Udienza 4 luglio 1883; Pres. Enrico, Est. Rossi —Ric. MilaniSource: Il Foro Italiano, Vol. 8, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1883), pp.303/304-305/306Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23089054 .
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303 PARTE SECONDA
tato in punto di fatto che l'alterazione praticata nelle
cartelle del credito fondiario di Milano, sebbene
limitata alla sostituzione di un numero falso al nu
mero vero d'emissione, che su di esse stava in origine
apposto, era atta a produrre danno; e poiché questo
danno dee intendersi derivato per virtù propria
della commessa alterazione, siccome quella che, se
corido la intenzione dell'agente, doveva servire e
servì infatti a mettere in circolazione e a dare par
venza di ligittimità ai titoli di valore che, per es
sere furtivi, non potevano legalmente essere posti
in commercio nè acquistarsene con efficacia la pro
prietà; e poiché la Corte d'assise, in risposta alle
eccezioni sollevate dalla difesa sull'inapplicabilità,
malgrado siffatto verdetto dei giurati, dell'art. 329
succitato, in quanto che l'operata alterazione non
costituisse falsificazione in senso di legge né fosse
tale da produrre danno, ebbe cura di aggiungere
nella sua sentenza che il Zanola aveva venduto od
aveva offerto in vendita quei titoli non ostante sa
pesse che i medesimi erano alterati, e che d'altronde
l'alterazione, versando sopra particolarità che i giu
rati avevano riconosciuto essere suscettibili di pro
durre danno, non vi era a dubitare che l'alterazione
fosse sostanziale, e di tale gravezza da assumere i
caratteri di una falsificazione vera delle cartelle
stesse, su cui cadde l'alterazione, egli è evidente che
a fronte di questo giudizio di fatto e di apprezza
mento, per sua natura insindacabile in cassazione,
cadono necessariamente e restano senza valore tutti
e singoli i mezzi, del ricorso, i quali, nella loro so
stanza, tendono tutti a dimostrare l'inapplicabilità nella specie dell'art. 329 c. p., e solo rimane ad
aggiungere, quanto al primo mezzo del secondo ri
corso, che la questione in oggi sollevata già ebbe a
formare oggetto di uno dei mezzi fatti valere una
prima volta in questa stessa causa quando fu chiesto
l'annullamento della sentenza già in essa pronun ciata dalla Corte d'assise di Torino; ma la Corte
suprema, senza trattare siffatto mezzo, occupossi in
allora soltanto di quello che si faceva consistere nel
difetto di prova sulla sussistenza dell'estremo del
danno reale o possibile, ed annullando per tale
mezzo la denunciata sentenza, nulla disse nel suo
giudicato che rivelasse il suo pensiero sull'inappli cabilità al caso in esame dell'art. 329, ed anzi, sorvo
lando, siccome fece, sovra tale questione, la cui
risoluzione in senso favorevole alla difesa sarebbe
stata feconda di più favorevoli risultati, mettendo
al nulla in tale parte l'accusa — e fermandosi in
vece, siccome fece, sovra di una semplice irregolarità,
cui in un nuovo giudizio si sarebbe potuto facilmente
supplire, ha dato bastantemente a conoscere che non
divideva in ordine a quella questione l'opinione
della difesa; e occorre eziandio notare, quanto all'ul
timo mezzo, che affatto fuor di luogo sono le censure
con esso fatte alla Corte d'assise di abuso di potere e di violazione dell'art. 515 c. p. p., poiché non
sussiste anzitutto che la Corte abbia nella sua
sentenza mutato i termini dell'accusa, il vero es
sendo ch'essa altro non fece fuorché ripristinare, come ne aveva il diritto, i veri termini dall'accusa
portati, la quale, come già si dimostrò, era di falsi
ficazione o di contraffazione; e con tanto minor ra
gione si fa poi in oggi il ricorrente ad impugnare il giudizio di fatto dato a tale riguardo dalla Corte
d'assise, in quanto che questo giudizio fu provocato dalla difesa colle insistenti e ripetute sue eccezioni
sull'inapplicabilità nel caso in esame dell'art. 329
succitato; ed ognuno vede che a fronte di tali ecce
zioni la Corte d'assi ;e non poteva esimersi dal darvi
categorica risposta ; imperocché, sorvolando sulle
medesime, sarebbe a sua volta incorsa nel difetto
di mancata motivazione, che la difesa non avrebbe
al certo ommesso di rilevare per proporlo poi come
mezzo di cassazione a questa Corte suprema; ed il
ricorrente quindi deve piuttosto al proprio fatto
imputare se la Corte d'assise fu costretta ad emet
tere quel giudizio, che, come già si disse, è giusto e
legale ed anche, in quanto agli apprezzamenti di
fatto, per sua natura incensurabile.
Per questi motivi, rigetta ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO
Udienza 4 luglio 1883; Pres. Enrico, Est. Rossi —
Ric. Milani.
Sentenza — Imputazione — Titolo del reato —
nutazione iu altro più grave — Oltraggio — Mi
nacce (Cod. pen., art. 258, 259 e 432).
La facoltà spettante al giudice del merito di mu
tare la qualificazione giuridica del fatto su cui
verte il giudizio, è sempre vincolata alla regola
che non si aggravi oltre V imputazione e la ci
tazione la condizione dell' imputato. (1)
Epperò data V imputazione di oltraggio, se questa
vien meno per essere V'oltraggio seguito fuori la
presenza dell' oltraggiato, non può il giudicante
condannare V imputato pel titolo più grave di
minacce scritte. (2)
La Corte, ecc. — Il titolo del reato, pel quale il
Milani fu rinviato avanti il tribunale di Torino per essere giudicato, era il seguente:
Di oltraggio ad un pubblico ufficiale dell'ordine giu
diziario, a sensi degli art. 258, 259, per avere a mezzo
della posta fatto giungere da Biella al P. P. della
Corte d'appello di Torino due lettere anonime conte
nenti espressioni oltraggiose al suddetto magistrato,
tendenti ad intaccare il suo onore e la sua rettitu
dine, quali porcone, carogna, ecc., non che minaccie
ed ingiurie dirette ai membri della Corte ed allo stesso
(1-2) Confronta in proposito: stessa Corte, 30 maggio 1883 a col.
251 di questo volume, e 13 luglio 1881 (Foro if., 1881, II 372); Cass.
Roma, 8 giugno 1881 (Id. id., 341,/; Cass. Firenze, 4 agosto 1880
(Id., 1880, II, 470), ecc.
Sulla massima poi che a costituir l'oltraggio occorre la presenza
dell'oltraggio all'atto delle ingiurie, v. stessa Corte, 29 luglio 1881
(Mon. tribMilano, 1881, 982; Legge, 1881, II, 635), 21 maggio 1879
(Foro it., 1879, II, 330), e le altre ivi citate in nota.
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GIURISPRUDENZA PENALE
primo presidente, quali: guai a voi se non fate così,
tremate nauti a noi, tremate tutti, ecc.
Apertasi appena la discussione, la difesa, osser
vando che gli art. 258, 259 c. p., erano nella specie
evidentemente inapplicabili, in quanto che il reato
di oltraggio in quelli contemplato si verifica soltanto
quando l'oltraggio segue alla presenza dell'ufficiale
pubblico contro cui è diretto, e nell'esercizio delle sue
funzioni; ed aggiungendo che, tolto di mezzo il reato
di oltraggio, il fatto ascritto al Milani non poteva
essere più altrimenti considerato tranne che quale
semplice ingiuria scritta a senso dell'art. 583 c. p.,
di competenza pretoriale, fece instanza che il tribu
nale, dichiarata la propria incompetenza, rinviasse il
Milani al giudizio del pretore.
Questa domanda pregiudiziale fu dal tribunale re
spinta, e procedutosi oltre al dibattimento ne venne
poi la sentenza stata quindi confermata dalla Corte
d'appello coll'altra in oggi denunciata, colla quale
sentenza il tribunale, pur riconoscendo che non si po
teva nella specie parlare d' oltraggio e che gli art.
258, 259 erano inapplicabili, ritenne tuttavia che le
ingiurie e le minaccie, di cui si era pure dato carico
al Milani nel capo d'imputazione, costituissero un
reato a sé, e precisamente quello contemplato dal
l'art. 432 c. p., ed in applicazione di questo articolo
10 condannò a sei mesi di carcere ed alla multa
di lire 51. Questo giudizio del tribunale, stato quindi dalla
Corte confermato, è evidentemente errato. Colla im
putazione finale infatti ascritta al Milani colle parole
non che di minaccie ed ingiurie non si volle uscire
dai termini e dai confini del reato d'oltraggio quale
è determinato dagli art. 258, 259 c. p., dal secondo
dei quali viene appunto preveduto il caso in cui l'ol
traggio sia fatto soltanto con gesti e con minaccie;
ma cessando nella specie (per giudizio del tribunale
confermato dalla Corte) queste minaccie dal costituire
11 reato d'oltraggio, ovvio è il vedere che se le me
desime potevano ancora dar luogo a qualche san
zione penale contro l'imputato, questa non poteva
essere che la sanzione penale di cui all'art. 583, ov
vero quella di cui all'art. 686, n. 2, senza che potesse
essere lecito ricorrere all'art. 482 c. p., anzi tutto
perchè il reato da questo articolo contemplato non è
compreso nè anche implicitamente nella imputazione,
laddove si parla soltanto di oltraggi a sensi degli
art. 258, 259, ed in secondo luogo perchè quest'art.
432 non poteva essere appplicato senza aggravare la
condizione del Milani, poiché mentre a termini del
l'art. 259 il maximum nella pena cui poteva essere
il Milani condannato era quella del carcere per mesi
sei, la quale però nella specie non avrebbe potuto
essere applicata in tutta la sua estensione, atteso
l'ammesso concorso di circostanze attenuanti a favore
dell' imputato, a senso invece dell'art. 432, portante
oltre la pena del carcere da tre mesi a due anni an
che quella della multa estensibile a lire 500, esso venne
appunto condannato a sei mesi di carcere ed alla
multa di lire 51, e così ad una pena maggiore di quella
che, giusta la primitiva imputazione, gli sarebbe po tuta toccare.
La facoltà spettante ai giudici del merito di mu
tare la qualificazione giuridica del fatto, su cui verte
il giudicio, è sempre vincolata alla regola che non
si aggravi — oltre l'imputazione e la citazione —
la condizione giuridica dell' imputato; e poiché nel
caso concreto colla qualifica di vere minacce attri
buita al fatto di cui il Milani fu dichiarato colpevole,
e colla conseguente applicazione fatta a di lui ri
guardo dell'art. 432, la condizione giuridica del me
desimo rimase notevolmente aggravata, e diventò
peggiore d'assai di quella che gli era stata creata
daila primitiva imputazione, secondo cui data pure
la piena sussistenza del reato ascrittogli, che tribu
nale e Corte ritennero escluso, non avrebbe mai po
tuto essere condannato nella pena statagli in oggi
irrogata colla denunciata sentenza, il gravame con
tro questa inferto rimane indiscutibile.
Col pronunciarla la Corte d'appello, erroneamente
interpretando gli art. 258, 259, non avvertì che trat
tasi in sostanza nei medesimi dei reati di diffama
zione e di ingiurie commessi con fatti, con scritti o
in altro modo qualunque, qualificati solo dalla cir
costanza che siano stati commessi contro un pub
blico ufficiale dell'ordine giudiziario ed alla di lui
presenza; non avverti che, eliminata tale circostanza
aggravante, la diffamazione eia ingiuriaominaccia,
che chiamar si vogliano, riassumevano la natura loro
propria, quella che é determinata dagli art. 570, 572,
583 c. p., senza che per aggravare la condizione del
Milani fosse lecito ricorrere ad altro articolo di legge,
e tanto meno all'art. 432, che riguarda un altro
reato, chd nulla aveva a che fare con quello di cui
é parola nel capo d'imputazione.
Giusto quindi e fondato si presenta il richiamo a
tale riguardo sollevato col primo dei mezzi aggiunti,
e dovendo la sentenza per questo mezzo essere an
nullata, l'esame degli altri diventa affatto superfluo.
Per questi motivi, annulla, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO.
Udienza 6 giugno 1883; Pres. Enrico, Est. Pomodoro
— Ric. Butté.
Interrogatorio anteriore al <lil»attimento — l'rc
sidentr della corte d'assise ordinaria — Ciudi
zio innanzi alla Corte straordinaria (Cod. proc.
pen., art. 456, 464 e 465).
Non vi è nullità se C interrogatorio dell' accusato
, prima del dibattimento (art. 456 proc. pen), sia
slato fatto dal presidente della Corte d'assise or
dinaria, ed il giudizio sia seguito innanzi alla
Corte straordinaria.
La Corte, ecc. — (Omissis). Il ricorrente col terzo
mezzo adduce la violazione degli art. 456, 464 e 465,
p. p., perchè, notificatagli la sentenza e l'atto d'ac
cusa, mentre fu interrogato dal presidente della Corte
ordinaria di assise, fu poscia giudicato da quella Corte
Il Foiìo Italiano. - Volume Vili. — Parte II.
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