Udienza 30 gennaio 1945; Pres. Brasiello, Est. Mancini, P. M. Mirto (concl. conf.) —Ric. Viscuso(Avv. Basile)Source: Il Foro Italiano, Vol. 69, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1944-1946), pp.19/20-21/22Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23139299 .
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19 PARTE SECONDA 20
mancanza di un accertamento generico, non può essere
affermata la esistenza dell'aggravante di cui al n. 2 del
l'art. 625 cod. pen., per l'uso di violenza sulle cose, per chè tale accertamento può ben essere supplito dalla prova
specifica, che nella specie è rapprentata dalla deposizione del derubato. E se, come infatti gli stessi giudici hau ri
tenuto, la porta della casetta rurale era chiusa a chiave
e pur fu aperta, è in oontradizione evidente con questa affermazione il ritenere poi che non sia stata usata vio
lenza per giungere ad aprirla ed asportare dall'interno
gli oggetti su accennati. Il solo fatto di essere così il col
pevole arrivato a far uscire il ferro dalla toppa, ha posto indubbiamente in essere l'elemento della violenza, ai sensi
dell'art. 392 cod. pen., visto che ha di conseguenza reso
questo ferro, contorcendolo più o meno, inservibile allo
scopo cui era destinato ; ed è arbitraria la distinzione
della sentenza fra danneggiamento lieve e grave della cosa. Violenza sulla cosa, ha altra volta, a proposito dell'arti
colo 625, n. 2, cod. pen. insegnato questo Supremo Col
legio è quella usata sui mezzi e sugli ostacoli posti a cu
stodia delle cose, ancorché non importi sempre la loro
completa distruzione, rottura, demolizione, ecc., perchè anche oosì assume quella speciale caratteristica di mag
giore entità e pericolosità, in cui sta la ragione d'essere
dell'aggravante in parola. A torto, inoltre, la sentenza impugnata nega la pos
sibilità che in grado d'appello si contestino circostanze
aggravanti non contestate in primo grado. È invece giu risprudenza costante che possa ciò avvenire, se il P. M„ come nella specie, ne abbia fatto richiesta nei motivi di
appello, e purché il fatto non venga mutato, rispetto a
quello contenuto nel capo d'impugnazione originario. Ciò in applicazione dell'art. 615, n. 2, cod. proc. penale. Nel
caso in esame, va rilevato, al riguardo, che con il de
creto di citazione esplicitamente si era contestato all'im
putato di avere asportato gli oggetti suddetti dalla ca
setta rurale del Minerva ; e non può mettersi in dubbio,
quindi, ohe il processo offriva di per sè stesso elementi
bastevoli per suffragare la contestazione dell'aggravante di cui al n. 1 dell'art. 625. Ben era in diritto perciò il
P. M., proponendo appello, di rilevare che occorreva con testare anche questa al Gravili, e non poteva la Corte rifiutarsi di far poi in udienza la contestazione medesima
(art. 519, cod. proc. penale). Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE. (Terza sezione penale)
Udienza 30 gennaio 1945 ; Pres. Brasiello, Est. Man
cini, P. M. Mirto (conci, conf.) — Ric. Viscoso (Avv. Basile).
(Sent, denunciata : Trib. Messina 16 dicembre 1942)
Spergiuro — Falsità parziale — Sussistenza «lei reato
(Cod. pen., art. 371).
S'incorre nel reato di falso giuramento della parie anche se
questa, contrariamente al vero, nega soltanto alcune delle
circostanze, su cui è chiamata a giurare ( 1).
La Corte : — Ritenuto che in virtù di una cambiale di lire 800 non ritirata alla scadenza e protestata, Ru berto Giovanni intimò precetto mobiliare di pagamento
(1) È stato infatti ritenuto che perchè sussista il reato non è necessario che la falsità cada su tutti gli elementi contenuti nella formula, bastando che cada sul fatto principale o anche solo sulle circostanze in esso contenute : Trib. Catanzaro, 17 no vembre 1939, Torchia (Foro it., Rep. 1940, voce Spergiuro, n. 3). Quindi commette spergiuro il convenuto che neghi l'esistenza del debito per essere in realtà debitore di somma minore : C., 6 lu glio 1939, Delfino (id., id., voce cit., n. 2) ; in senso contrario : 6 maggio 1934, Riglia (id., 1935, II, 338, con nota di richiami).
al suo debitore Viscuso Gaetano. Questi però vi fece op
posizione, assumendo che la cambiale era stata da lui
rilasciata a garanzia di alcuni mobili lasciatigli in custo
dia, ma restituiti ; sicché non sussisteva l'obbligo di pa
garla. Il Ruberto invece sosteneva che la cambiale in pa rola gli era stata rilasciata dal Viscuso, non a garanzia di una partita di dolciumi consegnatigli nel 1931, per la
vendita, con l'obbligo di versargliene l'importo man mano
che la vendita si effettuava, obbligo per altro non soddi
sfatto. E poiché il Viscuso insistè nel proprio assunto, il
Ruberto gli deferì giuramento decisorio, con la seguento formula : « Giuro e giurando nego di avere rioevuto dal Ruberti Giovanni dolciere i seguenti generi per riven
derli: n. 14 bottiglie fra Vermouth e Marsala, n. 5 bot
tiglie e tre mezze bottiglie di rosolio e liquori diversi ed
altri generi di dolciumi, dell'importo di lire 800, obbli
gandomi di pagare detto importo di lire 800, appena ven duta la merce stessa e che in garanzia di detta merce io ho rilasciato al Ruberto la cambiale in contestazione di
lire 800, che dovevo ritirare appena venduta detta merce al Ruberto. Giuro altresì, e giurando nego, di avere ven duto i generi di dolciumi e liquori affidatomi dal Ruberto e di non avere ritirato la cambiale base di questa esecu zione ».
Nell'udienza del 17 luglio 1940, innanzi al Pretore di
Messina, il Viscuso prestò il giuramento deferitogli, negando tutte le circostanze specificate con la formula sopra riportata.
Dopo di che il Ruberto, con esposto 7 agosto 1940 del Pretore di Messina esibendo una scrittura privata sot toscritta dal Viscuso, da cui risultava la consegna dei
liquori e dolciumi fatta al Viscuso medesimo e l'obbligo da lui assunto di pagarne l'importo, man mano che la vendita si effettuava, lo denunciò per falso giuramento. Intervenne così la sentenza di condanna innanzi rife
rita, con la quale il Tribunale di Messina, a conferma di
quella pronunciata il 29 maggio 1942 dal Pretore di quella stessa città, dichiarò il Viscuso colpevole del reato di cui in epigrafe.
Avendo il condannato proposto tempestivo ricorso per cassaBione, il suo difensore dedusse a sostegno che, siccome obietto del giudizio civile era quello di stabilire nel con trasto delle parti, a quale obbligazione principale (quella della partita dei liquori e dolciumi dedotta dal Ruberto ovvero quella dei mobili dedotta dal Viscuso) si riferisse l'altra accessoria di garanzia bancaria, l'essersi nel giudi zio penale con l'esibizione della scrittura privata dimo strato soltanto che esisteva, contro la negativa del giura mento, l'obbligazione principale dedotta dal Ruberto e non anche che a questa anziché a quella dedotta dal Vi scuso si riferiva la disoussa garanzia cambiaria, non im
portava la falsità del prestato giuramento. La quale in
ogni caso andava esclusa per difetto di dolo ; ed è d'al tronde compresa nell'ultima amnistia concessa con il r. d. 5 aprile 1944, n. 96. Ritenuto che il ricorso è infon dato. Quanto alla amnistia la Corte rileva che all'invocato beneficio ostano le varie condanne riportate dal ricorrente, le quali, contrariamente a quanto si assunse nel ricorso, non risultano amnistiate.
Nel merito poi la Corte osserVa che tre e diverse erano le circostanze dedottè con la formula del giuramento : for nitura della partita di liquori e dolciumi e modalità del
l'obbligo relativo di pagamento ; riferimento a tale proce dura e a tale obbligo della garanzia cambiaria in contesa :
inadempimento dell'obbligo medesimo. Dette circostanze
per altro, pure essendo logicamente connesse e coordinate
per sostenere un unico assunto difensivo erano tuttavia, nel loro contenuto intrinseco e nella loro stessa enuncia
zione, indipendenti fra loro, cosicché il giurante poteva af fermare o negare una di esse senza necessità di dovere
contemporaneamente affermare o negare anche le altre. Ciononostante però il ricorrente, col giuramento, negò
falsamente la prima delle riferite circostanze, come la esi bita scrittura dimostrava e come egli stesso confessò. E
poiché essendo l'attività giudiziaria il bene giuridico tute lato dalla legge penale, detta attività rimane sempre of
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21 GIURISPRUDENZA PENALE 22
fesa, e perciò si incorre nella falsità anche se, contraria mente al vero, la parte che giura nega soltanto alcuna delle circostanze, su cui è chiamata a giurare, rettamente i giudici di merito, nella accertata situazione di fatto, riten nero l'esistenza del reato contestato. Nel quale d'altronde il dolo non meno rettamente fu ritenuto esistente, perchè il Viscuso sapeva, come è pacifico, che aveva avuto la fornitura di liquori e di dolci e doveva pagarla non po teva non sapere di dire il falso, quando lo negò, e non
poteva quindi non volere scientemente commettere il falso
che, appunto in tale negativa, si concretava e si concretò. Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMI DI CASSAZIONE.
(Prima sezione penule)
Udienza 4 gennaio 1943 ; Pres. Crachi, Est. Borracine, P. M. Traina (conci, conf.) — Rice. P. M. ed Incerti
e Gandini (Avv. Panizzi e Bonini).
(Sent, denunciata : App. Bologna 11 marzo 1942)
Appello penale — Cassazione penale — Più imputati — Più reati — Impugnazione del P. M. — Specifica zione non necessaria (Cod. proc. pen., art. 197).
Falso penale— Autorizzazioni amministrative — Buoni
di prelevamento di benzina — Sono tali (Cod. pen., art. 477).
In un processo, nel quale più sono gli imputati ed i reati
da essi commessi, è valida la dichiarazione d'impugna zione da parte del P. M. che investa genericamente il
provvedimento senza l'indicazione specifica degli imputati e dei reati. (1)
/ buoni di prelevamento di benzina rilasciati nell'attuale
stato di guerra costituiscono autorizzazioni amministra
tive e pertanto la loro falsificazione è punibile ai sensi
dell'art. 477 cod. penale. (2)
La Corte : — ... Il ricorso del P. M. merita accoglimento. La Corte suprema ha avuto già occasione di occuparsi
della questione, che si è proposta la Corte di merito circa
l'ammissibilità di un gravame, proposto come il sopra con
nato appello del Procuratore generale di Bologna, e non
può certo negarsi che il principio adottato da detto Col
legio sia stato affermato con le sentenze pronunciate in
questa sede, e ricordate dallo stesso ricorrente : P. M. c.
D'Angelo del 16 febbraio 1933 e P. M. c. Morozzi del
18 giugno 1936. Tale questione, però, è stata riesaminata
da questa istessa Corte con la recentissima sentenza 13
novembre 1942, in causa P. M. c. Fabbri e risoluta in
senso del tutto contrario alle precedenti decisioni, e nella
nuova opinione si ritiene di dovere qui insistere senz'altro,
apparendo indiscutibile che essa sia più conforme alla let
tera e allo spirito della legge, oltre che più rispondente alle esigenze della logica e della pratica.
La disposizione dell'art. 197 cod. proc. pen., come si
sa, stabilisce testualmente : « L'impugnazione si propone a
pena di inammissibilità con dichiarazione, hella quale deb
bono essere indicati il provvedimento impugnato, la data
(1) Conforme : 13 novembre 1942, Fabbri (Foro it., 1643, col. 82, con nota di richiami). Il Supremo Collegio persiste, quin di, nel mutamento di giurisprudenza iniziato con la sentenza 19 febbraio 1942, Magrini. L'attuale sentenza è meritevole di segna lazione perchè ha una motivazione più completa delle precedenti.
(2) Dice la relazione ministeriale sul progetto definitivo (§ 520) che « le autorizzazioni amministrative hanno, in genere, lo scopo di rimuovere, permanentemente o transitoriamento, 1 limiti posti dalla legge a determinate attività dei siDgoli. Sostanzialmente esse sono permessi rilasciati dall'Autorità amministrativa o an che dall'Autorità giudiziaria nelle esplicazioni di funzioni ammi nistrative ».
Sulla nozione di autorizzazioni amministrative, vedi anche :
Sabatini, Istituzioni di dir. pen., 2a ediz., Roma, Soc. ed. del « Foro italiano », voi. II, § 330.
del medesimo, il giudice ohe lo ha emesso e il procedi mento al quale si riferisce ». Essa è quanto mai chiara e
precisa perchè si possa ammettere che quando si è parlato di indicazione del procedimento, al quale l'interposto gra vame si riferisce, si sia inteso affermare il principio che,
nel caso di più imputati, il P. M. appellante o ricorrente
debba menzionare uno per uno quelli contro i quali la
impugnazione è diretta, e, se, più sono i reati, debba spe cificare quelli, che, secondo il suo apprezzamento, debbono
essere ripresi in esame dal giudice superiore. A volere ri
tener ciò, si attribuirebbe, in sostanza, al legislatore il
torto di aver adoperate delle parole senza rendersi conto
del loro preciso e specifico significato. Il verbo « indicare i
non è nè può ritenersi un sinonimo del verbo « specificare »,
avendo il primo un significato manifestamente più limi
tato, più ristretto del secondo. Indicare vuol dire deter
minare, individuare una data persona o cosa mediante
l'accenno di un minimo di caratteristiche dell'una o del
l'altra, per cui non sia possibile alcun equivoco su la
identità di quel che si vuol designare. Specificare, invece,
significa dichiarare o indicare in modo particolareggiato, senza nulla tralasciare di ciò, che a tale soopo possa tor
nare anche semplicemente utile.
Or che, per la esatta applicazione della norma in
esame, non sia affatto utile, e molto meno necessaria, la
elencazione precisa, completa di tutti gli imputati, contro
i quali la impugnazione si voglia proporre, o di tutti i
reati che di essa formino obietto, non può seriamente so
stenersi. Già, come bene osserva il P. M. ricorrente, è da
escludere senz'altro che si possa parlare di semplice uti
lità, poiché sarebbe stato non rispondente ai fini di giu
stizia, e anzi, un assurdo, che la inosservanza di una
formalità soltanto utile venisse considerata come ragione di inammissibilità di una impugnazione. Si dovrebbe trat
tare, dunque, di una necessità, ma questa va esclusa sia
perchè l'uso del verbo indicare, e dato il significato che
esso ha, basta appunto ad escluderla ; sia ancora perchè il legislatore richiede la indicazione non degli imputati, contro i quali il gravame si propone, ma del procedi mento al quale esso si riferisce, e ohe, anche nel caso di
più giudicati, resta senza dubbio sufficientemente indivi
duato quando si conoscano il provvedimento impugnato, la data di esso, il giudice che lo ha pronunziato e il nome
dell'imputato capolista, con un accenno al reato ascritto
o al primo dei vari reati addebitati. È la pratica quoti diana ohe suggerisce e rende invincibile questo argomento,
poiché non si è dato mai il caso ohe nella richiesta di
un procedimento fatto da un ufficio ad un altro si sen
tisse il bisogno di specificare uno per uno i prevenuti, i
quali talora possono essere assai numerosi, come quando si procede per il delitto di associazione per delinquere. Ci sono, anzi, tanti modi, ugualmente idonei, con cui un
dato procedimento si può indicare ; e ciò vale a spiegare il perchè il legislatore non ha inteso il bisogno di stabi
lire che la indicazione si faccia, nel caso in esame, in una
data maniera espressamente specificata. Nè si dica che la necessità, di cui sopra, derivi logi
camente dall'altra, che ognuno degli interessati oonosca
subito, fin dal primo momento, se la impugnazione si
estenda oppur no contro tutti. Vano è altresì obiettare,
così come si obietta nella denunziata sentenza, che la
elencazione di tutti i giudicabili va ritenuta indispensa
bile per lo meno con riguardo all'effetto essenziale del gra
vame, che è quello di impedire il passaggio in giudicato
della decisione impugnata, mentre, d'altro canto, noa vi
sarebbe ragione perchè il P. M. potesse sottrarsi al rigo
roso principio imposto alla difesa dell'imputato. La in
ooncludenza di questi tre argomenti è fin troppo ma
nifesta.
L'art. 197 non mira a regolare in maniera definitiva
la determinazione di ciò che dovrà formare obietto di uno
specifico esame da parte del giudice della impugnazione, ma ha uno scopo assai più limitato : quello appunto di
impedire che il provvedimento di cui trattasi acquisti l'autorità di cosa giudioata. E nulla vieta che tale scopo
si possa ben raggiungere nei confronti di tutti gli impu
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