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Udienza 29 settembre 1887; Pres. Bonasi, Est. Giorgieri, P. M. Cerio —Ric. VenturiniSource: Il Foro Italiano, Vol. 13, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1888), pp.155/156-157/158Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23092299 .
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155 PARTE SECONDA 156
l'istanza di punizione, ma non alla rinuncia senza la
deliberazione del consiglio di famiglia omologata dal
tribunale. — Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 12 novembre 1887; Pres. Bonasi, Est. Giorgieri,
P. M. Sacchini — Ric. Pastore.
Appello — Sentenza di pretore — Dichiarazione
— Mandato — Difensore (Cod. prOC. peli., art.
353 n. 1 e 356).
Benché Vari. 353 n. 1 p. p. non dichiari espressa
mente che la dichiarazione di appello avverso
sentenza di pretore debba esser firmata dal con
dannato o da procuratore speciale (come fa Part.
402 per l'appello dalle sentenze del tribunale), tuttavia quella condizione deve ritenersi necessa
riamente voluta dalla legge. (1) E quindi inammessibile l'appello proposto dal di
fensore dell'imputato. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché si censuri la- sentenza
denunziata per avere dichiarata la irricevibilità del
l'appello, essendo stato interposto non dal condannato
Pastore, ma nell'interesse di questi dal difensore d'uf
lizio che lo rappresentò nel giudizio avanti il pretore Il ricorso però non lia alcun fondamento perchè non è
in questi casi dalla lettera della legge (art. 353, n.
1 del codice di procedura penale), e dalla giurispru denza che l'ha interpretata, ammesso il mandato pre sunto nel procuratore o avvocato che ha assistito l'im
putato in giudizio. Perchè possa il tribunale essere le
galmente investito della cognizione dell'appello, deve
della volontà dell'appellante costare in modo sicuro e
diretto, senza che sia lecito sottoporre alle conseguenze d'un giudizio, sempre sotto qualche rapporto gravoso, altri a sua insaputa, mentre ne occorreva l'espresso consentimento quando non vi fu la personale dichia
razione;
Attesoché non si può dal disposto dell'art. 402 del
cod. suddetto inferire quanto sostiensi dal ricorso ar
gomentando che se per quest'articolo nell'atto d'ap
pello dalle sentenze dei tribunali si esige la sottoscri
zione dell'appellante o di un procuratore speciale, al
trettanto non si esige per l'altro articolo sopra indi
cato nell'atto d'appello dalle sentenze dei pretori. A
siffatto modo di argomentare però fa ostacolo una du
plice considerazione. La prima è che se negli appelli dalle sentenze dei tribunali, per la loro indole assai
più importanti di quelli concernenti le sentenze pre
torie, il legislatore dettò forme più circostanziate ed
esplicite, non se ne può indurre la soppressione o la
inapplicabilità di esse agli atti d'appello in cause mi
nori. Qualunque poi esser possa il pregio di questo con
fronto, resta intatto e incontrovertibile il principio, che
d'un appello non può esser presa cognizione fuori della
manifestazione della volontà d'appellare per parte del
l'imputato, e quando questi o personalmente o per mezzo
d'un suo procuratore speciale non ne abbia esternata
la intenzione, il laconismo usato nell'art. 356 non fa
venir meno la regola fondamentale intrinseca di ogni atto pubblico, che é quella di far apparire con certezza
l'autore voluto dell'atto medesimo; Attesoché nel difetto giustamente ritenuto dalla sen
tenza impugnata dell'appello proposto dall'odierno ri
corrente, la sua irricevibilità proveniva dalla legge, e
come non era luogo a conoscere del merito della causa
per parte del tribunale, così è conseguenza necessaria
il non doversi assumere oggi cognizione dell'ulterior
mezzo di ricorso avanzato alla Corte suprema. Per questi motivi, rigetta, ecc.
(1-2) In senso conforme, sovra entrambe le massime, v. Cass. Roma, 15 maggio 1882 (Foro it*, 1882, II, 409) e Cass. Torino 11 aprile 1881 (Id., Rep. 1881, voc. App. pen., n. 38). La presentazione dei motivi può però essere fatta da chi difese l'imputato innanzi al
pretore, senza che occórra apposito mandato : stessa Cass. Firenze, 26 marzo 1877 (Id., 1877, II, 438), e citata sent, della Cass. Torino, 11 aprile 1881.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 29 settembre 1887; Pres. Bonasi, Est. Gior
gieri, P. M. Cerio — Ric. Venturini.
Trilli'» — Appropriazione di somma per garantire un eredito (Cod. pen., art. 626 e 287).
Colui che allo scopo eli garantirsi di una ragione di credito si fa consegnare un biglietto di banca
dicendo di volerlo vedere, ed avutolo se lo trat
tiene, non commette truffa, ma esercizio arbitra
rio di ragioni, non punibile per mancanza del
l'estremo della violenza.
La Corte, ecc. — Attesoché per valutare il merito del
ricorso è indispensabile premettere il fatto quale fu
ritenuto dal primo giudice.
Tommaso di Riddino nel 2 febbraio dell'anno cor
rente vendè una cambiale di L. 244 per L. 160 a Fe
lice Cantarutti, il quale l'accettò dopo che il Ventu
rini appose in quella la sua firma come avallante.
Essendo tanto il cessionario della cambiale quanto l'av
vallante, creditori del di Riddino, prima di scontargli la cambiale si trattennero su questa il rispettivo loro
avere, e fatti i conti, risultò il di Riddino solo credi
tore di L. 70. — Volendo il Cantarutti pagare a questi le residue lire settanta, estrasse dal suo portafogli un
biglietto da lire cento, ma siccome il di Riddino non
aveva le L. 30 da dargli, il Venturini si fece dare
quel biglietto, rese al Cantarutti le L. 30 e al di Rid
dino consegnò al momento la somma di L. 50, soggiun
gendogli che gli avrebbe dato le altre lire 20 il giorno
susseguente.
Nella mattina del 3 febbraio, recatosi il di Riddino nella casa del Venturini per ricevere le L. 20 delle
quali era creditore, il Venturini stesso gli chiese se
teneva presso di sè tuttavia il biglietto delle L. 50
consegnatogli il giorno innanzi, e avutane risposta af
fermativa, disse al di Riddino che glielo facesse ve
dere. E fattolo vedere, senza alcun sospetto consegnan
dolo in sue mani, tosto il Venturini se lo prese dicendo
al di Riddino « andete via non voglio più darvi niente », Attesoché è per questi fatti che il pretore di S. Da
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GIURISPRUDENZA PENALE
niele giudicò il Venturini colpevole di truffa, non ac
colto il discarico del prevenuto di avere inteso dire
nella mattina del reato, che certo Pietro Piccoli, ori
ginario debitore della cambiale, era un individuo af
fatto insolvente, e per di più dichiarato interdetto, e si era perciò rifiutate#*di consegnare le. L. 20 al di Riddino, il quale estratto di tasca il biglietto da L. 50, lo gettò sopra una tavola dicendo al Venturini « giac ché non volete dermi le L. venti, tenetevi anche le
lire cinquanta ».
Attesoché sull'appello del condannato Venturini, il
tribunale confermò il giudicato del pretore, e dalla se
conda sentenza è oggi ricorso in cassazione per falsa
applicazione e violazione dell'art. 626 cod. pen. com
binato cogli art. 286, 287, 288 del codice stesso, in
quanto le istesse dichiarazioni di fatto del tribunale
inducono a ritenere che trattisi non di raggiro frau
dolento, che costituisce la truffa prevista dall'art. 626, ma sì, e veramente di esercizio arbitrario delle pro
prie ragioni disgiunto da qualsivoglia violenza, e così di un fatto che in mancanza di un'estremo essenziale
non poteva essere qualificato come reato, e rientrava
nella competenza esclusiva della sede civile.
Attesoché il concetto del ricorso rientri pur troppo nella retta applicazione del diritto quale sostiensi. Im
perocché, malgrado la poco felice e confusa dichiara
zione della sentenza, si raccoglie senza ambagi dalla
medesima che il Venturini commise il fatto appostogli onde procurarsi in qualche modo una garanzia
parziale pel pericolo che correva di dover pagare la cambiale su cui aveva apposto la suafirma a fa vore dello stesso di Riddino. Se questo fu il vero
movente delibazione criminosa, come più sotto sog
giunge il tribunale errando anche nella generica no
menclatura dettata dall'art. 2 del cod. pen., come non
caratterizzare il fatto nel senso che oggi si sostiene in cassazione, ed ha il suo fondamento nei principi i
più noti della scienza penale che all'estremo morale
sempre predominante nelle umane azioni devesi badare
a sostituire al concetto della ragione fattasi di propria
autorità, l'altro di truffa ? A costituire la quale non
possono certo contribuire le altre circostanze di fatto
espresse dal tribunale e consistenti nel non avere il
ricorrente informato il di Riddino che gli sovrastava il pericolo di pagare la cambiale, e cercato per lo
meno di ottenere il consenso alla ritenzione della som ma o qualche altro mezzo di garanzia.
Se tali circostanze sono plausibili per sé stesse nel
l'ordine morale, non hanno tanta importanza nel campo
penale da essere elevate ad elementi delittuosi per farne
argomento di una condanna. Apparisce pertanto colla
maggiore chiarezza fondato il ricorso, e merita di essere
accolto. — Per questi motivi, cassa senza rinvio, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 17 dicembre 1887; Pres. Bonasi, Est. Salucci
P. M. Sacchini — Ric. Lazzarotti.
JPai'te civil© — Donna maritata — Autorizzazione
(Cod. proc. pen., art. 107; Cod. civ., art. 134).
La costituzione di parte civile in giudizio penale non rientra nel novero di quegli alti che per Vari. 134 cod. civ. la donna maritala non può
compiere senza l'autorizzazione maritale. (1)
La Corte, ecc. — Condannata la ricorrente Lazza
retto a L. 30 di ammenda per percosse volontarie, in
applicazione dell'art. 550, codice penalo italiano, lia
regolarmente impugnato la sentenza del pretore di
Valstagna, deducendo la violazione dell'art. 109, pro cedura penale, per essersi la parte offesa e querelante Giuditta Pontarolo costituita parte civile senza l'assi
stenza del marito, dal quale doveva essere autorizzata in ordine all'art. 134 del codice civile.
Attesoché pel disposto dell'art. 109, proc. pen., si
può costituire parte civile nel giudizio penale, ogni
persona offesa o danneggiata che abbia la libera am
ministrazione dei proprii beni, altrimenti deve farsi
autorizzare nelle forme prescritte per l'esercizio delle
azioni civili. Però alla donna maritata non è inter
detto di amministrare i suoi beni, ma unicamente di
procedere senza il consenso del marito, o l'autorizza
zione del tribunale, nel caso di rifiuto od opposizione d'interessi (art. 136, codice civile) agli atti tassativa mente indicati nell'art. 134, per riguardo all'unione
coniugale, cioè, donare, alienare, ipotecare beni im
mobili, mutuare capitali, cederli o riscuoterli, far
sicurtà, transigere, e stare in giudizio relativamente
a tali atti. Fra i quali non si comprende l'esercizio
dell'azione di danni della parte civile, che per lo scopo, cui mira e per la eventuale responsabilità che assume
chi la esercita, non può essere confusa con quelle re
lative alle obbligazioni designate nel detto art. 134.
Quindi nella limitazione imposta alla donna maritata
non inchiudendosi l'atto di costituirsi parte civile nel
giudizio penale per la patita offesa, perchè questo atto
non importa e costituisce un'attuale alienazione od e
sazione di capitali, e molto meno alcun altro degli
atti noverati nell'are. 134, non è necessario che a ren
derlo perfetto e regolare intervenga il consenso o au
torizzazione del marito.
Per questi motivi, rigetta il ricorso, ecc.
(1) In senso conforme: stessa Corte 30 ottobre 1885 (Foro it., Rep. 1885, voce Parte civ., n. 15); Cass. Napoli, 19 die. 1884 (Id. id., n. 14) e 9 agosto 1883 (Id., 1884, 11, 32): Cass. Roma, 1 maggio 1882 (Id., 1882, 11, 334), ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 13 ottobre 1887; Pres. Bonasi, Est. Giorgieri,
P. M. Sacchini — Ric. Zanehetta.
Aìoiai'o — Residenza — ISstpeniI — C'outravvenziuuc
— Appello del pi-oc. generale. (L. sul notariato,
art. 27 e 127).
Contravviene all'obbligo della residenza il nolaro
che d'ordinario pernotta insieme alla propria
famiglia in comune diverso da quello di sua
residenza.
Non solo il proc. del re, ma anche il proc. gene
rale può produrre appello dalla sentenza del
tribunale relativa a contravvenzione notarile.
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