Udienza 7 dicembre 1909; Pres. ed est. Fiocca —Ric. RevardoSource: Il Foro Italiano, Vol. 35, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1910), pp.49/50-51/52Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23110635 .
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49 GIURISPRUDENZA PENALE 50
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 9 novembre 1909; Pres. e Rei. Fiooca -— Con
flitto in causa Fantauzzo.
Competenza — militare In sentinella — Omicidio (Cod.
pen. milit., art. 170; cod. pen., art. 364).
È di competenza dell1 autorità ordinaria, non della mili
tare, il conoscere del delitto di omicidio commesso in
tempo di pace da un militare nelVesercizio della sua
funzione di sentinella. (1)
(1) Vedi la sentenza 12 ottobre 1877, conflitto in causa Fi
lippone, nonché la requisitoria del Procuratore Generale Be Palco e la relativa nota del prof. Mecacci (Foro it., 1877, II, 481). — Yedi pure la sentenza che segue.
La sentenza attuale adottò i motivi della seguente requi sitoria del P. M. (Andreucci):
« Il P. G. : Esaminati gli atti a carico di Fantauzzo Do menico di Antonio di anni 23 da Grotte soldato nel 34° reg gimento di fanteria.
Ritenuto che nel mattino del 17 agosto 1909, verso le ore 3 e mezzo, dovedosi eseguire i tiri nel poligono militare presso Canicatti (Caltanissetta), il soldato Fantauzzo Domenico fu col locato di sentinella vicino alla trazzera della sorgente Sanuco, con la consegna d'impedire che passassero persone estranee, e risalissero i fianchi orientali del vicino sperone esposto ai tiri, ma lasciando libero il transito per la cennata trazzera (f. 26 e
42). Il Fantauzzo come le altre sentinelle, doveva essere sprov visto di cartucce ; ed egli invece (sembra per allucinazioni pau rose), ne portò seco alcuni pacchetti, e prima ancora che nel
poligono i tiri cominciassero, sparò il suo moschetto più volte ■contro un viandante, identificato per Giuseppe Cane, il quale passava per la trazzera a cavallo d'un asino ; e lui e l'asino ri
masero uccisi. Che il giudice istruttore presso il tribunale di Caltanissetta,
•a richiesta di quel Procuratore del Ke, iniziò procedimento pe nale contro il soldato Fantauzzo, già arrestato, sotto l'imputa zione di omicidio commesso nell'esercizio delle proprie funzioni di sentinella al poligono dei tiri, art. 364 cod. penale. Interro
gato il Fantauzzo, confessò la sua reità, e come discolpa affermò:
che il capo-posto gli aveva ordinato di non far passare nes
suno, neanche per la via ; che si era munito di cartucce perchè la sera innanzi aveva visto persone le quali stando egli in sen
tinella lo chiamavano e gli facevano segni misteriosi; che aveva
paura di stare in sentinella; che sparò perchè i passanti si ri
fiutavano di tornare indietro ; che inoltre egli udiva sparare
colpi di rivoltella o di pistola o fucile carico a stagnarola senza
vedere persone le quali sparassero; che contro parecchi puntò il suo moschetto. Intanto raccolti gli atti generici e le testimo
nianze del capitano Cagnoli, del maresciallo Michelotti di fan
teria, del caporal maggiore Toscan non emerse che qualche at
tentato fosse avvenuto in danno del Fantauzzo, ed apparve in
vece anormale il suo stato psichico. Ma a questo punto dell'istruttoria la camera di consiglio
di Caltanissetta, sopra conformi conclusioni del P. M. e con
ordinanza del 5 settembre 1909 dichiarò che il reato apparte neva alla competenza dell'autorità giudiziaria militare.
Che in base a tale ordinanza e sopra richiesta dell'avvocato
fiscale militare, l'ufficiale istruttore presso il tribunale militare
di Palermo addi 24 settembre rilasciò mandato di cattura con
tro Fantauzzo, siccome imputato di vie di fatto in servizio, art.
170 cod. pen., per l'esercito, e procedette all'interrogatorio, rac
colse la testimonianza del caporale Moretti, e provvide al rico
vero dell'imputato (,il quale dava segni di alienazione mentale)
nell'ospedale militare di Palermo ; ma infine la Commissione di
inchiesta, sopra conformi conclusioni dell'avvocato fiscale e
con ordinanza del 7 ottobre 1909, dichiarò la propria incompe tenza perchè il fatto addebitato al Fantauzzo non costituiva il
reato militare previsto nell'art. 170 cod. pen. per l'esercito, bensì il delitto di omicidio volontario di competenza dell'auto
rità giudiziaria ordinaria.
Che conseguentemente l'avvocato generale militare ha tra
smessi gli atti a questa Corte di Cassazione per la risoluzione
del conflitto.
Considerato che tutte le circostanze dell'istruttoria dimo
strano come il fatto commesso del Fantauzzo costituiva il de
litto di omicidio volontario, previsto nell'art. 364 cod. pen. co mune. Egli, destinato a servizio di sentinella, aveva paura, e sembra fosse in preda di allucinazioni terrifiche; perciò, vio lando gli ordini, portava seco le cartucce, col dolo determinata di offendere, e violando la consegna, vietava il transito anche
per la trazzera e puntava il suo moschetto carico contro un infelice viandante e più volte gli sparava contro, e l'uccise col
pendolo con un projettile nell'occhio sinistro. Il fine di uccidere è reso manifesto dalla provvista delle cartucce, dal proposito di sparare, dai ripetuti colpi esplosi a palla con puntamento di moschetto verso un bersaglio idoneo, perchè l'infelice Giu
seppe Cane era a cavallo dell'asino e naturalmente procedeva a passo lento per la trazzera. Sarà poi compito del giudice com
petente indagare in merito sullo stato di mente del prevenuto, ai fini dell'imputabilità.
Che la questione, se e quando l'omicidio volontario com messo dal militare in tempo di pace appartenga alla giurisdi zione ordinaria od a quella militare, fu già in caso analogo esa minata ampiamente e decisa, con la requisitoria di questo uf ficio generale e con la sentenza di questo Supremo Collegio del 12 ottobre 1877 nel conflitto Filippone (Fóro it., 1877, II, 481). Basterà ora richiamarsi a quei principi. Il codice penale per l'esercito del 28 novembre 1869, contiene disposizioni comuni al tempo di pace e al tempo di guerra (art. 5 al. 242), e dispo sizioni relative unicamente al tempo di guerra. Fra le prime dovrebbe trovarsi la sanzione pel fatto attribuito al soldato Fan
tauzzo, ma non vi esiste, perchè in esse l'omicidio è contem
plato soltanto nell'ipotesi dell'insubordinazione o di rissa fra militari (art. 125) e nell'ipotesi di uso delle armi per impedire o reprimere un pubblico disordine (art. 171), mentre in altti ar ticoli si parla soltanto di vie di fatto, anche se ne segue la morte (art-, 168, 170). Essendo eccezionale la giurisdizione giu diziaria militare, non può esplicarsi che sopra i reati pretta mente militari, art. 1 cod. pen., per l'esercito. Or l'unica dispo sizione di questo codice che potrebbe eventualmente applicarsi al fatto del Fantauzzo, sarebbe quella dell'art.. 170; ma è ma nifestamente inapplicabile in concreto, perchè anzitutto egli agi fuori e contro l'esecuzione della ricevuta consegna, predomi nato dal comune dolo di offendere ; e in secondo luogo l'art. 170
riguarda le vie di fatto che importino limitatamente i reati con
templati negli art. 257, 258, 259, 260, 261, 266 dello stesso co
dice, ossia l'omicidio commesso per eccesso nella propria difesa o per eccesso nell' esercizio della forza pubblica (punibile al massimo con 2 anni di reclusione militare) e le ferite o percosse per cui seguono la morte o il pericolo di vita, o danno più o meno grave nel corpo : mentre nella specie il Fantauzzo uccise volontariamente senza veruna necessità di difendersi, senza verun bisogno di esercitare la forza, e commise quindi un co mune omicidio volontario la cui cognizione appartiene all'auto rità giudiziaria ordinaria (art. 2 e 9 cod. pen.).
Chiede che la Corte di Cassazione, risolvendo il conflitto a norma degli art. 731 e 743 cod. pen., dichiari che il delitto at tribuito al soldato Fantauzzo Domenico appartiene alla cogni zione dell'autorità giudiziaria ordinaria, annulli quindi l'ordi nanza dei 5 settembre 1909 della camera di consiglio presso il
tribunale di Caltanissetta, ed ordini la trasmissione degli atti al Procuratore del Re in Caltanissetta per l'ulteriore corso di
legge*.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA Udienza 7 dicembre 1909; Pres. ed est. Fiocca — Ric.
Revardo.
Competenza — militare — Tempo di pace — Omici
dio per eeeeiso nell'esercizio della forza pubblica
(Cod. pen. milit., art. 257 e 170). L'omicidio per eccesso nell'esercizio della forza pubblica,
ricade sotto la sanzione dell'art. 257 cod. pen. per
l'esercito, ed e di competenza del tribunale militare, nel
solo caso elie sia commesso in tempo di guerra. (1)
Se invece e commesso in tempo di pace, cade sotto la san
zione del codice penale comune, ed è di competenza
della Corte d'assise. (2)
(1-2) Yedi in senso sostanzialmente conforme la sentenza
che precede.
Il Foro Italiano — Anno XXXV — Parte II-5.
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51 PARTE SECONDA 52
La Corte : — Ritenuto in fatto che il ricorrente Re
vardo in qualità di carabiniere a capo di un drappello di
soldati, la sera del 12 giugno ultimo si diede a ricercare
alcuni zingari che quella sera stessa, in quel di Santa
Croce avevano rubato del fieno a diversi proprietari; e,
raggiuntili in un certo punto, tentò arrestare uno di loro,
certo Mano Sisto, ma ne fu impedito dagli altri zingari, che in unione delle loro donne con grida e minacce aggre dirono i militari, in guisa che il Revardo, vistosi a mal
partito, ordinò di far fuoco. Il soldato Ferrerò, obbedendo
all'ordine sparò il suo fucile freddando all'istante la zin
gara Scipa Barba. Istruitosi processo per tal fatto, la ca
mera di consiglio del tribunale di Belluno con ordinanza
del 2 settembre 1909, quanto al Ferrerò, dichiarò che
egli avesse commesso il fatto per ordine dell'autorità com
petente, cui era obbligato di obbedire, e conseguentemente ordinò non farsi luogo ad ulteriore procedimento. Quanto
al Revardo, ordinò il rinvio degli atti al tribunale mili
tare, perchè ritenne trattarsi del reato militare previsto dall'art. 257 in relazione all'art. 170 cod. pen. per l'eser
cito, di competenza del tribunale militare. Contro codesta
ordinanza il Procuratore del Re produsse opposizione in
tempo utile, sostenendo che il fatto attribuito al Revardo
costituisse invece un reato comune previsto dal codice
penale vigente negli art. 61 e 364, di competenza della
Corte d'assise. La sezione di accusa della Corte d'appello di Venezia con sentenza del 9 ottobre 1909, accogliendo cotesto gravame, rinviò il Revardo avanti la Corte d'as
sise di Belluno. Della detta sentenza il Revardo ora do
manda la cassazione a questa Corte Suprema, sostenendo
che il fatto, di cui è chiamato a rispondere, costituisca il
delitto preveduto dagli art. 257 e 170 cod. pen. per l'eser
cito, di competenza del tribunale militare.
Atteso in diritto che l'art. 257 testé ricordato essendo
collocato fra le disposizioni relative tempo al di guerra, la
stesa rubrica sotto cui è collocato deve fare accorto
chiunque della sua inapplicabilità al tempo di pace, come
è del caso presente. Le disposizioni comuni al tempo di
pace e al tempo di guerra contenute nel libro I del cod.
pen. militare si possono ben applicare al tempo di guerra, aumentandosi di un grado la relativa pena, come è detto
espressamente nell'art. 250, ma non viceversa, per la sem
plice ragione, che, le disposizioni relative al tempo di
guerra costituendo un'eccezione alla regola, non possono essere applicate fuori i casi da esse espressamente con
template. E di fatto nessuna disposizione di legge auto
rizza a ciò fare. Se poi dell'omicidio volontario e delle
diverse sue gradazioni, non che delle lesioni personali, si
parla soltanto nelle disposizioni relative al tempo di guerra,
agli art. 254 e seguenti, egli è perchè in tempo di guerra l'autorità militare, raccogliendo in sè tutti i poteri, per necessità di cose, conosce di ogni sorta di reato commesso
dal militare. Tale stato di cose non ricorrendo in tempo di
pace, ne segue che i tribunali militari conoscono soltanto
de' reati preveduti nelle disposizioni del libro I cod. pen.
per l'esercito. E poiché tra essi non figura nè l'omicidio
nè la lesione personale, è evidente che di codesti reati
debba conoscere l'autorità ordinaria. Dell'omicidio e delle
lesioni personali si parla, è vero, negli art. 124, 126, 127,
170, 171 del libro, I ma se ne parla come di elemento
costitutivo del reato'd'insubordinazione o di atti di vio
lenza che il militare commette nell'esecuzione di un or
dine o di una consegna, ma giammai come di reato per sè stante. Di quest'ultima forma ne ha sempre conosciuto
l'autorità ordinaria; tanto vero, che l'omicidio volontario
commesso per eeeesso nell'esereisio della forza pubblica, come è il caso presente, era dall'abolito codice penale pre veduto nell'art. 563, e fu sempre giudicato dall'autorità
ordinaria. E se il codice penale vigente non ne fa più
motto, egli è perchè il nuovo legislatore, aborrendo dalla
casistica, ha creduto bastare, all'effetto della scusa, la di
sposizione generale dell'art. 50, non essendo in sostanza
l'eccesso dell'esercizio della forza pubblica che la stessa
cosa dell'eccesso della legittima difesa.
Applicare contemporaneamente al caso presente le due
disposizioni degli art. 170 e 257, come pretende il ricor
rente, e come erroneamente fece la camera di consiglio del tribunale di Belluno, è illogico ed assurdo : 1° perchè nella fattispecie manca l'estremo essenziale richiesto dal
l'art. 170, e cioè che il militare abbia agito in esecuzione
di un ordine o di una consegna, come giustamente os
serva la sezione d'accusa nell'impugnata sentenza ; 2° per chè l'oggettività giuridica de' due reati configurati nei
due articoli essendo diversa, ne rende impossibile la con
temporanea applicazione. Nell'art. 257 il diritto violato
riguarda la vita o integrità personale dell'individuo. Nel
l'art. 170 il diritto violato riguarda l'uso legittimo della
forza pubblica, di cui il militare abusa con (/li atti di
violenza contro le persone nell'esecuzione di un ordine o
di una consegna. Nel primo il fatto dell'omicidio o della
lesione deve essere voluto dall'agente perchè questi ne
risponda penalmente; nel secondo invece ne risponde
sempre, l'abbia o no voluto, perchè la legge lo pone a suo
carico come conseguenza della sua azione, giusta l'art. 45
cod. penale. Da tutto ciò si fa sempre evidente la com
petenza dell'autorità ordinaria a conoscere del presente reato: onde la sentenza della sezione d'accusa merita il
plauso e non le censure di questa Corte Suprema. Per tali motivi, rigetta, il ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 20 luglio 1909; Pres. Lucchini, Est. Moschini
Ric. Sorrenti Luigi e Annunziata.
Tr uff» — Immoralità dell'ingannato (Cod. peli., art.
413). Rimane eselusa la punibilità della' truffa se il raggirato
si proponeva uno scopo immorale (possesso e godi mento di una ragazza). (1)
La Corte : —- Ciampi Filippo, dimesso l'abito sacerdo
tale e ritiratosi in una sua villa, cercò in Napoli una
giovane servente clie si prestasse anche allo sfogo dei
suoi stimoli sessuali, e fu da Ventre Nicola indirizzato
ai coniugi Sorrenti Luigi e Curcio Francesca, i quali con
venivano di dargli a tale intento e senz'alcuna restri
zione la loro figlia maggiorenne Annunziata, dietro lo
sborso d'alcune centinaia di lire, per riscattare gioie im
pegnate e per prender due biglietti d'emigrazione in
America.
Forni subito il Ciampi 640 lire, e andò la giovane Annunziata con lui alla villa di Mirabella, ma accompa
gnata dalla madre Curcio e dal Ventre, che, or con l'uno
or con l'altro pretesto, impedirono sempre le intimità
(1) Cfr. sentenze 23 agosto 1907, Funari (Foro it., 1908, II, 17), e le altre ivi citate in nota.
Vedi pure gli studi di A. Jannitti di Guyanga, e di E. Ber
tola, ricordati nel nostro Rep. 1908, voce Truffa, n. 1 e 3.
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