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Udienza 4 aprile 1884; Pres. Ghiglieri, Est. Ferreri, P. M. Luciani —Causa TestiSource: Il Foro Italiano, Vol. 9, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1884), pp.337/338-341/342Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23088216 .
Accessed: 18/06/2014 00:44
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GIURISPRUDENZA PENALE 338
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA
Udienza 21 aprile 1884; Pres. Ghiglieri, Est. Chirico,
P. M. Luciani — Ric. Addis e Spano.
Appello —- Istanza per nuove prove — Facoltà
della Corte — Motivazione (Cod. proc. pen., art.
363 e 417). Pena — Latitudine — Motivazione (Cod proc. pen.,
art. 323).
È in facoltà del giudice di appello Vammettere o
no le nuove prove chieste dal giudicabile, e non
è nemmeno obbligato a spiegare i molivi dai quali
muove nel dare il suo giudizio. (1).
Il giudice nelVapplicare la pena nella latitudine
consentita dalla legge si ferma al punto che crede
conveniente, senza bisogno di dirne le ragioni. (2).
La Corte, ecc. — Osserva nell' interesse degli altri
ricorrenti che, pure ritenendo in fatto di essersi
messa innanzi una formale istanza in seconda sede
per l'ammessione della prova dell'alibi dei due fra
telli Giovanni ed Antonio Addis, nel momento e luo
go della sorpresa del contrabbando, non sarebbero
mai legittime le doglianze contro la impugnata sen
tenza, per essersi la Corte negata di accogliere tale
dimanda, e per preteso difetto di motivazione.
E valga il vero: se è dato agli imputati di fare in
appello nuove produzioni, deduzioni ed istanze, é però
lasciato alla ragione e prudenza del giudice la fa
coltà di accogliere o di respingere le domande per
ammessione di nuove prove, che in via di regola è
disposto non doversi ammettere se non quando sieno
assolutamente indispensabili alla dilucidazione del
fatto (art. 363 e 417 procedura penale). Ora appunto
perché trattasi di semplice facoltà, non si viola alcun
precetto legislativo in qualunque modo essa si eser
citi, né si richiede la enunciazione dei motivi da cui
muove il magistrato" nel dare sul proposito il suo
giudizio. Dei resto mal si afferma esservi qui nel
caso difetto di motivazione; poiché a mostrare la
inutilità della prova dell'alibi, si è considerato nella
sentenza, che gli agenti della dogana aveano rico
nosciuto fra i contrabbandieri i tre imputati Addis; che la lettera scritta allo Spano chiariva la colpa
bilità dei medesimi nel fatto del contrabbando, e che
eglino, affermato l'alibi, dichiaravano di non aver
testimoni per provarlo. La Corte di merito insomma
era pienamente convinta della reità dei medesimi
nel contrabbando loro ascritto. E posta una tale con
vinzione, desunta dalle resultanze processuali e dal
l'orale dibattimento, ognun vede di leggieri, come è
dovuta parer vana qualunque prova si fosse voluta
fare dagli imputati intorno alla allegata assenza dal
luogo nel momento in cui consumavasi il contrabbando.
Osserva che, secondo il verbale delle guardie da
ziarie, la quantità complessiva delle tre partite di
tabacco sequestrato ascendeva a chilogrammi 143; che questa quantità fu ritenuta senza contrasto dal
tribunale di prima istanza; che non fu sollevato dub
bio sul proposito presso il magistrato di appello, e
che noD vi è parola nella denunciata sentenza, la
quale autorizzi a credere d'essersi voluto, contraria
mente al fatto accertato e da tutti riconosciuto, ri
tenere invece una quantità minore. Da ciò è lecito
desumere logicamente, che per semplice errore ma
teriale trovasi enunciata nella detta sentenza la quan tità del genere in chilogrammi 50; e quindi non reg
gerebbe per questo la censura contenuta nel ricorso, in quanto la Corte di appello avrebbe mantenuto la
multa di lire 1430, malgrado che ritenesse la quan tità del tabacco di molto inferiore a quella ricono
sciuta in primo grado di giurisdizione. Del resto vo
lendo ammettere per impugnata ipotesi, che di pro
posito siasi voluto ritenere dal magistrato di appello la quantità di soli chilogrammi 50, la pena della
multa nella riferita somma di lire 1430, sarebbe sem
pre legittima, avvegnaché per disposto dell'articolo
24 legge 15 giugno 1865, la pena pecuniaria nei casi
di contrabbando di tabacchi greggi è di lire 10 a 50
per ogni chilogramma, e non perché il tribunale
avea dato la pena minima, commisurandola alla ra
gione di lire 10 per chilogramma, era perciò vietato
alla Corte di appello di spaziare nella latitudine della
pena stessa, muovendo da una somma maggiore, an
che dalla massima (lire 50), purché nell'applicazione il totale della multa non avesse ecceduto, come non
eccede nel caso, quella irrogata dal primo giudice.
Né occorreva a tal riguardo una speciale motiva
zione, poiché non ne è generalmente richiesta, ogno rachè trattisi di esercizio di facoltà consentite dalla
legge. Il giudice nell'ampiezza della pena si ferma
al punto che crede convenevole, senza bisogno di dirne
le ragioni. — {Omissis).
Per questi motivi, rigetta, ecc.
(1) V. in proposito la sentenza della cass. di Firenze, 21 luglio 1883, e della cass. di Roma, 5 novembre 1883, nel Foro it., 1883, II, 478 e 480.
(2) V. Cass. Firenze, 10 maggio 1884, a col. 179 di questo volume e i richiami in nota.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 4 aprile 1884; Pres. Ghiglieri, Est. Fbrrbri,
P. M. Luciani — Causa Testi.
Ferite e percorse — Aaccndenli — Pcua — Com
petenza (Cod. pen., art. 550, 543 e 549).
Le ferite o percosse in persona degli ascendenti, ben
ché abbiano portalo malattia od incapacità al
lavoro per non più di cinque giorni, sono escluse
dalla disposizione dell'art. 550 cod. pen., e quindi ricadendo sotto il disposto degli art. 543 e 549,
possono esser punite con pena criminale. (A)
La Corte, ecc. In diritto: — Attesoché gli art. 543, 549
e 550 del codice pen. ben considerati e ponderati sui loro
rapporti, e sì nella lettera che nello spirito, siano
(1) Contra: Cass. Napoli, 27 giugno 1883 (Foro it1883, II, 320) — V pure le altre sentenze ivi richiamate in nota.
Il Foro Italiano — Volume IX. — Parie II. - 27.
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PARTE SECONDA
così chiari, precisi e fra loro armonicamente colle- |
gati da non lasciar luogo ad alcun dubbio, né ad al
cuna ambiguità sul loro vero significato e sulla loro
portata; onde non è il caso di ricorrere per essi al
l'antico canone, giusta cui, semper in dubiis beni
gnora preferendo,, né all'altro, in ambiguis hu
maniorem senlentiam sequi oportet, come intese
fare la sezione d'accusa della Corte d'appello di Pe- j
rugia nella sua sentenza del 18 gennaio 1884 che si
è regolarmente denunziata dal pubb. ministero a
questa suprema Corte; ma importa solo di stare alia
regola fondamentale d'interpretazione stabilita nel
l'art. 3 delle disposizioni preliminari al codice civile,
per la quale è sancito che nell'applicare la legge non
si può attribuirle altro senso che quello fatto palese
dal proprio significato delle parole, secondo la con
nessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Attesoché infatti l'art. 543 nella sua prima parte
abbia scritto: « salvo il disposto dell'art. 550, quando
le ferite e le percosse volontarie non cadano sotto
alcuna delle precedenti disposizioni saranno punite col carcere da un mese a due anni. »
Dunque in quest'articolo evidentemente, indubbia
mente, vi ha una regola generale ed una eccezione.
La regola è ivi formolata; l'eccezione ó rinviata al
disposto dell'art 550, ove la si devo cercare nel suo
complesso, e non piuttosto in uno che in un altro dei
suoi capoversi. Il disposto invero dell' articolo é il
tutto, comprende l'intiero, e non una sola sua p. vte.
attesoché l'art. 549 con a.ltra regola generale ed
assoluta sancisca, che se i reati contemplati nella
presente sezione, e cosi quelli dell'art. 543, furono com
messi sulle persone indicate nell'art. 523, la pena ri
spettivamente stabilita negli art. preced. sarà accre
sciuta di uno o due gradi; e potrà anche essere ap
plicato il genere di pena immediatamente superiore a seconda dei casi.
Attesoché l'art. 550, a cui si riferisce l'eccezione
dell'art. 543, disponga: « Le percosse o ferite volon
tarie, fatte senza armi proprie, che non avranno ca
gionato malattia od incapacità di lavoro per un tempo
maggiore di cinque giorni, saranno punite con pene di polizia. È però in facoltà del giudice di raddoppiare gli arresti o l'ammenda a seconda delle circostanze.
« Non si potrà per tali reati procedere se non a
seguito di querela della parte offesa.
« Sono eccettuati dalla presente disposizione i reati
di ferite e percosse designati negli art. 543 alinea, 544 n. 3, e quelli commessi sulle persone indicate
nell'art. 523.
Attesoché sia impossibile, mettendo in relazione
questo articolo coll'articolo 543, di non vedere e non
persuadersi a primo colpo d'occhio, sia per l'espresso richiamo quivi contenuto, sia per la naturale logica estensione delle parole, presente disposizione, che le
medesime si riferiscono non meno alla prima parte che al primo alinea dello stesso art. 550, nel senso
cioè che non sia applicabile quanto ivi si dispone
quante volte le percosse o ferite volontarie siano ag
gravate dalle circostanze designate negli art. 543
alinea, 544 n. 3, e 523. — B ciò perchè il salvo il di
sposto., che si legge nell'art. 543, giova il ripeterlo, accenna e si lega direttamente e necessariamente alla
disposizione di tutto intiero l'art. 550, e non al solo
primo alinea che riguarda unicamente l'esercizio
dell'azione penale. Il dire che le parole, la presente disposizione, u
sate nell'ultimo comma di un articolo, anziché com
prendere il testo e il complesso di tutto l'articolo, si riferiscono esclusivamente al comma precedente, come più vicino, e valgano a scindere l'unità e l'ar
monia del concetto del legislatore espresso, come si
é avvertito, con particolare richiamo e nei termini
più lati, rinviando cioè senza veruna distinzione o
riserva al disposto dell'articolo medesimo, non pare in verità un assunto facile a sostenersi nè coi prin
cipii più comuni della ermeneutica legale, né coi casi
ed esempi pratici d'interpretazione delle leggi che
ricorrono ogni giorno.
Attesoché in questo senso d'altronde, e già più volte, siasi pronunziata questa Suprema Corte, la quale,
sempre nelle percosse e ferite volontarie commesse
sulle persone indicate nell'art. 523, ebbe a riconoscere
un reato che, per le combinate disposizioni degli art.
543 e 549, può eievar-i alla qualificazion" e figura di crimine, punibile colla reclusione, a cui per ciò
non ó mai applicabile l'art. 550.
Attesoché contro cotesta massima non valgono le
obbiezioni che usano muoversi dai fautori di un si
stema più mite, e che pur si ripetono nella denun
ziata sentenza della sezione d'accusa di Perugia, che
cioè si cadrebbe nel grave inconveniente di sconvol
gere la misura e la proporzionalità delle pene, e si
andrebbe anche all'assurdo di punire più severamente
le percosse e ferite di cui agli art. 543 alinea, e 544
n. 3, che non quelle commesse sulle persone indicate
nell'art. 523, inquantoc'nè basta l'osservare, per re
spingere tali obbietti, che mentre la pena per queste
può salire fino alla reclusione, per tutte le altre non
può mai eccedere i cinque anni di carcere. E di ciò
ognuno di leggieri si renderà persuaso quando ponga mente non tanto al minimum delle rispetttive pene, da cui si deve partire, quanto al maximum a cui,
spaziando nella latitudine delle pene medesime, si può arrivare. E quando si rifletta ancora che è non so
lamente inesatto ma erroneo il concetto di voler de
sumere e misurare la gravità dei reati di violenze
personali unicamente alla stregua delle conseguenze
prodotte di danno materiale alla persona, ossia ob
biettivamente, laddove il legislatore in più casi, e spe cialmente negli art. 540, 544, n. 3, e 549, tiene mas
simo conto per aggravare la pena del danno morale, subiettivamente considerato: così per le ferite com
messe con prodizione, premeditazione od aguato, o sen
z'altra causa che per impulso di brutale malvagità; così per le ferite commesse per vendetta sopra testi
moni o periti; così per le ferite commesse, appunto, sui genitori o su altri ascendenti legittimi, o su genitori naturali quando questi abbiano legalmente ricono
sciuto il figlio, ovvero sul padre o sulla madre adottivi.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Attesoché, oltre la lettera della legge, concorre mi
rabilmente a confortare il concetto suespresso di
questa suprema Corte, lo spirito ond'essasi informa,
ossia l'intenzione del legislatore, la quale si palesa nel modo più manifesto e irrecusabile nella disposi zione amplissima ed assoluta dell'art. 549, in cui,
prescindendo da ogni riguardo, calcolo e misura di
danno materiale obbiettivo, ed elevandosi ad una
sfera d'ordine superiore e morale, si aggrava di
uno o due gradi le pene ordinarie, si fa facoltà di
applicare anche il genere di pena immediatamente
superiore, per tutti i reati contemplati nella pre
sente sezione, se furono commessi sulle persone in
dicate nel ripetuto art 523.
Or se non è tanto il danno materiale, quanto il
danno morale che in cotesti reati il legislatore pren de in mira, onde vuole aggravata la pena più per la malvagità dell'agente che non per le conseguenze
materiali della sua azione, come mai non si dovrà
riconoscere che la disposizione della prima parte dell'art. 550 sarebbe per sè incompatibile nel caso
di ferite contemplate nell'art. 549, se pur non vi
fosse la chiara ed esplicita eccezione dell'ultimo suo
capoverso ? Come mai si vorrebbe logicamente soste
nere che il figlio il quale ha levato la sua mano sa
crilega contro la propria mardre e l'ha ferita, solo
perchè non le produsse una malattia od incapacità di lavoro per un tempo maggiore di cinque giorni, non debba essere punito che con pena di polizia, non
altrimente che si trattasse di ferita commessa su
qualunque altra persona estranea, mentre se la ma
lattia per poco avesse superati i cinque giorni, il
reato non solosarebbe divenuto delitto punibile col ma
ximum, della pena del carcere, ma anche si eleve
rebbe a crimine punibile colla reclusione ?
Eppure a tale sconcio, a tale assurdo, facendosi un
immeritato torto al legislatore, d'incoerenza e di
contraddittorietà, si andrebbe incontro ove preva lesse il sistema adottato dalla sezione d'accusa di
Perugia. Attesoché per le sovraesposte considerazioni questa
suprema Corte persiste ferma nel ritenere che gli art. 543, 549, e 550 assieme combinati, e rettamente
interpretati, secondo la loro lettera, e il loro spirito, non permettono che le ferite e percosse volontarie
commesse contro i proprii genitori o ascendenti, men
zionati nell'art. 523, possono mai essere punite con
semplice pena di polizia. E tanto più fortemente salda
e severa la Corte intende rimanere in tal concetto,
iriquantochè essa riconosce come nella giusta dispo sizione dell'art. 549 vi sia un principio d'alta morale
e di provvida tutela per il rispetto delle famiglie e
pei civili ordini costituiti, il quale, finché sta nel co
dice, vuol essere, secondo la mente del legislatore,
rigorosamente osservato ed applicato come uno dei
più salutari presidii contro le insane invadenti teo
rie che tendono pur troppo a scalzare, se fosse pos sibile, le basi stesse della civile società nei sacri vin coli del sangue e delle famiglie.
Attesoché in conseguenza, dovendosi accogliere,
come pienamente fondato, il ricorso del pubblico mi
nistero, ed annullarsi la denunziata sentenza, della
sezione d'accusa, sia il caso, a senso dell'art. 672,
primo alinea, del codice di procedura penale, di ri
mettere il processo e la causa alla stessa sezione di
accusa composta di giudici diversi pel nuovo giudizio di legge.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
I. Udienza 3 marzo 1884, Pres. Ghiglieri, Est. Fer
reri, P. M. Luciani (conci, difformi) — Ric. Favara.
II. Udienza 28 marzo 1884, Pres. Ghiglieri, Est. Fer
peri, P. M. Luciani (conci, conf.) — Ric. Speciale,
lloilo — Registri — (toilette madri (L. sul bollo, 13 settembre 1874, art. 16).
Responsabilità penale — Appaltatore del dazio
confinilo — Contravvenzione commessa dal suol
dipendenti (L. sul bollo 13 settembre 1874, art. 16
n. 3 e 53 n. 7).
Vi ha contravvenzione alV art. 16 della legge sul
bollo se nei tronchi dei registri contenenti le bol
lette madri non si trovi impressa la prescritta
parte del bollo d'annullamento. (I. sent.).
Vappaltatore del dazio consumo non è responsa bile agli effetti penali, delle contravvenzioni com
messe dai suoi dipendenti ed alle quali non ab
bia presa alcuna parte. (I e II sent).
La Corte, ecc. — Nella causa Favara.... 2. Viola
zione dell'art. 323 n. 3 del cod. di proc. pen. per difetto
di motivazione.
3. Violazione dell'art. 16 capoverso 3 della legge sul bollo 13 settembre 1874, non che eccesso di po tere a' termini dell'art. 640 del codice di procedura
penale, per insussistenza della contravvenzione; 4. Violazione dell'art. 53 della succitata legge sul
bollo, e degli art. 1151, 1153 del codice civile, non
che della legge cod. de poenis; perchè, essendosi ri
tenuto in fatto che le bollette del dazio consumo in
Salemi non erano state rilasciate dal Favara appal
tatore, ma bensì dai ricevitori debitamente delegati, non poteva esso Favara essere ritenuto penalmente
risponsabile della contravvenzione da lui non com
messa, mentre tutt'al più avrebbe potuto essere ri
messo in separata sede a giudizio civile per la re
sponsabilità civile che egli aveva verso lo Stato pel fatto dei ricevitori da lui dipendenti. Sulla quale que
stione, sollevata all'udienza, la Corte nulla disse, di
sconoscendo però colla condanna il principio di giu stizia che delieta suos tenent auctores.
In diritto: (Omissis) - Attesoché la denunziata
sentenza si presenti sufficientemente motivata su
tutti i prodotti punti di gravame, mentre sul fondo
della questione la Corte ha opportunamente e giu stamente osservato, in proposito cioè alla sussistenza
in genere della contravvenzione, che l'art. 16 della
legge 13 settembre 1874 prescrive tassativamente che
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