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Udienza 3 febbraio 1886; Pres. Enrico, Est. Pomodoro, P. M. Gambara —Ric. ToschiSource: Il Foro Italiano, Vol. 11, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1886), pp.35/36-39/40Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23089544 .
Accessed: 28/06/2014 12:24
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35 PARTE SECONDA 36
o per errore insinuatogli di non poter far mandato
speciale ad altri, non potendosi ammettere l'igno
ranza e l'errore della legge, di cui fa fede il terzo
estraneo alla causa; ciò che ammesso in penalo scon
volgerebbe il sistema di quelle presunzioni legali che
non ammettono contraddizione. In una parola la legge
obbliga indistintamente ogni condannato a dichia
rare di ricorrere in persona o per mandatario spe
ciale, ed il padre del minore, che non é parte con
dannata, né Valter ego del figlio, non può ricorrere
e nemmeno fare mandato a ricorrere nell'interesse
del figlio stesso, sebbene sottoposto alla patria potestà.
Altronde, nel caso non solamente non risultava che
il Poli fosse impedito di fare la dichiarazione in can
celleria, ma nemmeno che nel termine manifestasse
questa volontà al notaio, mentre l'atto di mandato
del padre é in data del 22 aprile, e non vi si fa
menzione che il figlio si fosse già presentato al no
taio Lenechi di Scansano ad incaricarlo di redigere
il mandato per ricorrere, e che si fosse rifiutato a
causa della di lui età minore, ciò attestando lo stesso
notaio nella successiva dichiarazione 8 giugno, esi
bita il 19 alla cancelleria della Corte di appello, molto dopo il deposito dei motivi. Quindi della vo
lontà di ricorrere nel termine non risulta dall'atto
dal quale dovrebbe risultare anche se l'errore o l'i
gnoranza della legge potesse equivalere al caso di
forza maggiore che abbia impedito di fare ciò ohe al
trimenti si sarebbe fatto ed eseguito tempestivamente;
ed in ogni modo non si potrebbe attribuire, senza
frustrare lo scopo della legge, un valore di prova
retroattiva a un documento postumo che attesta di
un fatto, la cui verità e sussistenza non deve inda
garsi ma incontinenti essere verificata.
Che perciò, essendo inammissibile il ricorso di fronte
ai tre ricorrenti non ammessi a libertà provvisoria,
ed altresì di fronte al Poli minorenne, non occorre
di riferire ed esaminare alcuno dei cinque mezzi di
annullamento dedotti contro la sucitata sentenza.
Per questi motivi dichiara inammissibile il ri
corso, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO Udienza 3 febbraio 1886; Pres. Enrico, Est. Pomo
doro, P. M. Gambara — Ric. Toschi.
Arresto preventivo — Mendicanti — Retto punito
col carcere — Rinvio al pretore — Scarcera
zione (Cod. proe. pen., art. 251, 182, 206 e 346).
La disposizione dell'art. 251 p. p., secondo la quale
le persone sospette, imputate di delitto punibile
col carcere, devono, quantunque il reato loro ap
posto sia di competenza del pretore, rimanere in
carcere durante il giudizio, non è più applicabile
dopo la legge del 30 giugno 1876 (1)
Pel combinato disposto degli art. 182,197 e 206proc.
pen. modificali dalla detta legge 30 giugno 1876,
anche le persone sospette imputate di delitto pu nibile col carcere non maggiore di tre mesi, non
sono soggetti a detenzione preventiva. (2).
Epperò le persone sospette rinviate al giudizio del
pretore non possono essere trattenute in arresto,
quantunque vi siano stati rinviali per effetto di
circostanze scusanti ed attenuanti, e vi sia quindi la possibilità che it pretore, a norma delVart. 346
p. p. li punisca con sei mesi di carcere. (3)
La Corte, ecc. — Attesoché è da premettere che
il ricorrente con la moglie e tre figliuoli, il mag
giore di sei anni, ed il minore di 15 mesi appena, tutti arrestati per accattonaggio, e ai sensi dell'art.
443 cod. pen., modificato col regio decreto 26 no
vembre 1885, la cui pena comminata è del carcere
estensibile a mesi due, poiché egli recidivo, così per altre circostanze di fatto si ebbe dalla Camera di
consiglio le attenuanti, e fu con la moglie rinviato
al giudizio del pretore, ordinandosi la immediata
loro scarcerazione, e prosciogliendosi i fanciulli da
ogni responsabilità. Il sostituto procuratore regio fe' opposizione sol
tanto all'ordine di scarcerazione di entrambi i co
niugi, reputando non potersi giammai tanto impar tire ai mendicanti qualunque si fosse la pena del
carcere per essi stabilita, argomentando dall'art. 251
alinea del cod. di proc. pen. La Sezione di accusa della Corte di Modena fon
dandosi per inverso sul combinato disposto degli art.
182 e 206 del detto codice, modificati dalla legge 30
giugno 1876, respinse le opposizioni per rispetto alla
moglie dell'odierno ricorrente; e per costui ragio nando sull'art. 346 dello stesso codice, per il quale escludendosi dal pretore le circostanze attenuanti può la pena elevarsi sino a sei mesi di carcere, così ac
colse le opposizioni, ed ordinò la permanenza di quello
in prig.one. Di qi i ricorso ("durante le cui more furono già giu
dicati dal pretore, e condannati al carcere, il ricor
rente a due mesi e la moglie a sei giorni, scontati
per entrambi col carcere sofferto) adducendosi vio
lati i surriferiti articoli di legge; poiché una volta
esso ricorrente rinviato al giudizio del pretore, in
cui la pena ordinaria non eccede i tre mesi, doveva
egli esser posto in libertà.
E fondato è il mezzo. E per vero, la legge 30 giu
gno 1876 in massima generale statui non darsi car
cere preventivo in materia correzionale; che l'in
quirente per esaminare gli imputati di delitto ado
perasse il mandato di comparizione, e non mai quello di cattura, art. 182 modificato; onde se taluno di
costoro fosse stato arrestato, immantinente lo inter
rogasse e dimettesse in piena libertà, art. 197 mo
dificato. Però nel medesimo art. 182 sono preordinate più
eccezioni, infra le quali al n. 1° è scritto: « Potrà
« (l'inquirente) anche rilasciare mandato di cattura
« contro le persone indicate nel n. 1 dell'art. 206
(1-3) V. Borsini e Casorati, vol. Ili, § 1279; Falcone, La de
tenzione preventiva e la libertà provvisoria agl'imputati, § 171, e 172, e l'articolo dell'avv. Porta nella Legge, 1882, II, 175.
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37 GIURISPRUDENZA PENALE 38
« (ossia gli oziosi, i vagabondi, i mendicanti, ecc.)
« quando siano imputati di un delitto punibile col
« carcere maggiore di tre mesi ».
E con ciò non si intese sicuramente, che costoro
fossero stati già condannati per oziosità, per vaga
bondaggio, p ir accattonaggio, ma basta il fatto che
la persona inputata di altro delitto si trovi attual
mente ed effettivamente in siffatte condizioni, si ab
bia un tale staio sociale di fatto. Poiché è pei' quella sua qualità personale, ch'egli riesce di minaccia e
pericolo alla società, e si presenta dall'un canto con
minore presunzione d' innocenza, che pur circonda
l'imputato sino alla definitiva condanna, e dall'al
tro con maggiore probabilità di fuga per sottrarsi
all'azione della giustizia punitrice. Però codeste ragioni, che legittimano il rigore del
carcere preventivo per queste classi di persone, han
no anch'esse il loro limite, si che là dove quelle ces
sano, ivi cessar deve il rigore stesso, non tornando
più necessario, nè avente più motivo di essere. Di
qui promana, che in virtù appunto dell'art. 182 mo
dificato l'inquirente ha contro costoro la facoltà, e
non il dovere, come nei crimini, di spiccare il man
dato di cattura; e quel che più monta, che una si
mile facoltà sussiste solo quante volte il delitto im
portasse una pena eccedente i tre mesi di carcere, come ivi stesso è dichiarato in termini recisi e scol
piti. Laonde a tutto rigore di logica e di giure pro
cede, che se non trattasi di delitto portante pena
superiore ai tre mesi di carcere, ancorché l'imputato
sia un ozioso, o vagabondo, o mendicante, o persona
sospetta, poiché egli non può nè deve sottostare ai mandato di cattura, parimente non può nè deve
soggiacere al carcere preventivo. E però, se egli vi
fu ristretto, giusta l'art. 197 modificato, ha tutto il
diritto all'immediata scarcerazione, alla piena ed
intera libertà di sé, ben diversa dalla libertà prov
visoria, importante sempre sottomissione ed una certa
coercizione morale.
E il successivo art. 206, riflettente appunto l'am
missione alla libertà provvisoria, lungi dall'inficere
i principi sovra esposti, sempre più li riconferma.
Imperciocché là ov'è scritto: « Non possono in nes
« sun caso essere posti in libertà provvisoria 1° gli
« oziosi, i vagabondi, i mendicanti. . . contro i quali « può essere rilasciato mandato di cattura, giusta
« il disposto dei n. 1, 2 e 3 dell'art. 182 », si tra
duca quel richiamo in termini distesi ed espliciti, e
si avrà che a costoro è negata !a libertà provviso
ria qualora imputati di reato importante mandato
di cattura, ossia importante una pena superiore ai
tre mesi di carcere; chè se il mandato di cattura
non vi poteva essere, per la minor pena comminata,
non potevano essere soggetti a carcerazione, e trat
tarsi quindi di libertà più che provvisoria, piena ed
intera giusta l'art. 197 modificato.
Nè l'art. 251 cod. proc. pen. può più togliersi co
me è scritto, e così applicarsi, se appunto fu ^tem
perato e ridotto dagli art. 182 e 206 modificati dalla
legge 30 giugno 1876; e per la quale con l'art. 3 «fu
« derogato alle disposizioni del codice di procedura « penale, le quali fossero contrarie alla presente « legge »; e se sulla portata di cotesta derogazione nelle discussioni parlamentari fu formalmente di
chiarato e ritenuto, che tur,te le disposizioni del co
dice di procedura penale, e fra cui anche l'art. 251
rimanevano corrette in conformità della legge stessa.
È massima questa ormai professata dalia dottrina
fermata dalla giurisprudenza, e seguita dalla stessa
denunciata sentenza, respingente in questa parte le
opposizioni del P. M.; Attesoché intanto la Corte Modenese per negare
la libertà al ricorrente, argomeita dall'art. 346 della
proc. pen. allegando, che siccome il pretore quando al seguito delle risultanza del dibattimento si con
vinca non sussistere le circostanze attenuanti può
applicare il carcere fino alla durata di sei mesi, cosi
potendo questo pur intervenire, ed in tal modo a
versi una pena maggiore di tre mesi, dovevasi per ciò giusta il combinato disposto degli art. 182 e 206
negare sempre non che la scarcerazione, anche la
libertà provvisoria.
Codesta argomentazione è però manifestamente
fallace. Imperciocché l'art. 346 concede al pretore una mera facoltà, e non gli impone mica il debito
di elevare la pena nella misura ivi prefinita. Ed ol
tre ad essere codesta una pura facoltà, é poi si ra
ramente esercitata da costituire sotto tutti i rifless
un'eccezione non solo, ma al tutto singolare e straor
dinaria. E se tale è il preordinato dell'art. 346, se
gue allora che deve all'eccezione prevalere la regola,
sovrattutto quando questa è fondata su cardini certi,
e quella rimessa tutta al prudente arbitrio del gius
dicente. Giacché nessun principio di ragione, né di
equità, né di giustizia, nè di umanità consentirà mai,
che si infligga a taluno un aggravamento si smisu
rato quanto quello di un carcere preventivo, fon
dandosi non sulla regola, sibbene su un' eccezione sì
singolare e sì straordinaria.
Di più, se la ordinanza o sentenza di rinvio vi
stabilisce la competenza del pretore, é necessità lo
gica e giuridica porre e coordinare il procedimento
e la condizione del giudicabile a quanto è conforme
e connaturale a quella giurisdizione. La competenza
per la stessa sua entità giuridica è sovrana, domi
nante e reggente tutto quanto si attiene al giudizio
e sì per il procedimento ed ogni altra cosa, che per
lo stato tdel giudicabile, per il suo modo di essere
in quella giurisdizione. Laonde se lo stato del giudica
bile è quello di uno soggetto alla competenza preto
riale, non può lo stesso esser retto e disciplinato, che
secondo quello che è tutto proprio e conforme alla
giurisdizione pretoriale, ossia nello stato di libertà
E tanto più ciò, in quanto poi la ordinanza o la
sentenza di rinvio è sempre il risultato di un giu
dizio, sia pure di delibazione sulle prove, però de
cidente tuttavia lo stalo istruttorio per il giudica
bile. Or se quel giudizio ritenne, che costui in defi
nitiva non potrebbe andar soggetto che ad una pena
nel suo massimo non oltre i tre mesi di carcere, un
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39 PARTE SECONDA 40
siffatto giudizio sinché non è distrutto da quello
plenario e contradditt rio, fa stato sì contra che a
prò del giudic-ibila. Finché sta quel giudizio istrut
torio di rinvio, è quello lo stato giuridico del giu
dicabile; e se quello è il suo stato giuridico, vi deve
stare con tutti gli oneri e con tutti i vantaggi. Si è
10 stesso atto di accusa, che lo pone e costituisce in
quello stato e condizione di dover egli sottostara o
no al carcere preventivo asseconda che fu rinviato
al giudizio delle assise nei casi ordinari (art. 9 cod.
proc. pen.), o ai tribunali o alle pretore. Son code
ste leggi fondamentali del nostro rito nello varie
giurisdizioni, che è uopo osservare ed applicare nella
loro pienezza, e precipuamente Quando ciò torna a
profitto della libertà individuale.
E la Corte Modenese ripiega in un argomento meno
valido ancora, allegando che chi ebbe il beneficio di
essere rinviato al pretore, non possa insiememente
usufruirà dell'altro dell'escarcerazione, che non go-,
drebbe se rinviato al tribunale. Dappoiché il rinvio
al giudizio pretoriale non è una larghezza e par
zialità, che si largisce, sibbene è desso fondato su
minoranti od altre ragioni legali, ossivero su intimi
motivi di equità e di giustizia, per i quali si ritiene
che la pena irroganda non potrà eccedere i tre mesi.
K se cos'i è, allora non gli si concede un duplice be
nefìcio, ma quel tanto che strettamente gli è dovuto
allo stato dell'accusa.
Che se altrimenti fosse, non si sarebbe statuito
cogli articoli 440, 252, che la Sezione di accusa cor
rezionalizzando il crimine debbe di ufficio porre in
libertà il detenuto e senza cauzione, poiché talora
11 tribunale sollevando il conflitto dà luogo al ri
torno in materia criminale. Son questi casi eccezio
nali, sovra i quali nella discussione di questa legge il deputato Auriti nella tornata della Camera del
17 maggio 1875, propose dei temperamenti come la
cauzione, ed il Guardasigilli rispose : « Ma siccome
« in pratica mi risulta che sono assai rari i casi, in
« cui si verifica l'ipotesi della conferma di quelle « circostanze aggravanti, che erano state escluse nel
€ giudizio di accusa, così io credo che non vi sia
« ragione per preoccuparmi di questi casi molto rari.
« Possiamo qui ripetere l'adagio romano, quod semel
« aut bis accidit, praetereunt legumlalores. » Atti
pari. 1875, p. 3310.
Con che si confermò e ribadì la massima, che so
vrattutto in fatto di libertà, deve prevalere la re
gola, e non la eccezione; e regola è che lo stato giu ridico del giudicabile rinviato al giudizio pretoriale è quello di piena libertà ancorché mendicante, ozioso,
vagabondo o persona sospetta; onde la impugnata sentenza che altrimenti avvisò, violò le succitate di
sposizioni di legge.
Però il ricorrente fu già condannato ed anche di
messo dal carcere per pena scontata con quello pur
sofferto; onde ogni ulteriore atto non ha per lui più interesse né ragion di essere; e quindi va meglio fatta la cassazione senza rinvio, ecc.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO
Udienza 26 settembre 1885; Pres. Eula, Est. Peroc
chio, P. M. Castelli; — Ric. Parodi.
l'roceesionl religione — Divieto per un determinato
periodo — Facoltà «lei Prefetti (L. com. e pi'OV., art. 146).
Se i Prefetti non possono con provvedimento gene
rale e permanente proibire le processioni religiose,
possono però, per Vcrt. Ì46 della legge com. e
prov., proibirle in vista di peculiari circostanze
di tempo e di luogo a tutela della tranquillità
pubblica. (1) E questa facoltà può esercitarsi sia proibendo le
processioni volta per volta con speciali ed appo
siti decreti o provvedimenti, sia proibendole in
genere per un determinato tempo, con un solo
decreto o provvedimento. (2)
La Corte, ecc. — Considerato che l'art. 32 dello
Statnto fondamentale del Regno dichiara: « È rico
nosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senza
armi. — In quanto alle adunanze in luoghi pubblici
esse sono sottoposte alle leggi di polizia. »
Cile codeste disposizioni sanciscono il diritto di
riunione in luoghi pubblici, assoggettandolo però a
quelle limitazioni che la necessità di mantenere in
colume l'ordine pubblico fosse per consigliare a se
conda dei tempi e dei luoghi, a patto che esse ven
gano concretate in apposite disposizioni della legge
di polizia nel più largo senso cue a questa locuzione
vuol essere attribuito, che è quello di abbracc:are
non solo le prescrizioni della legge di polizia gene'
rale, quali sono quelle racchiuse nella legge di pub
blica sicurezza 20 marzo 1865, ma altresì i provve
dimenti di polizia locale che vengono regolarmente
emessi dall'autorità a cui è dalla legge specialmente
affidata la tutela dell'ordine pubblico.
Che ciò tanto è vero che mentre la legge di pub
blica sicurezza 20 marzo 18C5, che è legge di polizia
generale, agli art. 26 e seguenti dà le norme per lo
scioglimento delle pubbliche riunioni, le quali ven
gano in qualche modo a turbare l'ordine pubbiicoi
la legge comunale e provinciale promulgata contem
poraneamente statuisce nell'art. 146 che i prefetti, i
sotto-prefetti ed i sindaci possono fare provvedi
menti relativi alla polizia locale, espressione questa
che comprende per sua natura tutto quanto interessa
l'ordine e la tranquillità pubblica in quei dati luoghi
soggetti alla loro potestà e dichiara i contravventori
ai detti provvedimenti soggetti alle pene di polizia
sancita dal codice penale;
Che pertanto devesi ritenere che siccome lo Sta
tuto parlando di legge di polizia allude evidente
mente a quelle che valgono a conciliare il principio
della libera riunione colle esigenze dell'ordine pub
blico, così eccederebbero i limiti dei poteri dall'ora
(1-2) V. sentenze e note a c ol. 18 del voi. del 1884 e 324 del voi.
del 1885.
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