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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 5 luglio 1935; Pres. Natali, Est. Mangini, P. M....

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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 5 luglio 1935; Pres. Natali, Est. Mangini, P. M. Tancredi (concl. conf.) — Ric. Parisi (Avv. Fornari)

Udienza 5 luglio 1935; Pres. Natali, Est. Mangini, P. M. Tancredi (concl. conf.) —Ric. Parisi(Avv. Fornari)Source: Il Foro Italiano, Vol. 61, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1936), pp.37/38-39/40Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23130737 .

Accessed: 24/06/2014 21:14

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37 GIURISPRUDENZA PENALE 38

marocchini è stato commesso in Francia, ma non è punto

stabilito, come affermano i giudici di merito, che il danaro

sia stato consegnato anche in Francia dagli autori del

furto alle persone che lo spacciarono in Italia. Ed ove si

intenda rapportare l'azione criminosa della ricorrente al

delitto principale consumato in Francia, è risaputo che il

fatto costitutivo della ricettazione è un fatto diverso dal

delitto cui accede ed è punito come un fatto per sè stante.

In forza dell'autonomia che assume così il reato di ricet

tazione, è per ciò irrilevante che il delitto, dal quale le

cose provengono, sia stato commesso in territorio estero.

Chè, se invece si vuol limitare la questione al solo ad

debito di ricettazione, è agevole rilevare che, scendendo

alla disamina dell'elemento morale del delitto, e precisa mente del dolo specifico, che consiste nel fine di procu rare a sè o ad altri un profitto, la Corte di merito accer

tava che codesta manifestazione di volontà si avverò in

dubbiamente in Italia, a Torino, col cambio effettuato

dei franchi marocchini rubati presso il cambiavalute Da

vico. Talché, date queste circostanze di fatto che, con

criterio insindacabile in questa sede, concorrono a far ri

tenere alla Corte che la ricettazione fu commessa nel ter

ritorio dello Stato e non già all'estero, appare evidente

l'inconsistenza della dedotta improcedibilità per inadem

pimento, ai fini della punibilità dei colpevoli, delle forme

prescritte nel primo capoverso dell'art. 9 del codice di

rito

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Seconda sezione penule)

Udienza 3 luglio 1935 ; Pres. Saltelli, Est. Gifuni, P. M. Laviani (conci, conf.)

— Ric. P. M. c. Zi

rafi (Avv. Laurini).

{Sent, denunciata : App. Palermo 25 febbraio 1935)

Rissa (omicidio e lesioni personali cagionate in

rissa) — Partecipe che rimane ferito — Aggra vante anche per esso (Cod. pen., art. 588).

L'aggravante di cui al capoverso dell'art. 588 cod. pen.

per il fatto che durante una rissa taluno sia rima

sto ferito si applica anche a colui che ha riportato la lesione. (1)

La Corte : — . . . Osserva ohe il ricorso ha pieno fon

damento giuridico. Il ragionamento della sentenza impugnata si riduce in

sostanza ad una critica, per malintese « ragioni di equità e di giustizia », di una precisa e lineare disposizione di

legge, invocandosi a sproposito insegnamenti di questo

Supremo Collegio, che non si è mai sognato di negare

l'applicazione di un precetto del genere svisando in quel modo la lettera e lo spirito della legge.

L'art. 588 cod. pen. punisce chiunque partecipa ad

una rissa, ed aggrava la pena, nel capoverso, ove taluno

rimanga ucciso o riporti lesione personale « per il solo

fatto della partecipazione alla rissa », senza fare distin

zione fra chi ha riportato e chi non ha riportato una le

sione personale. Si è tenuto a stabilire, come è detto nella relazione

al progetto definitivo (pagg. 389-390), che la rissa costi

tuisce un delitto per sè stante, distinto nella sua obbiet

tività da ogni altro delitto di sangue che in occasione

della rissa venga commesso. Nel codice penale abrogato, all'art. 379, era invece diversamente considerata la posi zione di coloro che avessero posto le mani addosso all'of

feso (nell'ipotesi aggravata in esame) da quella di coloro

che, pur prendendo parte alla rissa, non avessero posto le mani addosso all'offeso ; ed uno speciale aumento di

(1) Contra: A. Palermo [senza data], Scelta (Foro it., Rep. 1934, voce Rissa, n. 11),

pena era comminato per chi fosse stato causa determi

nante della rissa. Tali disposizioni a disegno non sono

state riprodotte nel codice vigente, giacché la condizione

di chi rimane ferito e la distinzione fra i compartecipi «aprivano l'àdito a contrastanti interpretazioni».

E tutto ciò in relazione al concetto preminente del

l'autonomia del reato di rissa, « tenuta presente l'oppor tunità di perseguire col necessario rigore queste manife

stazioni di violenza che rappresentano un pericolo, oltre

che per l'incolumità delle persone, anche per la tranquil lità dell'ordine pubblico» (ibidem, pag. 390).

Autonomia resa anche più spiccata nell'aggravante del

l'art. 588.

Se dunque per espressa volontà del legislatore è così

modificata la nozione di rissa, appare manifestamente er

ronea l'interpretazione del testo, legislativo data dalla

Corte di merito, compenetrata della sorte di chi è rimasto

ferito a tal segno da escludere nei suoi confronti la co

municabilità dell'aggravante contestata.

L'applicazione di codesto strano principio di pietà con

durrebbe all'incongruenza segnalata dal P. M. ricorrente :

che lo stesso fatto costituisca semplice rissa per alcuni e

aggravata per altri, e, peggio ancora, che costituisca per tutti rissa semplice nel caso che tutti rimangano lesi.

La stessa sproporzione di trattamento, invocata come

argomento sensazionale dai giudici di appello, tra offeso

ed offensore viene d'altronde facilmente eliminata .nell'ade

guare alle rispettive responsabilità dei partecipanti la pena discrezionale irrogata nella misura consentita dal capoverso dell'art. 588, e che spazia da un minimo di tre mesi a

un massimo di cinque anni di reclusione.

La sentenza investita va pertanto annullata con rinvio

ad altro giudice, limitato, beninteso, all'esame circa la

misura della pena da determinare in conformità dell'ag

gravante prevista dall'art. 588, che sussiste e rettamente

venne ritenuta dai primi giudici nei rispetti dell'appel

lante, ed ora ricorrente, Zirafi.

Per questi motivi, cassa e rinvia ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Seconda sezione penale)

Udienza 5 luglio 1935 ; Pres. Natali, Est. Mangini, P.

M. Tancredi (conci, conf.) — Ric. Parisi (Avv.

Fornari).

(,Sent. denunciata : Trib. Catania 27 febbraio 1935)

Sottrazione di minorenne — Sottrazione consensuale — Fatto diretto a togliere il minore dalla sfera

d'influenza del genitore — Momentaneo soddisfa

cimento dei sensi — Insussistenza di reato (Cod. pen., art. 573).

Per aversi il reato di sottrazione consensuale di mino

renne è necessario che sia commesso un fatto inten

zionalmente diretto ed idoneo a togliere il minore

dalla sfera d'influenza del genitore, o tutore, per un

tempo più o meno lungo. (1) Un momentaneo soddisfacimento dei sensi, con il pro

posito di un immediato ritorno della minorenne presso la famiglia, non concreta il concetto giuridico di sot

trazione, o ritenzione, perchè non pone ostacoli, al

l'esercizio della patria potestà. (2)

La Corte : ■— ... Deve ancora una volta constatare

la non esatta applicazione dell'art. 573, dovuta al desi

derio di non lasciare impunito un fatto moralmente ri

provevole. La sottrazione consensuale del minore che abbia

(1-2) Sostanzialmente conformi : B febbraio 1938, Costantino (Foro it., 1983, IL 176, con nota di richiami ai lavori prepara tori del codice ed alla giurisprudenza) ; 20 luglio 1934, Tedoldi (id.. Eep. 1934, voce Ratto, nn. 1-2); T. Lecce, 10 giugno 1982, Accogli (id., Rep. 1933, voce cit., nn. 1-2).

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39 PARTE SECONDA 40

compiuto gli anni quattordici è configurata come delitto con

tro l'assistenza famigliare. Esso offende più specialmente il diritto di vigilanza e di custodia spettante al genitore esercente la patria potestà e al tutore.

Occorre che l'agente abbia la coscienza e la volontà

di sottrarre il minore a coloro che su di lui esercitano

la patria potestà o l'autorità tutoria, ovvero di ritenere il minore contro la volontà delle predette persone ; ed oc

corre che la sottrazione o la ritenzione si concretino nella

violazione del rapporto di dipendenza tra il minore e il

genitore (o tutore). Nella fattispecie la Curro godeva, come

si è visto, di ampia libertà, tanto da essere mandata al

lavoro, in campagna, con una ciurma di uomini. Si in

tende che, cessato il lavoro, essa doveva tornare in fa

miglia. Ma erra il Tribunale quando scambia il lieve ri

tardo nel ritorno a casa con la sottrazione. Se la tesi del

Tribunale fosse esatta, il delitto sussisterebbe per ogni ritardo dovuto ad una causa non legittima, un innocente

colloquio amoroso, una breve gita in campagna, e via di

cendo. Il che è, di regola almeno, assurdo, quando al mi

nore sia concessa, come nella grandissima maggioranza dei casi oggi avviene, una relativa libertà di movimento

e di autodecisione.

In realtà ciò che impressiona, nella fattispecie del ge

nere, non è il ritardo in sè, più o meno breve, eviden

temente inidoneo a spezzare i rapporti di fatto tra il mi

nore e l'esercente la patria potestà, ma la causa del ri

tardo, il motivo che induce ad agire, il soddisfacimento della libidine. Ma il fine di libidine non è che una ag

gravante, così come il fine di matrimonio è una dimi

nuente. Sicché, come si premetteva, occorrerebbe dimo

strare la esattezza della tesi, prescindendo del tutto dagli elementi accessori del reato, quali sono le circostanze.

E' antico insegnamento che per aversi sottrazione non

basta una qualunque momentanea « traductio de loco ad

locum, causa commodioris coitus », ma si richiede « illa traductio quae principaliter fit animo abducendi, reti

nendi, occultandi ».

E', insomma, necessario che sia commesso un fatto

intenzionalmente diretto ed idoneo a togliere il minore dalla sfera di influenza del genitore, per un tempo più o meno lungo. Un momentaneo soddisfacimento dei sensi, con il proposito di un immediato ritorno della minorenne

presso la famiglia, non concreta il concetto giuridico di

sottrazione è ritenzione, quale sopra delineato, perchè non

pone ostacoli all'esercizio della patria potestà. Una di

versa soluzione condurrebbe a colpire con le disposizioni dell'art. 573 rapporti sessuali ed atti di libidine non pu nibili nè a titolo di violenza carnale, nè a titolo di atti di corruzione, nè a titolo di ratto o di seduzione.

Per questi motivi, cassa senza rinvio nella parte in cui condannava detto Parisi per sottrazione continuata di

minorenne, e dichiara che il fatto ascritto al Parisi non è preveduto dalla legge come reato.

PRETURA EI PESCIA.

Udienza '24 settembre 1935 ; Pret. Bruni — Imp. Rossi

e Lorenzini.

Lavoro (contratto collettivo di) — Comitati inter sindacali — Deliberati in ordine a riduzione di

paglie fissate da 1111 contratto collettivo — Ef

ficacia.

I Comitati intersindacali possono determinare, con l'ac cordo delle organizzazioni sindacali interessate, la riduzione di paghe fissate in un contratto collet tivo. (1)

(1) I Comitati Intersindacali e l'azione corporativa del Par tito nazionale fascista.

I. — La sentenza che sopra riportiamo presenta, a nostro av viso, particolare interesse in quanto sflora, senza risolverlo ade

Il Pretore : — Il 13 giugno 1934 il Dr. Pier Luigi

Vincenti, Ispettore corporativo del Circolo di Firenze,

eseguendo una ispezione alla fabbrica di laterizi, di pro

prietà di Rossi Attilio e Lorenzini Felice, sita in Santa

Lucia di lizzano, rilevava che ai vari operai addetti alle

fornaci veniva corrisposto un salario inferiore a quello fissato nel contratto collettivo 18 ottobre 1930, integrativo del contratto nazionale. L'Ispettore diffidava i titolari della

guatamente, un problema di diritto pubblico di notevole im portanza : quello dell'efficacia giuridica dei deliberati dei Comi tati intersindacali di azione corporativa, problema affrontato già altre volte dalla giurisprudenza con soluzioni discordi.

Non sembra, pertanto, inutile intrattenersi su di esso, esa

minandolo, per compiutezza di studio, nel quadro generale del l'attività corporativa svolta dal Partito nazionale fascista, del quale il Comitato intersindacale è, come è noto, una emana zione ; tanto più che tutta questa vasta sfera dell'attività del Partito, pur ai si grande interesse teorico e pratico, è sfuggita, sino ad ora, quasi completamente all'attenzione della dottrina, se si eccettua qualche breve accenno ai Comitati provinciali in tersindacali contenuto in alcuni testi e corsi universitari di diritto corporativo (1).

E' noto, peraltro, quanto grande sia stato l'impulso iniziale dato dal Partito all'affermarsi dell'idea corporativa, in ispecie durante gli anni immediatamente precedenti alla legge del 1926 (2), nonché l'opera di fiancheggiamento e di coordinamento svolta dal Partito stesso in maniera sempre più rilevante nei riguardi dei nuovi istituti, sin dal loro sorgere e durante tutta la loro evoluzione.

E non si deve dimenticare, inoltre, che attualmente assi stiamo ad un 'intensificarsi di tale attività, sì che lo studioso non deve assolutamente trascurarla, se dell'ordinamento corpo rativo vuole tentare una costruzione scientificamente completa.

II. — Nello studio, che stiamo per intraprendere, riteniamo di dover distinguere, nell'azione corporativa del Partito, due grandi sfere : una comprendente l'attività corporativa svolta dal Par tito direttamente, attraverso propri organi centrali e periferici — e che, pertanto, possiamo definire come azione corporativa diretta — l'altra, che si esplica attraverso il concorso di gerar chi del Partito alla formazione di organi corporativi dello Stato — e che, in contrapposto alla prima, può essere definita azione corporativa indiretta.

L'azione diretta è stata la prima manifestazione dell'atti vità corporativa del Partito ; le leggi del 1926 non prevedevano, infatti, alcun intervento di questo ente — allora non ancora inquadrato tra le istituzioni pubbliche ausiliarie dello Stato — nel nuovo ordinamento sindacale e corporativo ; e sono stati i Comitati intersindacali, istituti sorti per iniziativa del Partito, a segnare l'inizio di questa attività. Solo con il regio decreto 14

luglio 1927, n. 1347, si chiamò un rappresentante del Partito — il Segretario generale — a far parte di un organo corporativo — il Consiglio nazionale delle corporazioni.

L'azione indiretta ha assunto, in seguito, proporzioni assai vaste, e ci sembra che, attualmente, essa si presenti come quella fondamentale, non solo, ma anche come l'unica che — a nostro sommesso avviso — dovrebbe essere propria del Partito.

La sua giustificazione è evidente : ogni problema economico non può venire risolto in sè e per sè, astraendo dai riflessi so ciali e politici che, dalla sua soluzione, possono derivare, in quanto in esso gravita sempre, più o meno intensamente, l'ele mento politico, e, nello Stato fascista — si è autorevolmente os servato — ordine politico ed ordine economico sono legati da un in dissolubile vincolo (3). Da ciò deriva, come logico corollario, che l'istituzione nella quale si concreta l'unità politica della Nazione, il Partito, deve intervenire nella soluzione di tutti i problemi che l'ordinamento corporativo è chiamato a risolvere : e che se si vuole che un tale intervento si manifesti efficace, è neces sario che esso si attui nei riguardi degli organi e, in genere, delle istituzioni che sono preposte alla soluzione di quei deter minati problemi.

III. — Così l'art. 2 della legge 5 febbraio 1934, n. 163, stabili sce che le Corporazioni possono essere presiedute anche dal Se

gretario del Partito fascista, mentre, a norma dell'art. 6 della stessa legge, rappresentanti del Partito devono essere chiamati a far parte dei Comitati corporativi di prodotto. I decreti isti tutivi delle Corporazioni hanno fissato a tre il numero dei rap presentanti del Partito in seno al Consiglio, e hanno stabilito che uno di essi è incaricato di sostituire il presidente in caso di assenza o d'impedimento (4).

A tenore della legge 20 marzo 1930. n. 206, il Segretario, i '

Vice-segretari ed il Segretario amministrativo del Partito sono chiamati a far parte del Consiglio nazionale delle corporazioni

(1) Vedi Barassi, Diritto sindacale e corporativo, 2» ed., 1934, pagg. 455 e segg.; Cesarini Sforza, Corso di diritto corporativo, 1935, pag. 304 ; Zano bini, Corso di diritto corporativo, 1935, pagg. 179-180.

(2) Vedi Cesarini Sforza, op. cit., pagg. 9 e segg. (3) Relazione Mussolini sul disegno della legge sulle Corporazioni. (4) Come è noto, tutti i decreti hanno attribuito la presidenza delle Cor

porazioni al Ministro per le corporazioni.

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