Udienza 6 febbraio 1913; Pres. ed Est. Lucchini, P. M. Casella (concl. conformi) —Ric. CartaSource: Il Foro Italiano, Vol. 38, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1913), pp.255/256-257/258Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23114526 .
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PARTE SECONDA
cauzione; b) le norme per il reparto dei canoni tra i sin
goli esercenti consorziati, o tra le rispettive classi ; c) quelle
per la risoluzione dei reclami e per le riscossioni dei ca
noni individuali; d) i casi in cui è ammessa la reces
sione dei soci, e le modalità per la reimposizione delle
quote di costoro; e) nonché quanto altro si riferisca alle
assemblee generali, ai bilanci, ed al reparto degli utili
e delle perdite. Da ciò consegue che tra i consorziati ha luogo un
contratto di società, in virtù del quale rimangono tutti
responsabili verso il Comune pel pagamento del dazio,
ed obbligati reciprocamente, in primo tempo al versa
mento delle rate per la formazione della cauzione, ed in
prosieguo al pagamento dei canoni individuali fissati per
ciascuno dalla delegazione esecutiva, canoni individuali
che rappresentano appunto le quote colle quali si deve
formare per lo meno approssimativamente il canone in
tero, che è dovuto in ogni anno al Comune.
Come corrispettivo di tali obblighi, i consorziati si
impromettono il profitto che sperano potere ritrarre dalla
dividenda delle riscossioni dei dazi dovuti dai contri buenti non consorziati e da quelli di nuovo impianto,
nel senso che qualora ammontino, tali riscossioni, a somme
vantaggiose, essi vengano, in definitivo, a pagare sopra
i propri esercizi somme minori di quelle che da ciascuno
sarebbero dovute. Ed è manifesto che lo scopo, od ob
biettivo ultimo, al quale mira ogni consorzio di contri
buenti, è appunto quello della previsione, o speranza,
che le riscossioni per dazio a carico degli altri contri
buenti, presentino, di anno, in anno, un aumento : diver
samente non saprebbe comprendersi per qual ragione i
consorziati si verrebbero ad assoggettare non solo al
versamento di una cauzione, ma anche al reparto del ca
none verso il Comune; col quale pagamento, essi, mentre
soddisfano i loro eventuali debiti per dazio, anticipano
quelli dovuti per gli esercizi di vendita dagli altri con
tribuenti.
Osserva, ciò premesso, che se col consorzio sorgono
tra i soci reciprocamente diritti e doveri, è innegabile
che, qualora uno di essi cerchi venir meno agli impegni
assunti, o si mostri restio ad ottemperare alle delibera
zioni della maggioranza, od a quelle della delegazione
esecutiva, al consorzio, quale ente, non è dato altro modo
per astringere il socio dissenziente all'adempimento de
gli obblighi contratti, se non quello di sperimentare le
proprie ragioni nelle vie giudiziarie consentite dalla legge.
E non potrebbe giammai di sua autorità credersi auto
rizzato a considerare decaduto da ogni diritto, di fronte
ad esso consorzio, il socio restio o moroso, così come si
è verificato nel caso in esame, nel quale il, consorzio di
Coazze, con applicare a Rosa Brusin la riscossione per
tariffa, la ha implicitamente ritenuta esclusa dal consor
zio, e si è avvalso verso di lei di quel diritto che il re
golamento daziario, all'art. 476, consente solo al consorzio
di fronte al contribuente non consorziato, il quale, o non
chiede l'abbonamento, o non intende accettare il canone
nella misura determinatagli dalla delegazione esecutiva,
o dalla giunta comunale in via di ricorso.
Invano si obbietta che in tal modo al contribuente
consorziato si viene a fare una posizione di favore in
confronto agli altri contribuenti, non obbligando il primo a pagare il dazio nelle more della contestazione giudi
ziaria, mentre vi sono tenuti gli altri pel precetto del
solve et repete, imperocché in contrario si osserva, in
nanzi tutto, ohe il consorziato ha dovuto già versare la
sua rata di cauzione, e su questa il consorzio potrà avere
sempre mezzo di rivalersi ; e, d'altronde, se pur fosse
esatto che, in mancanza di patto espresso, non si possa
agire pel pagamento del canone fissato dalla delegazione con la procedura privilegiata riconosciuta per i crediti
daziari, potrebbe sempre esso consorzio porre un freno
ad ogni ritardò nelle riscossioni, col non frapporre in
dugi nello sperimento dell'azione giudiziaria. Ad ogùi
modo, il consorzio di Coazze, nel fatto che ne occupa, dovrebbe imputare a sua colpa, se nel determinare le
norme pel pagamento dei canoni dai consorziati, come
era autorizzato dalla lettera e dell'art. 372 regolamento
citato, non ha previsto la possibilità dell'inconveniente
che si è verificato, e non ha creduto considerare il re
parto del canone come un vero e proprio abbonamento
fra gli esercenti consorziati, sottoponendo questo reparto alle condizioni tutte stabilite dal regolamento generale daziario per gli abbonamenti.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA (Seconda sezione penale)
Udienza ti febbraio 1913 ; Pres. ed Est. Lucchini, P. M.
Casella (conci, conformi) — Ric. Carta.
Furto»— Sottrazione precaria — Scopo di ottenere un
prem o dalla reatltualone — Truffa (Cod. pen., art. 402
e 413). Commette furto e non truffa chi sottrae un oggetto allo
scopo di trarne profitto per ottenere dal proprietario un premio, che effettivamente consegue, col restituir
glielo facendogli credere di essersi adoperato per far
glielo ricuperare.
La Corte : — Premesso che nella notte dal 20 al 21
maggio 1912, mentre Canu Paolo dormiva accanto al suo
carro e ai suoi bovi, questi gli venivano, senza che se
ne avvedesse, involati ; e che però, mercè l'intromis
sione di Carta Gaudenzio, pochi giorni dopo egli li ria
veva dietro sborso di lire 150.
Che il tribunale di Lanusei, con sentenza 13 agosto, ritenne accertato che il Carta fosse stato l'autore del
l' involamento dei bovi compiuto per carpire al Canu la
somma di lire 150, quale premio del ricupero, e lo con •
dannò, giusta l'imputazione, per duplice delitto, di furto, nei riguardi del primo fatto, di truffa nei riguardi del
secondo, rispetto al quale veniva pure condannato, quale
complice, Murru Giovanni Pietro.
Che la Corte d'appello di Cagliari, sul gravame di en
trambi gl'imputati, con la sentenza impugnata confer
mava la condanna per il delitto di furto ed eliminava quel la per il delitto di truffa (onde andava dimesso dal pro cedimento il Murru), in quanto «il tribunale di prima
istanza cadde in evidente errore allorché volle ritenere
esso Cartu anche responsabile di truffa, senza accorgersi
che i pretesi raggiri, ritenuti come integratori di tale
reato, costituivano invece il mezzo escogitato dell'appel
lante in parola, per conseguire il profitto del commesso
furto ».
Sui mezzi dedotti, fra principali e aggiunti : 1° violazione dell'art. 404 cod. pen., in quanto che
mancò la prova generica del furto, potendosi trattare nel
fatto di semplice smarrimento e successivo rinvenimento ;
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2° violazione degli art. 402 e 413 codice penale, in
quanto la Corte configurò, con erroneo presupposto giu
ridico, il fine di lucro, necessario a integrare la figura
del furto, nella truffa commessa per ottenere, come ot
tenne, dal danneggiato il compenso delle lire 150;
3° violazione dell'art. 323 cod. proc. pen., in rela
zione con gli art. 404 e 431 cod. pen., in quanto la Corte
di Cagliari rispose in modo erroneo, inadeguato e insuf
ficiente al motivo d'appello, col quale il Carta sosteneva
l'inesistenza del reato di furto per mancanza dell'am
mus lucrandi ;
4° inesistenza di reato, per essersi restituita la cosa
in potere del leso ; o quanto meno doversi concedere la
dirimente della restituzione, giacché esclusa la truffa, il
danaro avuto non rappresentava che il premio usualmente
dato per il ricupero.
Attesoché, sul primo mezzo, sia vana qualsiasi di
scussione intorno all' ingenere e intorno al carattere del
fatto per cui vennero a mancare i bovi del Canu, in
quanto si tratta d'indagini e di apprezzamenti rimessi
al giudice del merito, ch'ebbe all' uopo a pronunziarsi in
modo incensurabile.
Attesoché ben a ragione la Corte di Cagliari abbia
esclusa nei fatti la configurazione della truffa, la quale
certamente poteva emergere in ogni suo estremo rispetto
al danaro ottenuto quale prezzo del riscatto, se il danaro
stesso non avesse rappresentato il prodotto o profitto del
delitto di furto, anteriormente commesso e integrato pure
in tutti i suoi estremi, mercè l'impossessamento degli ani
mali, tolti dal luogo dove si trovavano, nell' intento, sia
poi originario, sia successivamente escogitato, di trarne
quel profitto. Che potrebbe quindi dubitarsi — e da ciò le prece
denti decisioni istruttorie e giudiziali — se di entrambi i delitti il ricorrente dovesse rispondere : dubbio peral
tro escluso una volta che il giudice del merito ritenne,
sovranamente, che il Carta preordinò l'impossessamento
dei bovi al fine di ricavarne il profitto consistente nel
prezzo del riscatto ; onde le pratiche e manovre com
piute per indurre il proprietario a farne l'esborso non
vanno considerate se non quali circostanze sopravvenute e rivolte come, sotto altre forme, in molte specie furti
ve, a realizzare il divisato profitto.
Che se, d'altronde, non può disconoscersi nella fat
tispecie l'estremo più caratteristico del furto, ossia la
sottrazione {ablatio), pur non mancando gli altri estremi
materiali e morali ohe lo integrano, e a prescindere pure dall'art. 78 cod. pen. (che fatte le dovute riserve sulla
razionalità del suo concepimento), verrebbe pure in ac
concio nel caso concreto, trattandosi di un furto quali
ficato al confronto di una truffa semplice, sarebbe un
voler fare veramente del formalismo giuridico, che, al
contrario dev'essere assolutamente bandito dal diritto pe
nale, tanto nella dottrina, quanto nella giurisprudenza, il far servire come elemento di un duplice reato una sola
e medesima circostanza di fatto, qual si è quella delle
150 lire costituenti il profitto del furto e costituenti in
sieme lo scopo della truffa.
Attesoché, sul terzo mezzo, il fin qui detto dimostri
bene come la Corte di Cagliari abbia risposto in modo tutt'altro che erroneo e inadeguato alla tesi dell'appel
lante ; mentre più che sufficientemente, eongruamente e
sovranamente ragionava per metter in sodo 1 ''animus lu
crandi del colpevole, il quale animus, come il profitto
può ben riferirsi anche a un beneficio soltanto indiretto
della sottrazione ; e questo per non lasciar senza rispo sta alcuno degli abili svolgimenti difensionali.
Attesoché, infine, emerga palese l'inattendibilità del
quarto e ultimo mezzo, che va pure a infrangersi nel
l'apprezzamento sovrano del giudice del merito, che at
tribuì al fatto della restituzione ben altro valore di quello
che il ricorrente pretenderebbe, chiaro poi emergendo che il furto, nella sua entità e valore, andò ragguagliato non già al costo dei due bovi, bensì all' importare delle
150 lire ottenute quale prezzo, da un lato, del loro ri
scatto, e, dall'altro lato, quale profitto della loro sottra
zione.
Per questi motivi, rigetta il ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA (Seconda sezione penale)
Udienza 6 febbraio 1918; Pres. Lucchini, Est. DeLuca — Eie. Sambiase e Yinolo.
Abuso di nnto^itft — Arbitrarietà Intrinseca dell'atto
(Cod. pen., art. 175). A costituire il delitto di ab uno di autorità (art. 175 eod.
pen.), occorre che l'atto sia arbitrario non soltanto
nella forma ma anche nella sostanza.
Epperò difetta di motivazione la sentenza che nel con
dannare per quel reato il sindaco che licenziò il segre
tario comunale, si fonda esclusivamente siili'essersi ado
perata nel comunicare il provvedimento una forma
«illegale ed incivile, anzi addirittura violenta », e di
chiara espressamente di non entrare nel merito del
provvedimento stesso, per non invadere il campo am
ministrativo.
La Corte : — Atteso, sul ricorso del Sambiase,
che conviene tener presente essere costante, in linea di
fatto, quanto per l'accertamento insindacabile dei giudici
di merito è risultato, che il segretario comunale di Za
garise, Camillo Opipari, il quale milita nel partito am
ministrativo avversario a quello del sindaco, Salvatore
Sambiase, nel giorno 20 agosto dello scorso anno, par
lando nella casa comunale con l'insegnante Fittante in
torno alle prossime elezioni, faceva previsioni ed emet
teva giudizi poco benevoli verso gli avversari; che, av
visati costoro da persona presente a tali discorsi, alcuni
si recarono nella stessa Gasa a chiederne ragione all' Opi
pari e la discussione assunse un tono piuttosto violento;
che, accorso al rumore il detto sindaco, in modo impe
rativo disse all' Opipari : « andate via, siete sospeso. Le
chiavi le tengo io !» ; e nel medesimo giorno comunicava,
mediante telegramma, la notizia del provvedimento preso,
perchè « l'Opipari senza alcun riguardo, insieme a per
sone estranee all'ufficio, ebbe a fare discorsi profonda
mente ledenti la mia dignità nella stessa casa comu
nale ».
Attesoché, rinviato il Sambiase al giudizio del pre
tore a rispondere del delitto previsto dall'art. 175 cod.
pen., fu, come si disse, condannato, e il giudice di se
conde cure respingeva il suo gravame fondato sul mo
tivo dell'inesistenza di reato o, quanto meno, della non
provata reità, sulla considerazione che « a costituire il
delitto di abuso di autorità basta la forma adoperata
nella comunicazione ed esecuzione del provvedimento,
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