Udienza 26 giugno 1879, Pres. Enrico, Est. Malagoli, P. M. Pozzi (Concl. conf.) —Ric. P. M. c.DavoliSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.281/282-283/284Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084792 .
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281 GIURISPRUDENZA PENALE 282
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO.
Udienza del 26 marzo 1879, Pres. D'Agliano, Est. Lon
ghi, P. M. Pozzi (Conci, conf.). — Ric. Mazza.
Appello — Parie civile — Omessa produzione «li
atti — Rigetto senza esame (Cod. proc. pen., art. 370
e 406; Cod. proc. civ., art. 489).
Quantunque l'appello interposto dalla parte civile
debba essere regolato per l'istruzione e pel giudi
zio dalle leggi sulla procedura civile, pure non è
applicabile la disposizione dell'art. 489 proc. civ.,
riguardante il rigetto del gravame per difetto di
produzione degli atti. (1)
La Corte, ecc. — Attesoché sebbene pel disposto del
l' art. 370 Cod. proc. pen., l'appello interposto dalla
parte civile debba essere regolato per l'istruzione e pel
giudicio dalle leggi sulla procedura civile in via som
maria, tuttavia non ne deriva la conseguenza, che a
simile giudizio sia pure applicabile il rigetto d'appello
previsto dall'art. 489 Cod. prod, civ., come credette di
applicare la Corte di Genova rigettando l'appello in
terposto dal ricorrente per difetto di produzione del
verbale di dibattimento; Che infatti a dimostrarne l'inapplicabilità concorrono
le altre disposizioni contenute nel citato art. 370, dove
quanto al modo e termine d'interposizione dello stesso
si prescrisse appunto l'osservanza del Codice di proc.
pen., il quale all'art. 406 impone l'obbligo al cancel
liere del Tribunale di trasmettere gli atti, i documenti
all'appoggio e copia della sentenza appellata, con un
elenco delle carte da lui sottoscritto al cancelliere della
Corte, mentre a differenza di quanto sta scritto nel
detto art. 489 proc. civ., spetta al procuratore dell'at
tore di fare il deposito della sentenza, degli atti di primo
giudizio e del mandato; Che queste diverse disposizioni ben chiaramente di
mostrano, che quando il giudicio è puramente civile
anche l'appello non può seguire che colle forme civili, ed allora l'applicazione del suddetto art. 489 è conse
guente, se l'attore, il quale solo ha interesse di porre in condizione il convenuto a deliberare, ed il giudice a pronunciare la sentenza, non presenta in tempo de
bito i documenti prescritti dalla legge; ma quando si
tratta di appello civile pel solo interesse civile in di
pendenza d'un giudizio penale esaurito, allora il giu dizio rimane di natura mista, in quanto che sotto il
rapporto dell'istruzione e del giudicio si devono osser
vare le forme del procedimento civile, e sotto il rap
porto dell'interposizione d'appello le forme del proce dimento penale: allora gli atti instrutti ed i documenti
non sono di proprietà esclusiva dell'attore, ossia della
parte civile, ma rimangono pubblici e comuni anche
fra il pubblico ministero e l'imputato, e quindi come
tali devono restare depositati nella cancelleria del Tri
bunale o della Corte, che deve giudicare; la trasmis
sione di essi si fa d'ufficio dal cancelliere, nè può mai
avvenire che la parte od il giudice ne soffra difetto,
potendosi sempre richiedere ed ottenerne visione o co
pia; epperciò se la parte interessata, se il giudice, pos sono rispettivamente corrispondere al loro ufficio, vien
meno la ragione per cui in questi giudizi civili di na
tura mista si debba mantenere la disposizione di un
articulo di legge, che se può valere a tutelare gì' in
teressi delle parti in un giudizio puramente civile, ri
mane senza scopo in quello di cui si tratta; Che pertanto dovendosi annullare la sentenza della
Corte di appello di Genova pel mezzo primo, torna inu tile lo esaminare anche il mezzo secondo sotto il rap porto se il verbale di dibattimento di cui si tratta si
possa considerare quale documento necessario per la
definizione del giudizio; Per questi motivi, ecc..
(1) Conforme: stessa Corte, 11 luglio 1867., ric. Fasola (Annali, 1866 1867, pag. 333).
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 26 giugno 1879, Pres. Enrico, Est. Malagoli,
P. M. Pozzi (Conci, conf.) — Ric. P. M. c. Davoli.
Circostanze attenuanti — Importo del «lanno — Cri teri per valutarlo (Cod. pen., art. 682).
L'importo del danno, che per V art. 682.del cod. pen. quando non superi i limiti ivi stabiliti rende ap plicabile in concorso di circostanze attenuanti una,
maggior diminuzione di pena, si desume, trattan dosi di furto, dal valore vero ed effettivo della cosa
rubata, non già dal pregiudizio che oltre alla sot trazione della cosa rubata abbia potuto risentire la parte lesa.
Non è quindi necessario, agli effetti dell' applicazione del detto art. 682, che la questione ai giurati, oltre al riferirsi al valore delle cose rubate, si estenda ad accertare il danno o pregiudizio che oltre alla sottrazione delle cose stesse abbia\ potuto risentire il derubato.
La Corte, ecc. — Attesoché nell'art. 682 del cod. pen., come quello che ha applicazione non solo in tema di furto, ma di ogni e singola altra specie di reati contro la proprietà, le di cui molteplici e svariate figure fino all'incendio e ad altri modi di distruzione guasto e
deterioramento, hanno sede nel cap. 2, tit. 10, lib. 2 dello stesso Codice, ha voluto il legislatore, per mag giore economia di locuzione, valersi di una espressione di significato abbastanza lata ed appropriata, che ad ogni specifica forma dei contemplati reati si attagliasse, ed ha perciò a diritto preferito quella d'importo del
danno, quale elemento efficace entro i limiti ivi sta biliti in concorso di circostanze attenuanti alle con sentite diminuzioni di pena, abbandonando del resto alla religione del magistrato la benigna disposizione.
Se non che è troppo manifesto, che nei rapporti del reato di furto anche per quanto ne soccorrono gli ar ticoli 626 e 625 del Cod. pen., una tale espressione: importo del danno, non può avere in detta disposi zione, che la portata ed importanza di quel danno certo, assoluta, indispensabile, che rilevasi dal valore vero
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ed effettivo della cosa rubata, come quello che costi
tuisce elemento materiale, essenziale a misurare la
quantità naturale del reato, e così la gravità del me
desimo, onde la ragione legale di averlo in conside
razione, ove abbia ad esser limitato, e concorrano cir
costanze attenuanti, per l'applicazione di una pena
meglio adeguata.
Ove si avesse a dare ospitalità alla tesi nel proposto
mezzo sostenuta, che cioè in materia di furti la sud
detta espressione importo del danno avesse da rap
presentare il pregiudizio, oltre la cosa rubata, se
condo le diverse contingenze risentito dal derubato,
ne verrebbe la valutazione, le tante volte avventurata,
anche di elementi, sebbene conseguenti dal reato, del
tutto estranei ed indipendenti dalla volontà diretta
dell'autore del reato, e ne verrebbe inoltre la incon
gruenza, ad esempio, che la rottura sarebbe doppia
mente valutata quale aggravante del furto, dapprima
come mezzo che lo rende qualificato, e quindi ■ ancora
pel danno, che ne può derivare: lochè non fu certo
negli intendimenti del legislatore, il quale perciò, negli
accennati art. 626 e 625, si riferì espressamente, per
la maggiore o minor pena da infliggersi, non al danno
in genere, sibbene al valore della cosa rubata.
Ed accettato poi una volta il principio dal ricorrente
propugnato, non si potrebbe coartare nelle sue conse
guenze, e perciò dovrebbe applicarsi anche a vantag
gio del delinquente.
Egli è quindi troppo manifèsto, che una teorica così
plasmata non sarebbe conforme ai principi del giure
anche in materia d'imputabilità.
E solo nel campo del risarcimento dei danni, a cui
anche la colpa può far luogo, che si può estendere al
di là del valore della cosa rubata.
E di fronte a coteste considerazioni non potrebbe
aver valore l'argomento, cui il ricorrente vorrebbe
trarre dall'art. 636 del Codice medesimo.
Imperocché qui pure militerebbe la ragione dell'eco
nomia sopravvertita; inquantochè tale disposizione non
riguarda solo i furti propriamente tali, ma anche i
reati contemplati dalle sez. 1 e 3 del suddetto cap. 2.
Ma prescindendo da ciò, è manifesto per la stessa
locuzione dell'art. 636, che il legislatore non può rife
rirsi, in tema di furto, che al valore della cosa rubata,
come quella appunto, che unicamente influisce sull'ap
plicazione della pena; Attesoché dappresso tutto ciò non merita censura
la denunziata ordinanza della Corte d'assise, che tenne
ferme le questioni , che nell'eventuale applicazione dell'art. 682, in realtà poi applicato, avevano a base
il valore della cosa rubata
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 15 maggio 1879, Pres. D'Agliano, Est. Talice,
P. M. Pozzi (Conci, conf.) — Ric. P. G. di Milano
c. Abbà e Grechi.
Xcstiiiioiiiaiiza falsa — Materia correzionale « ili
polizia — Furi» campestre coil recidiva (Cod. pen., art. 364 e 365, n. 3 e 4, e 625).
La falsa testimonianza deve ritenersi commessa in
materia correzionale e non in materia di polizia, allorché si riferisce a reato che sebbene in genere
sia punibile con semplice pena di polizia, tuttavia
per effetto di circostanze speciali, non escluse quelle
soggettive all' imputato, venga dalla legge elevato
a delitto; tanto più poi se effettivamente fu inflitta
una pena correzionale. (1)
Laonde la falsa testimonianza a favore dell'imputato di furto campestre con recidiva (la quale aggra vante fa si che la pena di polizia comminata per
quel reato si elevi a pena correzionale), ricade
sotto la sanzione del n. 3 dell'art. 365 Cod. pen., relativo alla falsa testimonianza in materia cor
rezionale, e non del n. 4, relativo alla falsa testi
monianza in materia di polizia. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché la falsa testimonianza
addebitata agli Abbà e Grechi si verificò innanzi un
Tribunale correzionale, e nella causa contro Luigi Fran
ceschini, al quale erano addebitati, oltre un reato di
minacele, previsto dall'art. 431 del Cod. pen., parecchi furti campestri con recidiva speciale. Questi titoli d'im
putazione costituivano evidentemente materia corre
zionale, essendo appunto correzionale la pena per si
mili reati comminata dalla legge; e si aggiunse poi ancora che la pena effettiva, concreta applicata al
Franceschini, specialmente per i detti furti campestri, fu del pari correzionale.
Non si poteva quindi dubitare, che la falsa testimo
nianza fosse seguita in materia correzionale; Attesoché a far deviare da questo corollario, esat
tamente conforme ad ogni principio di giustizia, ed
alla lettera della legge, non meno che allo scopo da
essa propostosi nel fissare la varia graduazione delle
pene della falsa testimonianza, ed a fare invece rite
nere giudicabili i testimoni falsi in una condizione
astratta, e diversa dall'esito invariabile del giudizio sul
fatto principale, non poteva essere ragione valevole e
legale, quella escogitata dalla Corte d'appello, che l'ag
gravante della recidiva si avesse a riguardare come
una circostanza meramente personale subbiettiva pel Franceschini e da non tenersene calcolo a riguardo dei
testimoni falsi.
A parte anche la considerazione, che questi se s'in
(1-2) Intorno al criterio per determinare se la falsa testimonianza sia stata commessa in materia criminale, correzionale o di poli-zia, se cioè debba guardarsi al titolo del reato addebitato al prevenuto prin cipale, o alla pena al medesimo inflitta, vedi le sentenze 10 ottobre 1877 della Cass. di Napoli (Foro it., 1873, col. 216), 12 maggio 1877 della Cass. di Firenze {Id., 1877, col. 288), e l'articolo di giurisprudenza comparata pubblicato dall'egregio prof. Lucchini a pag. 49i e se guenti del vol. X della Rivista pen., nel quale è pure commentata l'attuale sentenza della Cass. di Torino.
Riguardo poi alla natura del furto campestre, se cioè costituisca delitto anche quando è punibile con semplice pena di polizia, vedi la sentenza della stessa Corte e relativa nota a col. 100 e seg. di questo volume.
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