Udienza 3 aprile 1879, Pres. Galatiolo, Est. Saluto, P. M. Del Mercato (Concl. diff.) —Ric. CampoLucianoSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.211/212-213/214Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084752 .
Accessed: 18/06/2014 04:17
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.44.77.146 on Wed, 18 Jun 2014 04:17:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
211 PARTE SECONDA 212
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 4 giugno 1879, Pres. Enrico, Est. Talice,
P. M. Gambara (Conci, conf.) — Conflitto in causa
Richeri.
Keati contro la relijjioue — OiTesa ai ministri del
culto — Esercizio aleilc funzioni — Estremi (Cod.
pen., art. 187, 572 e 686, n. 2).
L'aggravamento stabilito dall'art. 187 Codice penale,
per le offese ai ministri del culto nell'esercizio delle
loro funzioni, ha di mira di circondare di maggior
tutela giuridica i ministri del culto, non per gene
rico riguardo al carattere ed alla dignità di cui
sono rivestiti, ma soltanto e precisamente nel mentre
ed in quegli intervalli di tempo in cui adempiono
le funzioni del loro ministero; in altri termini,
ha di mira di reprimere l'offesa fatta all' ufficio re
ligioso nella persona dell' ufficiante.
Non ricadono quindi sotto la sanzione del citato ar
ticolo le offese al ministro del culto fatte prima o
dopo l'esercizio della funzione religiosa, quan
tunque, allorché le riceve, il ministro si trovi vestito
del suo abito sacerdotale, e stia attendendo a
qualche preparativo predisponente una funzione.
La Corte, ecc. — Attesoché col classificare la previ sione penale di cui nell'art. 187 sotto la rubrica: Dei
reati contro la religione dello Stato e gli altri culti, il legislatore rese chiaro il suo intendimento di voler
prendere a considerare come oggetto di maggior tu
tela giuridica i ministri di quella religione e degli altri culti non genericamente per riguardo al carattere
e dignità di cui sono rivestiti, ma soltanto e precisa mente nel mentre ed in quelli intervalli di tempo in
cui si trovano ad adempiere le funzioni inerenti e
proprie del loro ministero, e così di voler circondare
di più efficace protezione il culto religioso stesso nella
sua attualità di esercizio, e di reprimere l'offesa del
l'ufficio religioso nella persona dell'ufficiante, essendo
evidente che l'insulto in tale occasione fatto ai mini
stri del culto viene a profanare le funzioni religiose
stesse da essi esercitate, al sacro e venerato compi mento delle quali molti fedeli e credenti possono aver
interesse, per cui più grave ne sorge la perturbazione
dell'ordine sociale, e di qui l'aumento della quantità
politica del reato, e la necessità di più severa puni zione. E che tale concetto abbia predominato nel det
tare quella disposizione è posto in maggior rilievo
eziandio dalle espressioni che vi si leggono: nell'eser
cizio delle loro funzioni, durante tale esercizio, le
quali dimostrano che s'intese di restringerne l'appli cazione ai soli casi e momenti nei quali nel ministro
si personifica 1' ufficio per l'attuale esercizio della fun
zione religiosa, prima o dopo la quale, e qualunque
pur sia l'abito speciale che tuttora vesta, o la divisa
di cui si trovi fregiato, le offese che gli si fanno sono
regolate dal diritto comune a tutti i privati cittadini; Attesoché questa essendo la retta e legale intelli
genza del summentovato articolo di legge, è agevole
l'indurne che malamente avvisasse il pretore di Final
borgo nel ritenerne l'applicabilità nella specie, ove solo
si considerino li stessi motivi di fatto della sua sen
tenza, d'onde è chiarito che nel giorno 25 ottobre ul
timo scorso nella Chiesa parrocchiale di Calice Ligure
funzionava ed ufficiava solennemente il vescovo di Sa
vona, accedutovi per amministrare il sacramento della
cresima, e nel momento stesso in cui avvennero le la
mentate ingiurie il prefato vescovo stava ^celebrando la messa assistito da due canonici di Finalborgo e dal
suo segretario, e dato pure che il prevosto Don Conio
Bonagiunta avesse dapprima ricevuto secondo il ceri
moniale di rito il proprio vescovo alla porta della
chiesa, e pure preparati i ragazzi per la cresima,
queste, che potevano riguardarsi come attribuzioni di
esso parroco, erano già compiute quando avviandosi
alla sagrestia venne apostrofato dal Vincenzo Richeri
sul non suonarsi l'organo in tanta solennità, ed indi
si scambiarono l'un l'altro le parole di cattivo sog
getto e mascalzone, non che quando poco tempo dopo fu poi lo stesso Don Conio schiaffeggiato coi guanti dal tìglio di detto Vincenzo Richeri, nella sagrestia, e
mentre da un cassetto traeva fuori del cotone servi
bile per la cresima; Che così stando le cose, se può dirsi che il Don Conio
sorvegliasse e preparasse le cose per la cresima, cioè
per una funzione religiosa propria del vescovo, non
era nè continuava, tuttoché ancora vestito di stola e
di cotta, nell'esercizio d' una funzione esclusivamente
attinente alla sua qualità di parroco e di sacerdote, ond' è che l'ingiuria in tal mentre da esso sofferta non
potrebbe mai ritenersi come qualificata secondo la let
tera e lo spirito dell'art. 187 del Codice penale, come
rettamente avevano giudicato, sia il procuratore del
Re ed il giudice istruttore di Finalborgo, sia il procu ratore generale e la Sezione d'accusa di Genova. E
quindi non verificandosi il caso di sussistente conflitto
per diversa definizione del reato, devesi rieccitare la
giurisdizione pretoria; Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO. Udienza 3 aprile 1879, Pres. Galatiolo, Est. Saluto,
P. M. Del Mercato (Conci, diff.) — Ric. Campo Lu
ciano.
Testimonianza falsa — Causa principal» — Causa
incidente — ltiunione — Opposizione «Ielle parti
— Mullità (Cod. proc. pen., art. 473, 312 a 314).
La causa del falso testimone può essere trattata in sieme a quella della causa principale, purché non vi sia opposizione da veruna delle parti.
Ma se vi sia istanza in contrario innanzi la Corte
d'assise, e tuttavia si ordini procedersi ad unico dibattimento per entrambe le cause, il giudicio è
nullo.
La Corte, ecc. — Violazione della cosa giudicata e del concetto giuridico degli articoli 312, 313 e 314
This content downloaded from 185.44.77.146 on Wed, 18 Jun 2014 04:17:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
•213 GIURISPRUDENZA PENALE 214
procedura penale, perocché, avendo la Corte incrimi
nato alcuni testimoni in discolpa, e rinviata la causa
principale ad altra udienza da destinarsi, non avrebbe
potuto simultaneamente riprodurre entrambe le due
cause respingendo le opposizioni della difesa all'aper
tura del dibattimento.
E perciò le due cause essendo state riunite in unico
dibattimento, ha violato l'art. 473 di detto Codice;
Attesoché, se a norma dei risultamenti del dibatti
mento, la Corte d'assise ha incriminato di falso un te
stimone secondo l'art. 312 del Codice penale, può, giusta
l'art. 314 dello stesso Codice, a richiesta di alcuna delle
parti, e anche d'ufficio, immediatamente ordinare il
rinvio della causa ad altra udienza. Imperocché, se
dalle prove discusse può talvolta sorgere così splen
dida la verità dei fatti, quando indipendentemente dal
giudizio di falso del testimone incriminato possono
senza altro essere pronunziati il verdetto dei giurati
e la sentenza definitiva sulla causa principale, vice
versa può avvenire che la Corte, apprezzando le cir
costanze della causa e l'influenza del testimone, cre
desse utile di rinviare ad altra udienza la causa
principale per il pieno sviluppo della verità.
Ora in questo secondo caso, sebbene la legge non
abbia espressamente o formalmente dichiarato, che la
causa del testimone falso fosse prima decisa, pure dalla
ragione logica e dallo spirito di detto art. 314 risulta
non men chiaro, che il giudizio sul conto del testimone
dovesse precedere affine di depurare l'istruzione degli
elementi sospetti e menzogneri, per valutare con mi
gliore maturità e consiglio la fede che possono meri
tare i detti del testimone incriminato rapporto alla
causa principale che si è rimandata. Dunque, sotto
questo riguardo, la priorità della causa incidentale sa
rebbe il sistema più regolare nell'ordine di codesti
giudizi. Tuttavia può nascere dubbio se codeste due cause
possano essere trattate contemporaneamente in unico
dibattimento, cosicché l'ordinanza del presidente, che
per avventura le riunisce, possa essere soggetta a cen
sura innanzi la Corte di cassazione, e questo è il tema
della presente causa.
Su di ciò il ricorso dichiara di essersi violata la cosa
giudicata, ritenendo che l'ordinanza di riunione delle
due cause fosse in urto, anzi incompatibile, con quella
di rinvio della causa principale.
Ma se l'ordinanza di riunione non corrisponde all'or
dine materiale dei due giudizi, non contraddice certa
mente a quello di rinvio nel senso che questo portasse
divieto alla contemporaneità del dibattimento. Anzi il
nesso delle due cause vi si svolge con maggiore pie
nezza; può ravvisarsi meglio l'influenza che diede
luogo all' incriminazione, ed i giudici di fatto nel giu
dicare sulla sorte del testimone incriminato se abbia
o no mentito, giudicheranno se il reo principale fosse
colpevole del reato ascrittogli. Per la qual cosa non
vi sarebbe propriamente violazione di cosa giudicata;
l'ordine dei giudizi se non materialmente, sarebbe ideo
logicamente osservato.
Però, se ad onta dell'opposizione di alcune delle parti,
se malgrado apposito incidente sollevato innanzi la
Corte d'assise, l'ordinanza di riunione delle due cause
fosse mantenuta come nella specie, sono allora ben di
verse le conseguenze di legge, e diverso non può non
essere il provvedimento del magistrato. E di vero è
ovvio in diritto che un testimone incriminato di falso,
fino a che duri l'incriminazione, non può comparire da
testimone nel giudizio della causa principale. Ma quando
sia egli assolto riprende tutta la capacità di deporre.
Quindi se nessuna delle parti si opponesse all'ordi
nanza di riunione delle due cause, è prova irrefra
gabile che, sia il pubblico ministero, sia l'accusato, non
vogliono fare più uso del testimone incriminato, qua
lunque fossero i risultati del giudizio di falsa testimo
nianza. Ma se vi sia opposizione da parte dell'accu
sato, come nella specie, molto più che si tratta di due
testimoni a discolpa, la Corte respingendo la domanda
di separazione delle due cause, lo ha privato del di
ritto sopra espresso nei più vitali interessi della di
fesa, cioè di far sentire i suoi testimoni a discolpa
nella purezza dei loro detti. E perciò siffatta ordinanza
è incorsa in una nullità d'ordine pubblico, che non può
non essere accolta dalla Corte di cassazione;
Per questi motivi, annulla, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO.
Udienza 23 dicembre 1878, Pres. Galatiolo, Est. Mazza,
P. M. Del Mercato, (Conci, contr.) — Ric. Bruno.
Kcal» «l'azione privata — Hinorrnne — Desistenza
— l'atri» potestà (Cod. proc. pen., art. 105,116,117;
Cod. civ., art. 223 e 224.
Trattandosi di reato d'azione privata commesso dal
padre a dinno del figlio minorenne, è valida la
desistenza dalla querela fatta con V assistenza della
madre.
In tal caso è erroneo il credere che, per l'obbligo
deW indennizzo delle spese, la desistenza non sia
efficace senza V intervento di un curatore speciale
al figlio minorenne.
La Corte, ecc. — Osserva in fatto, che sopra denunzia
di estranei e di agenti della forza pubblica iniziavasi
procedimento penale contro Bruno Giuseppe, che im
putato veniva di stupro violento in persona della propria
figlia, dell'età di anni 15.
Chiamata costei dal giudice ed interrogata, faceva
la sua dichiarazione, e la corrispondente istanza di
punizione del padre; però non le si faceva lo avver
timento prescritto dall'alinea dell'art. 116 del Codice
di proced. penale, cioè del diritto che si avea di de
sistere dalla querela, e nemmeno di quanto è sancito
dall'art. 564 del medesimo Codice, cioè che, persistendo
nella querela, chi la produce è tenuto, nel caso in cui
si dichiari non esser luogo a procedere o si assolva
1! imputato, a rimborsare le spese anticipate dall'erario.
Con queste anormalità, compiuta la istruzione, il Bruno
This content downloaded from 185.44.77.146 on Wed, 18 Jun 2014 04:17:02 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions