Udienza 30 novembre 1912; Pres. Gui, Est. Pomarici —Ric. ScappaticciSource: Il Foro Italiano, Vol. 38, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1913), pp.69/70-71/72Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23114435 .
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69 GIURISPRUDENZA PENALE 70
diritto è considerata dalla legge più benignamente : si
applica la detenzione, non è stabilito alcun minimo e
quindi trattasi di minor pena, sebbene debba aggiungersi la multa.
Può anche infliggersi il confino, che è la più lieve
menomazione della libertà personale. Attesoché miglior fondamento ha l'ultimo motivo del
ricorso con cui si denuncia la sentenza per avere in tema
di esercizio arbitrario delle proprie ragioni applicato al
l'ipotesi di minaccia con arma il 2° capov. dell'art. 235,
che contempla la violenza commessa con armi.
La chiara parola della legge non consente alcuna in
terpretazione analogica, dei resto interdetta in materia
penale. Nel 1° capoverso si legge :
«Se il colpevole faccia uso di minaccia o violenza».
Nel 2° capoverso :
«Se la violenza sia commessa con armi».
Ora che sieno concetti separati e distinti per il no
stro codice la violenza e la minaccia emerge dal richiamo
di tutti gli articoli in cui detta frase viene riprodotta,
per esempio gli art. 154, 187, 190, 195, 331, 406, 407.
Dalla relazione al re del ministro guardasigilli si
desume anche meglio che l'aggravante contemplata nel
capoverso si riferisce alle sole violenze:
« Nel 2° capoverso occorreva chiarire bene che l'ef
fetto della lesione personale conseguente alla violenza
costituisce un'aggravante della ragion fattasi e si com
penetra in essa finché si tratti di lesione lievissima,
poiché nel caso di lesione più grave si deve considerare
questa come un delitto distinto, da trattarsi con le norme
del concorso ».
Evidente è dunque che il legislatore non volle fare
una ipotesi più grave della minaccia con arma.
Il costringimento della libertà, nel concetto della
legge, non si aggrava per il fatto dell'arma, quando è
diretta al solo fine di esercitare un preteso diritto, salvo
a tener presente questa circostanza nei limiti della pena. Per questi motivi, la Corte cassa, limitatamente al
l'applicazione dell'aggravante dell'arma, e rinvia al tri
bunale di Caltagirone ; rigetta nel resto.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. (Prima sezione penale)
Udienza 30 novembre 1912 ; Pres. Gol, Est. Pomarici —
Rio. Scappaticci.
Cacfln — Tempo vietato — Asportatone di facile e
innnlilonl — Scopo di caccia (L. toscana sulla cac
cia 3 luglio 1856, art. 33).
A costituire la contravvenzione prevista dall'art. 33 della
legge toscana sulla caccia, occorre che l'asportazione di f ucile e di munizioni, in tempo in cui la caccia è
vietata, sia fatta a scopo di caccia.
Non commette perciò la detta contravvenzione chi, munito
di regolare licenza, ed in occasione di pubblico mer
cato, asporta il fucile e le munizioni per le vie del
l'abitato, senza neppure esser diretto alla campagna. (1)
La Corte : — Attesoché ben fondato si ravvisi il
mezzo doducente la violazione del precennato art. 33, im
(1) Per le sentenze citate nel testo vedi : Cass. 16 mag gio 1900, P. M. c. Bettazzi (Foro it., 1900, II, 349) ; Cass. 21 gen
perocché, sebbene fosse tuttora in vigore in questa pro
vincia quella legge per la caccia, come molte volte ha
rifermato questo Supremo Collegio, pure sarebbe con ec
cessivo rigore interpretata.la detta disposizione nel senso
di ritenere sussistente la contravvenzione anche nel casa
che, in tempo di caccia proibita, alcuno, munito di re
golare licenza di porto d'arma lunga da fuoco, vada, non
per una via di campagna (come pare che intenda dire la
letterale locuzione del ripetuto art. 33) ma per una via
dell'abitato (dove certamente non si può far caccia) ar
mato di fucile scarico, con munizione in tasca di piombo
minuto ; e si dovrebbe ritenere la contravvenzione senza
neppure indagare se quella persona fosse diretta alla cam
pagna, mentre, per le attuali leggi, chi è munito di re
golare licenza di porto d'arma lunga da fuoco, può ben
credere di avere diritto, e, specialmente, in occasione di
mercato, di andare per le vie dell'abitato armato di fu
cile a scopo di difesa personale, benché con munizione
di piombo minuto che può anche servire alla personale
difesa.
Il giudice di merito perciò avrebbe dovuto per lo
meno indagare se il ricorrente era diretto alla campagna
per indi fare utilmente la disamina che ha fatto nella
impugnata sentenza intorno alla legge sulla caccia, che
è in vigore, al codice penale ed alla legge di p. s., che
regolano il porto d'arma.
Se il detto giudice si fosse convinto che Scappaticci era diretto alla campagna, rettamente, in base delle con
siderazioni fatte nell'impugnata sentenza, avrebbe rite
nuto esistente la contravvenzione, tuttoché esso ricor
rente fosse munito di regolare licenza di porto d' arma
lunga da fuoco, dappoiché l'art. 33 intende ad evitare la
possibilità di far caccia in tempo proibito ; ma, poiché andava per le vie dell'abitato, non si può dire, come il
giudice ha detto, che la licenza di porto d'arma è subor
dinata e sottoposta alle prescrizioni restrittive della legge
speciale su la caccia.
E opportuno ripetere le osservazioni fatte da questo
Supremo Collegio nel pronunziato 16 maggio 1900, sul
ricorso del P. M. contro Bettazzi (pronunciato ricordato
nell'impugnata sentenza, ma non accettato, e ciò, per l'erroneo motivo che la fattispecie fosse stata diversa,
solo perchè la legge toscana 3 luglio 1856 vieta in tempo di caccia proibita, anche il porto di lucile carico a palla,
mentre il fatto era che Bettazzi portò il fucile carico
a minuto piombo nell' abitato di Casale, comune di
Proto). In quel pronunciato si legge : « Qualunque potesse es
sere la portata delle disposizioni della legge sulla cac
cia in Toscana, e qualunque il significato e la impor
tanza, di fronte ad esse, del semplice porto di fucile ca
rico a minuto piombo, in tempo di caccia proibita, pri
ma che altra legge fosse sopravvenuta a render lecito in
tutto il regno tale semplice latto, sotto determinate con
dizioni, certo si è che imperante la nuova legislazione
(comunque non abrogata per sé stessa la precedente) e
dato il concorso delle dette condizioni di legittimità (per la detta legge nuova) del fatto medesimo, non è più pos
sibile ritenere in via di massima indeclinabile, che si
debbano attribuire ad esso quegli stessi effetti che dalla
legge antica derivavano, senza sovvertire le più elemen
nnio 1911, Ferraris (id., Rep. 1911, voce Caccia, n. 5) ; Cass. 30 giugno 1908, G-uercia (id., 1908, II, 461); Cass. 22 novembre 1892 (id. Rep. 1893, voce cit., n. 10).
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71 PARTE SECONDA 72
tari regole di applicazione delle leggi in generale, delle
quali posteriores ad priores pertinent nisi contrariae
sunt.
« Nè si potrebbe immaginare contrarietà più manife
sta tra una legge anteriore proibitiva incondizionata
mente e leggi posteriori (art. 464 cod. pen., art. 15 e 49
legge di p. s., ed art. 14 relativo regolamento) e per
missive, le quali ultime perciò, devono avere tolto ne
cessariamente o ridotto il valore e l'efficacia di quell'an
tica, relativamente al fatto identicamente contemplato dall'una e dall'altra.
«Posto ciò in linea di diritto, l'apprezzamento sotto
il rapporto morale e politico del fatto dipenderà, caso
per caso, dalle speciali circostanze, siano esse precedenti concomitanti o susseguenti, che potranno imprimere ad
esso il significato di fronte alla legge». Le trascritte considerazioni che questo Collegio inte
gralmente adotta nel caso presente, stanno a confutare
tutte le osservazioni fatte nell' impugnata sentenza, la
quale non si è punto occupata di desumere dalle circo
stanze di fatto l'esistenza della contravvenzione alla legge sulla caccia.
Invano infine il pretore ha ricordato le altre sen
tenze di questo Collegio Supremo del 21 gennaio 1911,
e 30 giugno 1908, che non contraddicono punto quella
precedente del 16 maggio 1900, la quale non stabilì che
non siano più in vigore le antiche leggi sulla caccia, ma
disse, come oggi ripete, che dipende caso per caso dalle
circostanze di fatto il ritenere la contravvenzione alla
caccia, secondo le leggi antiche tuttora in vigore ; in
altri termini, occorre stabilire che il porto di fucile, con
munizione di minuto piombo, sia commesso a scopo di
caccia, ancorché caccia non sia stata fatta. Quindi non
sono da confondere e ritenere contrarie alla decisione
precedente quelle posteriori sopra indicate, le quali, ri
tenute esistenti le contravvenzioni agli articoli proibitivi delle varie leggi sulla caccia, imperanti nelle diverse
regioni d'Italia, hanno rifermato il principio che, per l'art. 10 cod. pen., non può applicarsi l'art. 36 stesso
codice, e debbasi, in base delle speciali leggi sulla cac
cia, confiscar l'arma quando il porto ne fosse autorizzato
giusta anche la precedente giurisprudenza rifermata con
più sentenze, tra cui quelle del 22 novembre 1892 e 5
agosto 1900.
Per questi motivi, cassa senza rinvio.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA (Seconda seziono penale)
Udienza 28 novembre 1912; Pres. Lucchini, Est. Gian
nattasio — Ric. Savona.
Eatrelilo arbitrarlo delle proprie ragioni — Violenta
■a cosa di eul altri abbia 11 pomato — Fattispecie
(Cod. peri., art. 235).
Elementi essenziali del reato di ragion fattasi sono : la
violenza su cosa di cui altri abbia il possesso, e il
fine di esercitare un preteso diritto.
Il possesso dell'uso delVacqua reca con sè anche il pos
sesso della conduttura, ma in quella parte soltanto
che si trova nella casa dell' utente ; pertanto chi tagli
tale conduttura, fuori della casa dell'utente, in un
tratto che traversa il suo fondo della quale quindi
abbia il possesso, non commette il reato di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni. (1)
La Corte : — ... Attesoché la Corte di merito con la
denunziata sentenza accerti in fatto, che tale Lomonaco
Maria Antonietta querelò il ricorrente Savona, suo co
gnato, perchè questi in un giardinetto di sua proprietà
aveva tagliato un tubo, che, passando per detto giardino,
conduceva l'acqua potabile in una casa posseduta da essa
querelante, a titolo ereditario in nome proprio e quale
rappresentante i figliuoli minori, privando cosi dell'acqua
detta casa, che essa a sua volta aveva locata a tale Car
diIlo. Con ordinanza del giudice istruttore, per tal fatto
denunziato, il Savona fu rinviato a giudizio ; donde la
condanna di cui innanzi è cenno.
Accerta inoltre la sentenza in esame le seguenti cir
costanze di fatto : che il giudicabile possiede in Riporto una parte di una casa di abitazione, di cui il rimanente
apparteneva alla di lui madre, che costei aveva concessa
una parte di detta casa all'altro figliuolo Salvatore Sa
vona, e, morto costui nell'anno 1907, la moglie di lui
ora querelante, ed i figlioli da essi coniugi procreati ri
masero in detta casa, e poi continuarono ad abitarla an
che dopo la morte della rispettiva suocera ed ava, av
venuta nello stesso anno; che perciò, sia che la Lomo
naco, in nome proprio e in rappresentanza dei figliuoli
minori, tenesse tale casa pro herede, come essa assume,
sia ohe la tenesse pro locato-condueto, come afferma il
giudicabile, per locazione consentitale dalla Savona Gio
vanna, legataria di detta parte di casa, non sia a dubitare
esser essa Lomonaco in possesso della casa medesima;
che nel successivo anno 1908 il giudicabile Savona, avendo
ottenuto da quel Comune la concessione dell'uso dell'acqua
potabile, la condusse in sua casa mercè tubo di ferro po
sto nel suo giardino annesso alla detta casa, con attacco
di presa alla conduttura comunale; che egli posterior
mente concesse 1* uso di una parte di tale acqua alla
Lomonaco, mediante tubo di diramazione con attacco al
tubo della sua conduttura posto nel giardino; che essa
Lomonaco continuò ad abitare quella casa fino al 1910,
nella -quale epoca, per gravi dissidi sorti col giudicabile,
andò ad abitare altrove, locando la casa medesima a certa
Cardillo e comprendendo nell'affitto anche l'uso dell'acqua ;
che in uu certo giorno e prima che la nuova locataria
andasse colà ad abitare, il Savona tagliò il tubo di di
ramazione nel punto d'innesto, togliendo così il concesso
uso dell'acqua, sì che la Cardillo chiese ed ottenne lo
scioglimento del contratto di locazione.
Ciò premesso in fatto, questa Corte sui vari mezzi
di ricorso osserva innanzi tutto aver con sua precedente
sentenza rilevato, che nelle suaccennate circostanze di
fatto « era ed è da ricercare e stabilire, nou già a chi
potesse appartenere la casa che dell'acqua giovavasi per
effetto della connata diramazione, secondo lo erroneo con
cetto del Tribunale, o semplicemente se proprietario del
giardino e del tubo violentato e rotto fosse l'imputato,
ma sì bene se in costui concorresse benanche o meno
(1) Consulta, per analogia, la sentenza 14 novembre 1912,
Degostos (Riv. pen. suppl., 1912, p. 123, nota), nonché la sen
tenza pubblicata nella stessa causa dalla Corte Suprema il 4 di
cembre 1911 (Giust. pen., 1912, col. 986). Nel caso che si tratti
di vera e propria servitù d'acquedotto (il che non sembra nella
specie giudicata) la Corte Suprema ritenne la sussistenza del
reato di ragion fattasi : sentenza 8 aprile 1910, Salimbeni (Foro it., Rep. 1911, voce Esercizio arbitrario, n. 19).
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