. Th. c nella 1. 8, C. Just, al rispettivo titolo Ad legem Cornel, de sicariis.

Le parole di Paolo sono: Necare videtur non tantum

qui partum perfocat, sed et is qui abjicit, qui alimenta denegai, et qui ptiblicis locis misericordiae causa expo nit, quam ipse non habet. Con quelle parole il giurecon

sulto prevede e danna i reati di infanticidio, e d'espo sizione degli infanti. Però si osserva, che enuncia bensì

una regola e massima di dritto che non forma precetto, e che non è munita di sanzione penale. Più decise par rebbero le espressioni di Tertulliano per provare che

ai suoi tempi eranvi leggi penali repressive degli in

fanticidi. Ecco le.sue parole: Nos infanticidio litamus sìve initiamus ? Vos, si de memoria abierunt quae caede

hominis, quaeque infanticidiis transegisse, reeognoscetis suo ordine : num enim dìfferimus pleraque, ne eadem

j)ideamur ubique retractare. Interim, ut dixi, ex alia

parte non deest adaequatio: nam etsi nos aliter, tamen

non aliter vos quoque infanticidiae, qui infantes editos enecantes legìbus quidemprohibemini, sed'nullae magis

leges tarn impune, tam secure... éludentur.

Tertulliano, che come reputato giureconsulto non

poteva ignorare il diritto, dice che leggi romane repri mevano l'infanticidio; però non indicando da quali leggi fosse represso, non si ha argomento a credere che fosse

emanata alcuna legge speciale che lo punisse ; ed è

quindi a credere, che egli alludesse alla legge Pompeia od alla legge Cornelia ; come pure ad esse si riferisce la

legge la Cod. Th. de alim. quae inop. che indica che

l'uccisione degli infanti per opera dei genitori costituiva

un parricidio... proponatur lex quaeparentum manus a

parricidio arceat... Or tutte le leggi e costituzioni, di cui finora si è par

lato, sia che implicitamente od esplicitamente contem

plino l'uccisione degli infanti, non intesero creare un ti

tolo speciale di reato ; bensì o non lo punirono affatto, ovvero lo compresero nella classe dei parricidi, o degli omicidi semplici.

Il testo che contempla specialmente il vero e proprio

infanticidio, è la succitata Costituzione degl'imperatori

Valentiniano, Valente e Graziano riportata nei Codici

di Teodosio e di Giustiniano come s'è detto. Questa

legge, così concepita : Si quis necandi infantis piaculum aggressus, agressave sit ; sciatse capitali supplicio esse

puniendum; creò il reato d'infanticidio tale quale oggi più comunemente s'intende.

Non pare ammissibile la conghiettura di Kaevardo

(Conjectaneorum, lib. 3, cap. 1) che la sia stata emanata

per impedire i sagrifizi degl'infanti che ancora si costu

mavano di quel tempo in Africa, come nei tempi antichi

argomentandolo dalla parola piaculum, che qui ha si

gnificato non di sacrifizio, ma di misfatto. Egli è credere, che anziché legge locale, sia stata una

legge generale, emanata a protezione di qualunque in

fante di recente nato, ossia sanguinolento, e per vendi

carne la morte seguita quando ancora non era agnitus nec ali jussus, cioè prima che nutricis opera intervenis

set; e tale è l'infante sanguinolento ossia di recente nato, che, secondo una certa opinione filosofica, non sembrava ancora homo ; nè perciò meritevole della protezione della

legge. Inoltre gl'Imperatori in quella Costituzione inte

sero contemplare la uccisione della prole illegittima, come opina l'illustre Gotofredo nei commenti alla 1.1., C. Tli., Ad legem Cornel, de Sicar. scrivendo: Non

inani ipse ducor conjectura, pertinere liane legem ad in

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GIURISPEU DENZ A. PENALE

fantes recens natos, quos vulgivaga et illicita Venere, sive de vulgo patres, sive vulgariae matres enecari so

litele velandae turpitudinis causa, et quidem in ipsa Boma.

Come osservava Tertulliano, gl'infanticidi fin allora

restavano impuniti o perchè più spesso fossero commessi

su prole illegittima di recente nata, ovvero da genitori

legittimi costituiti in estrema povertà. In progresso di

tempo le leggi provvidero a pro dei figli legittimi, la

cui uccisione costituì parricidio, e fu punita come tale

colla pena sancita nel secondo capo della legge Pom

peia, ed indi per la Costituzione di Costantino come

s'è accennato con quella del vero e proprio parricidio. L'uccisione però degl'infanti illegittimi di recente

nati continuava a rimanere impunita fino alla Costitu

zione Yalentiniana del 374, colla quale Costituzione fu

creato il crimine di vero e proprio infanticidio punito con distinta e special pena, inferiore a quella del par ricidio.

Da questa epoca il reato d'infanticidio consistette

nell'uccisione dell'infante di recente nato per opera dei

genitori e specialmente della madre su prole illegit tima. Intorno a che nell'epoca medioevale fuvvi note

vole differenza rispetto alla pena. Alcuni statuti parti rono dall'idea, che la madre non dovesse punirsi, ex eo

quod, quum infantem genuisset et proprium jus in eum

liabuisset, ipsurn perimere potuit et necare ; quilibet enim

in re sua, quod ei placet, facerepotest. La legge dei Fri

soni perciò dichiarò l'infanticidio impunito. La legge Salica lo puniva con un'ammenda ; altre come un sem

plice omicidio ; altre con pena più crudele, con bruciar

vive le madri colpevoli. La Costituzione Carolina ha il merito d'avere nell'ar

ticolo 131 definito più precisamente il reato d'infanti

cidio, d'essere cioè l'uccisione dell'infante di recente

nato, commessa dalla madre sul proprio figlio illegit

timo, comecché abbia sancita una pena grave, minore

però di quella del parricidio.

Nelle leggi italiane del medio evo non si parla spe cialmente dell'infanticidio. Indi sebbene tal titolo di reato siasi applicato tanto all'uccisione della prole il

legittima che legittima, pure secondo alcune legisla zioni fu punito più mitemente nella madre che uccideva

la prole illegittima. Così dalla giurisprudenza toscana l'infanticidio com

messo dalla madre sulla prole illegittima era punito colla pena dell'ergastolo a tempo. (Veggansi i repertorii del Ciaccheki, Cereetelli e Castellani. Vedi pure An

ton Matthei, Be crimin., ad lib. 47, tit. 16, cap. 2). Le legislazioni moderne abbracciarono tre sistemi di

versi. Alcune considerarono l'infanticidio in genere, os

sia la morte data volontariamente ad un infante di re

cente nato, senza ammettere alcuna scusante. Così il

Codice francese negli articoli 300 e 302 ; le Costitu

zioni piemontesi, IV, 34, 4; il Codice Feliciano pel regno di Sardegna nell'articolo 1823; che puniscono l'infanti

cidio sempre colla morte.

Altre distinguono l'infanticidio in qualificato, e scu

sato ; ed a questo sistema appartengono i Codici del

Brasile (articoli 197, 198); dell'Austria (§§ 122 e 139); di Parma (articoli 308 e 308 al.); delle Due Sicilie (ar ticoli 349, 352, 387); Codice subalpino (articoli 571, 577,579); Codice sardo ed italiano (articoli 525,531, 532). Progetto Vigliani (articoli 367 2°, 379). In codeste le gislazioni l'infanticidio è scusato e più mitemente pu nito secondo il Codice brasiliano (articolo 198) quando la madre uccide il figlio di recente nato per 'occflltare il suo disonore.

Pel Codice napoletano (articolo 387), se il crimine fu commesso allo scopo di celare un parto illegittimo per

ragione d'onore.

Giusta il Codice parmense (articolo 308 al.) nel solo

caso in cui la madre sia stata indotta a commetterlo

nella sua prole illegittima, e rimanga provato che essa

non aveva altro mezzo con cui salvare la vita o l'onore.

Secondo il Codice austriaco (§§ 122 e 139) nel caso che il figlio cui la madre nel parto tolse la vita, era

illegittimo. Secondo il progetto Vigliani (articolo 379) è scusabile

l'omicidio commesso sopra un infante per salvare l'onore

proprio, o della moglie, della madre, della figlia, o della

sorella.

Per il Codice subalpino (articolo 579) riguardo alla madre che lo abbia commesso sulla prole illegittima,

quando concorrono circostanze attenuanti.

Per il Codice sardo ed italiano (articolo 532) riguardo alla madre che lo abbia commesso sulla prole ille

gittima. Questo articolo 532 è stato modificato per le Pro

vincie meridionali dal Decreto luogotenenziale del 17

febbraio 1861 nei seguenti termini : « La pena dell'in

fanticidio sarà diminuita da uno a tre gradi quante volte sia stato diretto ad occultare per cagione d'onore

una prole illegittima. > Il terzo sistema è seguito da quei Codici i quali limi

tano il crimine d'infanticidio alla madre che toglie la vita alla sua prole illegittima di recente nata. Così il

Codice toscano nell'articolo 316 dice: « La donna che al

tempo del parto o poco dopo di esso ha dolosamente o

colposamente cagionata la morte della sua prole illeci

tamente concepita, è rea d'infanticidio. »

Il Codice penale zurighese del 1871, nel § 131, sta

bilisce: « La madre che, sia con azioni, sia con omissioni,

deliberatamente uccida il proprio bambino illegittimo durante il parto oppure nello stato di eccitamento che

va congiunto con l'atto del parto, è colpevole d'infanti

cidio e vien punita con la casa di correzione da due

anni fino a dieci. » Il Codice penale dell'Impero germanico del 1871-72

nel § 217: « La madre, che durante il parto, o imme

diatamente dopo uccide dolosamente il proprio figlio

illegittimo è punita con la casa di forza non al disotto

di tre anni. Se esistono circostanze attenuanti s'applica la carcere non al disotto di due anni. »

Il Codice estense (articolo 351) lo definisce : « La morte

di un infante neonato, e concepito illegittimamente,

procurata dalla madre all'oggetto di occultare il parto, è infanticidio. >

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395 PARTE SECONDA 396

Allo stesso sistema appartengono il Codice bavaro

(articolo 158), badese (§ 215), ticinese (articolo 263), spagnuolo (articolo 336), prussiano del 1855 (art. 180), di Wurtemberg (articolo 157), ed altri che contemplano

l'uccisione del proprio figlio illegittimo nel parto o su bito dopo, per opera della madre, ovvero all'oggetto di

ricoprir la vergogna ed occultare il disonore della ma

dre medesima, e secondo qualche Codice, della figlia,

nipote, o sorella.

Da questi cenni storici di diritto comparato da un

canto risulta che la parola infanticidio eccita l'idea di

morte data ad un infante, azione che dalle circostanze

e particolarmente dai rapporti tra l'uccisore e l'ucciso

assume titolo, qualità, grado e carattere ; e sotto que sto generale aspetto da alcune legislazioni fu riguar

dato e punito ; da altro canto pure risulta che il reato

d'infanticidio, a contare dalla Costituzione di Valenti

niano, Valente e Graziano, e proseguendo agli statuti

medioevali ed alla Costituzione Carolina fino alle più recenti legislazioni, nella maggior parte di esse fu con

templato sotto lo speciale rapporto di uccisione di un

bambino nascente o nato di fresco, illegittimamente con

cepito e fecondato, commessa per opera della madre ;

anzi si può ritenere che anche prima della citata legge del 374 si riteneva dai legislatori che tale fosse il vero

e proprio infanticidio, dacché essi non provvidero che

alla punizione di quello commesso nelfa prole legittima o come parricidio se per opera dei legittimi genitori, o

come ogni altro omicidio, sia per loro, sia per altrui

opera, nulla o poco curandosi della morte dei bambini

di recente nati, che fossero il frutto di vaga Venere.

Gli è vero che alcune legislazioni moderne ne fecero un

crimine qualificato sui generis, di pari gravità all'as

sassinio ed al veneficio, sulla considerazione o di un

principio religioso riposto nella supposizione di morte

data a bambino non battezzato, o di un principio giu ridico per la presunzione d'azione premeditata, o di un

principio politico per proteggere la vita di bambini

nella loro innocenza e nel loro isolamento per la faci

lità d'occultare il misfatto e di eludere la legge penale a riguardo di un essere non ancora noto, nè manifestato

alla società.

Ma, come si è veduto, per un'idea attinta dall'anti

chità ed anche dalla precedente giurisprudenza pratica,

gran parte dei più recenti Codici restrinsero il titolo

unico e normale dell'infanticidio all'uccisione commessa

dalla madre nella prole illegittimamente fecondata, e

ne costituirono un reato sui generis, però di minore

gravità dell'omicidio semplice volontario, formando

elemento costitutivo ciò che nelle altre non è che cir

costanza scusante o diminuente. Ora la circostanza scu

sante, portata e significata nell'atto d'accusa, specia

lizza, individualizza e caratterizza quel dato crimine

che forma oggetto dell'accusazione e del giudizio. In

tal caso il presidente può detrarre la circostanza scu

sante dal fatto principale, e ciò nella generalità dei

casi sarebbe più regolare. Ma includendovela con se

guire la formola della sentenza di rinvio e dell'atto

dell'accusa, l'accusato non ha motivo alcuno di lagnar

sene, mentre, anziché torto o danno, ei ne riceve fa

vore, dappoiché o i giurati danno risposta negativa, e

tutta l'accusa cade, ovvero rispondono col sì, ed in

sieme al fatto principale affermano la scusante.

Laonde nel caso della presente causa non ha sussi

stenza la critica, che si fa alla formola adoperata dal

presidente nella prima questione colle espressioni prole

illegittima, di essere impropriate, e di essere essa que stione insieme incompleta e complessa. Imperocché ri

spetto al vizio della complessività possono bastare le

considerazioni sovraccennate, di essersi cioè il presi dente conformato e regolato sul modello della sentenza

di rinvio e dell'atto di accusa, e di non avere punto

pregiudicato gl'interessi della difesa. Le circostanze

aggravanti devono necessariamente ed in ogni caso

essere poste in questione distinta e separata dal fatto

principale ; e lo dice espressamente e formalmente l'ar

ticolo 494, tanto nel primo comma del Codice che in

quello modificato dalla legge 8 giugno 1874, nè a caso

in quel luogo non fa menzione delle circostanze scu

santi (comecché ne parli in appresso), perchè il com

prenderle nel fatto principale può essere tollerabile e

compatibile, specialmente quando, come nella specie

presente, la circostanza scusante è indicata ed espressa

formalmente nell'accusa. D'altronde chi voglia andare

più addentro della corteccia delle disposizioni legisla

tive, e considerarne lo spirito e la sostanza meglio che

la forma estema e le semplici frasi, verrà a persuadersi

che ciascuno dei principali sistemi sovraccennati presen tano e contemplano in realtà e sostanzialmente due di

stinte specie del crimine d'infanticidio, cioè, che siccome

il Codice toscano, lo spagnuolo, ecc. fanno dell'ucci

sione del bambino illegittimo per opera della madre un

reato d'infanticidio sui generis, distinto dall'uccisione dell'infante legittimo, commessa da qualunque siasi

persona, o dell'infante illegittimo per opera d'ogni altra

persona che non sia la madre o gli avoli materni (se

condo il Codice spagnuolo), reato che si punisce come

ogni altro omicidio ; così nell'altro sistema seguito dal

Codice sardo, italiano, napoletano, ecc. l'infanticidio

commesso dalla madre sulla prole illegittima è una spe

cie distinta da ogni altro infanticidio che dalla legge è

posto tra i crimini qualificati contro le persone.

Rispetto poi ai due vizi apposti alla stessa que

stione prima, vale a dire dell'erroneità e dell'incom

pletezza, in primo luogo la locuzione prole illegittima

non è punto impropria, sì perchè nel linguaggio vol

gare corrisponde a quella di figlio illegittimo, e sì perchè è la locuzione stessa usata dal legislatore tanto nei Co

dici subalpino, sardo, italiano, estense, quanto ne! de

creto luogotenenziale modificante l'articolo 532.

In secondo luogo la critica che la formola di detta

questione sia erronea ed incompleta si riduce a dire,

che essa non presenta la figura dell'infanticidio scusato, di cui in detto articolo 532 modificato. Ma essendo

quella formola in coerenza precisa della sentenza di

rinvio e dell'atto di accusa, è lo stesso che dire che

nell'accusazione non erano compresi gli elementi so

stanziali della disposizione dell'articolo 532. In tale

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397 GIURISPRUDENZA PENALE 398

ipotesi del ricorso l'accusa presenterebbe la figura del

crimine di cui nell'articolo 525, di cui si trovano tutti

gli elementi sostanziali nelle due questioni poste ai giu

rati, e non conterrebbe la scusa introdotta nell'articolo

532. Se ciò si ammette, cioè che nell'accusa non fosse

contenuta la circostanza scusante suddetta, il presi

dente ai termini dell'articolo 494 al. della legge 8 giu

gno 1874, non era obbligato a formolare essa circo

stanza scusante se non richiesta dalla difesa ; e tale ri

chiesta non intervenne. Molto meno vi sarebbe stato

obbligato quando anche si ritenesse che la ipotesi del

l'articolo 532 formi una specie distinta d'infanticidio, perchè nella supposizione del ricorso l'accusa non

avrebbe contenuto il reato speciale previsto dal detto

articolo 532.

Impertanto gli appunti fatti dalla ricorrente contro

la posizione delle questioni non sussistono. Se non

che la ricorrente fu in realtà pregiudicata non pel modo

con cui furono formulate le questioni; ma perchè es

sendo esse complete, ed il verdetto contenendo la figura

dell'infanticidio scusato, le fu applicata la pena dell'in

fanticidio qualificato previsto dall'articolo 525 mod. ed

articolo 531. Conciossiachè tale scusa consista nel rap

porto tra il soggetto delinquente ed il soggetto passivo

che, non occultato, paleserebbe al mondo le vergogne

della madre che lo ha dato alla luce. Quindi la signifi

cazione di quel rapporto, consistente nell'essere la col

pevole madre dell'infante ucciso, e quésto frutto ille

gittimo dei suoi disonesti ed illeciti congiungimenti, esprime la circostanza scusante.

Non v'ha dubbio, che la ragione precipua per cui i

legislatori accordano una diminuzione di pena alla ma

dre che distrugge il parto illegittimo non è altro che la

loro presunzione che la madre nel delinquere non abbia

altro scopo che di salvare il proprio onore.

Però alcuni "legislatori hanno stimato d' esprimere

questa idea e questo fine o motivo determinante e spin

gente al delitto. Altri per indicare l'esistenza della scusa

stimarono sufficiente lo esprimere il fatto dell'illegitti

mità del bambino, e le relazioni di figliuolanza coll'ac

cusata. Ed infatti il Codice subalpino, il Codice italiano, il Codice austriaco, Ticinese, Wurtembergese, Zurighese,

Germanico, Toscano, di San Grallo ed altri dichiarano

accordare la scusa o diminuzione di pena alla madre che

toglie la vita al figlio illegittimo di recente nato. Altri

però aggiungono la ragione della scusa come il Codice

Napoletano, lo Spagnuolo, il Brasiliano, e qualche altro

« ucciderà il figlio di recente nato per salvare l'onore

o per occultare il disonore della madre delinquente. »

Questa idea però a vece d'essere esplicitamente signifi

cata, è implicitamente compresa e sottintesa nel fatto

espressamente dichiarato della illegittimità dell'infante

ucciso; per cui si presume che la madre siasi spinta al

l'uccisione di sua prole per occultarne la nascita, e così

salvare il proprio onore.

Conviene notare la differenza tra il testo dell'art. 532

come è scritto nel Codice italiano, e quello che fu mo

dificato dal Decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861.

Nel primo leggesi « la pena dell'infanticidio potrà es

sere diminuita. » L'articolo modificato non abbandona

la facoltà della diminuzione della pena all'arbitrio del

magistrato ; ma ne impone l'obbligo « la pena dell'in

fanticidio sarà diminuita. » Altra differenza avvi in questo che il Codice italiano

concede la diminuzione di pena alla sola madre, elio ha

commesso l'infanticidio sulla prole illegittima. »

L'articolo modificato per cura dell'apposita Commis

sione col Decreto luogotenenziale è più largo; concedendo

la scusante non solo alla madre che abbia ucciso la pro

pria prole illegittima, ma accordandola in genere « quante volte sia stato diretto ad occultare per ca

gione d'onore una prole illegittima. » Cón queste ve

dute di così larga benignità la Commissione Napole

tana, attenendosi al concetto ed alla locuzione dell'art.

387 delle leggi penali del 1819, fu obbligata non solo ad

esprimere il fatto dell'illegittimità del bambino, ma

ancora l'idea, e la ragione motivante la scusa.

Però se per le altre persone, che non siano la madre

dell'ucciso, è necessario significare espressamente che

l'infanticidio muoveva da ragione d'onore per l'occulta

zione d'una prole illegittima ; quando la stessa madre

sia accusata, questa ragione d'onore è presunta, e sot

tintesa, quand'anche non sia espressa, come ne convince

l'autorità ed il consenso quasi generale dei legislatori, che per la maggior parte senza l'espressa menzione di

quella ragione, si contentano, nel caso di madre delin

quente, esprimere il fatto materiale dell' illegittimità dell'infante cui sia stata data la morte.

Quindi nella specie la figura del reato tanto nell'ac

cusa, quanto nel verdetto era quella dell'ipotesi del

l'art. 532 modificato. Se il Pubblico Ministero credeva, che l'accusata Di

Lorenzo non avesse agito col fine di occultare per ra

gione d'onore la sua prole illegittima, poteva chiedere,

che se ne facesse una domanda speciale ai giurati. Ma

non essendovi un relativo espresso quesito, la presun zione sta in favore dell'accusata che abbia uccisa la sua

prole illegittimamente fecondata, e data alla luce pel motivo stesso per cui la legge concede la scusante.

Risultando dunque, che la Di Lorenzo privò di vita

la propria prole illegittima, di recente nata non ancor

battezzata o inscritta nei registri dello stato civile, os

sia non ancor manifestata alla società, non doveva por tare altra pena, che quella sancita dall'art. 532 che,

oltre le circostanze attenuanti, impone la diminuzione

da uno a tre gradi. Quindi mal fece la Corte ad appli

care l'art. 531 del Codice penale sulla erronea conside

razione, che non indicandosi nell'accusa e nel verdetto

che l'accusata aveva commesso l'infanticidio per sal

vare il proprio onore non dovesse godere della diminu

zione suddetta della pena, imperocché, se nelle altre

persone delinquenti questa ragione è la sola scusante, e

dev'essere perciò espressa, e non si presume ; nella ma

dre ucciditrice e distruggitrice del frutto dei suoi non

casti, nè legittimi amori, questa ragione è sottintesa

e presunta fino a prova contraria, non solo per consenso

quasi generale, e pel favore dell'accusata ; ma ancora

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399 PARTE SECONDA 400

per un principio psicologico, che l'amore di madre ha

una forza potentissima, che non può essere superato

che dal pericolo di gravissimi danni, com'è quello di

veder rovinato il proprio onore, o di temute gravi seyi

zie, o della perdita della propria vita. Egli è perciò

che reputasi infanticidio scusato quello commesso dalla

madre sulla propria prole illegittima, essendo questo

fatto la base ed il fondamento della scusa.

Per le quali considerazioni, se non sussistono gli ap

punti fatti contro le questioni proposte ai giurati, è de

gna di censura la sentenza della Corte d'assise in quanto

all'applicazione della pena, non avendo tenuto conto

della circostanza scusante dell'illegittimità dell'infante

ucciso, per cui' doveva essere la pena ordinaria, di cui nel

l'art. 531, diminuita da uno a 3 gradi giusta l'art. 532.

Perlochè dev'essere annullata, come s'annulla l'impu

gnata sentenza in quanto all'applicazione della pena col

rinvio ad altra Corte d'assise acciocché in base al ver

detto dei giurati devenga a nuova applicazione di pena.

Per questi motivi, la Corte, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI.

Udienza del 23 aprile 1877, Pres. Pironti P., Est. Na

rici — Conflitto nella causa Eomano.

Pastore stipendiato — Sottrazione «li animali — Furto

qualificato — Appropriazione indebita (Cod. pen., ar

ticolo 607, n° 1 e 2).

La sottrazione commessa dal pastore stipendiato, di al

cuni tra gli animali affidatigli, è furto qualificato e non appropriazione indébita (1).

La Corte, ecc. — Osserva nel fatto, che l'imputato

Donato Romano di furto qualificato per la persona,

avendo sottratto dieci pecore dal gregge di Giuseppe

Canoellara, a lui affidato come pastore a stipendio fisso,

la sezione di accusa in Potenza avesse qualificato il fatto

d'indebita appropriazione, e rinviatane la cognizione al

correzionale, dacché lo imputato avesse abusato di ani

mali con speciale incarico a lui affidati.

Che il tribunale di Melfi non pertanto in esito del di battimento vi avesse invece ravvisato furto qualificato,

e disposto il rinvio degli atti a questo Supremo Collegio

per là, soluzione della questione in linea di conflitto, avendo il tribunale rilevato, come difettasse nella specie la fiducia volontaria e disinteressata, la quale differen

zia la indebita appropriazione dal furto.

Osserva nel diritto, che non possa cader dubbio sulla

inesattezza della definizione attribuita al fatto dalla

sezione di accusa; di vero, chi affida altrui robe, danaro

od altri effetti per farne un uso od impiego determinato,

agisce spontaneamente et nulla necessitate coactus, e lo

abuso che il depositario faccia di tale fiducia, forse leg

germente collocata, bene è dalla legge qualificato inde

bita appropriazione, e punito come delitto.

Che tutt'altro sia per lo contrario il dolo informante

la sottrazione commessa dal servo salariato in danno

del padrone, o dal vetturale o barcaiuolo sulle cose loro

affidate in detta qualità ; conciossiachè in siffatti casi necessaria sia la fiducia, che il padrone ha nel servo, il

passeggiero nel vetturale, e costoro sottraendo le cose

ai medesimi affidate col valersi appunto della qualità, che rende necessaria la fiducia, commettono più grave

reato, qual è il furto qualificato per la persona, giusta i numeri 1 e 3 dell'articolo 607 del Codice penale.

Per tali motivi, ecc.

(1) Conf. ved. Cass. Torino 9 aprile 1858, ric. Pinna, nel Bettini, 1858, parte I, pag. 460, cit. dal Ferrarotti, fra tante altre analoghe, al n. 72 del suo commento al Codice penale sardo, all'art. 607. Sulle

differenze tra il furto qualificato e l'appropriazione indebita, ved. pure le annotazioni dell'egregio avvocato Gei, in nota alla sentenza della

Cass. di Firenze, 22 novembre 1876, ric. Ferro, nel Foro ital., anno

corr., II, col. 300 e seguenti.

CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE.

Udienza 2 giugno 1877, Pres. Poggi P., Est. Coppi;, P. M. Miraglia — Eie. Pietro Chiarini (Avv. Luigi

Callaini).

Pena—Pitt reati — Appello — Reato unico— Limiti — 'Fruirà — l>ebito — Dichiarazione — Dilazione — Rinunzia — Agente forestale (Cod. proc. pen., art. 419; Cod. pen. tose., art. 396, 399).

Non può dirsi aumentata la pena, con violazione dell'ar

ticolo 419 del Cod. di proc. pen., quando la Corte di

appello, contraddicendo l'apprezzamento del tribunale, che i fatti imputati non costituiscano un solo ma più

reati, applichi una pena maggiore di quella già appli cata per alcuno dì questi, mainferiore alla somma della

penalità per ambedue.

L'accettazione della dichiarazione di debito e la conces sione di una dilazione al pagamento, fatta all'ammi nistrazione forestale da un suo agente, il quale si

appropriò indébitamente somme riscosse a nome della

medesima, non sono di impedimento a che, spirato in

fruttuosamente il termine stabilito, possa promuovere azione penale onde mediante la medesima essere risar

cita del danno (1).

(1) L'art. 7 del Cod. di procedura dispone, che nei casi in cui l'a zione penale non può esercitarsi che ad istanza della parte offesa,

questa non può, dopo scelta l'azione civile, avanti il giudice com

petente, promuovere il giudizio penale, perocché, come si spiegano

gli interpreti, alla L. 22, Cod. de furtis, in concur su actionum al

ternativo, si actio semel in iudicium sit deducta, statim submovetur

altera. Nello stesso concetto la dottrina e la giurisprudenza hanno sta

bilito, che sia impedito l'esercizio dell'azione penale quando la parte lesa abbia transatto col suo avversario sull'interesse civile risul

tante dal reato : in difetto di una disposizione espressa di legge, dice il Cons. Saluto, all'art. 7, § 102, qui deve applicarsi il principio della L, 90, D. de reg. iuris, che in omnibus quidem, maxime tamen

in iure, aequitas spectanda est ; perocché chi ha transatto deve

considerarsi come impegnato, nello stesso modo che se si fosse in

terdetto espressamente il diritto di portare querela, salvo che nel

l'atto relativo non sia stata fatta qualche riserva.

Ma dopo che la legge ha parlato di rinunzia all'azione penale col

ricorso alla civile e dopo che la dottrina e la giurisprudenza hanno

creduto doversi dare lo stesso effetto alla transazione tra l'offensore

e la parte lesa, niun principio di diritto ci autorizza a trarre il con

cetto di una rinunzia dalla condiscendenza c longanimità di questa,

quando cioè prima di promuovere l'azione penale tenti la via della

conciliazione per essere risarcita del danno.

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