Udienza 6 agosto 1879, Pres. Carraro, P. M. Lavini —Causa PrinaSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.403/404-405/406Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084856 .
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403 PARTE SECONDA 404
di truffa, con danno insomma molto inferiore alle
mille lire. Sulla quale istanza e sui fatti rilievi questa Sezione
di accusa ha considerato:
1° Che mancando nel terzo documento presentato dall'Ambasciata dell'Austria-Ungheria la data della con
danna emessa dal Tribunale di Leutscher, non può questa
Corte in tale stato degli atti avvisare sulla relativa
questione di prescrizione; 2° Che.in ordine alla sentenza del Tribunale di Wels
del 22 novembre 1869, non può, senza sconfinare dai
suoi poteri, seguire il ragionamento del condannato in
quella parte della sua difesa diretta a censurare l'azione
del magistrato austriaco; imperciocché le regole ac
cettate dal diritto internazionale sulla materia dei giu
dicati penali ed i termini del maggior numero dei trat
tati di estradizione, se consentono al Governo della
nazione, cui la estradizione è domandata, di esaminare
i titoli e la natura dei titoli in forza di cui l'imputato
od il condannato è reclamato, non permettono di esa
minare se i titoli stessi, allorché sono regolari nella forma,
siano giusti nella valutazione delle prove di colpabilità e sussistenza dei fattori materiali e morali di un de
determinato reato. Cosicché dovendosi ritenere i fatti
semplici in detta sentenza consacrati, e risultando dal
complesso di essi che, se il Somoskevy ottenne l'al
logio e la fornitura di alimenti in diversi alberghi non
soddisfacendo il prezzo, ciò fu in conseguenza di rag
giri ed uso di falso nome e di falsi titoli atti ad in
gannare la buona fede degli albergatori ; segue che non
può dubitarsi che i fatti stessi accompagnati dalle cir
costanze sovraindicate costituiscano il delitto di truffa
previsto dall'art. 626 del Codice penale italiano.
Né pare che possa essere di ostacolo ad accogliere la dimanda dell'Impero austro-ungarico la considera
zione, che, secondo il Codice penale italiano, quel reato
non è soggetto a pena criminale; in quanto che la re
gola accettata da non pochi scrittori che, per farsi luogo alla estradizione, sia necessario che il reato di cui si
è imputato, o pel quale si è condannato, costituisca nei
due paesi un crimine, se è applicabile ai casi in cui
manca una Convenzione speciale, può dubitarsi possa essere invocato per interpretazione contro od oltre i
termini di un trattato od a fine di escludere i casi
espressamente in esso indicati.
L'art. 2 del trattato fra il Regno d'Italia e l'Impero
austro-ungarico, designa per condizioni essenziali della
estradizione che il reato commesso da colui, di cui si
chiede la estradizione, sia compreso in una delle ca
tegorie espresse e sia punibile dalla legge penale della
nazione richiedente con pena criminale; non richiede
affatto che sia nel tempo istesso punibile con pena criminale dalla legge penale della nazione, cui si chiede
la estradizione. In questo trattato, a differenza di altri
precedenti, si è tenuto conto della specie di certi reati, il cui carattere è più o meno identico per le due na
zioni, indipendentemente dalla identità della penalità
rispettivamente sanzionata ai reati stessi. Si è rego lata la estradizione non già sulla uguaglianza della
classificazione; ma sulla natura dei fattori costituenti
un determinato reato. Nè fu regresso nei principi di
libertà; inquantochè l'indole della materia della estra
dizione, allontanandosi ogni giorno dal concetto dello
asilo, tende a trasformarsi in una misura di ausilio che
le nazioni civili reciprocamente si apprestano, onde
non rimanga frodata la repressione del maggior nu
mero dei reati comuni, non eccettuate talune specie di
delitti. Che poi nel trattato in esame siasi voluta seguire la
regola suddetta, risulta chiaro dall'alinea del n. 15
dell'art. 2 ; imperciocché se dell' imputato o condan
nato per truffa sarà il Governo d'Italia richiedente,
nonostante che al reato sia dal Cod. pen. ital. imposta
la pena correzionale, si avrà diritto alla consegna, a
meno che il danno risultante dal reato non sia minore
di lire mille italiane. Dal che discende un'altra conse
guenza, quella cioè che la somma del danno posta come
limite alla eccezione scritta a favore del Governo d'Ita
lia, non possa essere termine di reciprocità, nel caso
che la consegna del perseguito o condannato per truffa
sia domandata dal Governo austro-ungarico, mentre
per questo sta la condizione più grave scritta nella
prima parte dell'art. 2, cioè che la truffa sia qualifi cata crimine. i
Nè quella regola vien meno per la lettera e lo spi rito dell'art. 4, relativo al caso della prescrizione; im
perciocché anche in questo caso la prescrizione si re
gola sulle leggi del paese, in cui l'imputato od il con
dannato si è rifugiato; non già misurando l'elemento
oggettivo del reato nella legge di questo paese; ma
preso sempre a base il titolo dell'azione e la natura
della pena inflitta secondo la legislazione richiedente.
In caso contrario sarebbe necessaria una discussione
di merito, che non potrebbe rinnovarsi senza invadere
le facoltà proprie dell'autorità giudiziaria straniera.
Per le quali osservazioni e nonostante le gravissime ed autorevoli dottrine esposte nella difesa scritta a
favore del Somoskevy, questa Corte è di avviso che,
trattandosi nella specie del reato di truffa, previsto e
punito, benché diversamente, dai Codici penali delle
due nazioni; di un reato qualificato crimine e come
crimine punito secondo il Cod. pen. austr.; di un reato
infine indicato nel n. 15 dell'art. 2, del trattato del 25
febbraio 1869; non sia il caso di potersi dal Governo
del Re negare al Governo austro-ungarico la estradi
zione del nominato Geyza Somoskevy condannato alla
pena di mesi 15 di carcere duro pel titolo espresso nella sentenza del Tribunale diWels sopra riferito ;
Per tali motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI VENEZIA (sezione d'accusa).
Udienza 6 agosto 1879, Pres. Carraro, P. M. Latini — Causa Prina.
Arresto personale — Fallimento — Scarcerazione — Competenza (Cod. di comm., art. 548; Cod. proc.
pen., art. 264).
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405 GIURISPRUDENZA PENALE 406
La Camera di consiglio del Tribunale correzionale
è assolutamente incompetente ad ordinare l'escar
cerazione del fallito detenuto per sentenza del Tri
bunale di commercio, spettando la riforma di tale
sentenza esclusivamente alla Corte d'appello, giusta
le norme della procedura civile. (1)
La Corte, ecc. — Veduta la requisitoria 1° corrente
del signor procuratore generale notificata debitamente
il 4 detto, colla quale, in base all'art. 263 Cod. proc.
pen., presenta opposizione diretta contro l'ordinanza
della Camera di consiglio presso il Tribunale di Ve
nezia, 22 ora scorso luglio, colla quale ordinò l'imme
diata scarcerazione del detenuto Giovanni Prina, ri
chiedendo l'annullamento dell'ordinanza suddetta, e che
sia ordinata la reintegrazione in carcere del Giovanni
Prina, incaricando il pubblico ministero di farne ese
guire l'arresto a termini dell'ultimo alinea dell'art. 548
Cod. di commercio;
Attesoché tale opposizione essenzialmente si fonda
sopra l'incompetenza della Camera di consiglio ad ema
nare il provvedimento impugnato, conciossiachè l'ar
resto del Prina fosse seguito in esecuzione di sentenza
del Tribunale di commercio, 14 scorso luglio, ed in ap
plicazione dell'art. 548 Cod. di comm., nè poteva il
rilascio dell'arrestato altrimenti aver luogo che in
conformità delle discipline che regolano la materia del
fallimento, quali si leggono negli art. 580 e seguente
del Codice ridetto, discipline cui non fu punto derogato
colla legge 6 dicembre 1877, aboliti va dell'arresto per
sonale per debiti in materia civile e commerciale, se
condo che è assentito dalla più generale giurisprudenza;
Attesoché la Camera di consiglio, in tanto si tenne
autorizzata ad applicare nella specie le regole della
procedura penale riguardanti la provvisoria scarcera
zione dell'imputato, in quanto si indusse a ravvisare
nella sentenza del Tribunale di commercio un atto di
polizia giudiziaria, determinato da uno scopo di giu
stizia punitiva, mentre esso ben'altra natura riveste,
movendo da considerazioni di un ordine superiore e da
un'alta tutela degl'interessi generali del commercio che
possono rimanere profondamente compromessi dal fal
limento, indipendentemente dalla esistenza degli estremi
di reato di bancarotta semplice o fraudolenta. Tanto è
vero, che qualora dal giudice delegato venga ordinato
il rilascio del fallito, il procuratore del Re può, a ter
mini del capoverso dell'art. 580, opporsi alla sua libe
razione se vi è luogo a procedere in via penale per
bancarotta, donde l'indipendenza assoluta del pronun ziato del Tribunale di commercio dall'autorità giudi
ziaria penale, la quale allora soltanto avrebbe potuto ordinare la scarcerazione del Prina, quando il di costui
arresto fosse avvenuto ai fini della legge penale, il
che trovasi escluso dai sovraddotti motivi: la riforma
del giudicato del Tribunale di commercio spettava esclu
sivamente alla Corte d'appello giusta le norme della
procedura civile; Ritenuto in conseguenza che la Camera di consiglio
col dato provvedimento ha ecceduto i limiti della sua
giurisdizione, ed ha in conseguenza violato le avanti
menzionate disposizioni del Codice di commercio;
Visto l'art. 264 Cod. proc. pen.; Per questi motivi, ecc.
(1) Altri sono i motivi (opportunamente nota il Monit. giudiz. di Ve
nezia, anno corr., n. 37, dal quale togliamo il testo della sentenza) che
indussero il legislatore ad autorizzare l'arresto in materia civile o com
merciale, altri quelli per cui si procede alla carcerazione preventiva nei riguardi penali: sono casi del tutto diversi, con diverse sanzioni, che s'inspirano a diversi principi. Il Tribunale correzionale di Ve
nezia incorse in un deplorevole errore confondendo le due giurisdi zioni e censurando, senza che la legge gliene desse facoltà, il prov vedimento emanato da un'autorità giudiziaria che, seppure distinta, è
alla sua pari in grado. Come ben disse la Corte di Venezia, la diffe
renza delle attribuzioni demandate alle due autorità commerciale e
penale, risulta poi evidente per il dettato dell'art. 580 Cod. di comm. : v
infatti, secondo questo articolo, il Tribunale di commercio può per suo
conto ordinare il rilascio del fallito detenuto, quand'anche contro di
lui sia stato promosso giudizio per bancarotta: in questo caso spet terà al procuratore del Re di opporsi a che il rilascio venga eseguito, e
di far subire all'oberato il carcere preventivo nei rispetti penali e colle
regole della procedura penale. Riguardo poi alla questione se l'arresto del fallito, giusta l'art. 548
del Cod. di comm., sia da ritenersi in vigore anche dopo la legge abo
rtiva del 6 dicembre 1877, n. 4166, questione sulla quale la sentenza
che annotiamo implicitamente ha ritenuto l'affermativa, veggansi le
sentenze e le note nel Foro it., 1878, parte civile, col. 831 e 1069.
CORTE D'APPELLO DI VENEZIA.
Udienza 11 ottobre 1879, Pres. Bottari, Est. Goiscardi
— Causa a carico Baruffaldi.
Discorsi in case private — Oflese ed ingiurie (Cod.
pen., 471).
Un discorso tenuto in locale di un privato, comunque
in presenza di più persone colà raccolte alla ve
glia (filò in Venezia) non si può dichiarare fatto
in pubblico, così da costituire il reato, di cui nel
l'art. 471 del Codice penale.
La Corte, ecc. — L'art. 471 del Codice penale pu
nisce il discorso pubblico tale da eccitare lo sprezzo
ed il malcontento contro la sacra persona del Re, o le
persone della reale famiglia, o contro le instituzioni
costituzionali. Dunque è a vedersi se le parole profe
rite dal Baruffaldi nella stalla di Francesco Carlet si
possano dichiarare discorso pubblico.
Un discorso qualsiasi non si può qualificare pubblico
o privato (propriamente detto) poiché di per sè non
è tale giammai. Si deve intendere discorso fatto in
pubblico, ovvero in privato. Di qui la indagine, se il
discorso tenuto da Baruffaldi nella stalla di Francesco
Carlet, in presenza di più persone colà raccolte alla
veglia, volgarmente detta filò, si possa dichiarare fatto
in pubblico. Il Codice penale vigente, nell'art. 468 prevede, fra
altri, il caso di discorsi tenuti in adunanze o luoghi
pubblici. L'aggiunto pubblici comprende ancora le adu
nanze. Queste si debbono intendere pubbliche, poiché
in altri casi la legge invece del vocabolo adunanze ha
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