Udienza 24 maggio 1879, Pres. Poggi, Est. Mori-Ubaldini, P. M. Miraglia —Ric. Badiani eFautiniSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.435/436-437/438Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084869 .
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435 PARTE SECONDA 436
presta ad ammettere che intendesse concludere il suo
assunto nei modi legittimi, mediante cioè l'avocazione
dell'originale dell'atto d'appello, del quale si hanno atti
in due copie autentiche e certificate conformi dallo
stesso ufficiale, l'una prodotta dal ricorrente in questo
straordinario giudizio, l'altra prodotta dal procuratore
generale presso questa Corte suprema, e dalle quali si
rileva che l'atto d'appello (dalla cui data incomincie
rebbe a decorrere il termine per la produzione dei mo
tivi), invece di essere stato interposto nel 22 novem
bre 1878, come porterebbe la difforme copia autentica
in atti, all'appoggio della quale pronunziò la sentenza
deferita, sarebbe stato interposto piuttosto nel 23, in
modo da render utile la presentazione dei motivi av
venuta nel 26; Attesoché in tale stato della contestazione non era
necessario inscrivere in falso contro la copia dell'atto
d'interposizione d'appello, che era in processo, per au
torizzare l'accertamento della data di quello che si de^
duceva errata. Cotesto procedimento è richiesto quando si impugni assolutamente che avanti il pubblico uffi
ciale abbia avuto luogo un atto da esso alterato, non
però quando senza impugnare, come nel caso, che l'atto
originale fosse fatto, si vuol provare che taluna delle
sue menzioni non è esattamente riferita nella copia
autentica, per causa di errore incorso nella spedizione della copia dell'atto stesso; nel quale caso non si im
pugna la verità del documento originale, ma l'esattezza
della copia, ed allora il più facile e sicuro partito da
seguirsi dal giudice del merito, che dall'atto deve de
sumere la ragione di decidere, è quello di avocare l'o
riginale del documento pei confronti di ragione; Attesoché pertanto, quando la denunziata sentenza,
nei termini concreti della causa, ritenne indistintamente
e come assolutamente necessario che gli appellanti, a
giustificazione del loro assunto, avrebbero dovuto que relare di falso i relativi documenti esistenti in pro
cesso, fece una falsa applicazione delle teorie giuridi
che, che regolano la materia della iscrizione in falso ; Attesoché una volta che la sentenza stessa qualificò
e considerò gli attuali ricorrenti come appellanti, e
come tali in loro confronto pronunziò, a nulla vale il
certificato che lo stesso vicecancelliere, cui farebbe ca
rico la difformità delle copie autentiche sopra menzio
nate, ha ultroneamente fatto pervenire, dal quale ap
parirebbe, che i due odierni ricorrenti De-Biasi Antonio
e De-Rold Domenico non avessero interposto appello contro la sentenza del pretore di Belluno, portata dal
l'appello di altri insieme con loro condannati alla cogni zione del Tribunale di quella città, che dichiarò con la
denunziata sentenza 14 gennaio 1879 1' appello stesso
come sopra irricevibile.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 24 maggio 1879, Pres. Poggi, Est. Mori-Ubal
dini, P. M. Miraglia — Ric. Badiani e Fautini.
Resistenza alla pubblica l'orza — S'ercosse ad mi
aleute «li pubblica sicurezza—Ieiìhio «li resistere
(Cod. pen. tose., art. 143; Cod. pen. it., art. 247).
A costituire il reato di resistenza alla pubblica forza,
preveduto dall'art. 143 cod. pen. tose., occorre che
le percosse e violenze contro Vagente della pubblica
forza abbiano per iscopo di impedire, disturbare o
distruggere l'esercizio delle sue funzioni; dovendo il
concetto giuridico della resistenza rispondere al
senso della parola resistere, che esprime l'antago nismo di due forze in conflitto tra loro. (1)
Perciò le violenze usate contro un agente della pub blica forza, non possono qualificarsi come resistenza, allorché non sia dimostrato quello scopo; come al
lorquando Vagente di pubblica sicurezza sia stato
percosso improvvisamente, e senza che nè prima, nè in quell'atto abbia nulla detto o fatto per rite
nere che le percosse siano state occasionate dall'e
sercizio di un atto del suo ufficio. (2)
È inesatto in simile caso argomentare dal concetto
astratto che Vagente della pubblica forza debba
sempre presumersi nell'esercizio delle sue funzioni, e che le violenze contro esso usate stiano d'ordi
nario a manifestare l'animo di resistere. (3)
La Corte, ecc. — Attesoché in seguito al soggetto della imputazione, pel quale i due ricorrenti, insieme
con altri tre, furono tradotti, con citazione direttis
sima, innanzi il Tribunale di Pisa nel dì 22 febbraio
ultimo decorso, venne dai primi giudici ritenuto in sen
tenza; Che il capo-squadra Iginio Caramelli nella sera del
dì 21, vestito della propria "divisa, dalla via Sottoborgo entrò in quella prossima denominata Le acciughe, per associarsi ad una persona di sua relazione, e con essa
portarsi alla casa della madre di lui Caramelli, soffe
rente per personale infortunio di recente verificatosi,
quando gli avvenne incontrarsi in cinque individui che
ivi erano fermi, due dei quali improvvisamente, e senza
pronunziare parola, se gli fecero addosso, ed uno gli diede un colpo di mano chiusa presso il naso, così
violento da sbalordirlo e fargli versar sangue, e l'altro
gli avventò pure un colpo nel capo, e per effetto di
questi colpi il Caramelli stramazzò;
Che, rialzatosi, e fatto cenno di porre mano ad
un'arme, tre di costoro che si erano tenuti alquanto in disparte fuggirono, ed allora degli altri due, rico
nosciuti dal Caramelli per i due ricorrenti, il Badiani
fece atto di dargli un colpo di coltello, col quale per altro non lo investì, perchè trattenuto dal Fautini che
disse: Ferma che lo conoscer; Che nessun livore o inimicizia era mai passata tra
il Caramelli e i due ricorrenti; che lievi erano le le
(1-3) L'art. 143 cod. pen. tose, è così concepito : « Chiunque si op pone all'esecuzione delle leggi o degli ordini dell'autorità pubblica, usando, violenza a persone incaricate d'ufficio o per mandato speciale di quella esecuzione, od a coloro che a richiesta di esse le aiutano nell'esercizio del menzionato incarico, è punito, come colpevole di re
sistenza, col carcere, ecc. » Crediamo che le massime stabilite dalla sentenza siano anche applicabili di fronte all'art. 247 cod. pen. vi gente nel resto del Regno.
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437 GIURISPRUDENZA PENALE 438
sioni da lui riportate; che l'unica causa a delinquere
era a ritenersi essere stato l'odio e il disprezzo verso
un agente della pubblica forza nell'esercizio delle sue
funzioni; che ciò bastava a costituire li estremi del
delitto di resistenza accompagnato da lesioni perso nali leggiere, escluso peraltro l'impulso della brutale
malvagità; e conseguentemente furono condannati il
Badiani a diciotto mesi di carcere, il Fautini a dieci
mesi della stessa pena, ed assoluti gli altri restati
ignoti; Attesoché la Corte, Confermando l'appellata sentenza,
abbia ritenuto essa pure il titolo della resistenza alla
pubblica forza, considerando segnatamente la intenzione
dei delinquenti, l'ora, il luogo, ove il fatto avvenne, e
l'occasione, la quale - ivi - « sia pure di semplice ge
« nere e scherzo chiassoso, non altra però poteva in
« tendersi la missione di un agente della pubblica forza
« che di mantenere la quiete e la regolarità, ossia la
« esecuzione della legge di pubblica sicurezza »; Attesoché indubbiamente errata sia la definizione giu
ridica data dai primi giudici al fatto, e tenuta ferma
dalla denunziata sentenza, chiaro essendo che nella
specie non ricorrono i caratteri legali della resistenza.
Ed invero gli elementi costitutivi il prefato delitto con
templato dall'art. 143 cod. pen. tose, consistono nella
opposizione alla esecuzione delle leggi o degli ordini
della pubblica autorità, e nella violenza alle persone
incaricate d'ufficio, o per mandato speciale, di quella
esecuzione. Ora del primo elemento non è dato riscon
trare traccia nel caso in esame, imperocché, anco pre
scindendo dal vedere se la denunziata sentenza abbia,
come lamentano i ricorrenti, alquanto spostato il fatto
dai termini in cui lo contenne la sentenza di pi'imo
grado, certo è che fu a loro imprestata una intenzione
che la predetta denunziata sentenza non era autoriz
zata dalle resultanze a poter ritenere, e che soitanto
vollesi argomentare e supporre, in conseguenza del
principio astratto, che l'agente della pubblica forza
deve sempre presumersi nell'esercizio delle sue fun
zioni, e che le violenze contro esso usate stanno or
dinariamente a manifestare l'animo di resistere; e ciò
veniva ritenuto nel caso concreto quantunque non una
parola fosse stata proferita, non un atto si facesse dal
Caramelli contro i due ricorrenti, onde come agente
della pubblica forza richiamarli al rispetto della legge o d'un ordine dell'autorità, né prima, né quando era
passivo delle violenze per parte di essi. Ora questo
non può ammettersi, perchè, se il concetto giuridico
della resistenza deve interamente, come è necessità,
rispondere al senso della parola resistere, la quale
esprime l'antagonismo di due forze che vicendevol
mente tendono a conflittarsi, ne avviene che come la
forza della pubblica autorità si estrinseca con una
azione fisica esteriore, così per parte del privato oc
corre una forza fisica corrispondente, acciò possa dirsi
che egli ha resistito agli agenti della autorità; occorre
adunque che l'atto criminoso costituente la resistenza
sia avvenuto quando gli agenti della pubblica forza si
accingevano ad agire, o quando agirono, o quando,
dopo avere esauriti gli atti relativi, la resistenza in
terveniva con lo scopo di distruggerli. In sostanza in
questo delitto vuoisi l'attuabilità dell' esercizio delle
funzioni pubbliche, onde impedirle, disturbarle, o di
struggerle; e niuna di queste ipotesi essendosi verifi
cata nella specie, con tutta ragione fu dai ricorrenti
dedotta la violazione del predetto art. 143 e della giu
risprudenza relativa; Attesoché in proposito a ciò che resta del fatto in
criminato, ossia alla violenza di cui fu passivo il Ca
ramelli, sarà la Corte di merito, cui è commesso il
nuovo esame, quella che determinerà se al fatto, come
sopra, convenga, come pretenderebbesi dai ricorrenti,
la qualifica d'ingiuria atroce contemplata dall'art. 368,
§ 2, lett. B del detto cod. pen., o non piuttosto quella
qualunque esclusa dalla sentenza di primo grado, e di
che nell'art. 327, § 2, codice stesso, che punisce sempre come premeditata la lesione personale che sia derivata
da solo impulso di brutale malvagità; Per questi motivi, cassa e rinvia, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 16 aprile 1879, Pres. Poggi, Est. Terzi, P. M.
Trecci — Ric. Marin.
ilniiiisliii — tfiicusn — C«ni|ii;tciizii — interessi ci
vili (Cod. proc. pen., art. 830).
Vamnistia è una misura di ordine pubblico, e quindi non può essere ricusata dall'imputato che voglia
provare la propria innocenza. (1)
Spetta alla sola Sezione di accusa Vammettere l'im
putato all' amnistia; epperciò rettamente opera il
Tribunale allorché procede a giudizio, facendo salvo
all'imputato il diritto di essere ammesso a quel be
neficio. (2) L'amnistia non pregiudica alle azioni civili nascenti
da reato; e colui che condannato in prima sede ad
una pena ed ai danni, viene in pendenza dell'ap
pello ammesso dalla Sezione d'accusa all' amnistia,
può far valere in appello le sue ragioni per essere
esonerato dal risarcimento dei danni. (3)
La Corte, ecc. — Sul primo mezzo — Attesoché, tanto
per la lettera della legge, la quale dispone, che l'am
(1-3) Per reato di arresto arbitrario il ricorrente fu condannato a 6 giorni di carcere oltre alla multa di lire 51, alla sospensione dell'e sercizio dei pubblici uffici per mesi tre, al risarcimento del danno verso l'arrestato per la detenzione arbitraria sofferta, liquidato in lire 50, con riserva d'ogni maggior diritto da esperimentarsi in giudizio ci
vile, ed infine al pagamento di lire 115 a favore del procuratore del l'arbitrari amente arrestato.' In pendenza dell'appello da lui prodotto, fu dichiarato dalla Sezione di accusa ammesso al benefizio dell'amni stia concessa col regio decreto 19 gennaio 1878. Contro tale ordinanza declaratoria dell'ammissione al benefizio dell'amnistia il Marin ricor reva alla suprema Corte per ottenerne l'annullamento denunciandola come infetta di nullità: 1. per avere quella declaratoria falsamente
applicato l'art. 830 cod. proc. pen. in relazione ai principi generali, dei quali s'informa il sistema di procedura vigente, e ciò, inquantochè il benefizio dell'amnistia può venire ricusato da chi, anziché accettare
quel benefizio, ami meglio di essere dichiarato giudizialmente inno
cente; 2. nuova violazione dello stesso art. 830, non che dell'art. 393
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