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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 27 aprile 1887; Pres. Enrico, Est. Risi — Ric....

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Udienza 27 aprile 1887; Pres. Enrico, Est. Risi —Ric. Torreselli Source: Il Foro Italiano, Vol. 12, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1887), pp. 205/206-207/208 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23092695 . Accessed: 28/06/2014 15:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.138 on Sat, 28 Jun 2014 15:53:23 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 27 aprile 1887; Pres. Enrico, Est. Risi — Ric. Torreselli

Udienza 27 aprile 1887; Pres. Enrico, Est. Risi —Ric. TorreselliSource: Il Foro Italiano, Vol. 12, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1887), pp.205/206-207/208Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23092695 .

Accessed: 28/06/2014 15:53

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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205 GIURISPRUDENZA PENALE 206

guardo la Corte stessa disse e ritenne che la legge

considera piuttosto come motivo legittimo un impe

dimento attinente a forza maggiore, e non già quello

derivante da una falsa credenza, basata su falso

fatto e supposto.

L'art. 157 della legge sul reclutamento dell'eser

cito, 26 luglio 1876, testo unico, dispone: « L'iscritto

che, senza legittimo motivo non si presenta all'esa

me ed arruolamento definitivo, è considerato e pu nito come renitente ». In presenza di tale disposi

zione, che non stabilisce quali siano i motivi legit

timi, e quale carattere ed estensione debbano avere,

vuoisi riconoscere che la legge lascia, sotto un certo

aspetto, al criterio ed all'apprezzamento del magi

strato l'esaminare e decidere sulla legittimità del

l'addotto motivo, cioè il vedere se il fatto sia stato

di natura da impossibilitare l'iscritto all'adempi mento dell'obbligo impostogli dalla legge di presen tarsi nel giorno prefisso all'esame definitivo e all'ar

ruolamento.

D'altronde perfettamente corretto e giusto è a

ravvisarsi il giudizio della Corte genovese, e quindi

non legale né ragionevole il significato che il ricor

rente pretende dare alla preaccennata disposizione contenuta nell'art. 157.

E difatti, l'indole della legge eminentemente d'or

dine pubblico, le diverse sue prescrizioni, che nel

loro insieme mirano ad assicurare l'immancabile

adempimento del suo grande e nobile scopo, ben

persuadono come non possa ravvisarsi quale motivo

legittimo se non quello che mette l'inscritto nella

impossibilità di presentarsi per l'esame ed arruola

mento, un motivo che trovi la sua causa in un caso

di forza, maggiore, come potrebbe essere una ma

lattie!, una detenzione od altro consimile, e non già

quello che si basa sopra una falsa ed erronea cre

denza dell'iscritto, che non gli corresse l'obbligo di

prasentarsi, in quanto ritenesse, senza fondamento,

di essere stato riformato, oppure di essere dispensato dal presentarsi per supposta esenzione dal servizio

militare. Nè l'ignoranza della legge, né una supina buona fede potrebbero in tale materia invocarsi, ma

quella sola che fosso a solide ragioni appoggiata, e

tale che non potesse essere vinta da una comune

prudenza, nè da mezzi non diffìcili ad adoprarsi. Ora l'allegata buona fede del ricorrente non fu

ritenuta tale, ed è troppo evidente che una credenza

simile a quella dal medesimo addotta non possa mai

essere con effetto invocata, nè riconosciuta quale

motivo legittimo per iscusare il reato di renitenza;

imperocché diversamente verrebbe ad essere scon

volta tutta l'economia della legge, tornerebbe estre

mamente facile all' iscritto eluderne le prescrizio

ni ed evitare le conseguenze penali dell' inadem

pimento, allegando buona fede e falsa credenza; in

breve, sarebbe lasciato in balia dell'iscritto l'adem

pimento dell'obbligo di presentarsi o no all'assento.

Pertanto la Corte genovese, coli' avere respinto

l'allegata, scusa e le dedotte prove, tendenti a sta

bilire la pretesa buona fede del ricorrente, e col con

fermare la sentenza del tribunale, che lo aveva di

chiarato colpevole del reato di renitenza, non fece

che uniformarsi ai suesposti concetti, e quindi non

ha violato l'art. 157 della legge sul reclutamento,

né gli art. 3 e 4 delle disposizioni preliminari del

codice, pur invocati dal ricorrente, essendo, per le

cose di sopra osservate, dimostrato che la frase le

gittimo motivo non può avere quell'ampio signifi

cato che gli attribuisce il ricorrente, quello di com

prendere la falsa credenza dell'iscritto di essere ri

formato.

Laonde il mezzo deve essere respinto, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 27 aprile 1887; Pres. Enrico, Est. Risi —

Ric. Torreselli.

*»l»erjfiuro — Parie citile (Cod. pen., art. 374; Cod.

proc. pen., art. 109; God. civ., art. 1370).

La parie danneggiata dalla prestazione di un falso

giurammio decisorio può costituirsi parte civile

nel relativo procedimento penale di spergiuro. (1)

La Corte, ecc. — Il ricorrente ammette, nè po

trebbe diversamente in presenza della concorde dot

trina e giurisprudenza, che l'art. 1870 del cod. civ.

lascia impregiudicato il corso dell'azione penale per

la falsità del giuramento decisorio in materia civile:

in altri termini, che lo spergiuro costituisce reato

perseguibile in via penale, a sensi dell'art,. 374 del

cod. pen. Stabilita ed ammessa la punibilità dello

spergiuro siccome reato previsto dal succitato arti

colo, ben tosto si appalesa esser infondato l'assunto

propugnato dal ricorrente in questo mezzo, e con

sistente sostanzialmente nel sostenere che alla pena

dello spergiuro non si possa dal giudice penale ag

giungere anche la condanna al risarcimento dei danni

in favore dolla parte che ha deferito o riferito il

giuramento decisorio. E diffatti, la tesi proposta

dal ricorrente viene respinta da quelle stesse dispo

sizioni di legge che da esso si denunciano violate,

vale a dire dagli art. 1, 3, 4, 109, 569 c. p. p., e 72

del cod. pen. Dai combinato disposto dei precitati articoli emer

gono nettamente i concetti che ogni reato,-oltre l'a

zione penale, può dar luogo all'azione civile, il cui

scopo è quello di ottenere il risarcimento dei danni

cagionati dal reato medesimo; che la parte lesa da

reato qualunque può, di regola, esperire l'azione ci

vile congiuntamente all'azione penale, e costituirsi

parte civile nel relativo giudizio; che infine ad ogni

sentenza penale di condanna per reato è attribuito

l'effetto di obbligare il colpevole al risarcimento del

danno verso la parte offesa. Dal che riesce ovvio il

dedurre e concretare che l'azione civile per risarci

mento dei danni arrecati dal reato non è altro che

(1) Conforme, da ultimo, stessa Corte, 25 giugno 1885 (Foro it

1885, 11, 384); 10 febbraio 1881 (ld1881, 11, 190); 24 gennaio 1883

(Id., Rep. 1883, voce Spergiuro, n. 3); Cass. Firenze, 6 aprile 1881

(Id., Rep. 1881, id., n. 4), ecc. — In senso contrario, v. App. Roma, 15 luglio 1882 (Id., 1882, 11, 282).

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207 PARTE SECONDA 208

una conseguenza legittima del reato medesimo; come

del pari una diretta ed immediata conseguenza della

condanna penalo si è la pronuncia al risarcimento

dei danni stessi.

Ciò posto, la pretesa del ricorrente, di negare il

diritto al risarcimento dei danni allorché trattasi di condanna di spergiuro nei sensi dell'art. 374 c. p., mentre incontra insuperabile ostacolo nei termini

generali, assoluti e senza distinzione delle succitate

disposizioni di legge, va altresì ad urtare colle ra

gioni di giustizia e di equità, su cui è fondata l'a

zione civile per risarcimento dei danai cagionati da

reato, le quali tutte mirano a porre il danneggiato, come ne ha tutto il diritto, in quello stato in cui si

sarebbe trovato se non fosse avvenuto il fatto che

diede luogo alla condanna penale. Al contrario, ove

fosse accolta la tesi del ricorrente, ognuno comprende

che, mentre da un lato avrebbesi la flagrante ingiu stizia di lasciare senza riparazione del danno la

parte lesa dallo spergiuro, dall'altro canto si ve

drebbe il colpevole, con aperto sfregio della pubblica

morale, ritenere e godere il profitto ricavato dal

reato.

Non meno evidente presentasi la risoluzione della

questione in tal senso, sotto l'aspetto dell'art. 1151

del cod. civ., parimenti invocato dal ricorrente. E

diffatti la responsabilità nascente da delitto, o quasi delitto comprende tutte le cause d'imputabilità^dal dolo sino alla colpa la più leggiera, e tutte sono as

soggettate indistintamente alla stessa conseguenza,

quella del risarcimento del danno, come risulta dal

disposto degli art. 1151, 1152 cod. civ. Epperò, se,

giusta il principio generale dominante in detti ar

ticoli, anche la colpa leggerissima obbliga al risar

cimento dei danni, sarebbe poi un vero controsenso

che da un fatto, non soltanto illecito e dannoso, ma

altresì commesso con intenzione di nuocere, e costi

tuente crimine o delitto, quale si è, allo stato della

nostra legislazione penale, lo spergiuro, di cui al

l'art. 374 cod. pen., non derivasse eguale obbliga zione al risarcimento del danno. Senza una espressa e chiara eccezione della legge, eccezione che punto non esiste, non si può ragionevolmente e legalmente declinare dalla preaccennata regola.

Non vale al ricorrente invocare il disposto dell'art.

1370 del cod. civ., imperocché quest'a rticolo contempla

espressamente il solo caso che si voglia provare in

via civile la falsità del giuramento decisorio, né

punto riguarda il risarcimento del danno dipendente dal reato di spergiuro, nel qual caso l'azione civile

per risarcimento dei danni, come si osservò di sopra, non é altro che la legittima e diretta congeguenza del reato, ed è regolata dalle norme portate dalle

leggi penali. Parimenti invano il ricorrente, per con

trastare il diritto al risarcimento dei danni, si ap

poggia alla teorica della irretrattabilità della tran

sazione ed all'autorità della cosa giudicata in civile,

imperocché è ovvio il rispondere che il deferente ha

bensì inteso di rimettersi, e si rimise realmente, alla

coscienza del suo avversario e lo costituì giudice della

controversia civile, ma di certo non ha voluto né

potuto transigere sul dolo dell'avversario stesso,

vizio che dà sempre fondamento ad una eccezione

opponibile a qualunque regola. E così dicasi rispetto alla cosa giudicata, essendo evidente che l'autorità

della sentenza civile non ha luogo se non relativa

mente a ciò che ha formato il soggetto della sen

tenza stessa, e la questione concernente il risarci

mento del danno derivante dallo spergiuro non formò,

nè poteva formare oggetto di quel giudizio. Del resto

la questione sollevata in questo mezzo fu già altre

volte risoluta in senso contrario all'assunto del ri

corrente con ripetute decisioni di questa Corte su

prema, né trovasi di recedere dall'adottata giuri

sprudenza. Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 17 febbraio 1887; Pres. Enrico, Est. Pomo

doro — Ric. Rusca.

Ferrovia — Animali non pascolanti — Introdu

zione «ni binari — Retponaabilili del proprie tari del Tondi (Reg. 31 ottobre 1873, art. 55 e 64).

Sussiste la contravvenzione agli art. .55 e 64 del

regolamento 3i ottobre 1873 sulla polizia delle

strade ferrale, allorché gli animali si siano inol

trati sulla linea od introdotti sulla strada, quan

tunque non fossero stati lasciati in vicinanza

della strada per farli pascolare. (1)

Vi tale contravvenzione rispondono ■penalmente

proprietari o conduttori dei fondi limitrofi, senza

che valga ad esonerarli la colpa del custode de

gli animali. (2) La Corte, ecc. — Si produce il seguente mezzo,

così concepito: « Violazione e falsa applicazione degli art. 55 e

64 del regolamento sulle strade ferrate del 31 otto

bre 1873; da che il fatto contravvenzionale contem

plato dagli art. 55 e 64 è il pascolo di bestiame in

vicinanza della ferrovia senza custodia, e se come

conseguenza dello stesso si verificili la introduzione

del bestiame sulla ferrovia, siffatta introduzione si

considera come un 'aggravante della contravvenzione,

che fa ascendere la multa a lire 1000. Ma senza la

contravvenzione del pascolo non vi può essere l'ag

gravante. Or la Corte, che constatò la mancanza

della contravvenzione, perchè escluse il fatto del

pascolo, non poteva applicare la pena sanzionata per la sola aggravante. Con ciò aggiunse alla legge, con

fuse il principale coll'accessorio, fece sussistere l'ag

gravante senza del principale, cioè del pascolo. Se

il legislatore avesse voluto punire la sola introdu

zione del bestiame sulla linea ferroviaria, che av

venga fuori dell' occasione del pascolo l'avrebbe

dovuto dichiarare; ma quando egli ha punito solo

(1) Conforme: stessa Corte, 13 dicembre 1884 (Foro it.t 1885, 11, 126;.

(2) V. da ultimo le sentenze della Cass. Roma, 13 e 26 ottobre

1885, a col. 50 e 53 del voi. del 1886.

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