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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 23 dicembre 1878, Pres. Galatiolo, Est. Mazza, P. M....

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Udienza 23 dicembre 1878, Pres. Galatiolo, Est. Mazza, P. M. Del Mercato, (Concl. contr.) —Ric. Bruno Source: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp. 213/214-217/218 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23084753 . Accessed: 18/06/2014 05:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.20 on Wed, 18 Jun 2014 05:57:00 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 23 dicembre 1878, Pres. Galatiolo, Est. Mazza, P. M. Del Mercato, (Concl. contr.) — Ric. Bruno

Udienza 23 dicembre 1878, Pres. Galatiolo, Est. Mazza, P. M. Del Mercato, (Concl. contr.) —Ric.BrunoSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.213/214-217/218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084753 .

Accessed: 18/06/2014 05:57

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•213 GIURISPRUDENZA PENALE 214

procedura penale, perocché, avendo la Corte incrimi

nato alcuni testimoni in discolpa, e rinviata la causa

principale ad altra udienza da destinarsi, non avrebbe

potuto simultaneamente riprodurre entrambe le due

cause respingendo le opposizioni della difesa all'aper

tura del dibattimento.

E perciò le due cause essendo state riunite in unico

dibattimento, ha violato l'art. 473 di detto Codice;

Attesoché, se a norma dei risultamenti del dibatti

mento, la Corte d'assise ha incriminato di falso un te

stimone secondo l'art. 312 del Codice penale, può, giusta

l'art. 314 dello stesso Codice, a richiesta di alcuna delle

parti, e anche d'ufficio, immediatamente ordinare il

rinvio della causa ad altra udienza. Imperocché, se

dalle prove discusse può talvolta sorgere così splen

dida la verità dei fatti, quando indipendentemente dal

giudizio di falso del testimone incriminato possono

senza altro essere pronunziati il verdetto dei giurati

e la sentenza definitiva sulla causa principale, vice

versa può avvenire che la Corte, apprezzando le cir

costanze della causa e l'influenza del testimone, cre

desse utile di rinviare ad altra udienza la causa

principale per il pieno sviluppo della verità.

Ora in questo secondo caso, sebbene la legge non

abbia espressamente o formalmente dichiarato, che la

causa del testimone falso fosse prima decisa, pure dalla

ragione logica e dallo spirito di detto art. 314 risulta

non men chiaro, che il giudizio sul conto del testimone

dovesse precedere affine di depurare l'istruzione degli

elementi sospetti e menzogneri, per valutare con mi

gliore maturità e consiglio la fede che possono meri

tare i detti del testimone incriminato rapporto alla

causa principale che si è rimandata. Dunque, sotto

questo riguardo, la priorità della causa incidentale sa

rebbe il sistema più regolare nell'ordine di codesti

giudizi. Tuttavia può nascere dubbio se codeste due cause

possano essere trattate contemporaneamente in unico

dibattimento, cosicché l'ordinanza del presidente, che

per avventura le riunisce, possa essere soggetta a cen

sura innanzi la Corte di cassazione, e questo è il tema

della presente causa.

Su di ciò il ricorso dichiara di essersi violata la cosa

giudicata, ritenendo che l'ordinanza di riunione delle

due cause fosse in urto, anzi incompatibile, con quella

di rinvio della causa principale.

Ma se l'ordinanza di riunione non corrisponde all'or

dine materiale dei due giudizi, non contraddice certa

mente a quello di rinvio nel senso che questo portasse

divieto alla contemporaneità del dibattimento. Anzi il

nesso delle due cause vi si svolge con maggiore pie

nezza; può ravvisarsi meglio l'influenza che diede

luogo all' incriminazione, ed i giudici di fatto nel giu

dicare sulla sorte del testimone incriminato se abbia

o no mentito, giudicheranno se il reo principale fosse

colpevole del reato ascrittogli. Per la qual cosa non

vi sarebbe propriamente violazione di cosa giudicata;

l'ordine dei giudizi se non materialmente, sarebbe ideo

logicamente osservato.

Però, se ad onta dell'opposizione di alcune delle parti,

se malgrado apposito incidente sollevato innanzi la

Corte d'assise, l'ordinanza di riunione delle due cause

fosse mantenuta come nella specie, sono allora ben di

verse le conseguenze di legge, e diverso non può non

essere il provvedimento del magistrato. E di vero è

ovvio in diritto che un testimone incriminato di falso,

fino a che duri l'incriminazione, non può comparire da

testimone nel giudizio della causa principale. Ma quando

sia egli assolto riprende tutta la capacità di deporre.

Quindi se nessuna delle parti si opponesse all'ordi

nanza di riunione delle due cause, è prova irrefra

gabile che, sia il pubblico ministero, sia l'accusato, non

vogliono fare più uso del testimone incriminato, qua

lunque fossero i risultati del giudizio di falsa testimo

nianza. Ma se vi sia opposizione da parte dell'accu

sato, come nella specie, molto più che si tratta di due

testimoni a discolpa, la Corte respingendo la domanda

di separazione delle due cause, lo ha privato del di

ritto sopra espresso nei più vitali interessi della di

fesa, cioè di far sentire i suoi testimoni a discolpa

nella purezza dei loro detti. E perciò siffatta ordinanza

è incorsa in una nullità d'ordine pubblico, che non può

non essere accolta dalla Corte di cassazione;

Per questi motivi, annulla, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO.

Udienza 23 dicembre 1878, Pres. Galatiolo, Est. Mazza,

P. M. Del Mercato, (Conci, contr.) — Ric. Bruno.

Kcal» «l'azione privata — Hinorrnne — Desistenza

— l'atri» potestà (Cod. proc. pen., art. 105,116,117;

Cod. civ., art. 223 e 224.

Trattandosi di reato d'azione privata commesso dal

padre a dinno del figlio minorenne, è valida la

desistenza dalla querela fatta con V assistenza della

madre.

In tal caso è erroneo il credere che, per l'obbligo

deW indennizzo delle spese, la desistenza non sia

efficace senza V intervento di un curatore speciale

al figlio minorenne.

La Corte, ecc. — Osserva in fatto, che sopra denunzia

di estranei e di agenti della forza pubblica iniziavasi

procedimento penale contro Bruno Giuseppe, che im

putato veniva di stupro violento in persona della propria

figlia, dell'età di anni 15.

Chiamata costei dal giudice ed interrogata, faceva

la sua dichiarazione, e la corrispondente istanza di

punizione del padre; però non le si faceva lo avver

timento prescritto dall'alinea dell'art. 116 del Codice

di proced. penale, cioè del diritto che si avea di de

sistere dalla querela, e nemmeno di quanto è sancito

dall'art. 564 del medesimo Codice, cioè che, persistendo

nella querela, chi la produce è tenuto, nel caso in cui

si dichiari non esser luogo a procedere o si assolva

1! imputato, a rimborsare le spese anticipate dall'erario.

Con queste anormalità, compiuta la istruzione, il Bruno

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215 PARTE SECONDA 216

era rinviato alla Corte di assise; ma prima del dibat

timento la querelante presentavasi al giudice istrut

tore, e dichiarava di desistere dalla istanza; e con

temporaneamente la di lei madre, per autorizzare la

figlia minore alla desistenza, presentavasi anch'essa

al medesimo giudice, e dichiarava di rinunziare a qua

lunque dritto potesse competerle di produrre querela

a sensi dell'art. 105 della proc. pen. Pur tuttavia la causa veniva portata alla udienza

della Corte, ed il difensore dell'accusato preliminar

mente chiedeva, che in base alla desistenza si dichia

rasse arrestata l'azione penale, e conseguentemente non farsi luogo ad ulteriore procedimento.

Però la Corte considerava che, comprendendosi nel

giudizio penale l'obbligazione d'indennizzo verso l'im

putato e verso il pubblico eràrio, il minore benché

possa senza bisogno di consulenza o di autorizzazione

alcuna promuovere l'istanza di punizione, pure per

l'obbligazione connessa d'indennizzò va sottoposto alle

regole del diritto civile.

Considerava altresì che nella specie la minore Bruno

poteva da sè sola desistere dalla querela, ma per le

conseguenze d'indennità non poteva arbitrare, trat

tandosi di contrattazione di debiti, e di rinunzia ad

azione che vale alienazione; epperò la desistenza do

veva ritenersi incompleta. Nè la presenza della madre nell'atto di desistenza

poteva sanar questa, perciocché vivendo il padre, colei

non può esercitare nè patria, nè tutelare potestà sulla

figlia. Ad ogni modo poiché desistenza vi era, non po tè vasi procedere al giudizio dell'accusato, e troncare

a costui il dritto già iniziato in suo pro, che poteva esser compiuto istantaneamente.

Laonde la Corte nè respingeva, nè accoglieva la

istanza di dichiarare non esser luogo ad ulteriore pro

cedimento, ma rimandava la causa a tempo indetermi

nato, cioè sino a quando nei modi del dritto comune

la querelante ottenesse l'autorizzazione necessaria al

perfezionamento della desistenza per le conseguenze d'indennizzo.

Contro questa sentenza il ricorso, che allega la vio

lazione degli articoli 120, 104, 116, 117, 118 della proce dura penale, dacché si afferma che se il minore è capace di esercitare il dritto di proporre querela, senza bi

sogno di rappresentanza giuridica o curatela, ha pure il dritto di desisterne colla medesima libertà del dritto

di querelarsi.

A ciò si aggiunga l'intervento della madre nella de

sistenza, esercitando quella patria potestà che ai ter

mini dell' art. 220 del Codice civile competevale, non

potendo il padre esercitarla.

Sarebbe inoltre antilogico ed ingiuridico il ritenere

che il minore abbia il dritto di proporre querela, e

non quello di arrestare il corso dell'azione, dacché al

lora le vedute di decoro individuale, di onore della fa

miglia, per cui si vorrebbe troncare il corso ad un

procedimento che li compromette, ed impedire che

giunga alla pubblicità, sarebbero del tutto frustrate.

Del resto il minore, dal momento che ha presentato

la sua querela, ha già contratto una responsabilità in

nanzi alla giustizia, perchè se quella querela potesse risultare falsa o calunniosa, il minore dovrebbe rispon dere delle conseguenze giuridiche del fatto proprio anche in linea civile, poiché per l'art. 1306 del Codice

civile il minore è pareggiato al maggiore per le ob

bligazioni nascenti da delitto o quasi delitto.

Le quali cose premesse, il supremo Collegio osserva

ia diritto, che ove la quistione non si guardi nel suo

speciale aspetto, ove si ricorra a principi non appli

cabili, ove le parole della legge non s'intendano nello

stretto significato giuridico, si può smarrire lo scopo, e rendere illusoria una statuizione introdotta nel Co

dice penale per vedute di altissima convenienza. Senza

esaminare se la facoltà di presentar querela sia, o no.

istituita nello scopo di tutelare dritti privati; se quella conferita dall'art. 105 del Codice di procedura pe nale alle persone ivi menzionate abbia, o no, per og

getto di accrescere la tutela dei dritti degli offesi da

quelle rappresentati, egli è certo doversi la quistione risolvere colla scorta della legge speciale che la ri

guarda. Essendo classificato lo stupro violento fra i

reati contro l'ordine delle famiglie, ed il Codice del

1819, con maggior proprietà di linguaggio, lo chiamava

specialmente un reato che attacca la pace, l'onora

delle famiglie; essa ha voluto che la giustizia tacesse, e lo lasciasse impunito quando la parte privata non

facesse istanza per la punizione del colpevole; e fu

perciò aggiunto il numero 2 dell'art. 500 dal decreto

del 17 febbraio 1861, onde conservare fra noi questo antico istituto, come una protezione dovuta ai segreti delle mura domestiche. Questo principio vuoisi ora

estendere a tutto il reame d'Italia, principio che, se

condo la relazione sul progetto del nuovo Codice penale, si risolve in un atto di prudenza, inteso a non esporre a vergogna ed a danno maggiore, e suo malgrado, chi preferisse coprire col silenzio la patita ingiuria.

A prescindere dal modo onde fu messa in movimento

l'azione penale nel caso in esame, dacché non vi fu

spontaneità di querela, né chiamata almeno della madre

della fanciulla minorenne, né fatti gli avvertimenti

prescritti dagli articoli 116 e 564 della procedura pe

nale, è un errore per fermo negare alla madre il dritto

alla desistenza, mentre per l'art. 105 avrebbe avuto

quello alla querela, e mentre per l'art. 220 del Codice

civile, essa aveva lo esercizio della patria potestà, es

sendo il padre impossibilitato nel caso speciale ad

esercitarla.

Né osta la disposizione dell'art. 224, che prevede il

caso che nasca conflitto d interessi tra il figlio ed il

padre, e vuole in tal caso che sia nominato a quello un curatore speciale.

Nessun conflitto d'interessi civili può ravvisarsi nella

desistenza da una istanza di punizione, anzi nella spe cialità del reato in parola, evvi unico interesse fra i

membri della famiglia, quello cioè di evitare la pub blicità del giudizio.

Voler risolvere la quistione colle norme riguardanti interessi meramente civili, importa disconoscere il valor

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217 GIURISPRUDENZA PENALE 218

morale e l'importanza di ordine sociale di quell'antico

istituto, di che sopra è verbo, e con la invocazione di

regole non applicabili, tradirne lo scopo. Ciò ha fatto la sentenza impugnata, violando la legge,

per la quale, stante la desistenza dalla dimanda di pu

nizione, dovea dichiarare non esser luogo a procedi mento.

Quella sentenza esser deve annullata, e poiché il

fatto ha cessato di esser punibile, non è luogo ad or

dinare alcun rinvio; art. 675 Cod. proc. pen.; Per queste considerazioni, annulla senza rinvio, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO.

Udienza 27 marzo 1879, Pres. Parisi, Est. Saluto,

P. M. Del Mercato — Ric. Zappulla.

I'rescrizione — Sentenza contumaciale — Azione

penale — Pena (Cod. proc. pen., art. 543).

Ferimento seguito da morte — l'remeditazione —

Assassinio (Cod. pen., art. 541, 526, 531).

Balla data di una sentenza contumaciale comincia

a decorrere la prescrizione, non dell' azione penale, ma della pena pronunziata, sino a che la sentenza

suddetta non venga meno per la costituzione in

giudizio del condannato contumace. (1) Le ferite volontarie seguite da morte, benché siano

dalla legge agguagliate all'omicidio e punite colle

pene corrispondenti, non costituiscono l'omicidio vo

lontario, di cui all'art. 522 del Cod. pen.; e molto

meno perciò, concorrendovi la premeditazione, pos sono costituire Vassassinio, di cui all'art. 526 dello

stesso Codice. (2)

La Corte, ecc. — Sul 1° mezzo del ricorso princi

pale: Attesoché le sentenze di condanne, benché pro nunziate in contumacia, immutano lo stato giuridico del condannato; all'azione penale sostituendosi la pena, dalla data di siffatta sentenza non può aver luogo pre scrizione di azione penale regolata dal periodo di tempo a ciò stabilito; ma quella della pena che, trattandosi

di crimini, è di anni 20. A siffatto principio accenna

l'art. 543 Cod. proc. pen., che dispone: « Il condannato

in contumacia ad una pena criminale, in qualunque

tempo pervenga in potere della giustizia, pria che la

pena sia prescritta, sarà sentito, ecc. » E sarebbe stata

in effetto una incoerenza il corso della prescrizione

dell'azione penale, in un periodo di tempo in cui il pub blico ministero fosse stato costretto di rimanere per

necessità di legge nell'inazione, dando così agio al

l'imputato di presentarsi per opporre in giudizio la

prescrizione dell'azione penale.

È vero che in virtù dello stesso art. 543 in qualunque

tempo il condannato in contumacia pervenga in po

tere della giustizia, la sentenza contro di lui proferita

è considerata come non avvenuta.

Ma ciò non importa che, in vista della costituzione

dell'accusato in giudizio, scompariscano retroattiva

mente gli effetti attribuiti alle sentenze contumaciali

degli articoli 543, 544, 599 e 600 del Cod. proc. pen.

per incorrere negli assurdi sopra indicati.

Sul 2° mezzo (Omissis) ; Per questi motivi, annulla per falsa applicazione di

pena, ecc.

(1) Conformi: Cass. Torino, 15 febbraio 1872, ric. Ghione (Annali

1872, pag. 55); Cass. Napoli, 20 aprile 1870, ric. Napolitano (Id., 1870, pag. 267), 4 dicembre 1876 (Riv. penale, VI, pag. 57) e 7 luglio 1876 (Legge, 1876, pag 756 ; Cass. Palermo, 17 luglio 1876 (Foro it., J876, col. 401); Cass. Torino, 24 maggio 1878, ric. Pellottieri (Giorn.

trib., Milano, 1878, pag. 594), ecc.

(2) Giurisprudenza oramai pacifica di tutte le nostre Corti di cassa

zione. Abbiamo perciò omessa la parte della sentenza che si riferisce

a questa massima.

CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO. Udienza 10 marzo 1879, Pres. Parisi, Est. Saluto, P. M.

Del Mercato (Conci, diff.) — Ric. P. M. c. Romeo

Giuseppe e Paolo.

Appello — Giudizio — Apprezzamenti «liversl —

Non ripetizione del dibattimento (Cod. proc. pen.,

art. 363).

Oltraggio — Estremi — Esercizio legittimo di l'un

zioni (Cod. pen., art. 258 e 259).

Può la Corte d'appello nel giudizio di secondo grado

ritenere fatti e formare apprezzamenti diversi da

quelli ritenuti dai primi giudici senza ripetere il

dibattimento.

A costituire il reato di oltraggio contro un pubblico

funzionario è necessario che questi sia già stato

oltraggiato nell'esercizio legittimo delle sue fun

zioni od a causa del medesimo. Perciò non costi

tuiscono oltraggio, ma semplici ingiurie, le offese

recate al pubblico funzionario allorché questi le ab

bia provocate. (1)

La Corte, ecc. — Attesoché sul primo mezzo si scorge di leggieri come le deduzioni rilevate riguardano l'ap

(1) È la seconda volta che la Corte di cassazione di Palermo, a re lazione del chiarissimo consigliere comm. Saluto, ha stabilito che

l'oltraggio può aver luogo soltanto quando l'ufficiale pubblico sia nel l'esercizio legittimo di sue funzioni. Infatti, con l'altra sentenza del 23 dicembre 1878, da noi riportata a col. 104 di questo stesso volume, disse esser contraddittorio escludere per difetto dell'esercizio delle fun zioni la ribellione, ed ammettere l'oltraggio commesso insieme alla medesima.

Questa massima ci sembrava così giusta, che ci ha recato mera

viglia leggere nella Rivista penale di Lucchini (vol. X, fase. I, pag. 69) una nota relativa alla citata sentenza 23 dicembre 1878, nella quale si sostiene che la legittimità delle funzioni si richiede bensì per la ri

bellione, ma non già per l'oltraggio. In effetto (si dice) l'arbitrario

procedere dei pubblici ufficiali può giustificare, almeno nei casi di evi

dente arbitrio, la reazione, ma non può mai importare un volgare ed

inutile oltraggio. E si aggiunge che l'art. 247 relativo alla ribellione

parla di ufficiali che « agiscano per l'esecuzione della legge, degli or

dini dell'autorilà, ecc.»; mentre l'art. 260, relativo all'oltraggio, non

esige altrettanto, poiché non parla che di « esercizio di funzioni ».

Non pare però che queste obiezioni resistano ad un attento esame.

Il principio che il rispetto dell'autorità sia sempre dovuto, legittimo o illegittimo che ne fosse l'esercizio, richiamerebbe indirettamente

li. Foro Italiano. — Volume IV. - Parte II. — 16.

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