Udienza 4 febbraio 1878, Pres. Pironti P., Est. Narici —Ric. LombardiSource: Il Foro Italiano, Vol. 3, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1878), pp. 75/76-79/80Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23081852 .
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l'ARTE SECONDA
tendono comprese le persone imbarcate, meno i pas
seggieri, e così s'intendono compresi il capitano o il
padrone comandante il bastimento, e i marinari;
Che pertanto, verificandosi nell'operato dei ricor
renti gli estremi del vero e proprio furto qualificato
per la persona, previsto dall'art. 607, n. 3, del Codice
penale, anziché del reato d'appropriazione indebita,
previsto dall'art. 631, o del reato di frode contemplato dall'art. 613 del Codice di marina mercantile, vengono
meno le violazioni di legge obiettate dai ricorrenti alla
denunziata sentenza.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 28 dicembre 1877, Pres. Ghiglieri P., Est. Fer
reri, P. M. Spera (Conci, unif.) — P. M. c. Del Piero
(Avv. Annibaldi).
Lotto — Contrai'venzione — KifTa (R. D. 5 110V. 1863, art. 38 e 39; R. D. 17 sett. 1871, art. 1 e 2; Cod. pen. art. 475 e 479).
Commette contravvenzione agli articoli 38 e 39 della
legge 5 novembre 1863, e non il reato previsto
dagli articoli 475 e 479 del Codice penale, chi
tiene il giuoco del lotto piccolo o della riffa, benché
non possa far concorrenza al lotto governativo, e
per quanto tenue sia il valore della posta messa in
giuoco. (1)
La Corte, ecc. — Attesoché la legge 20 settembre
1863, n. 1483, disponga: « Art. 1. È proibita ogni specie di lotteria pub
blica. « Art. 2, È provvisoriamente mantenuto il giuoco
del lotto a favore dello Stato.
« Art. 3. Con reali decreti si provvederà al rior
dinamento del lotto nelle varie provincie del Regno, e nei limiti della legge alla uniformò determinazione
delle sanzioni penali per ogni specie di contravvenzioni
in questa materia ».
Attesoché il regio decreto 5 novembre 1863, n. 1534,
disponga: « Art. 38. Sono proibiti i lotti privati e clandestini
sotto qualsiasi denominazione conosciuti (numeretti,
gallinai, riffe, giuoco piccolo e simili) come contrav
venzioni alla privativa del lotto, stabilita coll'articolo 2
della suddetta legge. « Art. 39. Gli intraprenditori ed i raccoglitori di
detti giuochi, e coloro che in qualunque modo ne coa
diuvassero l'eseguimento, oltre la perdita del denaro
e degli oggetti allottati o provenienti dal giuoco, sa
ranno soggetti alla multa di lire 500 solidalmente, ed
alla pena del carcere per la durata non maggiore di
sei mesi ».
Attesoché il regio decreto 17 settembre 1871, n. 483
(serie 2a), che modifica i precedenti ordinamenti del
giuoco del lotto, disponga: « Art. 1 (capoverso). La proibizione comprende
tanto le lotterie fatte pubblicamente, od al pubblico annunziate in qualunque modo e per qualsiasi mezzo,
quanto i lotti clandestini, destinati a raccogliere clan
destinamente nel pubblico poste, sottoscrizioni, e co
nosciuti sotto i nomi di numeretti, gallinai, riffe, giuoco
■piccolo e simili.
« Art. 2 (terzo capoverso). Gli intraprenditori ed
i raccoglitori dei lotti clandestini, come pure tutti quelli i quali concorrono in qualsiasi modo nelle operazioni
degli intraprenditori o dei raccoglitori, sono puniti con
multa che non sarà mai minore di lire 1000, nè mag
giore di lire 5000, ed inoltre col carcere da tre a sei
mesi. Tanto la multa quanto la pena afflittiva sono ri
dotte della metà per gli agenti o coadiuvatori secon
dari ».
Attesoché, dietro le surriferite legislative disposi zioni che si spiegano e completano a vicenda, si abbia
oramai in giurisprudenza assodato che il legislatore, mantenendo provvisoriamente il giuoco del lotto a fa
vore esclusivo dello Stato, intese di proibire, e proibì di fatto, ogni qualsivoglia altra lotteria sì pubblica che
privata, qualunque denominazione essa assuma, e per
quanto tenue possa essere il valore della posta messa
in giuoco ; fra le quali lotterie indubbiamente va com
preso il così detto lotto piccolo. Imperocché assoluti
sono i termini della legge e dei relativi regolamenti, ed è d'altronde manifesto che il legislatore non ebbe solo per scopo di proibire e punire le grandi lotterie
pubbliche, le quali possano far concorrenza al giuoco del lotto di cui la privativa fu riserbata allo Stato, ma
benanco qualunque altra privata lotteria, anche di lieve
o menoma importanza, ove. non sia in via di eccezione
regolarmente autorizzata, poiché nessuna distinzione
fu al riguardo della legge ammessa, e vi ha, per la
ragione e pel rigore del divieto, oltre all'interesse fi
nanziario dello Stato, l'interesse non meno grave e
preminente della pubblica moralità, la quale non può a meno che soffrir detrimento e pericolo di rimanere
compromessa da ogni specie di codesti giuochi di lot
terie che recano perdita di tempo e di lavoro, perdita tanto più deplorevole, inquantochè si verifica e si estende
principalmente alle classi operaie o meno agiate, le quali
sopratutto hanno bisogno di lavoro e di economia,
Che pei'tanto fondato e giusto si presenta il mezzo
spiegato dal ricorrente Pubblice Ministero contro la
denunziata sentenza, la quale ha disconosciuto lo spi
rito, e violata la lettera della legge e dei succitati spe ciali decreti che era chiamata ad applicare.
Per questi motivi, cassa, ecc.
(1) Nella stessa udienza furono pubblicate altre quattro sentenze con identica motivazione nelle cause del P. M. contro Dellana. Orlandi, Sittardi, Termini.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 4 febbraio 1878, Pres. Pironti P., Est. Narici
— Ric. Lombardi.
Frode — Scrittura priiata — lDro va — Hcliito jiub litico — jtlamlato— Cartelle — Consegna — Cessione
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GIURISPRUDENZA PENALE 78
(Cod. proc. pen., art. 323, 848 — Regolam. sul deb.
pubb. 8 ottobre, art. 57 — Cod. civ., art. 1322).
L'art. 848 del Cod. di proc. penale italiano non è di
ostacolo a che per mezzo di testimoni si provi la
frode in una scrittura privata, la quale contenga
V asserta cessione di un credito.
Il mandato scritto dall' intestatario di un certificato nominale del debito pubblico a tergo di esso, onde
effettuarne la consegna al mandatario delle car
telle al latore, non ne importa la cessione.
La Corte, ecc. — Osserva nel fatto, che il Tribunale
correzionale di Napoli, esaurito il dibattimento a ca
rico di Giovanni Lombardi, imputato di frode e di ap
propriazione indebita a carico di Vincenzantonio De
Palma, riteneva i seguenti fatti semplici: che De Palma,
vecchio di circa 80 anni, possessore di un certificato
di rendita nominativo per annue lire 5175, avesse pen
sato di tramutarlo in cartelle al latore e addirne il
prezzo a fondazione di cappellanie; confidato un tal
pensiero al Lombardi, amico ed avvocato, nel 1° set
tembre 1874, a consiglio di questo, fosse stata indiriz
zata al direttore del debito pubblico in Firenze do
manda sottoscritta dal De Palma pel tramutamento e
consegna delle cartelle al Lombardi, e nell'attergato
del certificato avesse questi fatta sua la domanda ; que
relatosi intanto, dopo qualche mese, il De Palma della
negata consegna, ed affermatosi dal Lombardi aver
gliene il primo .fatto cessione mercè scritta privata a
forma di bancale del 3 settembre 1874, la cui copia
aveva approvato e sottoscritto, De Palma riconobbe
vera la firma, ma negò le parole di approvazione, e
disse aver Lombardi fraudolentemente abusato di sua
fiducia, e carpitogli la firma, dandogli a credere di sot
toscrivere un polizzino di affìtto; Che il Tribunale, sebbene in limine litis avesse re
spinto la eccezione d'inammessibilità della prova orale,
assolse il Lombardi dalla imputazione di frode pel di
fetto di prova dei raggiri, per la certezza della firma
e delle parole di approvazione, giusta la perizia, e per
la inefficacia della prova per testimoni contro il titolo;
e parimenti lo assolse dalla imputazione di indebita
appropriazione, dacché la domanda di tramutamento e
l'attergato dovessero considerarsi quali atti di cessione,
giusta l'articolo 37 del decreto sul debito pubblico del
l'8 ottobre 1870, e dacché al postutto dubbia fosse la
reità in via penale, salvo lo sperimento in un giudizio
civile.
Osserva di vantaggio nel fatto, che prodotto gravame
dal Ministero pubblico e dalla parte civile, la Corte
rilevò intorno alla scritta privata, che niuna somma
fosse stata versata nel Banco ; dubitò come perito pe
riziore della verità delle parole attribuite nella copia
al De Palma; disse mancare la scritta del buono ed
approvato chiesto dall'art. 1325 Codice civile, dai quali ri
lievi inferì non poter dessa costituire quel titolo, contro
il quale fosse inammessibile la prova orale, né questa
essere interdetta, quando pur la bancale si conside
rasse principio di prova scritta; considerò inoltre non
trattarsi di assodare con testi la esistenza del man
dato, ma di vedere se la cessione l'osse vera o carpita
con frode, il che potesse ben farsi coi testimoni, tanto
più che il medesimo imputato si fosse avvolto in con
traddizioni con gli atti del processo; osservò non po
tersi nel mandato a ricever le cartelle ravvisare una
alienazione, e però, se pure non potesse ritenersi pro
vata la frode, evidente fosse la indebita appropriazione,
per avere l'imputato convertito in proprio vantaggio
le cartelle affidategli per farne consegna al De Palma;
ondechè lo condannò ad un anno di carcere;
Che il Lombardi abbia domandato la cassazione d'un
tale pronunziato per un mezzo principale e nove ag
giunti, i quali s'incentrano in tre tesi dirette a dimo
strare: 1° la erroneità di alcuni rilievi della denun
ziata sentenza intorno all'efficacia giuridica della scritta
privata del 3 settembre 1874; 2° le violazioni che sa
rebbero state commesse dalla Corte, ritenendosi am
messibile la prova orale a giustificare la frode adde
bitata al ricorrente rispetto alla mentovata scritta; 3° la violazione dei decreti e regolamenti sul servizio
del debito pubblico, per essersi ritenuto che il mandato
a ritirar le cartelle non costituisse alienazione.
Osserva nel diritto intorno alla prima tesi, che i
me zzi all'uopo dedotti riduconsi ad un vero fuor d'o
pera; in effetti, se davanti la Corte di merito non con
trovertivasi, né poteva controvertirsi della efficacia
giuridica della scritta privata del 3 settembre, e solo
discettavasi se avesse la stessa a dirsi fraudolenta, i
rilievi della Corte di non essersi versata nel Banco
alcuna somma, di non trovarsi la sottoscrizione del De
Palma preceduta dal buono ed approvato, di consistere
la scritta in una copia non estratta da originale depo
sitato, e di poter valere siccome principio di prova
contro il ricorrente, possono soltanto appuntarsi d'i
nopportunità, quando non siano risguardati quali pre
sunzioni a screditare l'asserta cessione, ed è perciò
vano sciupìo di tempo il volerne dimostrare la erro
neità.
Osserva sul secondo assunto, che se davanti la Corte
d'appello esistevano come indubitati due fatti, quello
di avere De Palma conferito al Lombardi il mandato
a ritirare le cartelle al portatore, e l'altro di averle il
secondo effettivamente ritirate, offrivasi come terzo
fatto ignoto la controversia se il mandato si fosse po
steriormente convertito in cessione, ovvero se la scritta
all'uopo esibita dal Lombardi fosse l'opera della frode ;
Che indarno quindi il ricorrente, a sostenere l'inam
messibilità della prova orale, invocava 1' articolo 848
proc. penale, il quale, presupponendo un contratto vero,
seguito poscia da un reato, dispone non potersi questo
provare con testimoni, allorché a provare il contratto
non sia la medesima prova ammessibile a termini delle
leggi civili ; e però era affatto estraneo alla soluzione
della questione, in che l'asserto contratto era stato so
stanzialmente impugnato, come il prodotto della frode;
Che eliminato l'ostacolo del citato articolo 848, e
chiamata la Corte ad esaminare la vera ed unica con
troversia della causa intorno alla esistenza della ces
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PARTE SECONDA 80
sione, non violava punto gii articoli 1322 Codice e 323
proc. penale, ritenendo non provata, ad onta della pe rizia dei calligrafi, la verità delle parole di approva zione scritte nella copia, tra perchè al giudice di me
rito non è vietato attenersi al contrario di quanto, a
modo di opinione, abbiano asserito i periti calligrafi,
e perchè la Corte stessa con la massima scrupolosità enunciò le ragioni del proprio avviso, notando la dis
simiglianza tra le accennate parole e gli autografi del
De Palma, ed il modo forzato con che erano vergate, sicché a colpo d'occhio apparisse lo studio della imi
tazione.
Che se impertanto la Corte, abilitata per legge a
vagliare i detti dei testimoni e le presunzioni, dal com
plesso di queste prove, e dalle flagranti contraddizioni
racchiuse negli interrogatori dell' imputato, trasse il
convincimento di essere la scritta del 3 settembre il
portato esclusivo della frode, non può la sentenza in
tal parte soggiacere a censura, nè la benignità della
Corte nel ritenerla dubbia subbiettivamente esclude o
attenua il mentovato convincimento.
Osserva intorno alla terza tesi che, a prescindere dalla considerazione di avere lo stesso ricorrente ri
conosciuto inefficace il mandato a costituir cessione,
avendone successivamente foggiato una fraudolenta, la
Corte bene interpretò i decreti e regolamenti con
cernenti il servizio del debito pubblico;
Che, per fermo, se con la legge del 10 luglio 1861
fu autorizzato il tramutamento delle iscrizioni nomi
native in cartelle al portatore, il regolamento annesso
al decreto dell'8 ottobre 1870, dal ricorrente invocato,
richiese per la cessione delle prime un atto pubblico notarile o giudiziale, ovvero una dichiarazione, sia presso la Direzione del debito pubblico, fatta dal titolare con
firma autenticata da agente di cambio o da notaio, sia
fatta a tergo del certificato d'iscrizione, con firma ugual mente autenticata, e nel modulo tracciato nell'articolo
61 è detto espressamente dovere il titolare dichiarare
che abbia fatto cessione ; Che inconsulto sia il ricorso all' alinea dell' art. 57,
ove è stabilito il tramutamento essere considerato nei
suoi effetti quale atto di cessione o di alienazione;
perciocché cotale sanzione, concernente i rapporti giu ridici fra la Direzione del debito pubblico ed il titolare
della iscrizione nominativa, ed importante il discarico
della prima da qualsiasi obbligazione mercè la consegna delle cartelle, siccome il permutante che ha già rice
vuto una cosa è disobbligato mercè la consegna della
propria al mandatario dell'altro contraente, non ri
guardi in alcuna maniera, nè possa riguardare i rap
porti tra lo stesso titolare ed il suo mandatario a ri
cever le cartelle, senza offendere il senso comune e le
disposizioni formali dello stesso regolamento intorno
all'alienazione della rendita;
Che bene impertanto la Corte di merito rilevò non
potersi nell'attergato contenente il suddetto mandato
riconoscere una cessione a favore del mandatario, e
meglio ancora osservò che pel decreto del 20 settembre
1874 si fosse tolta ogni ambiguità, essendo nell'arti
colo 61 distinte onninamente le dichiarazioni di ces
sione da quelle di tramutamento, e spiegato, rispetto
a queste ultime, che il mandato a ritirar le cartelle
sia essenzialmente invocabile; nè certo a risolvere una
questione di sì lieve indagine era mestieri di un pre
liminare giudizio civile, siccome è parato al ricor
rente ; Che se dunque indubitato era l'affidamento del cer
tificato nominativo al Lombardi col mandato di riti
rarne l'equivalente in cartelle e consegnarle al pro
prietario, e se d'altra parte non cadeva disputa sulla
intenzione attuata dal mandatario di convertire il detto
equivalente in proprio vantaggio, la sentenza denun
ziata merita plauso.
Per tali motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 7 novembre 1877, Pres. Pironti P., Est. Na
rici — Ric. Esposito.
Pena — Crimini — Reclusione — Relegazione — Car
cere — Attenuanti (Cod. pen., art. 109, HO, 249, 262,
266, 684). Dichiarato colpevole lo accusato, con circostanze atte
nuanti, di due crimini, de' quali il primo punibile di reclusione ed il secondo del primo grado di rele
gazione, non può la reclusione aumentarsi in ragion del secondo reato, se 'prima non venga determinato
doversi allo stesso applicare tre opiù anni di carcere.
La Corte, ecc. — Osserva nel fatto, che dichiarato
il ricorrente Esposito colpevole, con circostanze atte
nuanti, di ribellione, giusta lo articolo 249 Codice, non
che di percosse ne' termini degli articoli 262 e 264, la
Corte di assise rilevò ne' suoi considerati, essere il primo reato punibile di reclusione, senza determinarne il grado, ed il secondo del primo grado di relegazione ; doversi
poi di un grado discendere per le attenuanti ; e quindi in applicazione de'citati articoli, non che del 109, in
flisse anni sette di reclusione.
Osserva nel diritto, che evidente sia lo errore nel quale incorse la Corte ritenendo che le percosse, ad onta delle
concedute attenuanti, fossero punibili con la pena ori
ginaria del primo grado di relegazione, e si desse perciò
luogo allo aumento della pena più grave pel concorso
di due crimini ; e per fermo, se le accennate percosse, a norma dello articolo 684 Codice, non potevano esser
punite se non del carcere, erano evidentemente tra
mutate in delitto.
Che lo errore come sopra commesso importi di non
potersi riguardare legalmente applicata la pena; con
ciossiacliè ammesso in ipotesi, che la Corte di rinvio
avesse inteso infliggere per la ribellione gli stessi anni
sette di reclusione, che aveva ritenuto la prima Corte
con la sentenza già annullata, avrebbe dovuto, per le
attenuanti ammesse da' secondi giurati, discendere al
primo grado da tre a cinque anni; determinar poi in
che misura intendesse applicare il carcere per le per
cosse, e sol quando fosse stata la medesima di tre o più
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