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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 26 novembre 1878, Est. Cesaris — Morassutti c....

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Udienza 26 novembre 1878, Est. Cesaris —Morassutti c. Gaffuri Source: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp. 219/220-223/224 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23084756 . Accessed: 18/06/2014 16:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.152 on Wed, 18 Jun 2014 16:25:15 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 26 novembre 1878, Est. Cesaris — Morassutti c. Gaffuri

Udienza 26 novembre 1878, Est. Cesaris —Morassutti c. GaffuriSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.219/220-223/224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084756 .

Accessed: 18/06/2014 16:25

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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219 PARTE SECONDA 220

prezzamento dei fatti ed il criterio ricavatone dal ma

gistrato di cognizione, che non è soggetto a censura

davanti al supremo Collegio. Nè la Corte per emettere

codesto apprezzamento in ordine alla prova della col

pabilità degli appellanti era obbligata di sentire i te

stimoni che si erano chiamati nel primo giudizio. Senza

dubbio la Corte può a ciò procedere a termini dell'ar

ticolo 363 del Cod. proc. pen., ma quando lo creda,

come si esprime lo stesso articolo, assolutamente in

dispensabile alla dilucidazione del fatto. Essendo dunque

questo un potere tutto discrezionale del magistrato di

merito, male a proposito il P. M. ne ha fatto reclamo

innanzi la Corte di cassazione; Attesoché sul secondo e terzo mezzo giova pria di

tutto rilevare che all'ammessibilità della provocazione stata ritenuta coli'impugnata sentenza si oppone dal

P. M. che l'istituto delle scuse stabilito per le offese

tra privati nella sezione V, capo I, titolo X, del Cod.

pen. non può estendersi ai casi di oltraggi e violenze

contro i depositari dell'autorità pubblica, di cui nella

sezione II, capo III, titolo III di detto Codice, non po tendo per analogia essere applicate disposizioni penali che abbiano diverso scopo e tutt'altra essenza.

Ma il beneficio della scusante non è una concessione

arbitraria del legislatore. Esso è fondato sulla natura

intrinseca del reato che ne modifica il valore morale

e quindi attenua la responsabilità all'agente. Qualunque

fosse adunque la persona contro cui le violenze si com

mettessero, l'intrinseca reità è sempre diversa secondo

che siano commesse con premeditazione o nell' impeto

dell'ira in seguito di provocazione. 11 diverso luogo in

cui sono collocate le scuse non si può invocare come

una ragione influente nella presente questione. Le clas

sificazioni stabilite dal Cod. pen. hanno tutt'altro fine,

anziché quello d'immutare l'indole dei reati e le mo

dificazioni che assumono secondo le circostanze del

fatto.

Ben vero la qualità di funzionario pubblico può co

stituire una specie di presunzione in suo favore. Ma

lorchè questa presunzione viene distrutta dai fatti; lorchè le violenze provocatrici siano provate, il reato

rimane in tutta la sua integrità colle circostanze scu

santi che lo accompagnano. La protezione della legge, dicea bene la Corte d'appello, ricuopre l'ufficio più che

la persona del funzionario. Onde se costui abusi del

suo potere, se provochi ed offenda il privato cittadino, non esercita per fermo un atto del suo ufficio; cosicché, se per reazione venga egli offeso, manca l'estremo del

reato che s'intende reprimere, cioè l'oltraggio nell'eser

cizio delle sue funzioni o a causa del medesimo.

Ora nella specie coli' impugnata sentenza si è dimo

strato estesamente come il professore Anastasi, incon

tratosi cogl'imputati padre e figlio Romeo in una delle

strade di Messina, solo perchè i medesimi l'avessero

pregato di essere meno severo per la licenza nella

ventura riunione, irruppe con violenze contro Giuseppe, onde la Corte d'appello, dopo l'esposizione dei fatti,

conchiuse che il detto signor Anastasi, col suo contegno

intemperante, con parole e con atti violenti, provocò il giusto sdegno del giovane Romeo, figlio, che ritenne

provocato, come era stato ritenuto dal Tribunale cor

rezionale. E ben osservava la Corte sul proposito che

procedere siffatto per parte del professore Anastasi è

più riprovevole di quello del privato cittadino; perocché la persona rivestita d'autorità deve essa stessa tute

lare il prestigio e mostrarsi più d'ogni altra ligia al

sentimento di rispetto verso l'altrui personalità. Per la qual cosa, svestito il funzionario del suo ca

rattere pubblico e postosi volontariamente nella con

dizione del privato, a buon diritto la Corte declinò nel

reato di cui si tratta l'aggravante della persona offesa; Attesoché dietro queste premesse, sia pure ufficiale

pubblico il professore insegnante in un liceo, anziché

un incaricato di un servizio pubblico, mancando l'estremo

dell'esercizio delle pubbliche funzioni od a causa del

medesimo in cui siano stati commessi gli oltraggi, in

vista della provocazione ritenuta dalla Corte d'appello,

l'impugnata sentenza non merita censura (Omissis); Per questi motivi, rigetta, ecc.

l'idea bandita per sempre dalla scienza, di imprimere cioè a certi in

dividui, per ragione del loro ufficio, una dignità che li accompagni sempre e dovunque; idea che il Carrara, con bella formola, chiama « ubbìa di vecchi dispotismi » (Programma, ecc., § 1796), e che poi è letteralmente respinta dal nostro Codice agli articoli 258 e 260, che usano la formola esercizio di funzioni o a causa di esso. Nè può dare argomento alla contraria tesi la circostanza di non essersi nei citati articoli aggiunto l'appellativo di leg Mimo all'esercizio delle fun

zioni, poiché quando la legge richiede che il pubblico ufficiale sia nel l'esercizio delle funzioni, presuppone necessariamente che questo eser cizio sia legittimo ; essendo ovvio che abusare delle funzioni non si

gnifica esercitarle, ma compiere un atto estraneo alle funzioni stesse e non avente con queste nulla di comune.

« L'oltraggio, dicono Chauveau ed Helie, è commesso nell'esercizio delle funzioni tutte le volte in cui il funzionario, al momento che lo

patisce, proceda ad un atto delle sue attribuzioni» {Teoria del Cod. pen. fr., vol. I, § 2034). « Quando il magistrato, soggiunge Roberti nei Commenti alle cessate leggi napolitane (vol. V, pag. 46), faccia ciò che per legge non entra nelle sue attribuzioni e riceva un ol

traggio, la disposizione dell'art. 174 (280 Codice attuale) non può es sere invocata, perchè non si verificano gli estremi voluti dalla legge. Il magistrato rientra allora tra i privati, e quindi come privato non

può meritare quei riguardi che la legge usa verso il magistrato che esercita le sue funzioni ». La stessa teoria è stata professata dal Car

rara, inquantochè un atto irregolare non è un esercizio di funzioni per cui possa l'ingiuria qualificarsi oltraggio (Programma, ecc., parte spe ciale, voi. 3, § 1795.

Certamente i caratteri della ribellione sono diversi da quelli del

l'oltraggio. Però hanno comune per legge un estremo, quello cioè di essere l'uno e l'altro commessi contro l'ufficiale pubblico, ma nel l'esercizio delle sue funzioni; ed esercizio di funzioni, ripetiamo ancora una volta, non si può intendere l'abuso delle medesime, nel qual caso l'ufficiale pubblico è un privato verso cui non può trattarsi che d'in

giuria semplice, non d'ingiuria qualificata oltraggio. Per le quali cose ci sembra che la Corte di cassazione di Palermo,

con la mentovata sentenza, abbia giustamente deciso che, eliminata la

ribellione, perchè il delegato e le guardie non erano nell'esercizio di

pubbliche funzioni, era contraddittorio ritenere come oltraggio le pa role proferite contro lo stesso delegato in quella medesima circostanza.

(Aw. Vincenzo Romano).

CORTE D'APPELLO DI MILANO. Udienza 26 novembre 1878, Est. Cesaris — Morassutti

c. Gaffuri.

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221 GIURISPRUDENZA PENALE 222

ItancaroKa — Creditori — l'arte civile (Cod. proc.

pen., art. 1, 3; Cod. comm., art. 713).

Nel giudizio di bancarotta, così semplice come frau

dolenta, i creditori non possono costituirsi parte ci

vile contro il fallito. (1)

La Corte, ecc. — In diritto — L'appellante Moras

sutti aveva diritto di costituirsi parte civile nel pro

cedimento per bancarotta semplice a carico dell'appel lato Gaffnri ?

Ecco il quesito che deve la Corte risolvere prima

d'ogni altra questione, imperocché dalla sua soluzione

dipende la decisione sulla reclamata ordinanza, e la

ricevibilità o meno dell'interposto appello contro la

sentenza che assolse il Gaffuri dalla detta imputazione di bancarotta semplice.

E primieramente è risaputo che l'azione civile non

ha altro scopo che di riparare un danno materiale pri

vato. La sua attitudine poi (così dice il Borsari) di

porgersi ausiliaria alla penale non può togliere alla

stessa il suo carattere essenzialmente civile. Ed anche

i danni morali, si aggiunga, non ponno che risolversi

in un materiale pregiudizio, suscettibile di valutazione

per la riparazione pecuniaria. Ciò premesso, ad eccezione della relativa penalità,

le bancarotte, tanto dolose, quanto colpose, sono esclu

sivamente disciplinate dal Codice di commercio.

Ora l'art. 713 di questo Codice dispone che: « nei

casi di procedimento e di condanna per bancarotta,

le azioni civili rimangono separate, salvo ciò che è

disposto dall'art. 708, e tutte le disposizioni relative

ai beni stabilite per il fallimento sono eseguite senza

che possa conoscerne l'autorità giudiziaria, davanti cui

si procede per bancarotta ».

Nè era possibile al legislatore di altrimenti disporre,

imperocché dovendo qualunque ragione ed azione cre

ditoria verso un fallito essere proposta in confronto

dei sindaci, non avrebbe potuto, senza contraddirsi,

accordare ai singoli creditori l'esercizio dell'azione ci

vile in un procedimento penale, in cui non può esservi

altro contraddittore che il giudicabile oberato.

E dacché in detto articolo parlasi di bancarotta, senza

distinzione se semplice o fraudolenta, è di mestieri ri

tenerle entrambe comprese, come era detto espressa

mente dall'art. 644 del Codice di commercio albertino,

identica essendone la ragione della legge, giacché e

l'una e l'altra pregiudicano noi\ uno o più creditori

particolari, ma tutta la massa.

Tanto potrebbe bastare alla risoluzione negativa di

detta tesi; ma essendovi anche considerazioni di altro

ordine collimanti allo stesso risultato, sarà bene ac

cennarle.

E per vero, onde dar luogo all'azione civile in giu

dizio penale, occorre che il fatto imputabile sia causa

immediata e diretta del danno, come evincesi dal te

nore degli articoli 1 e 3 del Codice di procedura penale.

Nel caso di decozione, pertanto, il danno dei singoli

creditori dipende assolutamente dal fatto del fallimento,

in quanto che, restando all'atto di sua giudiziale di

chiarazione tolto ai creditori il mezzo di ulteriormente

garantirsi contro il debitore, vengono posti nella for

zata condizione di perdere in tutto od in parte le pro

prie ragioni creditorie, qualunque sia la loro origine

e natura.

E siccome il fallimento è determinato da più circo

stanze talvolta accidentali, e talvolta anche dolose o

colpose, le quali, complessivamente prese, obbligano

il commerciante alla cessazione dei propri pagamenti, così i singoli elementi penali costitutivi il reato di

bancarotta, comunque abbiano potuto contribuire al

fallimento, saranno bensì causa occasionale del sud

detto danno, ma non mai causa efficiente, diretta ed

immediata del medesimo nei sensi delle suavvertite

disposizioni di legge. Non dovrebbe quindi, anche sotto questo aspetto,

competere ai creditori il diritto di esercitare azione

civile nei giudizi penali di bancarotta.

Che se un danno speciale (come argomenta il Re

nouard nel suo trattato Des faillites et banqueroutes) avesse posto individualmente un creditore in una si

tuazione diversa di quella della massa, od avesse avuto

luogo nei suoi riguardi un momento di pregiudizio da

rendere necessario un indennizzo, onde la di lui con

dizione non sia fatta peggiore di quella degli altri cre

ditori, la difficoltà verrà a risolversi in una questione di rivendicazione o di privilegio, ovverosia in un'azione

contro la massa per riparazione del profitto per essa

fatto a spese di un creditore.

La stessa eccezione d'altronde contemplata nel sur

ripetuto art. 713 del Codice commerciale, riferentesi

alle persone, di cui al precedente art. 708, e cioè ai

terzi compromessi nella bancarotta fraudolenta, prova ad evidenza che nei loro riguardi soltanto fu esclusa

l'ivi proclamata separazione delle azioni penali e civili.

Ecco quindi che l'argomentazione dall'appellante de

dotta dall'indennizzo verso i terzi, onde sostenere la

necessità di sua costituzione di parte civile, cade in

presenza del fatto incontestabile che all'atto del dibat

timento era chiamato a rispondere di bancarotta sem

plice il solo fallito Gaffuri.

Nè dica che la sua costituzione di parte civile era

già stata implicitamente riconosciuta dalla Corte d'ap

pello nello stadio d'istruzione, e che perciò il Tribu

nale avrebbe dovuto rispettare la cosa giudicata; im

perocché in allora si procedeva non solo contro il detto

fallito Gaffuri, ma eziandio contro i sindaci Porro e

Moro pel reato di malversazione.

La predetta costituzione inoltre essendo avvenuta

nel 24 gennaio corrente anno, mentre i predetti indi

vidui furono chiamati a rispondere in linea penale molto tempo dopo, non avrebbe potuto fare stato contro

di loro, essendo ormai pacifico in giurisprudenza che,

quando l'imputato non è ancora citato per mandato

nè di comparizione, nè di cattura (come ci apprende l'illustre Pescatore: Dotti-ine giuridiche), i giudici

(1) Conf. Borsani e Casoràti, Cod. di proc. pen., vol. I, § 107.

Contr. Borsari, Dell'azione penale, cap. VI, § LVI.

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Page 4: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 26 novembre 1878, Est. Cesaris — Morassutti c. Gaffuri

223 PARTE SECONDA

dell'istruzione preparatoria decidono per atto spon

taneo; quando all'invece per qualunque azione civile,

le relative questioni debbono essere dibattute e decise

in contraddittorio di ambe le parti.

Se non che lo stesso appellante, non sapendo forse

come combattere la disposizione tassativa del surri

petuto art. 713 del Codice di commercio, trovò di ri

correre alla giurisprudenza francese, la quale ebbe in

fatti talvolta a ritenere che i creditori hanno diritto di

costituirsi parte civile nei giudizi di bancarotta contro

i falliti e di formulare domande di risarcimento in nome

proprio e privato. E qui giova osservare che nella specie trattasi di

bancarotta semplice, e che nel modificato art. 584 del

Codice di commercio francese furono i sindaci ed i

creditori ammessi non solo a provocare la procedura

di detta bancarotta, ma ad intentarla e proseguirla

direttamente al pari del pubblico ministero; quando

all'invece gli articoli 697 e 702 del nostro Codice di

commercio si limitano a parlare della facoltà concessa

alle predette persone di querelarsi, e null'altro.

Il volere poi dedurre dalla facoltà di promuovere l'azione penale il diritto di esperire nello stesso giu dizio l'azione civile, è un ostinarsi a disconoscere il

preciso tenore e lo spirito della sanzione portata dal

più volte ripetuto art. 713 del Codice di commercio:

la quale disposizione, inspirata dalla economia e ga ranzia dei giudizi di fallimento e dalla necessità di

prevenire che il patrimonio del fallito non sia in alcun

modo distratto in danno della massa, volle porre una

eccezione restrittiva alla regola generale proclamata

dall'art. 4 del Codice di procedura penale, ove sta scritto

che « l'azione civile può esercitarsi innanzi allo stesso

giudice e nel tempo stesso dell'esercizio dell'azione pe

nale, salvo (notisi bene) i casi espressamente preve duti dalla legge'».

Fu opposto inoltre che, tolto ai creditori l'esercizio

dell'azione civile, si toglie loro il diritto di intervenire

nella prova del reato. Ma è facile rispondere che questa esclusione non è che la conseguenza logica e giuridica della predetta eccezionale disposizione di legge, e che

d'altronde rimane loro sempre aperta la via di addurre

e documentare nell'atto di querela tutti quei fatti che

possono servire alla constatazione dei reati di banca

rotta, come ne è fatto espresso obbligo ai sindaci dagli articoli 509 e 714 detto Codice.

Vorrebbero finalmente i contraddittori dell'ora pro

pugnata teoria trarre un argomento in contrario dalla

facoltà che in caso di assolutoria hanno i giudici penali di porre le spese a carico dei sindaci e dei creditori, ma non avvertirono che la comminatoria di detta even

tuale condanna non è che una misura preventiva contro

denuncio infondate, e talvolta consigliate da spirito di

astio, di vendetta o di altra malevola passione contro

i falliti, i quali, pur troppo, vuoi per colpa, vuoi per

sventura, non ponno non recare pregiudizio pel fatto

del loro fallimento alle ragioni dei predetti querelanti ; Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI ROMA. Udienza 17 marzo 1879, Est. Vasta— Ric. Pompili.

Appropriazione indebita — ^Riscossione di credito

altrui — Mancanza degli estremi necessari (Cori.

pen., art. 631).

La semplice riscossione di un credito altrui, scom

pagnata da artifizi e raggiri, e dalla dolosa inten

zione di farne lucro, non costituisce appropriazione

indebita, e può solo dar luogo all' esperimento del

l' azione civile. (1)

La Corte, ecc. — Attesoché il motivo rii appello che

deduce l'insussistenza del reato non sembra alla Corte

destituito di giuridico fondamento.

La sentenza appellata raccoglie gli estremi del reato

di appropriazione indebita nel fatto che il Pompili, avendo cessato col 31 dicembre 1877 di essere esattore

del municipio di Bagnaia, procedette nel primo trime

stre del successivo anno 1878 alla riscossione (L. it. 60) di vari cuponi di cartelle pontificie che gli erano state

consegnate dal Municipio suddetto quando era esattore.

Secondo la sentenza appellata la figura del reato non

si incarnerebbe adunque nella consumazione, dissipa

zione, o convertimento in uso proprio, con danno del

proprietario o possessore, della cosa consegnata, con

l'obbligo di restituire o presentare, ma nella pura e

semplice riscossione dei frutti delle cartelle, che il

Pompili fece quando già aveva cessato di essere esat

tore. Ma è evidente che la pura e semplice riscossione

rii un credito altrui, quando non è accompagnata da

raggiri per farla verificare, nè dall'intenzione dolosa rii

farne lucro, se può dar luogo all'esperimento dell'azione

civile non arriverebbe mai a fornire materia punibile; Attesoché nel caso in esame il Pompili per riscuo

tere il frutto delle cartelle non adoperò raggiro di sorta, limitato essendosi a ripetere un'operazione che aveva

per il passato portata ad effetto come esattore, e che

non avendo ancora resi i conti della tenuta gestione,

poteva ritenere in buona fede che stesse in lui il do

vere di riscuoterli, e che avrebbe fatto meglio ad esi

gerli, finché non si fosse del tutto liberato colla resa

ed approvazione dei conti.

Neppure si può nel di lui fatto riscontrare l'inten

zione dolosa di farne lucro, perchè la somma stessa di

L. it. 40 o 60 apparisce di per sé insignificante per fermare l'attenzione di un esattore ; e per altro è co

stante che della suddetta somma versata al novello

esattore se ne è prodotta la ricevuta dinanzi la Corte, e si è fatto così sparire perfino il sospetto della dis

sipazione o dispersione in danno del proprietario, ossia

del Comune, e quindi anche la figura della mal rite

nuta appropriazione indebita, la quale non si può mai

venire a concretare quando il proprietario o il pos sessore della cosa ad altri consegnata non ne rimane

privo;

(1) Conf. Cassaz. Torino, 27 gennaio 1877, Rio. Besozzi (Rivista pen. VI, 157).

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