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Udienza 5 dicembre 1876, Pres. Ghiglieri P., Est. Salis —Ric. Paciulli (Avv. Camerini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 2, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1877), pp. 51/52-55/56Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23080757 .
Accessed: 18/06/2014 14:28
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51 PARTE SECONDA 52
investiti della giurisdizione di giudicare, una sorta di
Commissione di cui al pubblico parrebbe ignota l'origine
e la genesi del loro potere.
La ragione per cui l'estrazione dei giurati e le opera
zioni di ricusa si fanno a porte chiuse, è una ragione
tutta speciale a quelle operazioni ; ed è quella di meglio
tutelare la libertà delle ricusazioni, ed evitare gli in
convenienti dipendenti dal rendere pubbliche quelle ope
razioni sì a riguardo delle parti che hanno il dritto di
ricusa, come anche per rispetto agli stessi giurati ricu
sati ; quindi a porte chiuse devono farsi tutti gli atti e
gli incidenti, contenziosi o no, che fanno parte della
estrazione e dell'operazione della ricusazione. Ma ces
sata l'estrazione e composto il giurì, cessa il fine della
legge che avea creata l'eccezione della non pubblicità ;
e riprende vigore la regola generale stabilita nell'arti
colo 268, C. pr. pen. ; e non essendo stata osservata la
regola della pubblicità in una parte sostanziale ed im
portantissima, è stata incorsa la nullità ivi sancita.
Sul secondo mezzo: Attesoccliè il processo verbale
del dibattimento certifica che « ciascuno dei testi moni separatamente e colle cautele di cui all'art. 301
del Cod. di proc. penale fece la sua deposizione oral
mente senza essere interrotto, e previo il giuramento che ha prestato di dire tutta la verità, e null'altro che
la verità, a mente degli articoli 297, 299, detto Codice,
rispondendo nel giurare che prometteva di dire tutta la
verità, null'altro che la verità. »
La formula usata in questo verbale è espressa negli stessi termini in cui è formulato l'art. 297 così conce
pito: « I testimoni, prima di essere sentiti, presteranno a pena di nullità il giuramento di dire tutta la verità,
null'altro che la verità. » Il verbale attesta che questa formalità sostanziale fu osservata. Le parole susse
guenti dimostrano che non solamente fu osservato
quanto prescrivesi nell'art. 297, di essere stato prestato il giuramento colla pronunciazione della parola : giuro di dire tutta la verità, null'altro che la verità ; » ma
ancora l'altra formalità dell'atto materiale esterno or
dinato nell'art. 299 : « Stando in piedi, tenendo la mano
destra sovra i santi evangeli, alla presenza dei giudici. »
Bensì a dare maggior energia all'atto il cancelliere cre
dette conveniente ripetere, che ciascun testimone nel
giurare promise di dire « tutta la verità null'altro che la
verità. » In queste ultime parole potrà notarsi una su
perfluità ; ma non potrà dedursene l'inosservanza della
formalità prescritta nel citato art. 297, Cod. pr. pen. Ed
a convincerne basterà ricordare le parole del celebre
Giovanni Kahl, àlias Calvino, nel suo Lessico giuridico alla parola: Juramentum, dove leggesi : Juramentum
affirmatio est, vel negatio sacrae rei assertione, vel atte statiove firmata. Dicitur autem, ut et jusjurandum, a juro, quodproprie significat (teste Oldendorp) promitto me adhibitis testibus ita servaturum, ac si ius esset: cum
que nullum sit praesentius testimonium, quam divini no
minis, fit, ut timjurare dicamur, cum Deum invocamus testem. Quindi ogni giuramento contiene implicitamente una promessa di una affermazione o negazione, fatta col
chiamar Iddio o le cose sagre in testimonianza della ve
rità. Onde lo iurato promittere, che si riscontra nella
legge ultima Dig. Qui satisd. cogantur. Colui dunque, che nel giurare promette di dire tutta la verità, fa una
giurata promessa di diritto, cioè giura di dire tutta la
verità.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 5 dicembre 1876, Pres. Origlieri 1'., Est. Salts
— Ric. Paciulli (Avv. Camerini). Moglie — Querelante — Agguato — Pre-meditazione
— Questioni distinte — Compagna dell'ucciso —
Testimone — Giuramento (Cod. proc. pen., art. 104,494 Cod. pen., art. 528, 529, 534; D. luogot. 17 febbr. 1861).
Quando consti che la querelante non era moglie, ma sem
plicemente compagna od amica dell' ucciso, essa deve
considerarsi quale testimone in causa, e udirsi con giuramento. (1)
Quando nell'accusa concorrono Vagguato e la premedita zione sull'uno e sull'altra possono proporsi questioni distinte ai giurati.
La Corte, ecc. — Sul 1° mezzo principale: Attesoché
questo mezzo presenta una questione che raramente si
presenta nei suoi particolari. Si tratta di decidere se una
donna, che nella procedura scritta si querelò assumendo il titolo di moglie dell'ucciso, debba essere sentita senza
giuramento o con giuramento nell'orale discussione in
cui prima dell'esame si scuopra che non era legittima
moglie, ma semplice compagna od amica dell'interfetto, nella causa del cui omicidio è chiamata a deporre.
La ragione del dubitare è grave nell'uno e nell'altro
senso.
In sostegno dell'opinione, che a tal donna non si do
vesse deferire il giuramento, potrebbe dirsi che una
donna, nella quale colla morte del suo amico non si
spense l'affetto, che, anzi, si estrinsecò in una manife
stazione così dolorosa, come è la querela portata avanti i tribunali per vendicare l'assassinio dell'estinto com
pagno e farne punire gli autori, somministrando le
pruove della loro reità, non può inspirare quella fiducia
di calma imparzialità che si ricerca nel vero testimone ;
quando anche poi apparisca che cotal donna non godesse dello stato di moglie legittima. Imperocché nell'art. 104
del Cod. di proc. pen. le parole « offesa o danneggiata »
sono parole generali che si estendono ad ogni offesa o
danno che non solo direttamente, ma anche indiretta
mente derivi dal reato commesso ; quindi deve ritenersi
per vero legale querelante chiunque si quereli ed abbia
interesse che il delitto non avvenisse; e tanto è vero che la
legge ammette a querelarsi qualunque persona diretta
mente od indirettamente, pecuniariamente o moralmente
interessata, che usa l'espressione « si pretende offesa o
danneggiata: » basta dunque che il querelante creda
(1) Come ogni vincolo, compreso quello del matrimonio religioso, se non derivi da matrimonio valido secondo le leggi civili, non possa avere influenza nelle questioni di capacità a testimoniare, ved. conf. Cass. Firenze, 31 genn. 1873, Legge, 1873, 355.
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53 GIUEISPRUDENZA PENALE 54
d'essero stato offeso o danneggiato. E qui si potrebbe
soggiungere che devesi distinguere la querela dall'azione
civile. Per la costituzione di parte civile sono maggiori i requisiti per avere a scopo il risarcimento del danno;
la querela però ha per fine la punizione del colpevole.
Quindi se nel caso proposto la donna che non sia legit tima moglie, non può costituirsi parte civile nè possa
pretendere risarcimento di danno, perchè non risentì dal
delitto un danno diretto ed immediato ; non perciò può, non ritenersi per querelante, giacché una volta che ma
nifestò l'intenzione di vendicare la morte del suo amico, e compagno, e volere la punizione di chi gli tolse la vita,
ha manifestato avere nella causa un interesse reale e
vero, derivante dalla coabitazione e convivenza, ed af
fezione verso l'ucciso. Nè la legge coi freddi suoi det
tati può soffocare e strozzare questi sentimenti natu
rali ai quali il magistrato deve accomodare i suoi atti.
In contrario senso però si osserva che per avere il
diritto di porger querela, è necessario avere un inte
resse personale diretto ed esistente nell'oggetto per cui
si intende muover querela: che quand'anche si ammetta
che basti un danno indiretto, esso deve derivare da
un interesse per una causa onesta. Può essere bensì
ammessa la querela a causa di un interesse indiretto,
quando nell'offesa fatta ad un nostro congiunto, parente od affine, noi vendichiamo quella parte di offesa che si
ripercuote sopra di noi stessi pel vincolo legittimo e na
turale. Ma siccome l'esistenza di questi legami è la fonte
dell'interesse; così se consti che tali vincoli non esiste
vano, la querela cade. Quando la legge ammette a que relarsi chiunque si pretende offeso o danneggiato, non
vuol significare che sia valida la querela di qualsiasi
persona che si dica o si creda offesa o danneggiata, an
che allora che comparisca falsa od erronea la causa
d'onde si faceva derivare l'interesse. Bensì vuol dire
che l'uffìziale giudiziario, da chi vuol querelarsi non
debba richiedere a priori la giustificazione deli' inte
resse, o come nel caso presente, la prova del titolo di
moglie, nè respingere sotto tal pretesto a suo arbitrio
le querele, che nel progresso dell' istruzione possono
chiarirsi giuste e legittime. Nè vale il dire che una persona, la quale colla querela, sebbene illegale, ha
mostrato l'animo suo disposto alla vendetta dell'offesa
fatta a persona cara, non possa più considerarsi come
testimone integro e degno di fede. Conciossiachè non è
qui il caso di disputare della credibilità di tal testi mone; perchè allora l'incapacità di far testimonianza
sarebbe sconfinata, mentre l'affezione, l'amore, l'odio,
possono riscontrarsi in molti testimoni, dei quali niun
dubita, che possano essere intesi con giuramento. Sib
bene si tratta di vedere, se tal persona debba noverarsi
tra quelli che la legge dichiara incapaci di far testimo
nianza eccetto che per semplici schiarimenti.
Or la categoria di tali persone è tassativamente limi
tata dalla legge, nè deve estendersi oltre i termini, i
casi e le condizioni determinati dal legislatore. La cre
dibilità del testimone non dipende da valutazioni fatte
a priori dalla legge, ma dagli apprezzamenti che fa il
giudice della sua deposizione, non tanto per le cause
apparenti di affetto o di odio, quanto per altri motivi e ragioni.
Questa Suprema Corte, considerate tali osservazioni, viene nella sentenza, che quantunque Filomena Tocco
telli porgesse querela per l'omicidio commesso in per sona di Bartolommeo Garbarrini contro gli autori e com
plici, ed avesse somministrate delle prove ; nientedimeno
avendo prima dell'esame dichiarato, che essa non era
moglie, ma compagna del medesimo Gorbattini, con
tale dichiarazione perdette la qualità di querelante, e
come tale non poteva essere dispensata dal giuramento.
Qualunque fosse la causa onesta o disonesta della loro
coabitazione, non esistendo il legame maritale, veniva
chiarito che la Toccotelli non poteva aver più pretesa a
dirsi offesa o danneggiata dal reato commesso. Vi fu di
fatto una querela : ma era illegale, invalida, e quindi
quella donna non potè vestire la qualità giuridica di querelante ; e la Corte d' assise ritenendola querelante nel vero senso della legge, violava la medesima legge col non deferirle giuramento, che non era vietato dalla
affezione non consacrata dal matrimonio legale. Nò giova il dire, che se la Toccotelli non era quere
lante poteva aversi come denunciante avente un perso nale interesse, interesse, che secondo le note massime
di giurisprudenza poteva essere solamente morale, e
derivante da altro titolo, e da altra causa distinto dal
titolo di moglie legittima. Imperocché nè il presidente nò la Corte d'assise hanno
parlato di altro interesse, che di quello espresso nella
querela, nella quale la Toccotelli comparve e figurava come moglie, e moglie non era dell'ucciso : e nel verbale
del dibattimento leggesi che non le fu deferito giura mento perchè era querelante.
Il presidente e la Corte non accennarono, che la Toc
cotelli fosse denunciante avente altro interesse perso nale che quello di moglie. Nè apparendo, che la mede
sima testimone sia stata considerata come denunciata, nè che siavi avuto riguardo ad altro interesse personale distinto da quel di moglie, non può questo supremo col
legio supporre qualità ed interessi che non consti di
essere stati avuti in calcolo.
Sul secondo mezzo principale: Attesoché gli oggi ri correnti Paciulli erano accusati dell'assassinio com
messo con premeditazione ed agguato nella persona di
Bartolomeo Garbarrini; il presidente della Corte d'As
sise quindi non doveva nè poteva dispensarsi dal porre le relative questioni sulla premeditazione e sull'agguato.
Il Codice penale distingue queste due circostanze ag
gravanti con darne la definizione rispettiva negli arti
coli 528 e 529 : ed essendo diversi i termini, ed i con
trassegni non potevano cumularsi in una stessa que stione senza produrre una vera confusione. La riunione
dei loro elementi era tanto più da evitarsi, in quanto la
provincia d'Aquila dove il reato era commesso è retta
dal decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861, che
modificò alcuni articoli del Codice penale comune; ed
ivi l'omicidio volontario commesso con prodizione o
agguato, salvo il caso che la predizione o l'agguato costi
tuisca premeditazione, è punito coi lavori forzati a vita
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55 PARTE SECONDA 56
(art. fi34, n" 1, Cod. pen. modificato): e quindi l'agguato,
se spesso s'aoeompagna alla premeditazione, talvolta
sta da se solo senza quella compagnia. Dunque una
questione che contenesse le due circostanze sarebbe giu
dicata complessa; perchè le due circostanze possono
avere diverse conseguenze, ed un sì a simile questione
non si sa se le abbracci entrambe, od una sola, e quale
delle due. Impertanto non è sempre vero, che l'agguato
sia mezzo di esecuzione coordinato alla premeditazione,
come si legge nel ricorso. Nò si dica che la terza que
stione relativa all'agguato doveva proporsi per il caso
che si fosse risposto negativamente alla seconda sulla
premeditazione. Imperocché la questione sull'agguato
non era questione subordinata, le due circostanze erano
contenute nell'accusa ; dunque i giurati dovevano es
sere interrogati su entrambe ; entrambe potevano stare
da sè senza contraddirsi, ma potevano pur farsi buona
compagnia. Cosa può opporsi a formulare le due sepa
rate questioni ? Quel che nel ricorso si dice di confon
dere le menti dei giurati è una fisima, manca di senso,
e di sostrato. Al secondo mezzo principale quindi è in
concludente, irrilevante ed inattendibile.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI Udienza 10 novembre 1876, Pres. edEst. Narici — Ric.
Adamo.
Giurì — Dispense — Questioni — Omicidio mancato — Atti di esecuzione — Minore — Lavori forzati a
tempo — Reclusione (Cod. pen., art, 90, 96,97).
È inattendibile la doglianza circa le dispense accordate ai giurati in precedenti udienze. (1)
È completa la quistione del mancato omicidio, in cui siensi compresi la manifestazione della volontà omi
cida con atti di esecuzione, lo esaurimento di questi per parte dello agente, ed il mancato effetto per cir
costanze fortuite ed indipendenti dalla di lui vo lontà.
La pena dei lavori forzati a tempo, qualunque ne sia
il grado, si commuta, rispetto al maggiore degli anni 14 e minore dei 18, nella reclusione non eccedente
gli anni sette.
La Corte, ecc. — Osserva che il primo mezzo princi
pale intomo alle dispense accordate ad alcuni giurati nelle udienze precedenti quella della causa del ricor
rente non sia da attendersi, tra perchè niuna ragione si alleghi a dimostrare che si fossero concedute senza
legittima causa, e perchè essendo stata l'urna composta di nomi notificati allo accusato, ed avendo egli eserci tato interamente il suo diritto di ricusa, manchi d'inte resse ad impugnarle.
Osserva che insussistente sia il secondo mezzo circa la quistione del mancato omicidio; imperocché se giusta gli articoli 96 e 97 Codice, elementi constitutivi del reato
mancato sono la manifestazione della volontà di com
metterlo mercè atti di esecuzione, lo esaurimento della
serie di tali atti per parte dello agente, ed il manco
dello effetto per circostanze fortuite ed indipendenti dalla di lui volontà, completa debba dirsi la quistione, che da sè riunisca i succennati fattori.
Osserva che poco serio sia il primo mezzo aggiunto relativo alla omessa quistione sul difetto di prova della
intenzione omicida, non trattandosi mica di scusa am
messa come tale dalla legge, nè di fatto giustificativo. Che punto non regga il secondo circa la pena, dap
poiché lo articolo 90 Codice, il quale sancisce il modo
di commutazione delle diverse pene dovute al maggiore
degli anni 14 e minore dei 18, rispetto a quella dei la
vori forzati a tempo, contemplata nel n° 3, non fa al
cuna distinzione di gradi, e per norma generale deter
mina commutarsi nella reclusione non eccedente gli anni sette.
Che se impertanto la Corte di assise per il mancato
omicidio, punibile col primo grado dei lavori forzati, infliggeva la pena di anni sei di reclusione, può dirsi che abbia con soverchio rigore applicato la legge, ma non
che l'abbia violata. Per tali motivi, ecc.
(1) Come in genere, le ordinanze di dispensa di un giurato non possono andar soggette a censura in Cassazione, ved. Cass. Firenze, 18 marzo 1875, est. nel Rep. gen. an., voc. Giurì, § 1.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 27 dicembre 1876, Pres. Poggi P., Est. Fer
rasi, P. M. Gloria — Ric. Verda ed Orzorelli.
Appello - Parte civile - Imputato - Interessi civili -
Composizione «Iella Corte - Numero «li Rilutici. (Co dice proc. pen., art. 398, 370, 421 — L. sull'ori!, giud., art. 67, 69.)
Quando l'appello da sentenza del tribunale correzionale è proposto soltanto dalla parte civile, o dall'imputato
pel solo suo interesse civile, deve proporsi esclusiva
mente avanti la sezione degli appelli correzionali della Corte, la quale pel giudizio deve essere composta nel
numero di quattro e non di cinque consiglieri (1). La Corte ecc.
Ritenuto che avendo il tribunale correzionale di Ve
(1) Secondo la Corte di cassazione di Firenze, sarebbe chiara, evi dente, fondata sulle più ovvie regole di diritto la tesi che essa ha sancito, e non si potrebbe altrimenti ritenere, senza confondere con ogni regola di legale ermeneutica, le leggi della procedura civile con quelle sull'ordinamento giudiziario. Ma la Corte di cassazione in Torino, anziché riconoscere giusta e legale la massima della con sorella fiorentina, la proclama dal suo canto, e ripetutamente, con traria allo spirito non meno che alla lettera della legge. Valgano a dimostrarlo le sentenze 11 luglio 1867, 13 maggio 1875, 15 marzo 1876 {La Giurisprudenza,, IV, 702; XII, 326; XIII, 227). Ed ove bene si osservi la decisione 27 dicembre 1876 della Cassazione di Firenze, tema di queste note, si dovrà dubitare che la decisione medesima sia stata presa ad unanimità di voti, se il consigliere relatore della causa non è il medesimo che estese la sentenza.
Seguirono i principii della Corte regolatrice di Firenze, le Corti d'appello di Casale, 12 marzo 1875 (Rossetti-Guglieri), 19 luglio 1875 {La Giurisprudenza, XII, 553); di Genova, 31 luglio 1875 (Gazz. dei Trib. di Genova, XXVII, 530); e di Bologna, 20 aprile 1876 {Foro ItalI, col. 278).
Adottarono quelli della Corte di cassazione torinese, le Corti d'ap pello di Milano, 28 luglio 1873, 27 dicembre 1871 {Monitore dei Trib., XIV, 786; XV, 198); di Torino, 23 e 27 febbraio 1875 {La Giurispru
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