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Udienza 26 marzo 1879, Pres. Poggi, Est. Coppi, P. M. Trecci —Ric. De Biasi e De RoldSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.433/434-435/436Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084868 .
Accessed: 18/06/2014 14:58
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433 GIURISPRUDENZA PENALE 434
sere stato inteso il tenore, il giurato fosse, ma troppo
tardi, avvertito dal presidente a tacersi ; non pertanto ciò che egli disse e che certamente eccedeva la facoltà
competente ai giurati di potere, ottenuta la parola dal
presidente, domandare al testimone, al perito, ed al
l'accusato, tutti quegli schiarimenti che credono ne
cessari allo scoprimento della verità (art. 492 cod.
proc. pen. modificato), era un giudizio di apprezza
mento, un giudizio tutto suo proprio sul merito dello
interrogatorio, era in sostanza un'anticipata manifesta
zione di voto, che avrebbe potuto, non già importare
nullità, bensì dar luogo al provvedimento della sosti
tuzione con altro giurato, cioè col primo dei supplenti, non essendo questo il caso di valersi dell'altro prov
vedimento, di cui pure può, secondo le circostanze,
disporre la Corte d'assise, ossia il rinvio della causa
ad altra sessione. Ma di questi due provvedimenti, niuno fu chiesto dalla difesa, la quale si limitò a do
mandare che fosse presa nota della dichiarazione pre
detta, e niuno ne venne dalla Corte ordinato;
Considerando che nella specie non occorreva esami
nare se la nullità del giudizio avesse potuto verificarsi
per avere il giurato, che fece quella manifestazione,
preso poi parte alla votazione della causa ; imperocché sta il fatto, attestato pure dal verbale, che quel giu
rato, per sopraggiunti incomodi di salute, nel secondo
ed ultimo giorno del dibattimento fu dispensato dal
prestare servizio ulteriore, essendogli stato sostituito
il primo dei supplenti, e così egli nel momento il più
solenne, quello cioè della deliberazione, non era più tra i dodici giurati che ebbero a dichiarare la colpe
volezza del ricorrente. Non si verifica dunque in verun
aspetto la dedotta violazione dell'art. 487 cod. proc. pen. Considerando che neppur regge l'altro mezzo con cui
si vogliono violati gli art. 498, 503, cod. stesso, in
quanto sia stata oscura la formula usata dal presi
dente nell'avvertire i giurati dell'obbligo che loro in
combeva di fare particolare menzione della maggio
ranza semplice, qualora questa si fosse verificata. Ed
invera, fa fede il verbale che il presidente spiegò ad
una ad una le questioni, e che avvertì i giurati del
modo di formulare la loro dichiarazione, se avessero
ritenuto l'accusato colpevole alla semplice maggioranza
di sette voti : sulle questioni, o su alcune di esse di
fatto principale ; e questo basta per dover ritenere
che il presidente con bastante chiarezza adempì a
quanto richiede la legge nuova 8 giugno 1874, senza
avere omesso nelle date spiegazioni d'avvertire altresì
i giurati che tutte le otto questioni, quantunque non
ne avessero l'intestatura, erano di fatto principale, e
ciò per l'enunciato effetto della semplice maggioranza; e
questa spiegazione, come sta a dimostrarlo il fatto, fu
ben compresa, perchè delle predette questioni due sol
tanto furono affermate, la prima con maggioranza as
soluta, e la terza con maggioranza di sette voti; Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 26 marzo 1879, Pres. Poggi, Est. Coppi, P. M.
Trecci — Ric. De Biasi e De Rold.
Iscrizione in falso — Copia autentica — Difformità
dall'originale.
Cassazione — Itichiarazione del cancelliere di non
avere appellato — Hillormità da ciò che ritiene
ia sentenza — Ammissibilità del ricorso.
Allorché non si impugna assolutamente ciò che risulta
da un atto o documento autentico, ma soltaìito si
vuol provare che taluna delle sue menzioni non è
esattamente riferita nella copia autentica, non è
necessaria la iscrizione in falso. In questi casi il giudice deve ricorrere all'ispezione
dell' originale.
Allorché la sentenza impugnata qualifica come ap
pellante V imputato che poi ricorre in Cassazione, il ricorso è ammessibile, quantunque il cancelliere
attesti che il ricorrente non produsse appello contro
la sentenza di primo grado e che l'appello fu pro dotto da altri coimputati.
La Corte, ecc. — Attesoché la sentenza denunziata
che dichiarò irricevibile 1' appello dei due ricorrenti, ritenne che non era ammessibile la prova testimoniale
introdotta dalla difesa per provare che i motivi d'ap
pello furono prodotti in termine, e che a tale scopo avrebbero diritto la difesa e gli appellanti di quere lare di falso i relativi documenti, che esistono in pro cesso.
Attesoché dal verbale d'udienza risulti che la difesa,
dopo aver prodotto un contratto in data 29 marzo 1858, di cui fu data lettura per provare che il fondo, sul
quale avvenne il taglio delle piante, era stato dagli ap
pellanti acquistato, soggiunse subordinatamente che,
pel caso che il Tribunale non avesse peranco ricavato il convincimento dell' innocenza dei suoi rappresentati, fosse ammessa la prova a mezzo di testimoni, che il
fondo medesimo, pel fattone acquisto, era di proprietà
degli appellanti. E quindi, che la difesa stessa per com
battere l'opinione del P. M. sulla intempestività della
produzione dei motivi d'appello, domandò di essere
ammessa a provare senza che il verbale riferisca i
termini ; Attesoché, per tal modo, il motivato della sentenza
non trovava esatto riscontro nelle menzioni del ver
bale. Se la difesa aveva avanzato istanza per l'ammis sione della prova testimoniale, fu all'effetto d'integrare la dimostrazione della proprietà del fondo negli appel lanti in aumento del contratto che aveva prodotto; ma quanto alla questione pregiudiciale sulla tempesti vità della produzione dei motivi d'appello, non poteva dirsi, ai termini del verbale, che per sostenerla ricor resse a chiedere l'esperimento dello stesso mezzo della
prova testimoniale ; che anzi la sua generica domanda
di essere ammessa a provare che la produzione dei
motivi fu fatta in termine, ben lungi dall' essere cir
coscritta all'esperimento della prova testimoniale, si
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435 PARTE SECONDA 436
presta ad ammettere che intendesse concludere il suo
assunto nei modi legittimi, mediante cioè l'avocazione
dell'originale dell'atto d'appello, del quale si hanno atti
in due copie autentiche e certificate conformi dallo
stesso ufficiale, l'una prodotta dal ricorrente in questo
straordinario giudizio, l'altra prodotta dal procuratore
generale presso questa Corte suprema, e dalle quali si
rileva che l'atto d'appello (dalla cui data incomincie
rebbe a decorrere il termine per la produzione dei mo
tivi), invece di essere stato interposto nel 22 novem
bre 1878, come porterebbe la difforme copia autentica
in atti, all'appoggio della quale pronunziò la sentenza
deferita, sarebbe stato interposto piuttosto nel 23, in
modo da render utile la presentazione dei motivi av
venuta nel 26; Attesoché in tale stato della contestazione non era
necessario inscrivere in falso contro la copia dell'atto
d'interposizione d'appello, che era in processo, per au
torizzare l'accertamento della data di quello che si de^
duceva errata. Cotesto procedimento è richiesto quando si impugni assolutamente che avanti il pubblico uffi
ciale abbia avuto luogo un atto da esso alterato, non
però quando senza impugnare, come nel caso, che l'atto
originale fosse fatto, si vuol provare che taluna delle
sue menzioni non è esattamente riferita nella copia
autentica, per causa di errore incorso nella spedizione della copia dell'atto stesso; nel quale caso non si im
pugna la verità del documento originale, ma l'esattezza
della copia, ed allora il più facile e sicuro partito da
seguirsi dal giudice del merito, che dall'atto deve de
sumere la ragione di decidere, è quello di avocare l'o
riginale del documento pei confronti di ragione; Attesoché pertanto, quando la denunziata sentenza,
nei termini concreti della causa, ritenne indistintamente
e come assolutamente necessario che gli appellanti, a
giustificazione del loro assunto, avrebbero dovuto que relare di falso i relativi documenti esistenti in pro
cesso, fece una falsa applicazione delle teorie giuridi
che, che regolano la materia della iscrizione in falso ; Attesoché una volta che la sentenza stessa qualificò
e considerò gli attuali ricorrenti come appellanti, e
come tali in loro confronto pronunziò, a nulla vale il
certificato che lo stesso vicecancelliere, cui farebbe ca
rico la difformità delle copie autentiche sopra menzio
nate, ha ultroneamente fatto pervenire, dal quale ap
parirebbe, che i due odierni ricorrenti De-Biasi Antonio
e De-Rold Domenico non avessero interposto appello contro la sentenza del pretore di Belluno, portata dal
l'appello di altri insieme con loro condannati alla cogni zione del Tribunale di quella città, che dichiarò con la
denunziata sentenza 14 gennaio 1879 1' appello stesso
come sopra irricevibile.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 24 maggio 1879, Pres. Poggi, Est. Mori-Ubal
dini, P. M. Miraglia — Ric. Badiani e Fautini.
Resistenza alla pubblica l'orza — S'ercosse ad mi
aleute «li pubblica sicurezza—Ieiìhio «li resistere
(Cod. pen. tose., art. 143; Cod. pen. it., art. 247).
A costituire il reato di resistenza alla pubblica forza,
preveduto dall'art. 143 cod. pen. tose., occorre che
le percosse e violenze contro Vagente della pubblica
forza abbiano per iscopo di impedire, disturbare o
distruggere l'esercizio delle sue funzioni; dovendo il
concetto giuridico della resistenza rispondere al
senso della parola resistere, che esprime l'antago nismo di due forze in conflitto tra loro. (1)
Perciò le violenze usate contro un agente della pub blica forza, non possono qualificarsi come resistenza, allorché non sia dimostrato quello scopo; come al
lorquando Vagente di pubblica sicurezza sia stato
percosso improvvisamente, e senza che nè prima, nè in quell'atto abbia nulla detto o fatto per rite
nere che le percosse siano state occasionate dall'e
sercizio di un atto del suo ufficio. (2)
È inesatto in simile caso argomentare dal concetto
astratto che Vagente della pubblica forza debba
sempre presumersi nell'esercizio delle sue funzioni, e che le violenze contro esso usate stiano d'ordi
nario a manifestare l'animo di resistere. (3)
La Corte, ecc. — Attesoché in seguito al soggetto della imputazione, pel quale i due ricorrenti, insieme
con altri tre, furono tradotti, con citazione direttis
sima, innanzi il Tribunale di Pisa nel dì 22 febbraio
ultimo decorso, venne dai primi giudici ritenuto in sen
tenza; Che il capo-squadra Iginio Caramelli nella sera del
dì 21, vestito della propria "divisa, dalla via Sottoborgo entrò in quella prossima denominata Le acciughe, per associarsi ad una persona di sua relazione, e con essa
portarsi alla casa della madre di lui Caramelli, soffe
rente per personale infortunio di recente verificatosi,
quando gli avvenne incontrarsi in cinque individui che
ivi erano fermi, due dei quali improvvisamente, e senza
pronunziare parola, se gli fecero addosso, ed uno gli diede un colpo di mano chiusa presso il naso, così
violento da sbalordirlo e fargli versar sangue, e l'altro
gli avventò pure un colpo nel capo, e per effetto di
questi colpi il Caramelli stramazzò;
Che, rialzatosi, e fatto cenno di porre mano ad
un'arme, tre di costoro che si erano tenuti alquanto in disparte fuggirono, ed allora degli altri due, rico
nosciuti dal Caramelli per i due ricorrenti, il Badiani
fece atto di dargli un colpo di coltello, col quale per altro non lo investì, perchè trattenuto dal Fautini che
disse: Ferma che lo conoscer; Che nessun livore o inimicizia era mai passata tra
il Caramelli e i due ricorrenti; che lievi erano le le
(1-3) L'art. 143 cod. pen. tose, è così concepito : « Chiunque si op pone all'esecuzione delle leggi o degli ordini dell'autorità pubblica, usando, violenza a persone incaricate d'ufficio o per mandato speciale di quella esecuzione, od a coloro che a richiesta di esse le aiutano nell'esercizio del menzionato incarico, è punito, come colpevole di re
sistenza, col carcere, ecc. » Crediamo che le massime stabilite dalla sentenza siano anche applicabili di fronte all'art. 247 cod. pen. vi gente nel resto del Regno.
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