Udienza 26 aprile 1876, Pres. ed Est. Poggi P., P. M. Gloria —Ric. RenaldinoSource: Il Foro Italiano, Vol. 1, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1876), pp.397/398-399/400Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23081487 .
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GIURISPBU DEN ZA PENALE
Che il presupposto nonpertanto, d'onde muove il ri
corrente, non sia appieno giustificato; e per fermo, se
nella ordinanza per la comunicazione della lista dei
giurati il Yalentini ed il Rovere sono riportati tra dieci supplenti, della disposizione però concernente la cita
zione dei nove ordinari di seconda serie si parla in con
tinuazione dello elenco dei primi trenta; sicché a rimuo
vere ogni dubbio sulla effettiva qualità di quei due giu rati sarebbe indispensabile ordinare gli opportuni chia
rimenti, se non dovessero la sentenza ed il dibattimento
annullarsi pel mezzo che segue. Osserva nel fatto sul mezzo relativo alla udizione
della testimone Morrone, che fossero già stati uditi tra i testimoni a carico un Antonio Morrone, il quale aveva
riferito le rivelazioni fatte alla di lui figlia Concetta
dalla giovinetta Luigia Cavallo, domestica dell'accusato, e la nominata Luigia, la cui dichiarazione però aveva
smentito le accennate rivelazioni.
Che dispostosi intanto lo accesso in Sàlvia della Corte, dei giurati, del Pubblico Ministero e dei difensori, nel
fine di dileguare i dubbi, che erano sorti intorno alle
località, ove seguì il reato, il presidente, compiuto lo
sperimento di fatto, ordinò, in forza del potere discre
zionale, citarsi la Concetta figlia del testimone Morrone, e sul luogo stesso la sottopose ad esame.
Osserva nel diritto, che non possa cader dubbio sullo
eccesso di potere e sulle nullità, che si denunziano al
supremo Collegio; tra perchè essen lo stata la delibera
zione della Corte limitata allo sperimento di fatto, non
si potevano trascendere i confini segnati, tra perchè la
citazione della novella testimone seguì senza lo indi
spensabile addentellato imposto dallo articolo 479 proc.
penale, le spiegazioni cioè dello accusato o dei testi
moni già uditi ; e perchè infine la udizione di un nuovo
testimone in assenza dello accusato, che è parte princi
palissima del giudizio, essendo vietata sotto pena di
nullità, giusta gli articoli 268, 271 e 270, lo esplica melo del potere discrezionale s'imbatteva in questa insormontabile barriera di legge.
Che a scusare lo eccesso indarno direbbesi, essere
stato lo accusato rappresentato in quell'atto dal difen
sore, e la nullità al postutto sanata dalla ricomparsa della testimone nel dì seguente ed alla presenza del
giudicabile; inconcludente di vero è il primo assunto, non potendo i giudizi per crimini aver luogo senza la
simultanea presenza dello accusato e del difensore, nè
il mandato per assistere allo sperimento di fatto esten
dersi ad atti estranei; e nemmeno plausibile è il secondo
assunto, non potendo il ricomparir della testimone, udita già nullamente e contro il divieto della legge, nè
ciò che lo accusato avesse potuto allegare per smentirla
cancellare le impressioni per avventura prodotte dalla
prima di lei deposizione nell'animo dei giurati. Per tali motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 26 aprile 1876, Pres. ed Est. Poggi P., P. M.
Gloria. — Ric. Renaldino.
Competenza — Ferimento volontario — Armi — €orte !
d'assise — Tribunale correzionale — Appello (Cod. pen. it., art. 544, n° 4 — Cod. proc. pen., art. 419).
Il ferimento volontario commesso con arma da fuoco, an corché permessa, a priori deve ritenersi di competenza della Corte d'assise (1).
Nel caso di giudizio al tribunale correzionale, e di con danna alla pena del carcere aumentata a tenore di
legge, la Corte d'appèllo, sul ricorso del solo condan
nato, non può pronunciare la propria incompetenza (2).
La Corte, ecc. —Attesoché pel disposto dell'art. 544, n° 4, del Codice pen. ital. il reato di ferimento eseguito con arma da fuoco, ancorché permessa, può essere pu nito con la pena del carcere estensibile anco al massimo di detta pena, e per l'aumento di uno o due gradi vo luto dal successivo art. 547 si può far passaggio alla
pena criminale immediatamente superiore. Attesoché ove si tratti di stabilire a priori la compe
tenza a conoscere di detto reato, che non è definito cri
mine dalla legge per modo costante ed assoluto, ma può divenirlo per l'uso delle facoltà come sopra date ai giu dici del merito, la giurisprudenza delle Corti supreme ha ormai stabilito che in vista appunto della possibile applicazione di una pena criminale al fatto, debbasi
sempre rispondere per la competenza maggiore ; altri
menti sarebbe rimesso all'arbitrio dei tribunali correzio
(1) Quando un reato è di titolo incerto, perchè in sostanza a se conda delle circostanze sono applicabili pene di genere diverso, la competenza deve essere regolata dalla maggiore pena, perocché cosi soltanto si esclude ogni eccesso di potere.
Questa massima, che è una conseguenza giuridica che sorge dal l'insieme delle disposizioni di legge in materia di competenza, è stata confermata in testo espresso dall'art. 13 del Codice di procedura pe nale, dichiarando esso che « nel concorso di pene di diverso genere, applicabili al medesimo reato , la competenza sarà regolata dal ge nere di pena superiore. »
La massima che nella specie ha stabilita la Corte suprema di Fi renze non è che un'applicazione di tale articolo; tantoché in senso conforme ha pur deciso la Cass. di Palermo, 5 settembre 1864 (Bettini, XVI, 1, 905); 13 gennaio 1865 {Legge, 1865, pag. 711), e 7 giu gno 1866, id., 1866, pag. 1820; 20 maggio 1869 (Bettini, XXI, 1, pag. 346); Cass. Napoli, 27 giugno 1866, id., 1866, pag. 974 ; 30 gennaio 1871 {Legge, 1871, 607); 17 luglio 1871 (Id., 1871, pag. 500); e nella citata sentenza 20 giugno 1866 ha così argomentato :
« Attesoché diverso è il principio che regola le giurisdizioni, di verso è quello che concerne la latitudine data al magistrato nell'ap plicazione delle pene. Le giurisdizioni vanno applicate sul titolo del reato, ma la facoltà di applicare una pena correzionale piuttostochè la criminale, quando questa facoltà è attribuita dalla lpgge per un determinato reato, costituisce un esercizio della giurisdizione, non il
punto di partenza per stabilirla. E per fermo, la competenza si svolge tanto nell'assolvere che nel condannare, e tanto nel condannare col
maggior rigore, quanto con mitezza e benignità. Solo il giudice ai
quale spetta la giurisdizione può vedere se, essendo a sua scelta una pena più grave od una più lieve, debba applicare l'una piuttosto che l'altra, o viceversa.
« Attesoché se si volesse contraddire alla verità di questi criteri, ne deriverebbe lo sconcio che, per dichiarare la competenza a pro cedere per un reato, si comincerebbe dallo stabilire la pena effettiva con cui dovesse essere retribuita, vale a dire, per la definizione della
competenza si andrebbe difilato a misurare la quantità della pena, ciò che è atto compitore della giurisdizione, anzi è il termine mas simo in cui essa si addentra ed estingue. »
Conf. in materia di ferite volontarie, come nella specie, Cass. stessa di Firenze, 11 ottobre 1872, Bettini, 1872, I, pag. 677.
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PARTE SECONDA
nali l'impedire l'effetto voluto dalla legge coll'aumento
di pena spinto sino a passare dalla pena correzionale
alla criminale. Attesoché per altro quando, come nel caso, il giudi
zio della causa è stato fatto sia pure per errore avanti
il tribunale correzionale, il quale si è limitato a con
dannare il Renaldino alla sola pena del carcere per tre
mesi, e da questa sentenza ha appellato soltanto il con
dannato, non il Pubblico Ministero, allora la possibilità del passaggio della pena correzionale alla criminale di
cui si è sopra discorso, viene eliminata per l'acquie scenza della parte pubblica, ed è applicabile invece il
disposto del secondo capoverso, dell'art. 419 del Codice di procedura penale, il quale stabilisce « ivi » se l'ap
pello è stato interposto solamente dall'imputato la pena non potrà essere aumentata.
Perlochè l'appellante Renaldino, col presidio di que st'articolo di legge, era sicuro che la sua sorte in ap
pello non sarebbesi mutata in peggio. Il suo reato non
era per propria indole crimine, ma poteva divenirlo per l'uso che si fosse fatto, o si potesse ancora fare del pas
saggio da pena correzionale a pena criminale. Ma, dal
momento che questo possibile era ormai svanito per di
fetto dell'appello del Pubblico Ministero, la Corte non
aveva facoltà di sollevare d'ufficio la questione di com
petenza, la quale perchè non appoggiata a diversa de
finizione di reato, ma soltanto alla previsione di un
evento ormai non più verificabile, veniva ad offendere
il benefizio largito al condannato, solo appellante, dal
citato art. 419, secondo capoverso. Attesoché nei conflitti risoluti altre volte da questa
Corte suprema, in materia di ferimenti contemplati dai
ricordati articoli del Codice penale, concorreva la cir
costanza che l'appello era stato interposto, principal mente dal regio procuratore generale e non dal solo
condannato, per cui la risoluzione dovette essere diversa.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 22 giugno 1876, Pres. D'Agliano P., Est. Beb
tarelli P. M , Noce S. P. G. (Conci, contr.) — Ric. Palvario Giovanni (avv. Villa).
Concussione — Passaporti — Sindaco — Vidimazione — Tasse — liuona fede — Malo esempio — Tentativo — Prestazione «l'opere — Compenso (Cod. pen., art. 96).
Niuna disposizione di legge autorizza il sindaco a per
cepire tasse per la vidimazione dei passaporti per lo interno (1).
Il sindaco che illegalmente si fa dare danaro a questo titolo si rende colpevole del reato di concussione.
L'allegazione della Mona fede non può avere efficacia giuridica, se non si dimostri fondata su un probàbile errore esclusivo del dolo.
Il supposto malo esempio di qualche altro funzionario non
può convertirsi in presunzione legale di buona fede. Il reato di concussione è suscettibile di tentativo.
Si ha tentativo di concussione nel fatto del sindaco, che
invece della indebita tassa, che sopra, abbia cercato di obbligare gli individui richiedenti il passaporto a la vorare nei suoi terreni, in compenso della vidimazione.
La Corte, ecc. — Attesoché non cade alcuna conte
stazione sulle basi di fatto materiale, della esazione di
dieci centesimi per ogni vidimazione di passaporto per
l'interno, praticato dal Palvario mentre fungeva l'uffi
cio di gindaco, e di averli esatti in tale qualità; Attesoché non è meno fuori di controversia che sif
fatto diritto di centesimi dieci per la predetta vidima zione di passaporto all'interno, non è punto dovuto al
sindaco, giacché da niuna legge è prescritto ; non lo pre scrive l'articolo 78 della legge sulla pubblica sicurezza,
che autorizza il sindaco a rilasciare i passaporti per lo
interno ; non il modulo numero 7 a cui tale articolo
rimanda ; non la legge comunale e provinciale 20 marzo
1865; e così nemmeno il regolamento per l'esecuzione
della medesima dell'8 giugno stesso anno, che all'arti
colo 45 determina alcune tasse od emolumenti da per
cepirsi per certi atti, ma li attribuisce, non già ai sin
daci, ma o agli uffizi comunali, od ai segretari ; e la
tabella in detto articolo indicata, che comprende i cer
tificati per ottenere passaporti o licenze di viaggio sì
all'estero che all'interno, esprime che i diritti spettano ai segretari ; oltre di che nemmeno la materia, ossia
l'atto contemplato dalla detta tabella, non scusa il fatto
imputato al ricorrente, giacché il certificato per ottenere
un passaporto non può confondersi colla vidimazione
del passaporto ottenuto ;
Attesoché la buona fede pretesa del ricorrente, in
questo stato di cose, si riduce ad una semplice sua as
serzione, la quale non può avere alcuna efficacia giuri dica ove non si dimostri fondata sopra un probabile er
rore che valga ad escludere il dolo;
Attesoché, ciò ritenuto, la controversia è tutta di
fatto, e sotto a questo aspetto i motivi premessi alla
sentenza del tribunale e quelli addotti nella sentenza
del pretore, che il tribunale adottò, apprezzarono le di
fese dell'imputato e le respinsero, né possono formare
oggetto di ricorso in Cassazione;
(1) La concussione è infatti un delitto formale, alla consumazione del quale non è necessario che il privato abbia realmente dato il danaro, che si voleva a lui carpire, o col timore o con l'inganno.
E in questo appunto si distingue dalla corruzione o prevaricazione, che è un delitto materiale, ed esso non si consuma se non coli 'evento il quale stanell'ottenuto assenso o nell'ottenuta accettazione per parte del pubblico ufficiale.
11 prof. Carrara, vol. V, § 2581, giustamente osserva, che all'esistenza del tentativo è sempre necessario il danno sostanziale, cioè, che l'a zione abbia in sè tutte quelle condizioni, che rendono possibile la con secuzione del pravo fine.
Mancando anche t ale potenzialità, egli dice, non rimarrebbe che una
malvagia intenzione, un perverso disegno, ma dispogliato di ogni danno e di ogni pericolo, e per conseguenza non suscettibile di politica im
putabilità. L'illustre criminalista si fa il caso di un esattore, che ad un brac
ciante tassato di due lire per ricchezza mobile, trasmetta un avviso di
pagamento di lire 200. Ed egli conclude, che è impossibile di lusingarsi di illudere a tal se
gno il contribuente, e di ottenere cotanta somma dalla povertà di lui, per cui l'esattore più che di malizia, dà segno di follia, e non sussiste reato di concussione per difetto di danno potenziale.
In questa materia vedi specialmente il Berner, Trattato di dir. crimediz. 3, pag. 237.
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