+ All Categories
Home > Documents > PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M....

PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M....

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: ngodat
View: 214 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
4
Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M. Del Vasto (concl. conf.) —Ric. De Michele (Avv. Marciano, Altavilla; per la parte civile Avv. De Marsico) Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1930), pp. 91/92-95/96 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23125710 . Accessed: 24/06/2014 22:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.214 on Tue, 24 Jun 2014 22:27:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M. Del Vasto (concl. conf.) — Ric. De Michele (Avv. Marciano, Altavilla; per la parte

Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M. Del Vasto (concl. conf.) —Ric. DeMichele (Avv. Marciano, Altavilla; per la parte civile Avv. De Marsico)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1930), pp.91/92-95/96Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23125710 .

Accessed: 24/06/2014 22:27

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.34.79.214 on Tue, 24 Jun 2014 22:27:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M. Del Vasto (concl. conf.) — Ric. De Michele (Avv. Marciano, Altavilla; per la parte

PARTE SECONDA

Nella specie risulta ohe nelle varie fasi del giudizio

furono presi in esame tutti i decreti di amnistia ed in

dulto pubblicati dal 1921 al 1923 ; che furono ampiamente

motivate le ragioni per cui il Taormina doveva ritenersi

escluso dalla amnistia e che, invece, delle diverse 'ipotesi di condono alcuna soltanto gli fu ritenuta applicabile, im

plicitamente quindi escludendo che alle altre egli avesse

diritto.

In conseguenza, dovendosi affermare che allo stesso

giudice, il quale aveva pronunziato la sentenza di condanna,

fosse ormai precluso ogni ulteriore apprezzamento in or

dine alla possibilità di estendere al Taormina i condoni

che erangli stati implicitamente negati, il ricorso contro

la ordinanza che rigettava, sia pure per motivi di merito, la domanda del condannato, non merita accoglimento.

Visti gli art. 589, 590, 516 cod proc. pen., chiede che

la Ecc.ma Corte di cassazione rigetti il ricorso contro

la ordinanza 29 luglio 1929 della Corte di appello di Ve

nezia.

La Corte : — Letta la requisitoria sopra trascritta e

ritenuti i fatti come in essa esposti, osserva :

Contro la domanda del Taormina per l'applicazione dell'indulto portato dall'art. 6, penultimo capov., del re

gio decreto 22 dicembre 1922, n. 1641, il Procuratore

generale presso la Corte di appello di Venezia oppose la

autorità del giudicato che sarebbe costituito dalla sentenza

della stessa Corte in data 22 giugno 1925, e l'eccezione

viene ora riproposta dal Procuratore generale presso questo

Supremo Collegio, ma essa non è fondata.

Il giudicato porta alla consumptio dell'azione penale e delle eccezioni relative all'oggetto di essa, e quindi

esaurisce noti la competenza (ch'è la misura della giuri

sdizione) ma la giurisdizione stessa (ne bis in idem). Da ciò deriva che il giudicato copre il dedotto e il

deducibile, ma questo principio, quando si tratta di giu dicato emesso nel giudizio di dichiarazione, vale solo per le questioni che possono essere oggetto esclusivamente di

tale giudizio, e non anche per le questioni che possono formare obbietto, sia del giudizio di dichiarazione sia di

quello di esecuzione, giacché in tal caso una questione non proposta in quello può proporsi in questo, tanto più

quando essa riguarda benefici, che devono applicarsi anche

di ufficio. Tale è il caso dell'indulto, per la cui applicazione ap

punto il primo capoverso dell' art. 590 cod. proc. pen.

stabilisce la competenza, sia del giudice di cognizione che

di quello di esecuzione. La funzione giurisdizionale, quindi,

del giudice di esecuzione, che si ripartisce fra i vari gradi

e dà luogo alla competenza funzionale, di cui parla il ci

tato capoverso dell'art. 590, nell'applicazione dell'indulto

non è preclusa dal giudicato emesso nel giudizio di co

gnizione, se questo non si occupò della questione che

viene poi proposta.

E, nella fattispecie, bene ha deciso la Corte d'appello di Venezia, quando ha ritenuto proponibile la domanda

.perchè sulla questione prospettata dal Taormina non esiste

giudicato, in quanto nella sentenza 22 giugno 1925 non

ve n'è alcun accenno. Ne si dica che nel giudizio di cogni

zione fu preso in esame il regio decreto 22 dicembre

1922 n. 1641, e quindi tutte le questioni che nell'appli

cazione di esso potevano sorgere sono dal giudicato coperte,

appunto per il principio sopra enunciato che il giudicato

copre il dedotto e il deducibile ; giacché, trattandosi di

un decreto contenente parecchie disposizioni, che contem

plano ipotesi diverse, non può dirsi che, prese in esame

alcune di esse, si intendano esaminate tutte. Certo il

giudice di esecuzione non può sulle circostanze di fatto,

sull'apprezzamento di esse e sui principii di diritto ap

plicabili, andare in diverso avviso del giudice di cogni

zione, se questo li ha presi in considerazione ma, se si

tratta, come nella specie, di circostanze di fatto e di norme

di diritto non prese in esame, il giudice di esecuzione

deve esaminarle, quando, per le ragioni anzidette, si tratti

di questioni che possano proporsi anche in executives.

Osserva, però, che il ricorso, se non va rigettato pel le considerazioni fatte dal Procuratore generale, va riget tato per le ragioni di merito espresse dalla Corte di ap

pello sia in fatto che in diritto.

L'ordinanza impugnata, in conformità della sentenza

22 giugno 1925, ritiene in fatto che il Taormina convertì

in suo profitto somme cospicue ricevute da numerosi mez

zadri in lotta economico-sociale con i loro padroni, al fine

preciso e determinato di fare con esse offerte reali. Ed

afferma, in diritto, che la frase del citato art. 6, penul timo capov. « reati commessi ... in agitazione . . . deter

minate da cause economico-sociali», deve interpretarsi, non già nel senso che essa accenni ad un semplice sincro

nismo tra l'agitazione e il reato, ma nel senso che voglia

indicare un rapporto esistente tra quella e questo, in modo

tale che debba vedersi nell'autore del reato una persona

che, per essere fra gli agitatori o tra le vittime dell'agi

tazione, abbia subito un'influenza del clima morale, che

gli abbia limitato il senso critico delle sue azioni e dimi

nuita la coscienza e la volontà rispetto al fatto com

messo, per cui si appalesi meritevole di una più benigna

considerazione.

Tali criteri, a giudizio di questo Supremo Collegio, sono

esatti. Le agitazioni economiche e politico-sociali dell'epoca

furono la causa per cui le somme furono affidate al Taor

mina, non quella per cui egli se le appropriò. Questa,

come apparisce dalla sentenza 22 giugno 1925, risiedette

esclusivamente nella di lui brama di arricchire, e perciò

nessun rapporto di dipendenza ha con le agitazioni stesse.

Onde egli, secondo lo spirito che animò il Sovrano nel

concedere l'indulto, lungi dal mostrarsi degno del bene

ficio, dimostrò una maggiore pericolosità derivante dal

fatto di volere, per suoi fini esclusivamente personali, trarre

profitto dalle condizioni disgraziate in cui si trovava a

quell'epoca la Nazione, i cui diversi strati sociali erano

in sommovimento, sia per le difficili condizioni create

dalla guerra, sia per le sobillazioni dei partiti e delle per

sone che cercavano pescare in quei torbidi.

Per questi motivi, visto l'art. 535 cod. proc. pen., ri

getta il ricorso proposto da Taormina Vincenzo contro

l'ordinanza della Corte di appello di Venezia in data 29

luglio 1925, e lo condanna al pagamento delle spese del

procedimento.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Prima sezione penale)

Udienza 25 ottobre 1929 ; Pres. Pujxa, Est. De Ficchy,

P. M. Del Vasto (conci, conf.) — Ric. De Michele

(Avv. Marciano, Altavilla ; per la parte civile Avv.

De Marsico).

(Sent, denunciata : App. Napoli 15 gennaio 1928)

Danni penali — Imputato assolto — Competenza del

giudice penale — Omessa pronuncia — Appello

This content downloaded from 195.34.79.214 on Tue, 24 Jun 2014 22:27:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M. Del Vasto (concl. conf.) — Ric. De Michele (Avv. Marciano, Altavilla; per la parte

GIURISPRUDENZA PENALE

dell'imputai» — liimiti del giudiii» di appello

(Cod. proc. pen., art,. 431 e 432).

L'azione civile di risarcimento dei danni a favore del

l'imputato assolto è necessariamente ed inderogabil

mente contenuta nel rapporto processuale penale, per

cui spetta esclusivamente al giudice penale cono

scere di tale domanda. (1)

E se il giudice penale ha omesso di pronunciarsi e l'im

putato abbia perciò prodotto appello, il giudice, di se

condo grado deve limitarsi a giudicare sulla doman

da dei danni, e non può discutere se i fatti già im

putati costituissero l'uno o l'altro reato, essendo l'a

zione penale ormai esaurita con il giudicato di asso

luzione.

La Corte : — Con sentenza del Giudice istruttore presso il

Tribunale di S. Maria Capua Vetere 5 gennaio 1920 fu di

chiarato non doversi procedere a carico di Guarino Al

fonso pel reato di oltraggio con minaccia in danno di De

michele Giovanni, per amnistia, e per i reati di violenza

privata ed appropriazione indebita qualificata, perchè i

fatti non costituivano reato. Dopo tale proscioglimento, su querela del Guarino, si procedette a carico del De

michele pel delitto di calunnia, per avere costai, con de

nuncia diretta all'Autorità giudiziaria, incolpato il Guari

no, che sapeva innocente, del reato di appropriazione in

debita qualificata, della somma di lire 1250, che gli era

stata affidata quale priore della confraternita del Rosa

rio. Ma il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con sen

tenza 22 luglio 1921, mandò assolto il Demichele perchè il fatto non costituiva reato.

Propose appello il Demichele, deducendo che il Tri

bunale aveva omesso di giudicare sulla richiesta di con

danna della parte civile Guarino ai danni ed alle spese ;

e la Corte d'appello di Napoli, con senfenza 2 giugno

1926, condannò il Guarino ai danni ed alle spese del

doppio grado del giudizio.

Propose ricorso per cassazione il Guarino, censurando

la sentenza della Corte d'appello che aveva pronunciato la di lui condanna ai danni ed alle spese in favore dello

imputato assolto, senza la dimostrazione della di lui mala

fede o temerarietà. Questo Supremo Collegio, consideran

do che elementi essenziali per l'applicabilità del capover so dell'art. 431 cod. proc. pen. sono la mala fede nel fare

la denuncia e nel coltivarla, ed anche temerarietà, leg

gerezza ed imprudenza ; che la Corte di appello accolse

il gravame del Demichele senza dare alcuna ragione del

proprio convincimento ; con sentenza 23 febbraio 1927

annullò la decisione impugnata e rimandò la causa per nuovo giudizio dinanzi altra sezione della stessa Corte di

appello. La Corte di rinvio, dopo aver dichiarato di doversi

uniformare ai principii di diritto stabiliti dal Supremo

Collegio circa gli estremi di legge occorrenti per affer

mare la responsabilità del calunniatore, considerò, che

essendo l'azione di risarcimento di danni, proposta dallo

imputato assolto, accessoria dell'azione penale, e seguen done la sorte processuale, per conoscere della stessa oc

correva indagare sulla sussistenza del reato di appropria zione indebita, attribuita al Guarino, per dedurne la leg

gerezza o temerarietà di costui nel presentare la querela

(1) Conformi : Moutaha-Aloisi, Spieg. prat. del cod. di proc. pen., Torino 1915, parte II, 219 e 220.

contro il Demichele. Nel compiere tale indagine, la Corte

ritenne che nella specie sussistevano la prova e gli estremi

del reato di appropriazione indebita a carico del Guarino, ma che l'azione penale per tale reato era estinta per pre scrizione. Rilevò, infatti la Corte che quando il Supremo

Collegio, con la sentenza 23 febbraio 1927, annullò la

sentenza di condanna del Guarino al risarcimento dei

danni in favore del Demichele, l'azione penale pel reato

di appropriazione indebita era prescritta sin dal novem

bre 1926 ; e che attualmente era prescritta anche l'azione

penale pel reato di calunnia attribuito al Demichele, co

stituente il fondamento alla domanda di danni. Ritenne,

quindi, che per la verificatasi prescrizione dell'azione pe nale per i reati di appropriazione indebita e di calunnia, era venuta a mancare la propria giurisdizione per l'azione

civile accessoria a quella penale, ciò argomentando anch.e

dall'art. 8 cod. proc. pen. ; e con sentenza 15 gennaio

1928, dichiarò inammissibile la domanda di risarcimento

di danni proposta dal Demichele per la sopravvenuta pre scrizione dell'azione penale per appropriazione indebita

contro il Guarino e per calunnia contro il Demichele.

Contro tale sentenza ha, nelle forme di legge, propo sto ricorso per cassazione il Demichele, denunciando la

violazione degli art. 431, 432, 421 cod. proc. penale, 92

cod. pen., 1151, 2135 cod. civ., 370 cod. proc. civile. Egli

assume che la Corte ha, anzitutto, violato il giudicato,

giachè, essendosi con la sentenza di assoluzione, passata in giudicato, esaurita l'azione penale, non poteva questa rivivere per essere dichiarata prescritta. La Corte, inol

tre ha confuso l'azione civile proveniente dal reato, per cui il proscioglimento rende il magistrato penale carente

di giurisdizione, con la condanna ai danni della parte ci

vile, per cui è eccitata la giurisdizione del giudice pe nale solo quando l'azione penale si esaurisce con l'asso

luzione.

E' venuta, cosi, a creare una deroga al principio ge nerale secondo cui la prescrizione non fa decadere dal

diritto di esercitare l'azione civile, di esclusiva compe tenza del giudice penale ; ed ha confuso l'azione civile

proveniente dal reato dell'imputato con quella derivante

dalla colpa del querelante. Ha proposto ricorso per cassazione anche il Procura

tore generale presso la stessa Corte .. .

Attesoché è senza dubbio esatto, in conformità al te

sto chiarissimo della legge, che l'azione civile di risarci

mento di danni a favore dell'imputato assolto è necessa

riamente ed inderogabilmente contenuta nel rapporto pro cessuale penale; per cui spetta esclusivamente al giudi ce penale conoscere di tale domanda, in seguito a valu

tazione delle risultanze del processo penale; e, di conse

guenza, se il magistrato penale, pronunciando l'assoluzione

dell'imputato, rigetti la domanda di risarcimento di danni

proposta da costui, è improponibile l'azione stessa dinanzi

al giudice civile. Ma da questo esatto principio giuridico

non può derivare l'erronea conseguenza cui pervenne la

sentenza impugnata. Nella specie, contro la sentenza as

soluto ia del Tribunale non era stata proposta impugna

zione dal P. M., ed il gravame dell'imputato era diretto

unicamente ad ottenere dal giudice d'appello la pronun

cia sui danni, omessa dal primo giudice ; onde l'azione

penale era definitivamente ed irrevocabilmente esaurita,

ad essa essendosi sostituita l'autorità del giudicato penale

di assoluzione. Compito del giudice d'appello era unica

mente quello di riparare all'omessa pronuncia nella quale

era incorso il Tribunale ; ma gli era del tutto interdetto

This content downloaded from 195.34.79.214 on Tue, 24 Jun 2014 22:27:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 25 ottobre 1929; Pres. Pujia, Est. De Ficchy, P. M. Del Vasto (concl. conf.) — Ric. De Michele (Avv. Marciano, Altavilla; per la parte

PARTE SECONDA

di giudicare se i fatti attribuiti dal Demichele al Guarino

costituissero il delitto di indebita appropriazione, e se la

denuncia del Demichele rivestisse gli estremi della calun

nia. Alla prima indagine ostava la sentenza assolutoria

del Giudice istruttore, dopo la quale non vi era stato al

cun provvedimento di riapertura della istruzione ; alla se

conda era di ostacolo la sentenza assolutoria pronunciata in sede di giudizio e non impugnata.

Indubbiamente, allorché l'azione penale è estinta per

prescrizione, cessa la giurisdizione del giudice penale a

pronunciare sulla domanda di danni a favore dell'impu

tato, giurisdizione il cui esercizio presuppone la coesi

stenza del giudicato assolutorio. Ma nella specie versa

vasi appunto nella ipotesi di tale coesistenza, in quanto

il primo giudice di appello non fece che riparare l'omis

sione nella quale incorse il primo giudice, a costui sosti

tuendosi nel giudicare sulla pedissequa domanda di risar

cimento ; ed il giudice di rinvio altro esame non doveva

compiere che riparare alla omissione in cui era incorso

il primo giudice di appello, esaminando se, in base alle

risultanze del processo penale assolutorio, fosse compro

vato che la querela di calunnia fosse stata data con dolo

o con colpa. Tale era l'esame demandato al giudizio della

Corte d'appello, in sede di rinvio, dalla sentenza di an

nullamento ; onde manifesto è l'errore nel quale essa è

caduta, col ritenere tuttora in vita un'azione penale già definitivamente coperta ed esaurita dal giudicato.

Va, quindi, accolto il ricorso del Demichele, e tale

accoglimento rende ultroneo l'esame circa l'ammissibilità

del ricorso del P. M.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Seconda sezione penale)

Udienza 27 novembre 1929 ; Pres. Longhi, Est. De No

taristefanIj P. M. Bruno (conci. diff.) — Rie. Sin

doni (Avv. Escobbdo e Mazzino ; per la parte civile

Avv. Barillari).

(Sent, denunciata : Trib. Roma 1 dicembre 1928)

Diffamazione — Comunicazione eon più peritone —

l'i»*» iitililà che la frase diffamatoria sia stala in

tesa — Insufficienza (Cod. pen., art. 393).

Non è sufficiente a costituire l'elemento della comunica

zione con più persone, nel reato di diffamazione,

Vaffermare la possibilità che la frase diffamatoria sia stata intesa da più persone, ma occorre che la

c municazione siasi verificata in concreto. (I)

La Corte : — ... Ricorre in Cassazione il Sindoni e

deduce : «Violazione dell'art. 393 cod. penale. Il Tri

bunale non poteva confermare la sentenza di primo grado, che condannava il ricorrente per diffamazione, fondata su

fatti diversi da quello unico contestato, se poi la condanna

è fondata sul fatto contestato doveva ritenersi inesistente

il reato di diffamazione per mancanza degli estremi della

divulgazione e della determinazione ».

(1) Conforme : Majno, Comm. al cod. peti, it., 2» ed., parte II, fi 1750. Ci sembra almeno sostanzialmente contraria la giuri sprudenza che ritiene sufficiente 1' accertamento che 1' ad debito sia stato gridato nelle pubbliche vie: 10 novembre 1905, Liotta (toro it., Hep. 1906, voce Ingiuria, n. 40) ; 19 marzo 1926, Le Moli (id., Rep. 1926, voce cit., n. 27).

Il suesposto motivo viene poi riprodotto tra i seguenti motivi aggiunti : . . .

3° La sentenza afferma ohe una sola persona siasi

accertato avere intesa la frase diffamatoria ; ma dice che

ciò nonostante il reato è perfetto, perchè la frase fu detta

ad alta voce in un pubblico caffè ed è quindi impossibile che altri non l'abbia udita. Occorreva, invece, accertare, non come possibilità solamente, ma come evento verifica

tosi, tale estremo indispensabile per il reato per cui vi

fu condanna. . . .

Osserva il Supremo Collegio che il ricorso va accolto,

poiché manca nella specie uno degli elementi indispensa bili per la esistenza del reato per cui vi fu condanna.

Non è sufficiente invero a costituire l'elemento della

comunicazione, di cui all'art. 393 cod. pen., affermare la

possibilità ohe la frase diffamatoria fosse stata intesa da

più persone; occorre, invece, che siasi verificata in con

creto la comunicazione voluta dalla legge. Ed il giudice, il quale, dopo aver stabilita la possibi

lità suddetta, dice che, in conseguenza di essa, più di una

persona dovè sentire la frase incriminata, non fa ohe ri

petere, soltanto in termini alquanto più vicini alla concre

tezza, il concetto di una semplice possibilità, in quanto non afferma ancora che la comunicazione a più persone sia

avvenuta.

E chiaro, infatti, che una frase ingiuriosa, ancorché

pronunziata in un caffè, può non essere intesa da persone ivi intervenute, intente *ai loro discorsi o distratte in altre

occupazioni, ovvero può ad esse pervenire solo parzial mente o inesattamente, così da perdere nella trasmissione

quella essenza di illecito, che nel complesso della frase

poteva essere inclusa. Ed appunto per tale considerazione

acquisterebbe valore anche il primo motivo del ricorso, cioè che per mancanza di determinazione, certamente in

tesa in ogni sua particolarità da più persone, si tratte

rebbe nella specie, al massimo, di ingiurie, mai di diffa

mazione.

Per questi motivi, cassa senza rinvio perchè il fatto

non costituisce il reato di diffamazione e come ingiurie vi

sarebbe la prescrizione.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Prima sezione penale)

Udienza 12 luglio 1929; Pres. Bianchi, Est. Marongiu", P. M. Gatti (conci, conf.)

— Ric. P. M. c. Mara

gna (Avv. Tr neh ieri).

(Sent, denunciata : Trib. Sulmona 18 marzo 1929)

l'ascolo allusivo — Provincia «li Aquila — E' pro

vincia meridionale — Perseguibilità di ufficio (Cod.

pen., prt. 426; L. 10 novembre 1907, n. 844, art. 80; D. luogot. 1 ottobre 1916, n. 1255).

La provincia di Aquila è fra le provincie meridionali

del Regno e quindi il reato di pascolo abusivo in

està 'consumo,to è ■perseguibile di ufficio.

La Corte : — Malagna Sabatino, condannato dal Pre

tore di Pratola Peligna, con sentenza 1° maggio 1928, a

lire 130 di multa per pascolo abusivo, fu assolto dal Tri

bunale di Sulmona con sentenza 18 marzo 1929 per im

procedibilità dell'azione penale, mancando la querela.

Eitenne il Tribunale che la provincia di Aquila non

This content downloaded from 195.34.79.214 on Tue, 24 Jun 2014 22:27:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended